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Ex femminista: "Con le donne al potere crolla la civiltà"
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13 settembre 2012
Ida Magli: «Con le donne al potere crolla la civiltà»
L’antropologa contesta il rovesciamento dei ruoli e lancia l’allarme sull’élite degli omosessuali*
di Gian. Ven., Libero, 13 settembre 2012
Ida Magli, l’autrice del libro La fine dell’uomo sostiene che le donne si siano avvantaggiate della crisi economica, per sostituire i maschi nei ruoli di comando. Concorda con questa tesi?
«Per nulla. Non credo che la crisi sia stata un fattore destabilizzante del potere maschile. Gli uomini sono ancora ai posti di comando e di questo mi rallegro. Le donne, anziché contrastare l’uomo, avrebbero fattomeglio ad avviare una riflessione su due temi: l’immigrazione e il predominio gay».
Si spieghi.
«Dacché esiste l’Unione europea, non ho mai sentito un politico donna opporsi seriamente all’immigrazione. Eppure l’immigrazione contribuisce alla frantumazione dell’unità dei popoli europei. Nel 2030, quando i musulmani avranno il predominio nel nostro continente, non sarà solo la fine della donna, costretta dall’islam a un ruolo di minorità, ma anche del maschio europeo. Solo in questo senso riesco a parlare di “fine dell’uomo”… europeo».
I gay, invece?
«Sono l’altra dimostrazione che la donna non ha vinto. L’élite omosessuale, sempre più presente nei luoghi di potere, è l’immagine del maschio che fa a meno della donna. L’uomo gay indica la morte della società, condannandola a essere sterile. È l’altro segnale preoccupante della fine della nostra civiltà».
Eppure, sostiene la Rosin, le donne oggi sono predominanti nelle professioni socialmente più accreditate, laddove i mestieri più muscolari e più maschili subiscono un crollo. Come commenta?
«Credo che le cose perdano valore quando se ne impadroniscono le donne. Penso alla psicoanalisi. Era una scienza nobile, fin quando era nelle mani degli uomini, dai padri fondatori in poi. Non appena si è creata la figura dell’analista donna, la psicoanalisi ha perso influenza, per lo meno nel nostro continente. Lo stesso vale per la scuola e per la comunicazione. Gli uffici stampa sono pieni di donne, ma questo dimostra soltanto che la donna è uno strumento di comunicazione tra maschi».
C’è almeno un aspetto positivo nell’emancipazione della donna?
«Il femminismo ha provato a intercettare il potere dei maschi e ha creduto di raggiungere il successo facilmente, senza una riflessione su quello che ciò avrebbe comportato. L’unica conseguenza è che, con l’emancipazione femminile, si è distrutta la famiglia e si è abbassata la natalità».
In questo panorama fosco, esiste qualche donna di potere che stima particolarmente?
«Non mene viene in mente nessuna. Si dice che Michelle Obama sia la donna più potente del mondo: ma non è potente lei, è potente suo marito. È un po’come Carla Bruni per Sarkozy. D’altronde, anche quando le donne hanno il potere, non riescono a sfruttarlo. La regina d’Inghilterra è sul trono da sessant’anni, ma in tutto questo tempo non ha mai speso la sua voce su temi decisivi per la nazione. Potrebbe essere importante, ma fa finta di non esserlo».
Forse però alcune donne sono limitate nella loro ascesa dall’impossibilità di conciliare il ruolo di donna con quello di madre. Esiste, secondo lei, un aut aut di questo tipo nel nostro Paese?
«Fare figli è un impegno serissimo e decisivo per la sopravvivenza della civiltà. Purtroppo però in Italia non si fa nulla per incentivare questo servizio alla società. Anzi, il governo di Monti ha impedito alle dipendenti statali di usufruire, grazie alla maternità, di un periodo più lungo ai fini pensionistici. E la dimostrazione di come siamo ben lontani dall’affermazione di una donna capace, allo stesso tempo, di lavorare e fare la mamma».
In sostanza, non sente di condividere in nulla la tesi della Rosin?
«Il problema è che la scrittrice guarda la situazione femminile da una prospettiva esclusivamente americana. Gli statunitensi sono ancora convinti di rispecchiare il mondo, ma sbagliano. E soprattutto faticano a teorizzare, visto che sono un po’ stupidi».
Frank:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/09/02/le-donne-non-hanno-mai-inventato-niente.html
--- Citazione ---LE DONNE NON HANNO MAI INVENTATO NIENTE
Vorrei aggiungere all' interessante articolo di Luca Cavalli Sforza "Questa volta con chi ci accoppiamo?" (Repubblica, 27/8/92) qualche riflessione un po' contro tendenza a proposito di matriarcato e di invenzione dell' agricoltura da parte delle donne. Supporre che le poche tombe femminili più ricche del solito testimonino il potere e il prestigio acquistato dalle donne per aver inventato l' agricoltura, e che le donne l' abbiano inventata perché erano loro a raccogliere i vegetali e quindi ad osservarne la crescita, è un' ipotesi di cui non c' è nessuna prova, e che non trova conferme neanche presso quei popoli, viventi di caccia e raccolta, studiati negli ultimi secoli da etnologi e antropologi. Possono bastare per tutti i famosi Nambikwara, tanto cari al cuore di Lévi- Strauss, dove non si è mai attuato il passaggio all' agricoltura, malgrado il rischio di non sopravvivenza nei periodi in cui l' alimentazione dipende esclusivamente dalla raccolta dei vegetali affidata alle donne. Questo passaggio è avvenuto, come è stato dimostrato da tanti antropologi ecologisti (ed è perfino banale riconoscerlo) soltanto là dove l' abbondanza e la distribuzione dell' acqua l' ha reso possibile. Tuttavia non è questo che mi interessa puntualizzare, quanto piuttosto come sia difficilmente credibile che le donne abbiano scoperto o inventato alcunché in rapporto al lavoro svolto. Ci sono tante e così evidenti prove che, in ogni tipo di società e cultura, inventano, scoprono, impongono, trasformano gli usi e i valori soltanto coloro che possiedono il sapere, la supremazia e la leadership, che non soltanto non se ne può dubitare ma diventa perfino pericoloso supporre il contrario, dato che saremmo costretti a ritenere intellettualmente incapaci tutte le classi subalterne, ivi incluse le donne, che nei diecimila anni che conosciamo non hanno mai scoperto nulla. Se fosse vero che le donne debbono aver scoperto l' agricoltura perché conoscevano le piante, raccogliendole, le donne avrebbero dovuto anche creare la pediatria, la ginecologia, inventare le religioni, scoprire le leggi fondamentali della fisica e della chimica in base al lavoro che hanno sempre fatto. Chi più delle donne ha curato i bambini, ha assistito le partorienti, ha vegliato i defunti, ha tenuto acceso il fuoco, ha adoperato l' acqua, ha cucinato nei modi più vari e gli alimenti più vari? Eppure non sono le donne ad avere formulato le leggi della termodinamica, nessuna casalinga che vive nella cucina in un vero e proprio laboratorio di fisica e chimica, ci ha mai spiegato perché l' acqua bolle, perché il latte fuoriesca all' improvviso dal bollitore, perché sia diverso cuocere la carne al forno invece che sulla fiamma. La verità è (almeno in tutta la storia che forno invece che sulla fiamma. La verità è (almeno in tutta la storia che conosciamo) che fino a quando la società non ti assegna e non ti riconosce il ruolo di sapiente, di soggetto, in qualsiasi azione, l' individuo, maschio o femmina che sia, non si pone neanche il "perché?" indispensabile per riflettere, e per conoscere il lavoro che svolge. Sappiamo invece con assoluta certezza che in qualsiasi epoca i popoli hanno "creato" una specie a parte, quasi subumana, obbligata a svolgere i lavori privi di prestigio, gli schiavi e le donne, che non solo non hanno mai ricevuto tombe onorifiche per questo, ma dei quali nessuno pensa che abbiano ideato e progettato le piramidi, anche se di fatto sono stati loro a costruirle. Non c' è riuscito neanche il marxismo, neanche i sindacati più forti del mondo, a convincerci, perfino oggi in cui affermiamo di essere tutti uguali, che gli uomini più sapienti, più potenti e prestigiosi, ai quali spettano particolari onoranze dopo la morte, sono i contadini o i metalmeccanici. Le ipotesi di tipo femminista, che alcuni studiosi di buona volontà propongono per un passato di cui non abbiamo prove, non trovano nessun riscontro neanche presso i popoli a discendenza materna, cui accenna Cavalli Sforza. Gli antropologi hanno dimostrato in abbondanza che la discendenza in linea materna, sia del nome che delle proprietà, non comporta mai il predominio delle donne, e questo vale anche per quanto riguarda le rare popolazioni in cui due o più uomini, in genere fratelli, prendono in moglie la stessa donna. Il soggetto agente non è mai la donna, in questo come in tutti gli altri tipi di matrimonio; sono i maschi che sposano la stessa donna, e per motivi strettamente legati alla necessità della incontaminazione della potenza, dell' essenza della famiglia (simbolizzata dallo sperma) che si raccoglie così in unico "contenitore". Sono motivi analoghi a quelli per cui presso molti popoli esiste la legge del levirato, che obbliga il fratello del defunto a sposarne la vedova, oppure che (per maggiore sicurezza) obbliga la vedova a morire insieme al marito, o anche, in una forma attenuata, a rinchiudersi per sempre nella casa della famiglia del defunto e a non risposarsi più. Non possono sussistere dubbi, per quanto pesi riconoscerlo, che i sistemi di valore e il potere che vi si fonda prescindono dalla logica della concretezza e della realtà. Se non fosse così, non esisterebbero le religioni.
di IDA MAGLI
02 settembre 1992 sez.
--- Termina citazione ---
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