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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Sardus_Pater:

--- Citazione ---"Sono stati i metodi della Rivoluzione di velluto, cioè la de-centralizzazione, l'orizzontalità, che hanno permesso alle donne di partecipare.
--- Termina citazione ---

A me puzza tanto di simil-rivoluzione arancione come quello dietro cui c'è stata la longa manus di Soros. Guarda caso, il PR armeno aveva il beneplacito di Putin.

Vicus:
Il femminismo sembra proprio uno strumento indispensabile alla governabilità globale, nella misura in cui dà al tessuto sociale la consistenza della gelatina.

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sarajevo-aria-irrespirabile-191807


--- Citazione ---Sarajevo, aria irrespirabile
aree   Bosnia Erzegovina ita

Nei giorni tra il 2 e il 4 dicembre, Sarajevo è stata la capitale più inquinata al mondo, almeno secondo i dati forniti dalle ambasciate statunitensi che monitorano abitualmente la situazione ambientale delle città in cui hanno sede

21/12/2018 -  Alfredo Sasso Sarajevo
Era una domenica invernale come tante, quelle in cui i sarajevesi normalmente attendono le ore più calde per fare due passi nella centralissima Ferhadija o nel rilassante Vilsonovo, il viale pedonale che costeggia la Miljacka. Ma nel pomeriggio del 3 dicembre, alcuni numeri iniziavano a rimbalzare sui social di tutta la Bosnia Erzegovina e nelle agenzie di mezza Europa, invitando a rinviare la passeggiata. Numeri sparsi tra il 300 e il 400, fino a raggiungere, in tarda serata, il valore-record di 428  . Si tratta dell’AQI (Air Quality Index), un valore che indica  su una scala da 1 a 500 la quantità di PM 2.5. Queste ultime sono il cosiddetto “particolato fine”, prodotto da ogni tipo di combustione, in grado di penetrare più profondamente nelle vie respiratorie rispetto al PM 10 e dunque più dannoso ancora per la salute, potenziale causa di malattie polmonari, cardiache e del sangue.

Per dare un’idea, un valore AQI è “accettabile” fino a 100, per poi diventare “malsano”, “molto malsano” e, oltre i 300, “allarmante”, un dato che di fatto costringe l’intera popolazione a non uscire di casa e prendere precauzioni.

Sul profilo Twitter “Kvaliteta zraka - Sarajevo  ” (“Qualità dell’Aria”), un bot che segnala ad ogni ora l’AQI della capitale bosniaca attraverso una scala di emoticon, dalle faccine sorridenti a quelle più disperate, in quelle ore compariva stabilmente l’immagine corrispondente al valore più allarmante: un teschio.

È così che, nei giorni tra il 2 e il 4 dicembre, Sarajevo è stata la capitale più inquinata al mondo, almeno secondo i dati  offerti dalle ambasciate statunitensi che monitorano abitualmente la situazione ambientale delle città in cui hanno sede.

È un altro riconoscimento indesiderato per la Bosnia Erzegovina che è tradizionalmente nei primissimi posti per mortalità da inquinamento atmosferico secondo i rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Salute. È stata infatti quinta nel 2016  (peggio solo Ucraina, Bulgaria, Bielorussia e Russia) e seconda nel 2017  , dietro la Corea del Nord.

Nel giro di pochi giorni, le mascherine nelle farmacie andavano quasi esaurite, mentre gli ospedali registravano un deciso aumento di pazienti per infezioni respiratorie. Nei giorni immediatamente successivi, il vento e le precipitazioni facevano abbassare i livelli, che tuttavia sono tornati a salire negli ultimi giorni.

Al momento in cui scriviamo questo articolo, il 20 dicembre, l’AQI è tornato sopra i 300, e il teschio fa nuovamente capolino su Kvaliteta Zraka.

Le cause
Negli ultimi anni, il picco d’inquinamento invernale è sempre più ricorrente. In una città come Sarajevo, chiusa in una conca tra colline e montagne con scarsa circolazione d’aria, il fenomeno dell’inversione termica aggrava ulteriormente la situazione. Ma le cause sono naturalmente artificiali e, se si guarda al panorama della Bosnia Erzegovina, molto diversificate. In alcune città bosniache le emissioni industriali rappresentano una parte consistente del problema, come nel caso della centrale termoelettrica a carbone di Tuzla, o dell’acciaieria Arcelor-Mittal di Zenica, con emissioni totalmente fuori scala di diossido di azoto e diossido di solforo.

A Sarajevo, invece, si considerano come fattori principali d’inquinamento il riscaldamento, l’inefficienza energetica delle abitazioni e il traffico automobilistico. Dall’ultimo dopoguerra, a causa delle difficoltà economiche diffuse e delle distorsioni dei prezzi, si è assistito a un rapido ritorno ai combustibili solidi, ovvero legna e carbone. Quest’ultimo è il materiale più conveniente, ma anche di gran lunga il più inquinante. Da anni le associazioni ambientaliste, seguendo le richieste dell’OMS, ne chiedono il divieto. Secondo i dati del censimento 2013, nel cantone di Sarajevo le abitazioni sono suddivise così per fonte di riscaldamento: 146.000 abitazioni a legna, 69.000 a gas, 21.000 a carbone, 16.000 a elettricità e altrettante con oli combustibili. Gli esperti denunciano che non esistono certificazioni energetiche e controlli di emissioni, e che si permette la vendita di materiali di scarsa qualità.

Su questo tema spesso si invocano gli alibi dell’industria pesante e della scarsa cultura ecologica ereditati dal comunismo jugoslavo, ma è un argomento valido solo in parte. Negli anni ’70, dopo un periodo di allarmanti crisi con gravi ripercussioni sulla salute pubblica, l’amministrazione di Sarajevo fornì diversi incentivi per la conversione a gas del riscaldamento domestico. Si ottenne così una drastica riduzione delle emissioni. Oggi la politica non mostra la stessa attenzione, anzitutto per lo spezzatino tra i diversi livelli di governo, fattore notoriamente onnipresente in Bosnia Erzegovina. Non esiste un ministero dell’Ambiente statale, essendo una materia gestita interamente dalle due entità (Federazione di BiH e Republika Srpska) e, nel caso della Federazione, è prevalentemente delegata al livello dei cantoni.

In verità, anche a livello locale, le risorse non mancherebbero. Il cantone di Sarajevo è spesso definito “il più ricco del paese” per l’ampio gettito fiscale di cui dispone. Ma nessuna forza politica ha mai mostrato volontà di operare misure strutturali, che potrebbero essere impopolari e difficili da gestire. Una delle poche proposte in questo senso, arrivata il mese scorso dal ministro dell’Ambiente cantonale Lukić, è quella di un piano per estendere i sistemi centralizzati a gas. Sarebbe la soluzione più efficace per ridurre l’inquinamento atmosferico. Tutto sembra però procedere lentamente, e senza una parallela politica di incentivi sui prezzi è difficile aspettarsi risultati tangibili.

Traffico
L’altro grande problema di Sarajevo è quello delle auto, di norma vecchie e inquinanti. In Bosnia Erzegovina ogni veicolo ha un’età media di 17 anni. Il 69% è diesel, dunque con maggiori emissioni (dati ufficiali dell’Agenzia statistica bosniaca 2016). Solo nel cantone di Sarajevo, il 21% delle auto è euro 0  , risalente a prima del 1991. Peraltro le crescenti limitazioni alle auto diesel in molti paesi europei potrebbero dare un’ulteriore spinta alla già florida importazione in Bosnia Erzegovina di auto usate, aumentando ancora di più l’impatto dei veicoli inquinanti se non si prenderanno misure di restrizione.

Anche in questo ambito si agisce molto lentamente. Il test sui gas di scarico (eko-test) diventerà vincolante per la revisione solo dal 2020. Ma sarà valido solo in Federazione BiH, non in Republika Srpska. Le targhe alterne, nonostante a Sarajevo fossero sul tavolo da sempre, sono state applicate per la prima e ultima volta il giorno di Natale del 2016, causando un mare di polemiche. D’altra parte, l’attuale condizione del trasporto pubblico nella capitale sarebbe inadeguata e insufficiente ad assorbire la riduzione del traffico privato.

App e ćevapi
Secondo i soggetti che maggiormente seguono i problemi ambientali, ciò che manca in Bosnia Erzegovina non è solo la volontà politica, ma il suo presupposto precedente: risorse per l’analisi, monitoraggio dei dati e degli effetti sulla salute, cifre più attendibili che stimolerebbero una vera presa di coscienza della popolazione e una più forte pressione verso le istituzioni. “Ci manca una diagnosi precisa della situazione”, dice a OBCT Anes Podić, il coordinatore di “Eko Akcija”, una delle organizzazioni ambientaliste più attive, la prima a creare una pagina web e una app per smartphone che fornisce informazioni sulla qualità dell’aria nelle principali città bosniache. Sono stati attivisti e cittadini comuni a lanciare questi strumenti, di fronte all’inazione, e talvolta alla deliberata indifferenza, delle istituzioni. “Ma il governo cantonale a chi ha dato la colpa dei problemi? A noi che abbiamo creato l'app, diffondendo panico e notizie false”, ricorda sarcasticamente Podić.

La pagina twitter Kvaliteta zraka Sarajevo, quella che traduce in faccine, teschi e grafici l’indice di qualità dell’aria misurato dall’ambasciata statunitense, è stata creata spontaneamente da Imer Muhović, un sarajevese ricercatore in ingegneria che lavora all’estero, a Barcellona. Muhović non è nuovo a iniziative di questo tipo. È diventato noto nell’ambiente mediatico bosniaco all’indomani delle elezioni di ottobre, quando aveva creato di propria iniziativa proiezioni e mappe dei risultati, sostituendosi di fatto alla Commissione Elettorale Statale. Mentre questa si era distinta per una serie impressionante di ritardi e inettitudine nel fare circolare le informazioni, Muhović incarnava uno spirito di riscossa civica, lo stesso che si può intravedere in questa nuova iniziativa.

Contattato da OBCT, Muhović spiega: “La gente comune usava poco il sito dell’ambasciata americana. Le emoticon e la traduzione in bosniaco sono più efficaci per la comunicazione, e il grafico dà una visione completa del ciclo di 24 ore”. Ma quale è stata la reazione della gente, soprattutto dopo il 3 dicembre? “Inizialmente c’è stata molta preoccupazione, è stata fatta una petizione online [su change.org, ndA] con grande diffusione per chiedere provvedimenti al governo, ma poi nei giorni successivi quando l’AQI è sceso è calata anche la reazione. E il governo cantonale ha dimostrato di non sapersi confrontare con quanto accaduto”.

La reazione del potere locale è stata infatti, ancora una volta, quella di minimizzare, di auspicare il bel tempo nei giorni successivi che risolverà tutto, di trovare spiegazioni poco plausibili. All’indomani del primato mondiale, un consulente scientifico del parlamento cantonale aveva affermato che il misuratore della qualità dell’aria non sarebbe stato attendibile, perché sarebbe stato alterato dal camino di una vicina ćevabdžinica (un ristorante dove si vendono i ćevapi, le tipiche salsicce di carne macinata). L’affermazione fuori luogo ha immancabilmente scatenato l’ironia di molti sarajevesi e l’irritazione dell’ambasciata statunitense, presa in causa perché il sensore si trova sul suo edificio. Soprattutto, ha nutrito l’ennesimo pregiudizio e acceso l’ennesima indignazione verso un ceto di politici e tecnici pronto a scaricare le responsabilità su qualunque cosa, anche sul camino di una ćevabdžinica, pur di non affrontare i problemi reali. Viene proprio da dire: tutto fumo.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/94849


--- Citazione ---UNGHERIA: La protesta è un complotto della sinistra
Gian Marco Moisé  3 giorni fa

L’Ungheria protesta, oggi, ieri, da giorni. L’Ungheria è in piazza, vandalizza le sedi del partito di maggioranza, occupa le sedi della TV nazionale, che da giorni ignora le richieste dei rappresentanti dell’opposizione.

L’ignoranza è forza

Ieri, giovedì 20 dicembre, la sera della firma del presidente della repubblica sulla legge che è stata soprannominata dai sindacati e dalle opposizioni “legge schiavitù”, la folla è scesa ancora una volta in piazza. Le manifestazioni si tengono da mercoledì 12 dicembre, giorno dell’approvazione della legge, e cercano di scuotere l’anima profonda di un paese che si sta abituando alla fine delle sue libertà.

D’altra parte, non nutrivano per gli eventi pubblici neanche quell’interesse minimo per capire che cosa stava succedendo. L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro integrità mentale. Ingoiavano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano non le faceva soffrire perché non lasciava traccia alcuna, allo stesso modo in cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello.

1984, Geoge Orwell

“È tutto un complotto. Tutto queste proteste di cui parla distrattamente la televisione, non sono l’Ungheria. La vera Ungheria, quella che conta, si è espressa democraticamente ad aprile, ha dato al Capitano il mandato per fare ciò che tutti noi volevamo facesse, mettere alla porta i migranti, gli sfruttatori, i criminali. Quelle persone che marciano sono marce, pagate dalle élite mondialiste, da una sinistra allo sbando, da quell’ebreo traditore che specula sulla pelle degli ungheresi, quelli veri. Vero come il Capitano. Noi ce lo ricordiamo il Capitano. Abbiamo sconfitto i comunisti insieme. Eravamo giovani allora, Capitano, ma adesso che siamo più vecchi, abbiamo capito che avevano ragione loro. Questi giovani non hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi. Questi giovani che parlano di libertà, non hanno capito che la libertà è schiavitù. Eppure, il ministero della verità lo ripete su tutti i canali: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.” È questa la coscienza ungherese? O l’Ungheria è composta anche dalle migliaia di persone che protestano da giorni?

La libertà è schiavitù

Il presidente della repubblica, János Áder, ha firmato con un giorno d’anticipo la legge che è stata soprannominata dai sindacati e dalle opposizioni “legge schiavitù”. Dopo aver constatato che l’ammontare delle ore di lavoro straordinario istituite dall’emendamento al codice del lavoro è previsto anche dalle legislazioni di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Repubblica Ceca, e che tali ore di lavoro non potranno essere imposte dal datore di lavoro, ma solo concordate col lavoratore, il presidente ha ritenuto la normativa non lesiva dei diritti del lavoratore. Nel concludere il suo intervento, Áder ha aggiunto che questa modifica non deve turbare le celebrazioni del Santo Natale, augurando buone vacanze ai suoi concittadini.

Eppure, il diavolo sta nel dettaglio. La normativa crea problematiche perché depotenzia l’efficacia contrattuale dei sindacati con le imprese, mettendo i lavoratori in una situazione potenzialmente ricattatoria. Infatti, i datori di lavoro potranno proporre individualmente un aumento delle ore di straordinario, e qualora i lavoratori rifiutassero, cosa impedirebbe a un datore di lavoro di poter scegliere tra un lavoratore più, e uno meno disposto a lavorare più ore, in presenza di questa legge? Forse lo sciopero di una sola persona? Infine, la possibilità concessa al datore di lavoro di pagare le ore di straordinario fino a 36 mesi di distanza, non sembra una delega allo sfruttamento dei lavoratori? Il primo ministro Viktor Orbán in persona ha detto che la normativa è nell’interesse dei lavoratori e lui rispetta i sindacati, ma hanno torto a protestare.

Ma il governo Orbán non era un esecutivo sovranista disposto a difendere la nazione dalle forze mondialiste? Non era Capitan Ungheria in persona, l’eroe che avrebbe dovuto salvare gli ungheresi dal nemico esterno? Il governo ha ammesso che questa norma è necessaria agli stabilimenti automobilistici tedeschi che da anni sono in carenza di personale. Con l’aumento dei giovani che lasciano il paese in cerca di opportunità lavorative all’estero, e il blocco di qualsiasi migrante economico ai confini, come si possono convincere le imprese tedesche a non delocalizzare gli stabilimenti? Qual è la nazione difesa da Capitan Ungheria? Di certo non i lavoratori, non i sindacati, e dopo la stretta sulle università dei mesi scorsi, neanche i giovani. D’altronde in questo consiste il bipensiero, nel dire tutto e il suo contrario, senza vederci contraddizione.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/94920


--- Citazione ---BOSNIA: Arresti e divieti, la repressione contro i manifestanti per la giustizia
Giorgio Fruscione  6 giorni fa

Sono state due giornate di alta tensione a Banja Luka, capoluogo della Republika Srpska – una delle due entità autonome che compongono la Bosnia Erzegovina. I genitori di David Dragicevic, ventiduenne ammazzato a marzo e per il quale da allora ogni giorno ininterrottamente chiedono giustizia, sono stati arrestati il giorno di Natale. Durante il loro fermo, molti cittadini si sono recati in piazza per esprimere solidarietà, scatenando la repressione della polizia. Il movimento “Giustizia per David” ha quindi ricevuto il divieto di radunarsi, ma ha affermato che le proteste continueranno.

I fatti

Davor Dragicevic è stato arrestato la mattina di martedì 25 dicembre poco dopo esser uscito di casa. Ufficialmente, l’arresto è dovuto al rifiuto di Davor di recarsi alla polizia per rispondere della protesta – considerata illegale – condotta lo scorso 17 dicembre davanti al parlamento della Republika Srpska. Quel giorno si nominava il governo dell’entità e veniva confermato al ministero degli Interni Dragan Lukac, che Davor continua a ritenere responsabile politico dell’uccisione del figlio. Poco dopo, nella centralissima piazza Krajina, punto di ritrovo delle proteste del movimento “Giustizia per David”, veniva fermata anche Suzana Radanovic, madre del giovane, nonché diversi attivisti. Mentre la madre di David è stata rilasciata poche ore dopo, Davor Dragicevic – che in occasione dell’arresto ha riportato una frattura alla mano – è stato trattenuto fino al giorno dopo.

La polizia ha arrestato anche alcuni esponenti dell’opposizione, tra cui Branislav Borenovic e Drasko Stanivukovic del Partito del Progresso Democratico, Vojin Mijatovic dei socialdemocratici, così come l’ex deputato del parlamento regionale Adam Sukalo.

Gli arresti e le cariche – le cui immagini testimoniano la prova di forza messa in atto dalla polizia – sono stati effettuati da reparti speciali  ben equipaggiati e hanno scatenato l’indignazione di molti cittadini contro le autorità, accusate di arrestare i genitori del giovane ammazzato invece che i suoi assassini. Nella serata del 25 dicembre, la folla di cittadini si era radunata davanti alla chiesa del Cristo Salvatore per poi essere dispersa da un fitto cordone di polizia in tenuta antisommossa. Nel corso della giornata, inoltre, la polizia ha fatto rimuovere tutti i ricordi, le fotografie e gli oggetti che da quasi 300 giorni caratterizzavano il sit-in permanente in piazza Krajina (rinominata “piazza David”) – un’azione dall’alto valore simbolico con cui le autorità della Republika Srpska e il suo ex presidente Milorad Dodik (oggi alla presidenza collegiale bosniaca) hanno “ripulito” Banja Luka da qualunque dissenso, nonostante questo sia sempre stato pacifico.

Protesta a oltranza

Come c’era da immaginarsi, appena rilasciato Davor Dragicevic ha espresso la sua intenzione di protestare ad oltranza. Tuttavia, nelle stesse ore il ministro Lukac ha vietato al movimento “Giustizia per David” di radunarsi in piazza, affermando come per nove mesi la protesta sia stata “tollerata” nonostante il suo carattere illegale. Davor Dragicevic non si è fatto intimorire e ha quindi organizzato un corteo: la “marcia di David”, ripercorrendo la strada compiuta dal giovane poco prima di scomparire lo scorso 18 marzo. Alla fine, in modo altamente simbolico, Davor si è sdraiato sul punto esatto in cui una settimana dopo venne rinvenuto il corpo del figlio, completamente ricoperto di ematomi, abbandonato sulle rive del torrente Crkvena.

Non ci sono dubbi sul fatto che Davor, Suzana e tutti i cittadini che chiedono giustizia per David continueranno la loro protesta. All’indomani dell’arresto, la solidarietà è arrivata da tutta la Bosnia, a partire da Sarajevo, dove la causa di David Dragicevic è sostenuta da Muriz Memic, padre di Dzenan, giovane ammazzato nel 2016 in circostanze oscure. Muriz e Davor, che l’appartenenza etnica vorrebbe divisi, sono uniti dalla  tragica sorte toccata ai loro giovani figli e da marzo rappresentano la lotta trasversale contro l’ingiustizia e l’impunità in Bosnia-Erzegovina. Anche a Belgrado, all’indomani degli arresti, è stata organizzata davanti all’università la manifestazione “un cuore per David”, e una manifestazione simile si terrà  oggi anche a Zagabria.

Davor Dragicevic – che per tutti questi mesi ha sostenuto di conoscere i mandanti dell’omicidio – aveva anche precedentemente dichiarato che ad aprile, qualora non si arrivasse alla verità, andrà personalmente a dissotterrare il corpo del figlio.

Il vero volto di Dodik

La repressione poliziesca nel giorno del Natale cattolico sembra aver mostrato il vero volto autocratico dell’entità autonoma amministrata per anni da Milorad Dodik, che lo scorso ottobre è stato eletto a membro della presidenza tripartita della Bosnia. Pochi giorni prima del voto Dodik aveva profeticamente annunciato che dopo le elezioni Davor Dragicevic – “che si crede un figo” – non sarebbe più stato in piazza.

“La gente porterà in piazza nuovi cimeli, i lividi dei manganelli passeranno. Quello che invece non passerà e non verrà ignorato così facilmente è l’immagine vergognosa che le istituzioni [di Banja Luka, ndr] hanno mandato al mondo intero, che ha visto come la polizia picchi vecchi e bambini. Grazie a queste immagini terribili il caso Dragicevic è tornato sui media internazionali”, ha dichiarato per East Journal Vanja Stokic, direttrice del portale eTrafika.net, che aggiunge: “Le istituzioni hanno lanciato un boomerang che gli è subito ritornato indietro”.

La protesta per chiedere verità e giustizia per David continuerà, come sempre, ogni giorno alle 18, sfidando il divieto delle autorità. Quello che non è dato sapere, invece, è fino a che livello si spingerà la repressione.
--- Termina citazione ---

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