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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
Non condivido tutto quel che dice; ma è comunque una testimonianza interessante.


//www.youtube.com/watch?v=rOlPCV46yLs

Vicus:
Per me tutto vero: l'inglese non lo parla nessuno, i negozi di fiori ovunque, muj platit (l'uomo paga, è tra le prime cose che impari al corso di russo :lol:) - anche se a S. Pietroburgo il ristorante "armeno" non costa 10 Euro :cry:
E poi: nessuna risorsa :w00t: solo russi e russe sempre cortesi e amichevoli persino con gli sconosciuti :yahoo:. Ricordo una niente male che mentre riprendevo un'ottima band di strada mise davanti all'obiettivo un gattino* di pochi giorni :wub:, alla fine ci ritrovammo con tutto il gruppo ad assistere a uno spettacolo teatrale all'aperto.

Unico neo che, a S. Pietroburgo almeno, le russe non sono in media niente di che, livello contadine siberiane spesso con la cellulite a vent'anni.

* Non sono mica le gattare di cui parliamo qui.

Frank:
Non condivido in pieno ciò che dice (ma in gran parte sì) e non è un video che riguarda la realtà dei paesi dell'Europa dell'est: ma lo posto ugualmente qui, per non aprire un'altra discussione.




//www.youtube.com/watch?v=Ad17duxZpZ0

Frank:
Dice l'italiano medio:
"Certe cose succedono solo in Italia!"
Sì, infatti.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sarajevo-ghetto-alla-periferia-dell-Ue-190974


--- Citazione ---Sarajevo, ghetto alla periferia dell’Ue

I recenti fatti di cronaca, culminati con la morte di due agenti di polizia, portano a pensare che la capitale della Bosnia Erzegovina stia lentamente diventando un ghetto, preda di omicidi e furti sullo sfondo di una rassegnazione collettiva

02/11/2018 -  Ahmed Burić   Sarajevo

Lo scorso venerdì mattina due poliziotti, Adis Šehović e Davor Vujinović, sono stati brutalmente uccisi a Sarajevo da un gruppo di criminali a colpi d’arma da fuoco. Per la morte dei due agenti è stata proclamata una giornata di lutto nazionale e la capitale della Bosnia Erzegovina ha reso omaggio alle vittime con cerimonie commemorative e con una massiccia partecipazione ai funerali. Tuttavia, concluse le cerimonie, l’impressione è che la situazione nella città, comprese le condizioni di sicurezza dei suoi cittadini e dei membri delle forze dell’ordine, non sia destinata a migliorare.

Sarajevo, ogni giorno e sotto ogni punto di vista, somiglia sempre di più ad un ghetto, una città dove ci si può aspettare di tutto: di vedere i propri figli aggrediti dai criminali di strada e derubati di soldi e cellulari sotto la minaccia delle armi, oppure di rimanere vittima di una sparatoria, come quella in cui hanno tragicamente perso la vita i due poliziotti.

Limitandosi ai semplici fatti, possiamo dire che i due agenti sono stati uccisi mentre cercavano di impedire un furto d’auto. Tuttavia, andando più in profondità, risulta che ha perdere la vita sono stati due uomini nel fiore degli anni, di nazionalità diversa, che cercavano di impedire un delitto contro un bene appartenente a una persona recatasi in visita a Sarajevo. L’automobile presa di mira aveva infatti una targa croata.

La forzatura delle portiere e il furto dell’auto è la “disciplina preferita” dai criminali sarajevesi sin dai tempi della guerra. Lo scenario è sempre più o meno uguale: chi arriva in città con un’auto nuova e la lascia all’aperto, può aspettarsi, nella migliore delle ipotesi, di ritrovare il finestrino rotto e l’auto saccheggiata. Nella peggiore delle ipotesi, l’auto viene rubata e, nella maggior parte dei casi, portata in Republika Srpska, da dove viene contrabbandata all’estero, oppure i criminali contattano il proprietario per richiedere un riscatto.

Un sistema che funziona quasi perfettamente e vede coinvolti praticamente tutti i livelli della criminalità: dai pesci piccoli a quelli più grossi che hanno forti legami con la polizia e la controllano con la corruzione. Ovviamente, nulla di tutto questo sarebbe possibile senza il coinvolgimento del potere politico. Questa situazione giova esclusivamente a quei politici che amano pescare nel torbido.

Forse nulla illustra meglio il cinismo e l’inefficacia della leadership al potere di una recente dichiarazione del leader del Partito di azione democratica (SDA) Bakir Izetbegović. Resosi conto che l’opposizione è determinata a formare il governo del cantone di Sarajevo senza il suo partito, Izetbegović ha dichiarato: “Dicono che l’SDA fa una cattiva politica da vent’anni, e invece noi abbiamo trasformato Sarajevo in una metropoli”.

Quanto sono ciniche le dichiarazioni di questo tipo lo dimostra il fatto che nessun rappresentante del governo ha espresso le proprie condoglianze ai familiari dei due poliziotti uccisi. Pochi giorni prima dell’omicidio dei poliziotti, nel centro di Sarajevo, a un centinaio di metri dal palazzo dove abita Bakir Izetbegović, è stato trovato il corpo senza vita di un uomo, probabilmente, per un’overdose.

A Sarajevo le morti improvvise e violente accadono quotidianamente e, a quanto pare, né il potere politico né le autorità giudiziarie, né tanto meno le forze dell’ordine sono in grado di porre fine a questa situazione.

Stando alle informazioni divulgate finora, i due membri delle forze dell’ordine (che operano sotto la direzione del ministero dell’Interno del cantone di Sarajevo) stavano svolgendo il regolare servizio di controllo del territorio, quando si sono imbattuti in un gruppo di criminali che hanno subito aperto il fuoco contro di loro. Adis Šehović è morto sul colpo, mentre il suo collega Davor Vujinović è deceduto per le ferite riportate nel pomeriggio dello stesso giorno al Centro clinico universitario di Sarajevo.

Un commento postato sui social network da una nota conduttrice televisiva esprime forse meglio di qualsiasi altra cosa il senso di impotenza, amarezza e paura che regna a Sarajevo. “Sono infinitamente triste. Ci hanno portato via tutto. La dignità, l’orgoglio, l’identità e, alla fine, la vita. Questo mondo è fatto per gli assassini e i criminali, piccoli e grandi; un mondo di vendite e acquisti; un mondo senza morale, obiettivi e direzione. Siamo smarriti, sia come individui sia come società”.

Parole che possono sembrare pesanti, ma che sono assolutamente veritiere. È proprio così che si sente la maggior parte delle persone che conosco. Alla manifestazione a sostegno della polizia di Sarajevo, organizzata da alcune organizzazioni non governative davanti al centro commerciale BBI nel centro città, hanno partecipato poche persone, circa 300, e questo la dice lunga sul clima di rassegnazione e avvilimento che si respira a Sarajevo.

La capitale della Bosnia Erzegovina, che sarebbe potuta diventare una metropoli, sta lentamente ma inesorabilmente diventando un ghetto. Un paese composto da una moltitudine di cantoni, diviso in due entità, corrotto e lasciato a sanguinare alla periferia dell’Unione europea, semplicemente non può funzionare né garantire un livello minimo di sicurezza. Questa situazione potrebbe spingere i cittadini a prendere l’iniziativa e ad auto-organizzarsi per combattere la criminalità, e questa strada porta inevitabilmente al caos che, il più delle volte, arriva dopo la disperazione.

Se dovesse verificarsi un simile scenario, le morti diventeranno un evento quotidiano e ad esserne vittime saranno le persone innocenti, come nel caso dell’omicidio di Adis Šehović e Davor Vujinović. Ma chi ha tempo di pensare alle vite umane? Il governo di certo non ce l’ha, mentre la comunità internazionale si comporta come se non le importasse più nulla di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina.

Lasciata a se stessa, la società bosniaca non ha alcuna possibilità di progredire. Perché il ghetto è sempre sinonimo di isolamento e pericolo.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Il-governo-serbo-e-il-genocidio-di-Srebrenica-191518


--- Citazione ---Il governo serbo e il genocidio di Srebrenica
Di recente la premier serba Ana Brnabić ha negato apertamente che a Srebrenica sia stato commesso un genocidio. L’affermazione ha avuto conseguenze regionali ed anche a livello dell’Ue

04/12/2018 -  Dragan Janjić   Belgrado
La dichiarazione della premier serba Ana Brnabić, secondo la quale a Srebrenica non è avvenuto un genocidio bensì un grave crimine, per giorni è stata citata sulle prime pagine dei giornali di tutta la regione, ma anche di quelli internazionali, ed è stata oggetto di commenti e condanna da parte di alcuni politici e organizzazioni non governative. È stata invece accolta con favore dai sostenitori nazionalisti della coalizione di governo, tra i quali sicuramente contribuirà all’aumento della popolarità della premier, ma non porterà alcun beneficio alla società serba. Anzi, danni sembrano già inevitabili.

Le affermazioni pronunciate dalla premier serba, in un'intervista rilasciata alla Deutsche Welle  a metà novembre, hanno avuto una forte eco non solo in Serbia, bensì nell’intera regione e nell’Unione europea, e le prime conseguenze si sono fatte sentire già a fine novembre quando il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione  in cui si condanna “la negazione del genocidio” di Srebrenica da parte delle autorità di Belgrado. Nella risoluzione, relativa al percorso verso l'Ue della Serbia, si afferma che quest'ultima ha compiuto alcuni progressi nelle riforme economiche ma, al contempo, si sottolinea che è di fondamentale importanza che vengano raggiunti risultati tangibili anche nella riforma del sistema giudiziario, nella lotta alla corruzione e nel migliorare la libertà dei media. A seguito ad un emendamento al testo iniziale nella lista delle mancanze nell’operato delle autorità serbe è stata aggiunta anche la negazione del genocidio di Srebrenica.

Nell’emendamento su Srebrenica, presentato dall’europarlamentare sloveno Igor Šoltes, si afferma che il Parlamento europeo “deplora la continua negazione del genocidio di Srebrenica” da parte delle autorità serbe e ricorda loro che “la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e con il suo meccanismo residuale che gli è succeduto, implica anche il pieno riconoscimento e l’attuazione delle loro sentenze e decisioni”. Nell’emendamento si sottolinea inoltre che “il riconoscimento del genocidio di Srebrenica è un passo fondamentale sulla strada della Serbia verso l’UE”.

Così il cambiamento dell’atteggiamento delle autorità serbe nei confronti del genocidio di Srebrenica è formalmente diventato un aspetto importante per l’adesione della Serbia all’UE. E questa non è una buona notizia per il governo serbo che ha posto l’ingresso nell’UE come principale obiettivo della sua politica estera. Non è dato sapere se il presidente serbo Aleksandar Vučić, che è uno dei più accesi sostenitori dell’integrazione europea, abbia parlato con la premier Brnabić in merito alla controversa intervista, ma di sicuro non ha pubblicamente condannato le sue dichiarazioni su Srebrenica, ampiamente riportate dai media mainstream serbi. Inoltre, i principali media serbi hanno completamente ignorato la risoluzione del Parlamento europeo, oppure si sono limitati a citarla brevemente tra le notizie meno importanti.

La negazione del genocidio
L’ossatura dell’attuale coalizione di governo è costituita dai partiti che erano al potere all’epoca del genocidio di Srebrenica, o che sono eredi o stretti alleati dei partiti al governo all’epoca. La loro riluttanza ad accettare le sentenze del Tribunale dell’Aja sul genocidio di Srebrenica non è per nulla sorprendente, ma non ci si aspettava che la premier esplicitamente negasse il genocidio. La Brnabić non ha fatto un’affermazione ambigua bensì, quando il giornalista che la intervistava ha insistito affinché riconoscesse che a Srebrenica è stato compiuto genocidio, ha detto che per la Serbia quanto avvenuto a Srebrenica non è stato un genocidio, negando in tal modo la sentenza del Tribunale dell’Aja.

“La persona responsabile di questo terribile crimine di guerra è stata consegnata all’Aja e la Serbia ha fatto tutto ciò che doveva fare”, ha dichiarato la Brnabić. La risoluzione del Parlamento europeo dimostra tuttavia che molti politici europei ritengono che questo argomento non sia ancora chiuso. Le autorità bosniaco-erzegovesi si aspettano dalla Serbia non solo di riconoscere l’esistenza del genocidio di Srebrenica, ma anche di riconoscere il proprio ruolo nell’incitamento e compimento del genocidio, e questa posizione è sostenuta anche da altri paesi della regione, in primis la Croazia.

In Serbia, e tra la maggior parte dei serbi che vivono in altri paesi della regione, è diffusa la convinzione che tutte le parti coinvolte nelle guerre combattute negli anni Novanta sul territorio dell’ex Jugoslavia abbiano commesso dei crimini e debbano assumersi le proprie responsabilità, senza dare particolare rilevanza solo ad alcuni crimini. Il fatto che il massacro di Srebrenica sia stato definito genocidio mina le fondamenta di questa idea. Le autorità di Belgrado ritengono che sia sufficiente che la Serbia si sia scusata per quanto avvenuto a Srebrenica e considerano ogni altra azione come un’inutile auto-umiliazione che potrebbe arrecare loro danni politici e mettere a repentaglio il futuro della Serbia e del popolo serbo.

Questo atteggiamento si è ulteriormente rafforzato dopo la decisione della Corte d’appello di Sarajevo di assolvere Naser Orić, ex comandante della difesa di Srebrenica, dalle accuse di crimini contro la popolazione civile serba nei dintorni di Srebrenica. La sentenza è stata emessa all’indomani dell’approvazione della risoluzione sulla Serbia da parte del Parlamento europeo, e in Serbia è stata percepita come un’offesa al popolo serbo e un’umiliazione delle vittime serbe, ma anche come l’ennesima prova dell’ingiustizia subita dal popolo serbo, ed è stata fortemente criticata dai più alti funzionari statali, compreso il presidente Vučić.

Lo stato d’animo
È possibile che la premier serba abbia fermamente respinto l’idea della necessità di riconoscere il genocidio di Srebrenica e di confrontarsi criticamente col passato a causa della sua scarsa esperienza politica, ma l’assenza di qualsiasi reazione alle sue dichiarazioni da parte dei rappresentanti del potere riflette lo stato d’animo della coalizione al governo. Le forze nazionaliste alla guida del paese alimentano la convinzione che il popolo serbo sia la maggiore vittima delle guerre degli anni Novanta e che l’idea sulla necessità di confrontarsi criticamente con il passato sia solo un’altra fregatura ideata dai “nemici della Serbia” e dalla comunità internazionale.

Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS) hanno conquistato una parte dell’elettorato con la promessa che avrebbero portato la Serbia nell’Unione europea, per cui le mosse che mettono a repentaglio la prospettiva europea del paese potrebbero portare alla diminuzione del sostegno da parte degli elettori, anche se per Vučić la priorità resta quella di non perdere il sostegno dei nazionalisti. Una netta presa di posizione su Srebrenica, che ci si aspetta dalle autorità di Belgrado (ora anche sotto forma di un documento ufficiale), è ulteriormente ostacolata dal fatto che gran parte dell’élite intellettuale e politica serba, i principali esponenti della coalizione di governo e la Chiesa ortodossa serba sono restii a confrontarsi con il passato. Nel 2010, quando il presidente della Serbia era Boris Tadić, il parlamento serbo ha approvato una risoluzione su Srebrenica in cui però quanto accaduto a Srebrenica non è stato definito come genocidio, bensì come un crimine.

Alcuni partiti di opposizione sono favorevoli al confronto con i crimini compiuti negli anni Novanta e al pieno riconoscimento delle decisioni del Tribunale dell’Aja, ma evitano di esprimersi pubblicamente sul tema. Alla domanda su cosa pensa della dichiarazione della premier, Borko Stefanović, leader della Sinistra serba (LS, partito di opposizione membro dell’Alleanza per la Serbia), ha risposto che anche lui avrebbe detto la stessa cosa. Quindi, un eventuale cambio ai vertici dello stato potrebbe creare i presupposti per il cambiamento dell’atteggiamento nei confronti del genocidio di Srebrenica, ma non sarebbe sufficiente a garantire che ciò accada.

A differenza di molti esponenti dell’opposizione, il settore non governativo non esita a criticare apertamente l’atteggiamento della leadership al potere nei confronti dei crimini commessi negli anni Novanta. “Il fatto che in Serbia le giovani generazioni crescano con una narrazione basata sulla negazione del genocidio è pericoloso a lungo termine”, ha dichiarato al portale Vijesti la direttrice del Comitato di Helsinki per i Diritti Umani in Serbia Sonja Biserko, aggiungendo che da quando l’SNS è salito al potere “la tendenza a negare il genocidio di Srebrenica si è intensificata”.

Stando alle sue parole, questa tendenza negativa ha raggiunto il punto in cui vengono umiliati, oltre alle vittime, tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. “Penso che l’attuale governo abbia contribuito a umiliare la Serbia a livello internazionale più di chiunque altro, tranne magari il regime dei primi anni Novanta, e che in un certo senso abbia fatto naufragare il tentativo di aprire un dialogo interno su quanto avvenuto nel passato”.
--- Termina citazione ---

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