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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
Dice l'italiano medio:
<<Certe cose succedono solo in Italia>>.
Sì, infatti.
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-anche-uno-scoglio-vittima-della-speculazione-189931
--- Citazione ---Montenegro: anche uno "scoglio" vittima della speculazione
aree Montenegro ita
Il litorale del Montenegro è saturo di hotel e di complessi turistici e gli speculatori si stanno lanciando ora sugli ultimi spazi liberi: le oasi naturalistiche
11/09/2018 - Branka Plamenac Podgorica
(Pubblicato originariamente da Monitor (Monténégro), selezionato da Le Courrier des Balkans e OBCT)
Situata al largo di Budva, l'isola di San Nicola, la più grande della costa montenegrina, è stata individuata come “area prioritaria per lo sviluppo turistico” nel Piano urbanistico speciale della zona del litorale del Montenegro (PPPNOB), che copre sei municipalità del litorale. Difficile spiegarsi perché quest'isola inabitata e coperta da una fitta vegetazione mediterranea e conosciuta con il nome di Školj (dall'italiano scoglio), sia divenuta “zona prioritaria di sviluppo”.
Da anni il litorale, area eccezionale, viene devastato dalle costruzioni e sembra ora che agli investitori manchino siti sufficientemente attraenti sulla costa. Poco a poco i cantieri stanno infatti abbandonando le zone urbane per devastare le rare riserve naturali ancora intatte. L'urbanizzazione viene portata avanti sotto gli ordini del governo e del ministro dello Sviluppo sostenibile e del Turismo, al beneficio di alcuni grossi investitori. Sino ad oggi aree protette, alcune oasi come Školj sono evidentemente finite nel mirino di potenti uomini d'affari come è accaduto per Sveti Stefan, Miločer o il monte Spas che domina Budva.
Il nuovo piano urbanistico prevede sull'isola di San Nicola la costruzione di strutture che potranno ospitare sino a 500 persone, la costruzione di un porto turistico e di un complesso residenziale con inclusi 50 pontoni per imbarcazioni da diporto. Il testo del progetto non chiarisce dove si intendano situare i cantieri ma l'intera isola si San Nicola è, per ora, ritenuta “zona turistica”. L'isola appartiene ad alcuni abitanti della regione ma anche a uomini d'affari montenegrini e stranieri, in particolare a Thaksin Shinawatra, ex primo ministro della Thailandia, divenuto cittadino montenegrino.
L'anno scorso Thaksin Shinawatra ha acquistato un terreno di circa 37.000 metri quadrati appartenente a Stanko Subotić che a sua volta l'aveva acquistato dall'uomo d'affari serbo Nenad Đorđević. Il terreno è quindi passato dalle mani di numerosi nuovi ricchi sia serbi che montenegrini per un valore si stima di svariati milioni di euro. Infine la Prva Banka di Aco Đukanović [il fratello del presidente montenegrino Milo Đukanović, ndr] ha posto un'ipoteca del valore di 15 milioni di euro sul terreno di Shinawatra. L’ex primo ministro thailandese si è indebitato presso la Prva Banka? Di sicuro c'è solo che questo terreno è per ora sotto ipoteca.
L'isola di San Nicola ha una superficie di 47 ettari e la sua costa di estende per due chilometri. Contornata da baie e spiagge deserte è da sempre destinazione delle escursioni degli abitanti di Budva e dei turisti. L'isola deve il nome ad una piccola chiesa consacrata a San Nicola, santo patrono dei marinai. Gli abitanti del posto la soprannominano «Havaji», dal nome di un ristorante ormai scomparso che ha caratterizzato la storia dell'isola.
Le autorità locali ed alcuni gruppi di cittadini si sono opposti all'urbanizzazione di Školj. In un rapporto ufficiale firmato da Dragan Krapović, sindaco di Budva, si legge: "Si prevede che l'isola di San Nicola divenga zona speciale per il turismo. Riteniamo che la costruzione di infrastrutture per ospitare 500 persone sia inaccettabile e che occorra prevedere uno sviluppo diverso per l'isola, senza la costruzione di appartamenti. Il consiglio comunale di Budva si oppone fermamente a questo progetto. Tutti gli indicatori economici indicano che si tratta di un investimento non sostenibile. Date le condizioni meteorologiche questo complesso turistico non potrà che essere attivo solo per tre mesi all'anno. Anche la gran parte degli abitanti della città si oppongono al progetto".
Anche Slobodan Bobo Mitrović, rinomato architetto di Budva, ha inviato una lettera di protesta diretta al ministero dello Sviluppo sostenibile e del Turismo: "E' inammissibile costruire hotel da 500 posti letto e una marina con 50 pontoni sull'unica isola del Montenegro. Chi propone il progetto ha preso in considerazione che San Nicola è la sola oasi verde dell'intero spazio marittimo di Budva? Il comune non ha né foreste protette né luoghi adatti alle escursioni e non può offrire alcuno spazio natuarale né ai suoi abitanti né ai turisti di passaggio".
L’architetto ricorda inoltre che l'isola ospita una foresta protetta dal 1952 e che deve essere preservata. Accusa inoltre la Horwath HTL di Zagabria, tra le aziende che hanno concepito il progetto, di non rispettare le norme attualmente in vigore in Croazia: "Horwath HTL ha scelto di non rispettare la natura dell'isola mentre più di 1000 isole sono protette in Croazia". Secondo i dati del ministero del Turismo croato il paese ha 1244 isole registrate come terreni agricoli sui quali non è possibile costruire.
Slobodan Bobo Mitrović ricorda infine che lavori sono stati fatti senza alcuna autorizzazione sull'isola di San Nicola sin dal 1997. Il proprietario dell'epoca, Nenad Đorđević, aveva con alcune dighe allargato l'isola di circa 10.000 metri quadri. "Occorre salvare San Nicola, farne una riserva naturale e trasformarla in giardino botanico, come è stato fatto per Mljet e Lokrum in Croazia", conclude l'architetto.
--- Termina citazione ---
Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/91865
--- Citazione ---RUSSIA: La riforma delle pensioni che i russi non vogliono
Martina Napolitano 4 ore fa
Domenica 9 settembre 2018, durante le elezioni locali e regionali russe, importanti manifestazioni si sono registrate nelle maggiori città russe. Quella di domenica è stata l’ennesima giornata di proteste in Russia dopo le molte che si sono susseguite a partire da fine giugno in seguito alla proposta di legge avanzata dal governo inerente all’innalzamento dell’età pensionabile.
La proposta di legge
Il 14 giugno il premier Dmitrij Medvedev ha presentato alla Duma un progetto di legge che prevedrebbe l’innalzamento dell’età pensionabile per gli uomini da 60 a 65 anni e per le donne da 55 a 63 anni (oppure, rispettivamente, a 45 e 40 anni di contributi). Questa manovra dovrebbe garantire, secondo il ministro delle Finanze Anton Siluanov, delle pensioni più alte a tutti: entro il 2024 la pensione media passerà, secondo le sue stime, da 14000 (175 euro ca.) a 20000 rubli (250 euro ca.).
Questo progetto è stato, secondo le procedure costituzionali, sottoposto prima di tutto al vaglio delle regioni: se più di un terzo dei soggetti federali si fosse detto contrario, allora si sarebbe dovuta creare una commissione apposita per il vaglio della proposta. Tuttavia, così non è stato: nonostante le vicine elezioni di settembre e la probabile insoddisfazione dell’elettorato, le amministrazioni regionali hanno scelto una via mesta ed evitato di compromettere la propria fedeltà alla linea del Cremlino. Il ministro del lavoro Topilin a metà luglio ha affermato che ben 61 regioni avevano presentato alla Duma opinioni positive in merito al progetto di legge.
Il 19 luglio la Duma di Stato ha così approvato in prima lettura il progetto sull’innalzamento dell’età pensionabile, nonostante le molte proteste e manifestazioni delle settimane precedenti e nonostante i sondaggi sull’apprezzamento del partito del presidente in caduta libera. Dei quattro partiti che siedono alla Duma, solo i 328 deputati di Russia Unita hanno votato compattamente a favore – un numero comunque sufficiente perché la proposta passasse.
Verso la seconda lettura
Considerato il malcontento, il 20 agosto – in previsione dell’audizione parlamentare dedicata al progetto – il partito al governo ha presentato la propria variante di modifica allo stesso, che comprende l’accesso a tariffe agevolate e sconti per “pensionati” già alle over-55 e agli over-60, la pensione dopo 37 e 42 anni di contributi rispettivamente per donne e uomini, pensione anticipata per professioni usuranti e per chi vive in zone artiche.
Questa apertura a una variante più dolce della proposta di legge potrebbe suggerire che il governo avesse all’inizio alzato troppo l’asticella consapevolmente, in modo da far passare poi in maniera più liscia una misura che anche in termini meno drastici sarebbe difficilmente stata accolta.
Il 29 agosto in un video ad ampia diffusione il presidente Putin si è rivolto ai cittadini, invitandoli a ragionare con calma e obiettività sulla necessità della misura. Assicurando di parlare “in maniera obiettiva, dettagliata e assolutamente sincera”, il presidente ha, in circa mezz’ora, riassunto la situazione demografica e storica della Russia sovietica e post-sovietica. Putin ha ricordato di aver egli stesso ritenuto non necessaria in passato una riforma delle pensioni, ma ha sottolineato come i tempi siano cambiati.
Il compito fondamentale delle modifiche proposte al sistema pensionistico è quello di “garantire la stabilità finanziaria del sistema per molti anni a venire”, ha dichiarato, “e non solo una conservazione, ma anche una crescita dei redditi, delle pensioni per gli attuali e futuri pensionati”.
Stando ai dati che il presidente ha portato a proprio sostegno, se nei primi anni 2000 l’aspettativa di vita era poco al di sopra dei 65 anni, oggi si è alzata di 7,8 anni; l’obiettivo è raggiungere quota 80 entro il prossimo decennio, “e faremo di tutto perché le persone nel nostro paese vivano a lungo e in salute”. Proprio uno degli slogan delle proteste è #Dožit’DoPensii, ovvero #ArrivareAllaPensione: le stime sulle aspettative di vita in Russia presentate da Putin non trovano infatti tutti d’accordo.
Putin ha inoltre spiegato che alternative a queste misure sono state prese in considerazione e scartate in quanto “essenzialmente, non risolvono nulla, al massimo tappano buchi”.
Un’attenzione particolare il presidente l’ha poi rivolta alle donne – per le quali apre le porte verso un abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, e addirittura a 50 anni nel caso si parli di madri con più di cinque figli – e ai lavoratori anziani, per i quali promette di adottare delle misure che garantiscano loro di restare con garanzie e stabilità sul mercato del lavoro fino al raggiungimento della nuova età pensionabile.
Stando ai sondaggi del centro CIPKR, dopo il video del presidente, i contrari al progetto di legge sono passati dal 71% al 51%; tuttavia, ora il 26% (e non più il 15%) vede nel presidente l’iniziatore principale di queste modifiche impopolari.
La seconda lettura del progetto di legge alla Duma è prevista nei prossimi mesi autunnali.
Breve storia delle pensioni in Russia
La pensione per anzianità venne introdotta in Russia, o meglio Unione Sovietica, per la prima volta nel 1928 e da allora l’età pensionabile non è mai stata ritoccata: 55 anni d’età per le donne, 60 per gli uomini.
Nel 1997 venne per la prima volta discussa alla Duma la possibilità di portare l’età pensionabile a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini, ma allora il progetto di legge non venne approvato.
Di nuovo durante la presidenza Medvedev (in particolare tra 2010 e 2012) si tornò a parlare di pensioni, ma la maggior parte dei ministri – compreso l’allora premier Putin – rigettarono la proposta.
Nel 2015 il ministro dell’economia Uljukaev reintrodusse l’idea, visto il deficit pensionistico raggiunto in quel momento, e Putin questa volta si mostrò possibilista, sottolineando tuttavia come la Russia non fosse pronta a una modifica repentina del sistema.
Dopo la rielezione di Vladimir Putin di quest’anno, in maggio Medvedev dichiarò apertamente che il suo governo avrebbe al più presto inviato alla Duma delle proposte relative all’età pensionabile. Nel farlo, ricordò che l’età di 55 e 60 anni venne sancita ancora in Unione Sovietica nel 1928 quando l’aspettativa di vita si attestava attorno ai 40 anni. Stando ai dati ROSSTAT, nel 2017 l’aspettativa di vita è di 67,5 anni per gli uomini e 77,6 anni per le donne.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/BiH-le-elezioni-storiche-che-non-cambieranno-nulla-190097
--- Citazione ---BiH: le elezioni “storiche” che non cambieranno nulla
La Bosnia Erzegovina sembra sprofondare nel buio più pesto e l’imminente tornata elettorale non pare possa migliorare la situazione
19/09/2018 - Ahmed Burić Sarajevo
A prescindere dall’esito delle imminenti elezioni politiche in Bosnia Erzegovina, previste per il prossimo 7 ottobre, sembra evidente che neanche questa tornata elettorale segnerà un punto di svolta. Questo soprattutto a causa di un clima di apatia generale che regna nel paese ormai da 23 anni – quanti ne sono passati dalla fine della guerra – e in cui per raggiungere un “successo” politico è sufficiente mantenere vive le tensioni tra i popoli costituenti, ovvero tra i partiti politici che li rappresentano.
Basta sentire o leggere una volta sola le affermazioni di Bakir Izetbegović, Milorad Dodik o Dragan Čović, per capire che, pur non essendo mai d’accordo su nessuna delle questioni chiave per il paese, i leader politici sono accomunati dalla stessa retorica imperniata sulla minaccia di guerra e di ridefinizione dei confini nazionali, motivo per cui tra di loro c’è “armonia”. O meglio, una cacofonia in cui l’unico obiettivo di chi sta al potere è quello di preservare la ricchezza accumulata. Invece di costruire una società democratica, è stato creato un sistema di caste, un paese che non è governato da istituzioni bensì da pochi individui potenti, che spesso non si presentano nemmeno alle elezioni, ma continuano a governare nell’ombra, decidendo la sorte di uno dei paesi più poveri d’Europa.
Vi chiederete da dove viene questo pessimismo. È tutto così nero che tra i circa 7500 candidati, quanti si presenteranno alle prossime elezioni, in 800 liste elettorali, in circa 100 seggi elettorali, non vi è nessuno che rappresenta gli interessi dei cittadini, e che per questo meriterebbe di essere votato? Si potrebbe rispondere con un sì e no, ma è più che evidente che gli impegni, relativi al rispetto dei valori democratici, presi con l’Unione europea, in pratica vengono trasformati in ripetute offese alla coscienza civile: corruzione, nepotismo, clientelismo, sono queste le principali malattie che affliggono la giovane democrazia bosniaco-erzegovese, ma alle quali non è immune nessun paese in transizione.
Il principale problema con cui attualmente si scontra la società bosniaca è la svalutazione del lavoro, ovvero l’impossibilità di trovare un impiego per chi non appartiene a uno dei principali partiti politici, che decidono la sorte di un paese dal quale i giovani continuano ad andarsene, o meglio a fuggire. In questo senso, i partiti nazionali si sono trasformati in veri e propri cartelli, che continuano a piazzare i loro “quadri” nella pubblica amministrazione, assicurandosi in tal modo i voti. Quello che non conquistano legittimamente, se lo prendono in un altro modo: esercitando pressioni, o semplicemente falsificando le schede elettorali.
L’Agenzia per la sicurezza nazionale (SIPA) non ha ancora reso noti i risultati delle indagini sulla scomparsa di 10 tonnellate di carta per le schede elettorali dalla sede della Commissione elettorale centrale. Un’operazione come questa, di stampo mafioso, può essere organizzata solo da qualcuno che ha forti legami all’interno della stessa Commissione elettorale e del ministero dell’Interno, di certo non da piccoli partiti di opposizione. Compiere un furto all’interno di un’organizzazione che ha il compito non solo di organizzare le elezioni ma anche di assicurare che siano effettivamente democratiche, è possibile solo con l’aiuto della criminalità, profondamente radicata nelle strutture statali.
In questo senso, è meno importante – seppur non del tutto irrilevante – chi dopo questa tornata elettorale arriverà a ricoprire i più alti incarichi nelle istituzioni statali. Per quanto riguarda la Presidenza della Bosnia Erzegovina, il più alto organo dello stato, composta da tre membri dei popoli costitutivi, è quasi certo che Milorad Dodik, attuale presidente della Republika Srpska, diventerà il rappresentante serbo della Presidenza, e parliamo di un politico che nega la Bosnia Erzegovina come stato sovrano. Alcuni analisti vedono in questo scenario l’inizio della dissoluzione della Bosnia Erzegovina e una possibile escalation del conflitto. A dire il vero, Dodik ha già da tempo oltrepassato ogni limite ed è difficile immaginare che possa collaborare allo sviluppo della Bosnia Erzegovina.
La corsa per la carica di membro croato della Presidenza potrebbe rivelarsi più incerta. Il presidente dell’Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH) Dragan Čović, che attualmente ricopre questo incarico, dà quasi per scontato che sarà rieletto, ma a guastargli la festa potrebbe essere Željko Komšić, ex membro del Partito socialdemocratico (SDP), che conta sul voto dei bosgnacchi.
Il principale favorito per ricoprire la carica di membro bosgnacco della Presidenza è Fahrudin Radončić, leader dell’Alleanza per un futuro migliore (SBB), anch’egli molto abile a combinare la retorica populista con metodi manipolatori. Uscito dall’ombra di Bakir Izetbegović, Radončić ha accumulato una notevole ricchezza come proprietario del quotidiano Dnevni avaz, mentre la sua popolarità deriva dalla sua capacità di presentarsi al contempo come un altruista che aiuta i poveri e disagiati e un grande uomo d’affari.
Quest’ultima cosa non si può negare, anche se il suo debito ipotecario è davvero enorme. Accusato di traffico di influenze illecite e di ostruzione alla giustizia, e noto per il suo coinvolgimento, (solo?) come testimone, nel processo a carico di Naser Kelmendi (imputato di omicidio e traffico di droga), Radončić è lo specchio della “politica” bosniaca. Immersa in un buio denso e puro, senza tracce di luce, formato da strati sovrapposti di memoria storica non elaborata e di una mentalità egoista, spinta da avidità e guidata dalla logica dell’accumulazione di capitale.
Non bisogna però dimenticare che questo scenario buio è in parte colpa della comunità internazionale, che si astiene dall’intervenire di fronte a quanto sta accadendo in Bosnia Erzegovina. Senza un rafforzamento della magistratura e la destituzione di decine di funzionari che continuano a ricoprire alti incarichi istituzionali, mentre avrebbero dovuto essere dietro le sbarre già da molto tempo, è irrilevante quanti voti si aggiudicherà l’opposizione.
La comunità internazionale si aspettava che in Bosnia avvenisse un “cambiamento organico”, come lo definiscono alcuni funzionari europei e statunitensi. Invece, si sono moltiplicati i rifiuti politici non riciclabili, che mostreranno la loro vera faccia forse già all’inizio dell’anno prossimo, alla scadenza del mandato dell’attuale ambasciatrice degli Stati Uniti in Bosnia Erzegovina Maureen Cormack. Il prossimo ambasciatore statunitense dovrà essere accreditato dal nuovo presidente della Presidenza tripartita, che probabilmente sarà Milorad Dodik, il cui nome figura sulla “lista nera” degli Stati Uniti.
In quell’occasione la democrazia mostrerà uno dei suoi lati più grotteschi, un’inquietante smorfia ghignante, e non sarà l’ultima volta che assisteremo a cose del genere. Ma al momento nessuno se ne preoccupa.
Perché si stanno avvicinando le ennesime “elezioni storiche”, che non porteranno grandi cambiamenti. Perché il problema non riguarda solo i quadri della politica ma l'intera società.
--- Termina citazione ---
Sardus_Pater:
I popoli dei Balcani stavano meglio quando erano uniti in un unico paese. Il tanto disprezzato Tito ne era cosciente e riuscì senza forzare troppo la mano a tenere insieme diverse etnie.
Frank:
Molti (e molte) dei romeni e albanesi che conobbi in passato, provenivano da luoghi poveri come quelli descritti nel video, ed è anzitutto per questo che non gliene passo una quando i suddetti (e le suddette) elencano i difetti dell'Italia e degli italiani (che son tanti, ok), occultando però i difetti ancor più grossi dei loro rispettivi paesi di provenienza.
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Est-Europa-poverta-e-campagna
//www.youtube.com/watch?v=HJFHZUP5tks
@@
Per dire: qualcuno di voi ha mai visto lavorare in qualche bar italiano delle donne inglesi, tedesche, svizzere, austriache o francesi ?
Vi è mai capitato di vedere dei muratori olandesi, danesi, svedesi, norvegesi o finlandesi ?
Ovviamente no e il motivo è ancor più ovvio: costoro stanno bene a casa loro, ragion per cui non hanno bisogno di emigrare altrove.
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