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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:

--- Citazione da: Red- - Maggio 04, 2018, 23:11:40 pm ---Ma non volevo tranciare giudizi inappellabili, io infatti ho fatto una domanda, cioè come mai i giovani d'oggi evidentemente ritengono che sia meglio non fare e non dire nulla di importante su certi argomenti, di non farlo in gruppo, con una certa forza, come è praticamente quasi sempre avvenuto nella storia, in tempo di pace.
Questo non avviene, semplicemente. (Sempre escludendo i centri sociali, che non si capisce -o almeno io non capisco- a che cacchio servano). Mi chiedevo solo il perchè. Non ho occasione di frequentare molti giovani non so bene come la vedono, cosa pensano come ragionano.  magari sul forum potevo avere qualche parere, magari interessante.
Nulla di più.
Saluti

--- Termina citazione ---


Nemmeno io frequento i giovani, per ovvi motivi anagrafici, essendo del '71.
Perciò non ho una risposta precisa al riguardo, ma soltanto delle idee personali, che in quanto tali son sicuramente discutibili.
Tu fai spesso riferimento al neofemminismo, e in merito alla questione credo anch'io che c'entri qualcosa con la "paralisi" di tanti giovani; anche se son del parere che le cause siano molteplici.
Al tempo stesso, però, non ricordo una maggiore energia da parte degli uomini della mia generazione, né da coloro che hanno qualche anno in più.



--- Citazione ---L'italia è (per quanto appaia strano) tra le 8-10 nazioni economicamente più forti sul pianeta.
--- Termina citazione ---

Non è strano, è la realtà.
Se no perché mi incazzerei con i tanti stranieri che fanno finta di non ricordare da dove provengono ?

Tuttavia, in Paesi come la Romania qualche protesta pacifica la fanno; poi che non ottengano i risultati sperati è un altro paio di maniche.
http://www.eastjournal.net/archives/87662
http://www.eastjournal.net/archives/81151

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In passato delle pacifiche ma ferme proteste ci furono anche in Bosnia, che però resta un Paese con tante rogne da risolvere, dove lo stipendio medio è di 440 euro mensili.*
https://www.eastjournal.net/archives/32786


--- Citazione ---BOSNIA: Il successo della bebolucija, protesta che supera il nazionalismo

Chiara Milan 10 luglio 2013   

A quasi un mese dall’inizio della bebolucija, la rivoluzione dei bambini, a Sarajevo le transenne bianche circondano la piazza ormai vuota di fronte al parlamento nazionale. Dopo ben venticinque giorni le proteste sono terminate, ma non hanno spento l’entusiasmo di chi vi ha preso parte.

Quasi un mese di manifestazioni, assemblee e gruppi di lavoro hanno lasciato nelle persone la speranza che questo non sia stato che l’inizio.Come racconta ad East Journal Valentina Pellizzer, attivista italiana residente a Sarajevo dal 1999 che ha partecipato fin dall’inizio alla bebolucija, “i venticinque giorni di protesta pacifica sono stati un incredibile atto di resistenza civile da parte dei cittadini bosniaco-erzegovesi. I cittadini e le cittadine che hanno manifestato la propria indignazione lo hanno fatto come persone nei confronti di una classe politica che si è dimostrata incapace di fare il proprio lavoro, e che pur di garantire la propria sopravvivenza ha calpestato i diritti della categoria più indifesa, i bambini”.

I casi di Belmina e Berina, le due bambine prive di numero di identificazione personale (Jedinstveni matični broj građana, JMBG – una sorta di codice fiscale) e pertanto impossibilitate ad uscire dalla Bosnia per farsi curare all’estero, hanno provocato una reazione emotiva tale da portare in piazza non solo i sarajevesi, ma “tutti quegli esseri umani che si sono rifiutati di considerare l’impasse sui numeri personali come l’ennesima questione etnopolitica, ponendosi una domanda fondamentale: Chi sono io come individuo? Come posso permettere che una bambina muoia solamente perché è nata in un paese in cui i politici sono etno-bestie?”.

Nonostante il paragone con gli indignados e gli altri movimenti modello Occupy che hanno preso piede negli ultimi anni in tutto il mondo, la Bosnia-Erzegovina rimane un caso a sé, e come tale dev’essere trattato. Spiega sempre Valentina: “Non bisogna dare per scontato che i cittadini bosniaci siano scesi in piazza in massa, considerando che l’ultima volta che l’hanno fatto, nel 1992, hanno sparato loro addosso. Così come non è da sottovalutare il valore simbolico della riappropriazione dello spazio pubblico, collettivo, in un paese in cui la regola è che la mia presenza è la negazione della tua. Facendosi fotografare a sostegno della JMBG i bosniaci ci hanno messo la faccia, hanno riaffermato il diritto alla vita, mentre nessun politico si è dimesso per vergogna”.

La mancanza di ONG e partiti politici tra gli organizzatori della protesta è stata considerata una delle debolezze del movimento. Eppure è frutto di una scelta consapevole, presa per evitare strumentalizzazioni e protagonismi di parte. In un tessuto sociale frammentato come quello della Bosnia, infatti, la società civile può riprodurre ed addirittura esacerbare le divisioni etniche e politiche che ci sono al suo interno. Il messaggio trasmesso dalla bebolucija, invece, è che il fondamento del senso civico è la singola individualità, l’essere umano in quanto tale, senza il bisogno di bandiere. Questo hanno ricordato i cittadini che si sono riuniti la sera della morte di una delle due bambine, Berina: il bisogno di restare umani.

Cosa rimane della bebolucija? “Innanzitutto i risultati tangibili: il giorno successivo all’assedio non violento del parlamento, il 6 giugno, Belmina ha ricevuto il suo numero di identificazione personale, assieme al passaporto che le ha permesso di uscire dalla Bosnia per essere curata. I manifestanti hanno ottenuto un altro risultato: per sei mesi i bambini bosniaci riceveranno un numero di identificazione personale permanente. È stato riaffermato il loro diritto ad esistere come cittadini bosniaci, ma soprattutto è stata restituita loro la dignità di esseri umani.

Grazie alle proteste dei cittadini, i politici bosniaci hanno dovuto riconoscere l’esistenza di un problema reale e di una massa critica di cittadini che reclama la propria dignità. Infine, la protesta non è sfociata nella violenza in nessun caso, anche nei momenti di maggiore tensione, come durante l’assedio del parlamento. Va riconosciuto il comportamento corretto delle forze di polizia, ma anche il senso responsabilità di organizzatori e partecipanti alle proteste che si sono impegnati a pulire la piazza anche dopo il concerto del 1 luglio”.

La bebolucija è conclusa, e i tentativi di sminuirla sembrano affermare, al contrario, la scomodità di questo movimento. Rimangono orgoglio per non aver messo a tacere l’ennesimo sopruso e la voglia di continuare.

Per informazioni: www.jmbg.org twitter @JMBGzasve
--- Termina citazione ---

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https://www.albanianews.it/notizie/economia/stipendio-medio-balcani-2018-01

Frank:
https://www.albanianews.it/statistiche/salario-mensile-315-euro


--- Citazione ---Instat Albania: più della metà dei lavoratori percepisce un salario mensile inferiore ai 315 euro
Gli ultimi dati pubblicati dall'Istituto di Statistica Albanese hanno evidenziato che circa il 60% dei lavoratori albanesi guadagna meno di 315 euro (40.000 leke) lordi mensili, mentre il 30% guadagna 189 euro (24.000 leke)

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto di Statistica Albanese (Instat) mostrano che circa 1,2 milioni di cittadini albanesi hanno un’occupazione nel paese.

Più della metà di questi lavoratori guadagna meno di 315 euro (40.000 leke) lordi al mese (il 60%), mentre solo il 10% ne guadagna 750 euro (95.000) o più.

Il 30% di coloro che hanno occupazione, invece, guadagna 189 euro (24.000 leke) lordi al mese, ovvero il valore di salario minimo esistente legalmente nel paese.

Questi sono gli ultimi dati pubblicati dall’Instat con l’aiuto della direzione generale delle imposte. Lo stipendio medio del 2017, in relazione a tutti i cittadini con occupazione, si aggirava sui 387 euro (49.000 leke) lordi mensili.

Il valore lordo, ovviamente, considera oltre al salario netto, l’assicurazione sociale e medica e tutte le imposte che vengono pagate dal lavoratore stesso e quindi detratte di conseguenza dallo stipendio. Quindi considerando tutto ciò, il valore reale del salario minimo del paese è di circa 166 euro (21.000 leke) come evidenzia il giornale albanese reporter.al .

l paradosso del salario medio

Il salario lordo medio era di 371 euro (47.000 leke) mensili nel 2014; valore che è sceso nel 2016 raggiungendo i 363 euro (46.000) per poi salire nuovamente lo scorso anno e raggiungere la cifra di 387 euro (49.000 leke) lordi mensili. In questo periodo quadriennale il salario lordo medio ha registrato una crescita del 2,7%.

Tuttavia, in termini reali e quindi considerando l’inflazione, i dipendenti stipendiati di oggi sono più poveri rispetto a quelli del 2014 poichè i prezzi di consumo sono aumentati del 5,2% mentre i salari, come detto, solo del 2,7%. Durante il 2016 – anno che ha registrato un calo nel valore medio lordo mensile del salario – l’unico settore che ha registrato una crescita è stato quello pubblico.

Prima delle elezioni dello scorso anno, infatti, il governo ha aumento gli stipendi dei dipendenti pubblici del circa 12,8%. Un contesto, quello dei salari pubblici nettamente superiore rispetto a quelli privati, che caratterizza da tempo l’Albania come dimostrato dai dati: solo l’anno scorso i dipendenti pubblici aveva un salario lordo medio di 486 euro (61.600 leke) mensili, di gran lunga superiore rispetto ai 387 euro (48.967 leke) mensili dei dipendenti privati (circa -20%).
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.albanianews.it/notizie/economia/eurostat-albania-salario-minimo-europa


--- Citazione ---EconomiaStatistiche
Eurostat, Albania ha il salario minimo più basso d’Europa
Albania detiene il primato europeo del salario minimo più basso con soli 180 euro al mese

Come viene riportato da Eurostat, l’Albania detiene il primato europeo del salario minimo più basso (tra i paesi UE e quelli candidati all’adesione), con soli 180 euro al mese.

Le statistiche pubblicate, si riferiscono ai salari minimi nazionali. Ovvero il salario che di solito si applica a tutti i dipendenti, o almeno alla grande maggioranza di essi. Viene applicato per legge, spesso da un accordo intersettoriale nazionale.

Se osserviamo, invece, la classifica dall’alto troviamo al primo posto il Lussemburgo, con un salario minimo di 1998.5 euro al mese. Dato quello del salario minimo che, come fa notare Eurostat, ha a che fare con la posizione geografica: nel raggio est europeo (in paesi come Romania, Lituania, Slovacchia ed Estonia) lo stipendio varia dai 400 ai 500 euro.

Gli stati nord-orientali, invece, hanno un salario minimo di oltre 1.400 euro, tra cui il sopracitato Lussemburgo, la Francia, il Belgio, i Paesi Bassi, il Regno Unito e l’Irlanda. Tra i 600 e i 900 euro se si parla di Europa Meridionale (Spagna e Portogallo).

Eurostat riporta anche un confronto extra-europeo con gli Stati Uniti: negli USA il salario minimo è di 1048 euro al mese.
Grafico dei salari per Paese Salario Minimo Albania

Rispetto a dieci anni fa, quindi Febbraio 2008, oggi i salari minimi espressi in euro sono più alti in tutte le nazioni dell’Europa, con eccezione della Grecia dove attualmente sono inferiori addirittura del 14% rispetto a dieci anni fa (tasso di variazione annuo di -1,5% circa).

L’Albania, nonostante non fosse all’ultimo posto nel 2008 (c’era la Bulgaria con 112.49 euro/mese), è andata anche lei in crescendo registrando un +27% nel corso degli anni, seppur con un lieve ribasso in questo inizio di 2018. Si è passati infatti, dai 181.01 euro/mese (valore più alto di sempre) di media dello scorso anno ai 180.52/mese dell’inizio del nuovo.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Gallerie/Mondo-rurale-in-Romania-bello-da-vedere-duro-da-vivere


--- Citazione ---Mondo rurale in Romania: bello da vedere, duro da vivere
7 maggio 2018

Un rumeno su due vive in campagna. La fotografa Ioana Moldovan ha esplorato la quotidianità di questo mondo rurale fatto di infrastrutture carenti, disoccupazione massiccia, agricoltura di sussistenza

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 2 maggio 2018)

La Romania ha circa 20 milioni di abitanti di cui la metà vive in campagna. Qui vengono preservate le tradizioni ed i paesini rumeni possono sembrare pittoreschi. La vita rurale può certo attrarre, con i suoi tempi lenti che non si trovano più nelle grandi città.

Ma è proprio nei villaggi che le grandi promesse elettorali della politica rumena non vengono mai rispettate.

L'accesso alle cure di base è molto più difficile che in città: i medici di famiglia sono la metà e lo stato delle infrastrutture limita spesso l'accesso delle ambulanze in caso di emergenze. Il 40% delle abitazioni rurali inoltre non ha neppure l'acqua corrente. Poi vi è poco lavoro e la maggior parte delle persone vive di agricoltura di sussistenza, con aziende troppo piccole per produrre cibo oltre quello di cui ha bisogno una singola famiglia.

Durante l'estate molti lavorano all'estero come stagionali, per mettere qualcosa da parte e sopravvivere all'inverno.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-attacco-alla-giornalista-Olivera-Lakic-187885


--- Citazione ---Montenegro: attacco alla giornalista Olivera Lakić

La giornalista investigativa del quotidiano montenegrino Vijesti Olivera Lakić è stata ferita a colpi di pistola davanti alla sua abitazione, nello stesso luogo dove era stata picchiata sei anni fa. Il difficile mestiere del giornalista in Montenegro
11/05/2018 -  Damira Kalač   Podgorica

Martedì, 8 maggio 2018, Podgorica. Su un lato del viale Svetog Petra Cetinjskog si sente della musica: circa un migliaio di persone si sono radunate per assistere a un concerto organizzato in occasione del Giorno della vittoria sul fascismo. Sul lato opposto, ad un certo punto, si sente uno sparo.
L'attrice e la scrittrice

Cittadini sveglia!

Appresa la notizia dell’aggressione a Olivera Lakič, l’attrice Katarina Krek ha invitato i politici montenegrini ad assumersi le proprie responsabilità, criticando inoltre i cittadini perché continuano a ignorare la realtà.

“Se continuate a fidarvi di (Mevludin) Nuhodžić [ministro dell’Interno] che è sempre ‘sbalordito’, o di (Duško) Marković [primo ministro] che come un pappagallo non fa altro che ‘condannare fortemente’, o del procuratore che ‘farà tutto il possibile per identificare i responsabili’, sprofonderemo nell’abisso sul cui orlo ci troviamo ormai da molto tempo. Un mese fa, le persone sopracitate hanno creato una squadra speciale con il compito di prevenire episodi come questo. Poi l’attuale presidente del Montenegro democratico ha pronunciato la parola fascismo, associandola alla libertà di parola e alle informazioni basate sui fatti che la procura a tutt’oggi non ha né contestato né confermato, anzi non se n’è nemmeno occupata…”, ha scritto l’attrice sul suo profilo Facebook.

Ha inoltre ricordato ai cittadini che sono loro a pagare gli stipendi dei funzionari statali e che non basta che questi ultimi, dopo “tanti omicidi irrisolti”, rilascino dichiarazioni, dicendo quello che ormai è chiaro a tutti.

“Ci vuole responsabilità amici, e non parole vuote”, ha scritto Krek.

Attenzione internazionale

“Sono delusa dal fatto che siamo finiti sui media internazionali per questo episodio violento. Il Montenegro si trova ancora nella lista degli stati dove la professione giornalistica e la parola pronunciata pubblicamente possono costare la vita”, ha detto Lidija Perović, giornalista e scrittrice che dal 1999 vive in Canada.

Quando a Toronto le chiedono da dove viene e com’è il paese in cui è cresciuta, Lidija vorrebbe poter rispondere parlando di cose positive.

“Mi piacerebbe poter dire che siamo un paese dove la libertà di parola e di pensiero viene rispettata, dove la criminalità e la corruzione vengono sanzionate, un paese con un forte settore culturale che potrebbe suscitare grande interesse, un paese che possiede un enorme patrimonio ambientale e lo sta salvaguardando per le generazioni future. Purtroppo, ormai da anni non posso farlo”, lamenta Perović.

Stando alle sue parole, l’attacco alla giornalista Olivera Lakić è un’occasione per dimostrare le capacità del sistema giudiziario montenegrino.

“Saremo una società dove i cittadini temono di essere sparati quando escono sulla strada? O saremo un paese serio? Il mondo ci guarda”.

Al momento è ancora ignota l’identità della persona che lo scorso 8 maggio, intorno alle 21:00, ha sparato a Olivera Lakić , giornalista del quotidiano Vijesti. Quello stesso quotidiano che il nuovo-vecchio presidente del Montenegro Milo Đukanović ha recentemente accusato di promuovere il fascismo .

“Felice Giorno della vittoria sul fascismo. Il regime lo ha già omaggiato sparando a Olja! Del fascista Vijesti“, ha scritto sui social la giornalista Ratka Jovanović una volta appresa la notizia dell’attacco alla collega.

Olivera Lakić è stata ferita davanti alla sua abitazione, nello stesso posto dove, sei anni fa, era stata picchiata.

Recentemente ha pubblicato una serie di articoli sul contrabbando di sigarette, un argomento di cui si era già occupata in passato.

Nel 2011 Lakić aveva indagato sull'azienda “Tara“ a Mojkovac, dove si sospettava che venissero prodotte sigarette contraffatte, poi stoccate in un magazzino a Donja Gorica e contrabbandate. Nei suoi articoli aveva denunciato il coinvolgimento di alcuni funzionari di polizia e dell’Agenzia per la sicurezza nazionale in questo business illecito.

Lakić già in passato è stata bersaglio di diverse minacce e intimidazioni. Dopo essere stata aggredita fisicamente nel 2012, ha vissuto sotto scorta per quasi tre anni. In quel periodo si era temporaneamente ritirata dal giornalismo.

A tutt’oggi rimangono ancora ignoti i mandanti dei precedenti attacchi a Olivera Lakić.
La mancata tutela dei giornalisti

Dal 2004, quando è stato ucciso il caporedattore del quotidiano Dan Duško Jovanović, in Montenegro sono stati registrati 76 casi di attacchi contro giornalisti, di cui 43 hanno avuto un epilogo giudiziario, 25 sono ancora oggetto di indagini, mentre nei restanti 8 casi le indagini non sono nemmeno state avviate.

L’opinione pubblica montenegrina ha recentemente avuto modo di rinfrescare la memoria sugli attacchi contro i giornalisti grazie a un documentario intitolato Silom na sedmu , andato in onda lo scorso 10 aprile.

Nel documentario, realizzato dalla ong “35mm” e da tv Vijesti, viene ricordato che i dipendenti statali che, ostruendo le indagini, hanno garantito l’impunità ai responsabili dei più gravi attacchi contro i giornalisti – compromettendo seriamente lo stato di diritto in Montenegro – , non sono mai stati processati, e che le dimissioni di chi ha commesso errori nell’esercizio della propria professione sono una vera rarità nella società montenegrina.

Commentando l’attacco a Olivera Lakić, il caporedattore del quotidiano Vijesti Mihajlo Jovović ha dichiarato che la polizia non ha mai indagato su quello che la giornalista ha scoperto. “Non ho parole. Fino a quando queste cose continueranno ad accadere nel nostro meraviglioso Montenegro? Nessun attacco contro di lei ha avuto un epilogo giudiziario. Molti crimini che ha denunciato nei suoi articoli non sono mai stati indagati. Fino a quando dovremo temere questi vigliacchi?”

Secondo il giornalista e blogger serbo Nebojša Vučinić, “watchdog della democrazia” è il termine che meglio descrive l’essenza della professione giornalistica, per cui non c’è da stupirsi se i giornalisti sono bersaglio di attacchi anche nelle democrazie sviluppate. “A maggior ragione lo sono nei piccoli quasi-stati semicoloniali e postsocialisti. Per intenderci, queste cose succedevano anche prima, ma gli operatori dell’informazione godevano di una certa tutela ed erano motivati a occuparsi di problematiche sociali”, spiega Vučinić.

Aggiunge inoltre che i giornalisti, e gli operatori dei media in generale, vengono attaccati in vari modi, ma lo scopo è sempre quello di impaurirli e incutere timore nella popolazione. “Questo seme della violenza attecchisce facilmente nelle società dove tradizionalmente nessun problema viene risolto in modo democratico e attraverso il dialogo”, afferma Vučinić.
Đukanović, l’UE e gli USA...

A seguito dell’attacco a Olivera Lakić, si è fatto sentire  anche Milo Đukanović.

“L’attacco alla giornalista Olivera Lakić è la conferma che lo stato deve contrastare l’arroganza delle strutture criminali”, ha detto il leader del Partito democratico dei socialisti e neoeletto presidente del Montenegro.

Quando il regime esprime indignazione per l’attacco a Olja, per Vijesti, o per qualsiasi altro giornalista indipendente in Montenegro, si tratta, secondo Ratka Jovanović, editorialista di Vijesti, di pura insolenza.

Oltre a condannare la classe politica montenegrina Ratka Jovanovićnon risparmia critiche nemmeno ai funzionari europei e statunitensi.

“Non so come definire quello che stanno facendo i funzionari e i diplomatici europei e statunitensi: ipocrisia, immoralità o puro commercio. Pronunciano due, tre banalità sull’importanza del giornalismo, dicono che gli attacchi sono inaccettabili, e poi ritornano tra le braccia di qualche esponente del regime. Sanno esattamente chi picchia e chi spara, e continuano a collaborare con i picchiatori e gli assassini. Io non mi fido più dell’Occidente già da quando ha contribuito a distruggere la Bosnia Erzegovina, ma questo popolo smarrito si fida dei politici occidentali”, ha scritto la Jovanović.

A suo parere, chi ha sparato a Olivera Lakić lo ha fatto seguendo gli ordini del regime, ma a mettere la pistola nelle sue mani sono stati l’Ue e gli Stati Uniti.

La giornalista ha invitato a non pubblicare “le loro dichiarazioni ipocrite sull’aggressione a Olja”.

“Non abbiamo bisogno del loro cordoglio. Sono ormai 30 anni che stanno a guardare come il regime ci sta uccidendo, e dopo ogni tornata elettorale macchiata da frodi e compravendite di voti dicono che è stato compiuto un ulteriore passo verso l’Europa. Io non voglio avere nulla a che fare con una tale Europa, nemmeno indirettamente, attraverso i media”.

Željko Ivanović, direttore di Vijesti (foto PR Centar)
Il silenzio dei cittadini

All’indomani dell’aggressione a Olivera Lakić è stata organizzata una manifestazione di protesta davanti alla sede del governo a Podgorica.

Il concerto del giorno prima ha attirato circa un migliaio di cittadini, mentre alla protesta hanno partecipato poche centinaia di persone, gli stessi volti che si vedono sempre nei raduni di questo tipo.

“Non deve stupire l’apatia popolare, perché ognuno si preoccupa solo di se stesso”, dice Vučinić, aggiungendo che, pur essendo consapevoli che anche a loro può succedere la stessa cosa, i cittadini continuano ad essere inerti, conformisti e disinteressati.

“Le proteste contro gli attacchi ai giornalisti e media il più delle volte vengono organizzate, non tanto per chiedere protezione, quanto per contribuire al cambiamento della leadership politica, anche se ogni nuova leadership si comporta nello stesso modo nei confronti dei media. Ne sono la prova i cambiamenti politici avvenuti in Serbia dopo l’omicidio di Zoran Điniđić e il fatto che il seme di quello che sta accadendo oggi nel paese è stato gettato all’epoca in cui al governo c’era il Partito democratico”, spiega Vučinić.

“Il giornalismo e i giornalisti sono la prima vittima di un sistema degenerato. Quando questo sistema crolla – e per farlo crollare non basta l’impegno dei giornalisti e media, deve mobilitarsi l’intera società – il giornalismo e i giornalisti avranno la possibilità di ‘guarire’”.

Olivera Lakić è stata ferita ad una gamba e non è in pericolo di vita.
--- Termina citazione ---

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