E' un articolo che ha a che fare con la parte povera della Germania, un tempo denominata DDR, per cui lo posto qui.
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Lorenzo Monfregola / Immagine: Emmanuele Contini
27.4.2017
Poveri, bianchi, tedeschi
Il lato meno raccontato della locomotiva economica d’Europa.
Lorenzo Monfregola è un giornalista freelance. Si occupa principalmente di Germania, politica e geopolitica. È italo-tedesco e risiede a Berlino.
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Cindy da Marzahn è una donna decisamente sovrappeso. Capelli scompigliati tinti di biondo, trucco pesante e tuta rosa shocking. Cindy ha un tipico nome da starlette americana, perché viene dalla periferia est di Berlino. Pare che da quelle parti vadano di moda i nomi americanizzati, ispirati dalla cultura di massa. Almeno, questo è quello che il tedesco medio pensa di un quartiere come Marzahn: troppa tv, palazzoni in cemento, pochi soldi, neonazisti e ragazze madri.
Per anni Cindy è comparsa in televisione e nei teatri di tutto il paese, raccogliendo milioni di estimatori e detrattori. Le sue battute sono sempre state quelle di una specie di “casalinga disperata” del white trash: sussidio, televisione, diete impossibili, fidanzati poco raffinati, ancora sussidio e ancora televisione.
Poi, nel giugno 2016, Ilka Bessin, l’attrice che Cindy l’ha inventata e portata in vita, ha annunciato di voler appendere la tuta rosa al chiodo. Bessin, la cui esistenza prima del grande successo non era stata molto diversa da quella del suo personaggio, ha abbandonato dicendo che la compenetrazione tra Ilka e Cindy era diventata insostenibile. “Un giorno, durante una serata”, ha raccontato Bessin in un’intervista, “ho detto che proprio noi tedeschi dell’est dovremmo sapere quanto sia importante accogliere i rifugiati. In sala ha applaudito una sola persona”.
Tre mesi dopo il ritiro dalle scene di Cindy, si sono svolte le elezioni nella Città stato di Berlino. Il partito della destra populista e anti-immigrati Alternative für Deutschland (AfD), che si presentava per la prima volta, ha raccolto il 14,2% dei voti. A Marzahn-Hellersdorf, la patria metropolitana di Cindy, la percentuale è stata la più alta della città: il 23,6 %. In diversi seggi del quartiere i populisti hanno ampiamente sfondato il muro del 30%.
Berlino è così diventata una delle clamorose affermazioni di AfD. Due settimane prima i populisti avevano già raccolto il 20,8% nel Mecklenburg-Vorpommern, mentre a marzo avevano conquistato il 24,3 % nel Sachsen-Anhalt, due dei cinque grandi Länder dell’ex Germania comunista.
In poco tempo, quei risultati hanno spalancato le porte a una specifica lettura della realtà da parte di chi ha voluto difendere senza se e senza ma l’impostazione tollerante e anti-razzista delle istituzioni tedesche. La specifica lettura è quella dei tedeschi dell’ex DDR, un po’ spregiativamente chiamati “ossis”, come una delle forze maggiori della nuova xenofobia in Germania.
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© Emmanuele Contini.
La periferia della periferia
Una delle battute che ricordo meglio di Cindy da Marzahn è: “In Germania ci sono cinque milioni di disoccupati: due milioni vivono nel mio quartiere”. Non si tratta nemmeno di una battuta, ma di un’analisi sociologica.
Il quartiere di cui parlava Cindy, però, è qualcosa di molto più eterogeneo e complesso. Una parte di Marzahn, oggi, è un’area semplice ma sostanzialmente piacevole: parchi, centri commerciali, casette ordinate e una funivia panoramica. Anche il famoso Plattenbau, il grande insediamento in cemento “made in DDR” anni ’70-’80, è vivibile, pur nella sua essenzialità. Niente finestre rotte, niente discariche sul ciglio della strada, niente no-go zones. Certo, gli appartamente a Marzahn costano molto meno ed è là che continuano a emigrare i berlinesi che non possono più permettersi di vivere nel centro colonizzato dalla nuova borghesia cosmopolita europea.
Per trovare la Marzahn delle Cindy, però, bisogna andare ai bordi del quartiere, nella periferia della periferia. Bisogna andare, ad esempio, a Marzahn Nord. Anche se da venti anni la zona è interessata da speciali programmi di sostegno sociale, qua non ci sono giardini, non c’è una funivia, non ci sono locali sempre pieni di persone. A ben guardare, a Marzahn Nord non c’è quasi niente.
Secondo il sociologo Shulteis: “C’è qualcosa che non possiamo negare: il modello di successo della Germania poggia le proprie spalle su una ampia fascia di poveri”.
Per arrivare nell’area è sufficiente sedersi su un tram o su un treno metropolitano berlinese, puntare a nord-est e aspettare di raggiungere il capolinea. Una di queste stazioni finali è Ahrensfelde, al cui nome i trasporti pubblici aggiungono “Stadtgrenze”, “frontiera della città”: qualche metro più in là inizia la campagna del Brandeburgo. Nemmeno Marzahn Nord è una banlieu, ma qualcosa di diverso. Le strade sono pulite, ma tanto pulite da sembrare svuotate, ed è tutto in ordine, ma tanto in ordine da apparire immobile. Tutto quanto sembra adagiato sotto una coperta fredda di silenzioso controllo. Il disagio lo si vede sui volti e sui corpi di diverse persone: i vestiti di scarsa qualità, le facce invecchiate dal fumo, i denti poco curati, l’obesità di chi non vive accanto a un vegan-bar che venda frullati bio-chic.
L’amministrazione locale suddivide talvolta le abitazioni del quartiere in tre livelli: buono, medio e semplice. Il 100% delle abitazioni di Marzahn Nord rientra nella terza categoria.
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© Emmanuele Contini.
Il popolo del sussidio
La prima volta che arrivo a Marzahn Nord scendo a pochi metri dal seggio 103 Marzahn-Hellersdorf, dove AfD ha superato il 35%. È un seggio piccolo, ma anche quelli vicini hanno visto risultati simili, spesso spodestando dalla maggioranza relativa la Linke, che è la sinistra radicale che per anni aveva raccolto i voti dei nostalgici della DDR.
Nella Linke locale milita Janine, 23 anni, che vuole raccontarmi qualcosa sulla vita delle venticinquemila persone che vivono in questa parte del quartiere. Per incontrarla percorro uno stradone desolato ma non degradato, dove tutto è povero in una maniera algida, organizzata, sedata: irrimediabilmente tedesca.
Janine mi aspetta in un piccolo caffè-birreria e capisco fin da subito che ci tiene molto ad assicurarsi che io non sia venuto a scrivere solo degli ossis nazi-comunisti e xenofobi. “Tanti cittadini possono farsi coinvolgere dalla propaganda”, mi spiega, “ma qui ci sono soprattutto persone che lavorano e che, quando non lo fanno, cercano solo di andare avanti”. Poi Janine mi mostra un dato ufficiale, tratto da uno degli ultimi studi svolti dal Municipio del quartiere: il 36,5% degli abitanti di Marzahn Nord tra 0 e 65 anni vive con il sussidio Alg II, più comunemente noto come Hartz IV. Si tratta di più di una persona su tre. L’Hartz IV è un sussidio di disoccupazione contro la povertà, garantito in nome del diritto costituzionale alla sussistenza. Chi è povero, chi non ha niente in banca, chi non possiede niente a proprio nome, riceve l’Hartz IV. Al momento, se si contano anche i minori, in Germania ci sono quasi sei milioni di persone che vivono grazie a questo sussidio. Di questi, circa quattro milioni e mezzo sono cittadini tedeschi, uno e mezzo sono stranieri che vivono in Germania.
Janine mi dice che, per capire il quartiere, devo guardare i dati sui bambini: il 58,2 % di tutti gli under 15 di Marzahn Nord vive in una famiglia che riceve il sussidio e la percentuale arriva al 61,2 % per i bambini sotto i sei anni. “Questa tendenza è importante”, mi dice Janine, “perché troppo spesso quella di dipendere dal welfare diventa una questione quasi ereditaria all’interno alle famiglie, in cui l’isolamento sociale o la disillusione dei genitori non stimola i ragazzi ad emanciparsi”. Chiedo a Janine perché, però, il dato della disoccupazione in quanto tale sia più basso, solo l’11,6%: il doppio della media tedesca, ma pur sempre poco. Janine, allora, mi spiega quello che sanno in tanti: la conta degli occupati in Germania è un po’ dopata; per essere contato come occupato è sufficiente che un disoccupato partecipi a un’iniziativa di inserimento professionale o sia brevemente impiegato. Il risultato è che una parte dei cosiddetti occupati tedeschi continuano a percepire il sussidio di disoccupazione Alg II e a fare la fila davanti ai Jobcenter, gli uffici dell’Agenzia del Lavoro che gestisce l’assegnazione dei sussidi.