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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
Mi arrangio.
In particolar modo lo capisco.
Sai, le mie frequentazioni (femminili) passate.
E aggiungiamo pure gli operai rumeni con i quali ho avuto, ed ho a che fare, ormai da lustri.
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Croazia-calcio-e-politica-189152
--- Citazione ---Croazia: calcio e politica
Un paese in trance, con i prelievi bancomat saliti in pochi giorni del 30%: è così che la Croazia ha seguito l'avventura della sua nazionale ai mondiali in Russia. Tra birre e i politici a sgomitare per arrampicarsi sul carro dei vincitori, dove però è salito il cantante ultranazionalista Thompson
20/07/2018 - Giovanni Vale
Più di mezzo milione di persone sono scese in strada a Zagabria, lunedì 16 luglio, per festeggiare il ritorno della nazionale di calcio. I «Vatreni», gli undici ardenti con la maglietta a scacchi, hanno conquistato a Mosca una medaglia d’argento, il miglior risultato mai raggiunto dalla Croazia in una Coppa del Mondo. Sono tornati a casa da eroi, accolti dalla popolazione e celebrati dalla stampa, malgrado la sconfitta in finale contro la Francia (4–2). Una sconfitta prevista dai bookmakers ma che ha definitivamente spento il sogno di una rivincita dopo la semifinale persa nel 1998, sempre contro i francesi.
Un paese in trance
«Siete il nostro oro», «Avete perso una partita, ma avete conquistato il mondo». Sono questi i titoli con cui i quotidiani croati hanno presentato il rientro dalla Russia della nazionale di calcio. Durante tutta la coppa del Mondo, man mano che la Croazia incassava una vittoria dopo l’altra, uno stato di euforia ha invaso il paese, contagiando tutti, dai cittadini alle istituzioni e occupando gli spazi pubblici. Il centro di Zagabria ha visto più di 10mila persone riunirsi ogni sera sulla piazza Ban Jelačić per seguire in diretta le partite della nazionale, mentre le bandiere sporgevano dalle finestre e sventolavano dai finestrini delle auto.
Attorno ai maxi-schermo installati in tutte le corti interne, le viuzze e i parchi di Zagabria, si è sviluppata inoltre per giorni una fiorente economia, che ha fatto dimenticare ai croati i problemi della quotidianità. La banca austriaca Erste Bank ha registrato un aumento del 30% dei prelievi ai bancomat, il salumificio “Pik Vrnovec” ha venduto più di 9 milioni di ćevapčići, mentre fiumi di birra si sono riversati nei bar della capitale. Non era raro, poi, incontrare dei bambini con un taglio di capelli “a scacchiera”. Per 25 kune (3,50€ circa), infatti, i parrucchieri hanno colorato a quadratini bianchi e rossi i capelli dei giovani tifosi più convinti.
Quest’euforia è esplosa dopo ogni partita. Al fischio finale di Croazia-Inghilterra, Zagabria è stata scossa da ore di festeggiamenti. La stessa cosa, in misura maggiore, è successa al termine della finale con la Francia. Fumogeni, petardi, fuochi d’artificio, caroselli di auto in giro per il centro… i tifosi si sono abbandonati ai gesti più insoliti, salendo sui lampioni della luce e gettandosi nelle fontane. Veljko, uno zagabrese, ha persino modificato la sua macchina per infilarci all’interno due enormi spiedi ed uno strato di carboni ardenti: in pieno centro, ha cotto un maialino ed un agnello che ha distribuito a fine partita ai passanti.
La politica sul treno dei vincitori
Quest’entusiasmo generalizzato non ha lasciato indifferenti i politici. Fin dalle prime partite, la presidente Kolinda Grabar-Kitarović è volata in Russia per seguire le avventure della nazionale. La si è vista entrare negli spogliatoi subito dopo gli incontri, salutare ed abbracciare i giocatori. Si è presentata sempre con la maglietta della nazionale, anche quando sedeva a fianco dei suoi omologhi internazionali. L’esecutivo non è stato da meno. Se, inizialmente, il Primo ministro Andrej Plenković ha mantenuto un profilo più basso, dopo la vittoria con l’Inghilterra si è lasciato andare.
Il consiglio dei ministri, premier compreso, si è riunito con addosso la divisa della nazionale. Sull’onda dell’euforia, Plenković ha inoltre promesso maggiori investimenti nello sport e persino la costruzione di un nuovo stadio, capace di ospitare eventi di portata internazionale e che oggi manca in Croazia. Il suo comportamento, così come quello della capo di Stato, ha suscitato reazioni opposte sia nell’opinione pubblica che tra gli organi di stampa. I politici croati hanno approfittato dei successi della nazionale per guadagnarsi un po’ di popolarità o si è trattato di un sincero amor di patria?
In un momento in cui i sondaggi indicano che in Croazia il politico più popolare è “nessuno”, appare evidente che sia la presidente che il premier hanno un problema di relazioni col pubblico. E non si tratta solo di una questione di immagine. Il prossimo anno, si terranno le elezioni presidenziali e Kolinda Grabar-Kitarović non è ancora stata confermata dal suo partito, l’Hdz, come futura candidata. Il Primo ministro, invece, è sostenuto da una maggioranza risicata in aula, ha recentemente dovuto sacrificare la sua vice-premier e ministra dell’Economia e deve costantemente tenere a bada l’ala più conservatrice del suo partito. Insomma, un po’ di popolarità non guasta.
Il ruolo del nazionalismo popolare
Sarebbe un errore, tuttavia, sostenere che gli unici aspetti politici da considerarsi, in relazione alla partecipazione della Croazia ai mondiali, siano quelli legati al comportamento del premier e della presidente. Ciò che ha fatto più di discutere in Croazia, infatti, è stata una scelta che non è dipesa né da Grabar-Kitarović, né da Plenković. Al ritorno dei calciatori da Mosca, il cantante ultra-nazionalista Marko Perković “Thompson” è stato invitato a salire sul bus dei giocatori, a sfilare con loro per ore nel centro cittadino e, infine, a cantare in una piazza Ban Jelačić gremitissima di gente.
Si capisce l’inopportunità del gesto solo se si considera brevemente il percorso e il profilo di Thompson. Il cantante, che deve il suo soprannome ad un tipo di mitra, si è visto vietare molti dei suoi concerti in Europa (in Olanda, Svizzera, Austria, Slovenia…) per il contenuto nazionalista delle sue canzoni. Basti pensare che una delle sue hit, “Bojna Čavoglave” (dedicata ad una battaglia durante la guerra d’indipendenza croata nel villaggio di origine di Thompson, Čavoglave), inizia con il saluto ustascia “Za dom spremni!”, usato dal regime di Ante Pavelić durante la Seconda guerra mondiale.
Perché allora associare in modo così marcato la squadra di calcio croata ad un cantante tanto controverso e nazionalista? Gli undici Vatreni non rappresentano forse tutta la Croazia? Oppure Thompson è così popolare da renderlo un simbolo del paese intero, al pari di Modrić, Mandžukić e Perišić? Una consultazione online realizzata dalla televisione regionale N1 rende difficile rispondere a questa domanda. “E’ stato giusto coinvolgere Thompson nelle celebrazioni dei Vatreni?”, chiede la tv, partner della CNN, ai suoi ascoltatori. Il pubblico si spacca letteralmente a metà. Alla mezzanotte di mercoledì sera, il 53% degli oltre 12mila votanti dice “sì, lui è un grande patriota e i Vatreni lo amano”.
--- Termina citazione ---
Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/91424
--- Citazione ---ARMENIA: Il rapporto tra donne e politica nell’era Pashinyan
Emanuele Cassano 5 giorni fa
L’avvocato Diana Gasparyan è stata recentemente nominata sindaco di Echmiadzin, cittadina situata nella provincia di Armavir, alle porte di Yerevan, nota soprattutto per essere il centro spirituale della Chiesa apostolica armena, in quanto sede del quartier generale del Catholicos e della cattedrale più antica del paese, fatta costruire da Gregorio l’Illuminatore nel IV secolo.
L’ex funzionaria del Ministero della Giustizia ha preso il posto di Karen Grigoryan, dimessosi lo scorso giugno dopo che il padre Manvel, deputato in parlamento tra le fila del Partito Repubblicano ed ex vice-ministro della Difesa, è stato arrestato dai Servizi di Sicurezza Nazionali per possesso illegale di armi da fuoco. Il nuovo sindaco guiderà Echmiadzin per i prossimi tre mesi, dopodiché si terranno nuove elezioni.
La nomina di Gasparyan costituisce un primato per la giovane repubblica: si tratta infatti del primo sindaco donna della storia dell’Armenia; paese dove fino ad ora alle donne era sempre stata preclusa la possibilità di ambire a ruoli di vertice in politicanti, in quanto figlie di una società fortemente stereotipizzata che le vedrebbe inadatte a ricoprire incarichi di comando. Eppure, negli ultimi anni il numero delle donne che scelgono di dedicarsi alla vita politica o alle questioni sociali appare in continua crescita, come testimonia il progressivo aumento dell’attivismo femminile a livello nazionale.
Tali attiviste hanno salutato con entusiasmo la recente salita al potere di Nikol Pashinyan, leader delle proteste di piazza che lo scorso aprile hanno portato alle dimissioni del primo ministro ed ex presidente Serzh Sargsyan, nelle quali proprio le donne hanno avuto un ruolo attivo, mosse da quella stessa voglia di cambiamento tanto cara al leader di Yelk.
Cambiamento che per le donne armene significa soprattutto modifica dei ruoli di genere e acquisizione di maggiori diritti, così come di una maggiore tutela e considerazione a livello sociale; obiettivi la cui realizzazione dovrà passare anche dall’ottenimento di una più larga rappresentanza a livello politico.
Abbiamo discusso di questi temi con Mary Matosyan, direttrice esecutiva del Centro di Supporto per le Donne di Yerevan:
Cosa rappresenta per un paese come l’Armenia, dove politica e società sono fortemente dominate dagli uomini, la nomina del primo sindaco donna? È stato dato un segnale di cambiamento?
Nelle ultime settimane sempre più donne sono state scelte per ricoprire incarichi governativi e non solo. Per esempio molti dei vice-ministri recentemente nominati sono donne; il nuovo Comandante dell’Aviazione è una donna, così come un certo numero di consiglieri. Inoltre la stessa first lady ha appena rilasciato dichiarazioni molto positive, promettendo di lavorare per la promozione dei diritti delle donne e per il loro empowerment. Ultimamente si sta parlando anche della nomina di una donna come sindaco di Yerevan. Tutti questi cambiamenti sono importanti poiché inviano il messaggio giusto alle donne armene, contribuendo a creare nuovi ruoli di genere e aprire un nuovo dibattito nel paese.
Qual è stato il ruolo delle donne nel movimento di protesta che ha recentemente portato il leader di Yelk Nikol Pashinyan dalla piazza alla guida del paese?
Il ruolo delle donne è stato abbastanza importante, sia prima che durante la rivoluzione. In Armenia, le donne sono sempre state in prima linea nei movimenti sociali. Su questo argomento sono stati scritti diversi articoli, ed è stato proprio grazie alla loro presenza e alla loro pressione se ora abbiamo sempre più nomine femminili per i ruoli di governo.
All’interno del nuovo governo Pashinyan su un totale di diciassette ministeri solo due sono guidati da donne; percentuale che riflette la composizione dell’attuale Parlamento, eletto, tuttavia, quando il “vecchio ordine” era ancora al potere. Vi aspettavate di più, in questo senso, dalla cosiddetta “Rivoluzione di Velluto”?
Sì, per noi è stata un’enorme delusione, tanto che sui social media Pashinyan ha ricevuto fin da subito severe critiche per questa decisione. Credo che sia stata proprio questa grande rabbia e reazione da parte della comunità femminile ad aver spinto la nuova leadership a decidere di assegnare alle donne un maggior numero di posizioni governative.
Cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo futuro? Saremo in grado di vedere delle donne raggiungere ruoli di primo piano all’interno della politica e della società armena?
In questo momento il governo sta discutendo il Codice elettorale, e noi attiviste stiamo facendo forti pressioni per introdurre nuove quote rosa superiori al 25%. Stiamo incontrando molta resistenza, ma continuiamo a insistere, sperando in seguito alle prossime elezioni di vedere più donne in parlamento; e ci aspettiamo non solo maggiori nomine, ma anche nuove leggi e misure governative in favore dei diritti delle donne.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Macedonia/Invisibili-le-donne-albanesi-nella-politica-macedone-188811
--- Citazione ---Invisibili: le donne albanesi nella politica macedone
aree Macedonia ita
Nessuna donna è mai stata a capo di nessun partito albanese in Macedonia e non è andato meglio per le colleghe della comunità macedone, sono infatti solo due i casi in cui una donna ha guidato un partito
05/07/2018 - Lumi Bekiri
(Originariamente pubblicato da Kosovo 2.0 )
Sin dalla sua indipendenza dalla Jugoslavia, 27 anni fa, in Macedonia vi sono stati 12 governi e solo 18 donne ministro. Solo due di queste erano albanesi: Merie Rushani, del Partito democratico degli albanesi (DPA) come ministro per la Scienza (1998-2002) e Teuta Arifi dell'Unione democratica per l'integrazione (DUI), che è stata vice-primo ministro per gli Affari europei (2011-13).
Attualmente, nel parlamento macedone, che ha 120 poltrone, solo cinque sono occupate da donne albanesi, due del DUI e rispettivamente una a testa dei socialdemocratici (SDSM), del movimento Besa e del DPA.
Una situazione simile la troviamo a livello locale dove delle 80 municipalità macedoni solo sei sono governate da sindaci donna, due albanesi: la sindaca di Tetovo, Teuta Arifi e la sindaca di Aracinovo, Milikije Halimi.
Ciononostante, l'11,5% dell'intera popolazione della Macedonia è composto da donne albanesi.
Anche quando sono al potere le donne albanesi tendono a rimanere in secondo piano nei processi di decisione politica per evitare di entrare in rotta di collisione con i propri partiti politici di appartenenza, anche quando si discute di tematiche che riguardano in particolare le donne.
Uno di questi casi riguarda la Legge sull'aborto del 2013, una legge che restringe la libertà di scelta delle donne e votata senza alcuna discussione dalle donne albanesi che erano in parlamento in rappresentanza del DUI.
Machocrazia nei Balcani
Dal 2012 la Macedonia ha una nuova legge su “Pari opportunità per donne e uomini” che garantisce un'equa partecipazione di donne e uomini nella sfera pubblica e politica. La legge prevede anche una percentuale del 40% garantita a candidate donne per le elezioni locali e parlamentari.
La legge dovrebbe assicurare pari opportunità nel partecipare al processo elettorale. Ma nella realtà non funziona così.
La maggior parte delle candidate viene messa in fondo alle liste elettorali e questo abbassa la possibilità che loro vengano elette in parlamento o nei consigli comunali. Questa è una pratica diffusa in particolare tra i partiti politici che rappresentano la comunità albanese.
Karolina Ristova-Aasterud è professoressa presso la Facoltà di Legge Iustinianus Primus presso l'Università Ss. Cirillo e Metodio di Skopje ed è una teorica del femminismo. Ritiene che i partiti albanesi in Macedonia siano uno degli esempi più estremi di quello che lei chiama la “machocrazia dei Balcani”.
“Dei veri campioni, ve lo assicuro” dice “non hanno di fatto alcuna politica sui diritti individuali e collettivi delle donne o politiche che riguardino gli interessi o i problemi delle donne in generale, e nemmeno nello specifico delle donne albanesi”.
Aggiunge che le donne albanesi in Macedonia hanno parte della responsabilità per questa situazione, standosene in silenzio senza opporre alcuna resistenza quando si tratta di questioni che le riguardano. “Questo va mano nella mano con l'ancora esiguo numero di donne attive nei partiti politici, e quindi parte del problema è proprio lì. Devono lottare per loro stesse in modo più aggressivo e più apertamente, in modo che la loro voce critica e il voto che raccolgono cambi le cose”.
Democratizzare i partiti
Anita Latifi, è una manager del marketing del Teatro albanese di Skopje ed è un'attivista per i diritti umani. Ritiene che le donne albanesi, in Macedonia, non abbiano le stesse opportunità in politica dei propri colleghi maschi aggiungendo che a suo avviso i partiti politici non hanno alcuna intenzione di intaccare quest'ineguaglianza.
“Una vera ed adeguata inclusione delle donne può avvenire solamente attraverso una piena democratizzazione dei soggetti politici. Sino a quando questo non avviene, le donne continueranno ad essere il 'male necessario' o solo un numero con cui adempiere alla normativa”, afferma Latifi.
La situazione non è molto migliore per quanto riguarda le donne in generale e la politica macedone, anche se rappresentano circa la metà della popolazione. Non vi è mai stata una donna ad occupare le principali tre cariche del paese: presidente, primo ministro o presidente del parlamento.
L'unica donna che ha osato tentare la corsa alla presidenza del paese è stata l'intellettuale albanese Mirushe Hoxha, che si è presentata per il DPA alle elezioni del 2009. È finita al settimo posto.
Nessuna donna è mai stata a capo di nessun partito albanese nel paese e non è andato meglio per le colleghe della comunità macedone. Lì è accaduto due volte: Radmila Sekerinska è stata a capo dell'SDSM tra il 2006 e il 2008 e Liljana Popovska, attualmente leader del partito di matrice verde Rinnovamento democratico.
Vlora Rechica, scienziata politica e attivista femminista sottolinea che la società albanese in Macedonia è conservatrice e non molto aperta: “La luce in fondo al tunnel è rappresentata dal fatto che non ci si impegna in politica solo attraverso i partiti politici e che le donne albanesi cercano altri modi per essere socialmente attive e trovano altri metodi per prendere parte al miglioramento dei problemi sociali”.
Albanesi e macedoni
Ristova-Aasterud chiarisce che sia le donne della comunità albanese che di quella macedone sono nella stessa posizione per quanto riguarda la loro posizione sociale, nella matrice del patriarcato balcanico ma che, comunque, vi sono anche delle differenze significative.
“Il processo d'emancipazione femminile all'interno della comunità etnica albanese è ancora molto lento, in parte anche perché lo stato macedone non l'ha affrontato da un lungo periodo, non avendo il coraggio o l'interesse – o entrambi - di affrontarlo”, spiega.
Ma, argomenta la Ristova-Aasterud, vi sono fardelli molto rilevanti da ritrovarsi sotto l'ombrello della cultura, della moralità, della religione e un gran numero di donne albanesi sono sotto il loro peso.
“Sono fattori che andrebbero affrontati in modo onesto e coraggioso e dovrebbero essere riformati all'interno della stesa comunità albanese, se vogliamo vedere progressi che siano genuini”, afferma la Ristova-Aasterud. “Non riguarda solo l'educazione, l'occupazione o l'emancipazione economica di queste donne. Ma riguarda anche il loro ruolo nelle relazioni, nel matrimonio, nella famiglia, riguarda anche la sessualità maschio-femmina e l'idea stessa di femminilità”.
Kristina Lelovac, attrice e attivista di Tiiiit! Inc , un'organizzazione femminista della Macedonia, crede che le più grandi regressioni in termini di diritti delle donne in Macedonia siano avvenute negli scorsi 11 anni mentre Nikola Gruevski e il suo partito, VMRO-DPME governavano il paese. Lelovac dice che durante questo periodo le donne erano viste esclusivamente come casalinghe e madri. Non vede dei grandi cambiamenti rispetto al governo presente.
“Il governo della destra conservatrice precedente è la principale causa del degrado dell'immagine della donna in Macedonia”, dice Lelovac. “Tutti i benefici riguardanti l'uguaglianza di genere che abbiamo ereditato dal socialismo, sono stati rimossi dalla sfera pubblica. La più grande sfida per le donne albanesi che vogliono partecipare direttamente alla vita politica, consiste nel vincere la loro partecipazione politica 'decorativa'. I numeri sono importanti per garantire la partecipazione, ma la partecipazione sostanziale è ciò che conta davvero”.
Una società veramente conservatrice
L'attivista Latifi crede che la Macedonia sia una società veramente conservatrice e che le donne albanesi abbiano a che fare con stereotipi che vedono la donna ancora legata alla sfera privata, alla cura della casa e dei bambini, non può avere un ruolo nella vita pubblica né nelle decisioni riguardanti gli interessi di tutta la nazione, cosa che è compito degli uomini.
“Puoi notare facilmente che quando una donna parla, le persone tendono sempre a non essere d'accordo con quello che dice. Non si parla delle sue opinioni ma di lei”, racconta Latifi. “Le critiche alla vita pubblica variano moltissimo a seconda che si tratti di critiche rivolte a uomini o a donne”. Ristova-Aasterud crede che si tratti di una mancanza di forza d'animo e di coraggio intellettuale che impedisce di gestire o anche solo di parlare di questi temi. Questa è la principale ragione per cui le politiche albanesi rimangono in silenzio.
“Si può anche parlare di una sindrome per cui le donne sarebbero anche fiere del loro status di 'persone speciali' in un campo di gioco dominato completamente da uomini”, continua Ristova, aggiungendo che parlare di donne albanesi continua a sembrare un tabù.
“Credo che i media debbano fare la loro parte nel cambiare questo approccio”. Nel paese in cui Ibe Palikuca, una partigiana antifascista albanese che ha sacrificato la sua vita a soli 17 anni nel nome degli ideali in cui credeva, le donne albanesi adesso rimangono in silenzio. Il cambiamento è possibile. Karolina Ristova-Aasterud sostiene che ci siano stati grandi sviluppi a partire dal 2000 in termini legislativi e politici, il passo successivo dovrà essere l'implementazione.
“Il processo è ormai iniziato e voglio credere che le generazioni più giovani approfitteranno di questo vantaggio. Molte delle mie alunne sono donne albanesi forti ed eccezionali, ti mangerebbero viva. Spero che questo possa dire molto a proposito del loro futuro”, conclude la professoressa.
--- Termina citazione ---
...
Vicus:
A quel che ne so le albanesi sono piuttosto cozze* quindi non abbiamo alcuna ragione di avere a che fare con loro.
* Sempre meglio le montenegrine comunque.
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