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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Croazia-quel-cazzuto-trio-del-Feral-191825
--- Citazione ---Croazia: quel cazzuto trio del Feral
Due giornalisti di punta e un famoso caricaturista. Sono tra i fondatori dello storico settimanale satirico croato Feral Tribune. In questa intervista, il trio commenta senza peli sulla lingua la situazione in Croazia, lo stato di salute dei media e altro ancora
31/12/2018 - Giovanni Vale, Srđan Sandić Zagabria
I giornalisti Boris Dežulović e Viktor Ivančić e il caricaturista Alem Ćurin sono tra i fondatori della celebre rivista satirica Feral Tribune. Li abbiamo incontrati a Pola, al Festival del libro, per una chiacchierata sulla libertà di espressione e la politica in Croazia.
Il Festival del libro di Pola è dedicato quest’anno al lavoro di Predrag Lucić, vostro collega e amico, recentemente scomparso. Com’è iniziata l’avventura del Feral Tribune?
Boris: Questa è una domanda per Viktor. È lui il colpevole di tutto.
Viktor: (ride) Ho cominciato a collaborare con Predrag ancora prima che il Feral nascesse all’interno di Nedjeljna Dalmacija [un settimanale legato a Slobodna Dalmacija, oggi scomparso, ndr]. Lui lavorava come giovane studente (aveva vent’anni), mentre io lavoravo per una rivista studentesca presso la mia facoltà. Abbiamo iniziato a scrivere assieme al Feral per un po’ di tempo, poi, nel 1987, sono dovuto partire per il servizio di leva obbligatoria. Boro [Boris Dežulović, ndr] gestiva intanto una fenomenale rubrica satirica all’interno della rivista Omladiska Iskra [una rivista giovanile locale, ndr] e così ci siamo in qualche modo incrociati. Ci siamo come riconosciuti, c’era la stessa poetica e lo stesso spirito. E così, finché io ero nell’esercito loro hanno continuato a lavorare assieme e io li ho raggiunti non appena ho finito la leva. Dal Nedjeljna siamo passati a Slobodna Dalmacija, ma l’HDZ era già attivo e nel 1993, quando l’HDZ si è preso anche Slobodna Dalmacija, ce ne siamo andati e abbiamo creato il Feral Tribune, con un gruppo più ampio: c’era Alem e un paio di giornalisti provenienti da altre redazioni. Alem era presente dal primo numero.
Qual era l’accordo iniziale di collaborazione? Potevi fare quello che volevi in quanto alle vignette?
Alem: Loro mi piacevano molto, ma erano più giovani di me, per cui io non li ascoltavo, mentre loro ascoltavano me (ride). Non mi hanno mai censurato, in generale avevo carta bianca.
Il fatto che il Feral sia nato a Spalato significa qualcosa? C’è chi dice che solo lì poteva nascere una cosa del genere..., è vero?
Boris: No, no, si tratta di un mito. A Spalato siamo stati un incidente.
Viktor: È come se fossimo atterrati da Marte.
Boris: Davvero, è successo per caso.
Alem: E solo a Spalato hanno bruciato le copie del Feral!
Boris: Posso capire che la gente abbia creduto a questa storia della Spalato ribelle, è una storia che seduce, ma non è la verità. Noi non siamo nati da quella tradizione, ma al contrario dalla ribellione contro la tradizione di Spalato. Il Feral non è mai stato tanto odiato ed ignorato come a Spalato. Conosco per nome gli spalatini a cui piaceva il Feral. Non esagero. Era una setta, non era Spalato.
Viktor: Quando uscivo per strada per andare alla redazione a Bačvice, passavano meno di dieci minuti prima che qualcuno mi dicesse “vaffanculo”. E ricevevo due o tre attacchi del genere ogni giorno.
Boris: Detto questo, quello non era niente rispetto a quanto succede oggi.
Oggi è peggio?
Viktor: È una cosa dettata dall’alto. Ci sono stati degli anni tranquilli.
Boris: Gli anni 1998, 1999, 2000, 2001… sono stati anni comodi all’opposizione. Diciamo fino a che è arrivato Sanader, poi è iniziato il casino. Oggi, è peggio che mai.
Si può dire davvero che c’era più libertà di espressione nella Croazia degli anni Novanta che oggi?
Boris: La risposta breve sarebbe “sì”. Perché allora c’erano dei media e quindi poteva esserci una “libertà dei media”. Oggi non ci sono più media veri e propri. Tuttavia, quando si dice che c’era più libertà di espressione negli anni Novanta, questo suona bene, ma la verità è che c’era libertà di espressione al Feral. E per puro caso, il Feral era un media e per puro caso era croato. Il fatto che fosse pubblicato in questo paese ci fa dire che la Croazia autorizzava allora una certa libertà di espressione, ma è l’unico motivo. Oggi, il Feral sarebbe impossibile, infatti siamo qui in un bar di Pola a parlare del suo passato. Gli altri media non sono neanche lontanamente liberi, non sono nemmeno media o comunque non nel modo in cui li intendiamo, ovvero come mediatori tra la realtà socio-politica e i lettori. Oggi i media sono dei volantini di marketing.
Oggi lavorate tutti e tre al Novosti, il settimanale della minoranza serba in Croazia. Come mai?
Boris: Il motivo è più semplice di quel che potrebbe sembrare in una gloriosa storiografia: stando alle regole dell’Unione europea, la Croazia è obbligata a dare dei soldi alle minoranze nazionali e noi abbiamo occupato quello spazio mediatico.
Viktor: Siamo un errore nel sistema. E non siamo nemmeno serbi, cazzo!
Boris: Per la prima volta in 30 anni di carriera, siamo riconosciuti come croati e sentiamo la gente dire: “Come possono dei croati lavorare per una rivista serba?!”. Ma com’è che fino a un attimo fa ci dicevate che eravamo dei cetnici, porca puttana? (ride). Le autorità cercano in continuazione di interrompere questo finanziamento [al Novosti, ndr] ma vogliono farlo senza dispiacere a Bruxelles. Una cosa che, se pensiamo a come le cose evolvono nella storia, diventerà sempre più possibile. Penso che con questo tipo di Unione europea, troveranno un modo per interrompere il finanziamento al Novosti.
Da un lato, il Novosti è stato bruciato diverse volte nel centro di Zagabria, dall’altro voi siete costantemente sotto attacco. Per non parlare delle azioni legali nei vostri confronti…
Viktor: Abbiamo smesso di contare le multe dopo aver superato i due milioni di marchi ai tempi del Feral.
Boris: I tribunali e le azioni legali fanno parte del lavoro, anche se si fa giornalismo in Finlandia. È un meccanismo efficiente per far chiudere il becco alla gente. Qui, se ne sono accorti e lo usano contro chiunque metta in discussione, anche lontanamente, l’ordine esistente. Non è per forza di cose l’alta politica a farlo, i croati, i serbi, l’HDZ, può bastare anche un giudice locale o un piccolo mafioso. E quando anche i giudici cominciano a farti causa, allora sei davvero fregato. È un sistema chiuso, in cui diventa sempre più difficile parlare ad alta voce, senza pagarne il prezzo e sparire.
Cosa rispondete a chi dice che c’è bisogno di un nuovo Feral Tribune in Croazia?
Viktor: Il Feral era uno spazio creativo, diverso da ciò che è il Novosti oggi. Sono dei grandi al Novosti, ma l’infrastruttura è cambiata. I media hanno cominciato a vivere di pubblicità e quello è stato un errore strutturale. È come se tu facessi un lavoro, ma vivessi di qualcos’altro. Quello ci trascina in una rete di obbedienza. Se cominciassimo oggi un nuovo Feral, non riceveremmo neanche una pagina di pubblicità e faremmo subito bancarotta. Molto più in fretta che in passato.
Boris: Se qualcuno mi avesse detto 30 anni fa, che 30 anni dopo io avrei detto che lo Stato deve finanziare la stampa, l’avrei mandato a cagare. Che lo Stato mi finanzi, mi sembrava un insulto di per sé. Ma l’informazione è diventata un bene pubblico, come l’acqua corrente o l’aria pulita: è un servizio pubblico che dev’essere protetto. L’unico giornalismo possibile in futuro sarà quello finanziato dai soldi dei cittadini, che pagheranno per il proprio diritto all’informazione e alla critica. Così come si paga per l’acqua.
Alem, cos’è cambiato negli anni nel tuo modo di disegnare il potere?
Alem: Beh, il fatto che sono arrivato in prima pagina. Non ho più la libertà che avevo quand’ero nelle pagine interne. Prima, potevo fare di tutto. Ma sulla prima pagina, cazzi e fighe non sono più permessi. Ecco che ora più che mai, tante delle mie vignette sono rifiutate dal Nacional (una rivista croata, ndr.).
Qual è il rapporto, oggi, tra satira e fake news? Spesso chi è vittima della satira, l’accusa di essere semplicemente una “fake news”…
Viktor: Quello è fascismo. Una delle caratteristiche del fascismo è quella di confondere le categorie di verità e menzogna. Oggi, fanno passare le balle per della satira. L’obiettivo, mi pare, è quello di togliere senso a queste categorie e creare uno spazio pubblico che sarà semplicemente fatto di pazzia e manipolazione. Dopodiché, lo si potrà giustificare come libertà di espressione o come satira. E poi le fake news diventeranno vere e tutto andrà a puttane.
Ma la gente ha ancora voglia di satira? O il politicamente corretto ci ha intontiti?
Alem: Personalmente, non me ne frega niente del politicamente corretto. È aria fritta. Io sono stato politicamente incorretto fin dall’inizio. È una definizione che proprio non riconosco.
Avete mai pensato di lasciare la Croazia?
Boris: Se potessi tornare indietro con le conoscenze di ora al 1989 o al 1990, probabilmente non mi passerebbe nemmeno per la testa di restare. Perché non potrei tollerare l’idea di aspettare la pensione scrivendo gli stessi testi. Sono trent’anni che scriviamo le stesse cose… Ma all’epoca no, non ci siamo posti la domanda.
Alem: Io sono rientrato subito prima che la guerra scoppiasse…
Boris: Abbiamo ricevuto delle offerte, ma la nostra decisione di restare era motivata dal fatto che non volevamo accettare la sconfitta. Non volevamo dare quel piacere a quei figli di puttana. Era il rifiuto di arrendersi di fronte a un nemico che ci sovrastava. “Non ce ne andiamo, che si fottano!”, ci sentivamo così. Ora potremmo anche andarcene…
Alem: Ma ora non serve a un cazzo partire. Io sono in pensione!
Parliamo di politica, cosa pensate della sinistra di oggi in Croazia?
Boris: In Croazia, la sinistra non c’è mai stata, se parliamo della Croazia moderna. Quello che chiamiamo SDP è nato dal programma machiavellico di Ivica Račan e dei suoi compagni nel 1990. È un altro partito dell’establishment, ma con un simbolo diverso e un’altra retorica. L’unica differenza con l’HDZ è che nell’SDP non ci sono criminali di guerra, ma la vera sinistra non esiste. Tuttavia, non si tratta di un problema unicamente croato. Sinistra e destra sono vecchie creature dell’establishment, dei modelli usati per dividere il mondo. E oggi più che mai, perché il capitalismo è più brutale che mai. Oggi, tuttavia, la destra è diventata mainstream, mentre la sinistra non la si vede nemmeno all’orizzonte.
Quindi qual è la via d’uscita? Che si può fare?
Boris: All’età di 54 anni ho capito delle cose che a 25 non si capiscono, ovvero che non si può cambiare il mondo. Trent’anni dopo, quello che ho capito è che devo creare la mia piccola oasi personale. L’ho trovata in un piccolo paesino, dove le persone più belle, intelligenti ed importanti dell’ex Jugoslavia vengono a trovarmi. Passiamo del tempo assieme, parliamo, io faccio la grappa e il vino e quella è la nostra piccola isola di libertà. Purtroppo, non si può liberare il mondo o l’Europa e nemmeno questa cazzo di Croazia. Però, puoi liberare i tuoi 500 metri quadri. Diciamo che questo mondo è andato a puttane e che l’ultima speranza che abbiamo è quella di investire nei bambini, di piantare in loro il seme del dubbio, della critica e della libertà.
--- Termina citazione ---
Vicus:
--- Citazione ---Boris: All’età di 54 anni ho capito delle cose che a 25 non si capiscono, ovvero che non si può cambiare il mondo. Trent’anni dopo, quello che ho capito è che devo creare la mia piccola oasi personale. L’ho trovata in un piccolo paesino, dove le persone più belle, intelligenti ed importanti dell’ex Jugoslavia vengono a trovarmi. Passiamo del tempo assieme, parliamo, io faccio la grappa e il vino e quella è la nostra piccola isola di libertà. Purtroppo, non si può liberare il mondo o l’Europa e nemmeno questa cazzo di Croazia. Però, puoi liberare i tuoi 500 metri quadri. Diciamo che questo mondo è andato a puttane e che l’ultima speranza che abbiamo è quella di investire nei bambini, di piantare in loro il seme del dubbio, della critica e della libertà.
--- Termina citazione ---
Parole sacrosante, è il tempo dell'Arca di Noè. Come suggerisce questo film su una civiltà abbandonata al suo destino, in cui le donne appaiono irrecuperabili senza eccezioni.
//www.youtube.com/watch?v=z6dhVZewGcU
Frank:
Come direbbe il solito italiano medio, perennemente impegnato a prendersi a martellate i genitali:
"Certe cose accadono solo in Italia", bla bla bla...
Sì, infatti.
...
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-la-devastazione-del-Tara-191610
--- Citazione ---Montenegro: la devastazione del Tara
Con la costruzione dell’autostrada del Montenegro si sta devastando un’area protetta dall’Unesco: l’alveo del fiume Tara. Mentre il governo tiene segreti documenti relativi al progetto l’ong MANS rivela i danni ambientali che causerebbe
03/01/2019 - Zoran Radulović
(Originariamente pubblicato dal settimanale Monitor )
Chi crede di più ai propri occhi che alle parole dei politici, vede che lungo corso superiore del fiume Tara è successo qualcosa di, a dir poco, strano e brutto.
“Io non vedo nulla di strano per un cantiere di questo tipo”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo sostenibile Pavle Radulović dopo aver visitato il cantiere nell’alveo del fiume Tara, che dal 1976 è protetto dall’UNESCO nell’ambito del programma “L’uomo e la biosfera”.
“I lavori di costruzione dei ponti Tara 1 e Tara 2 procedono in piena conformità al Progetto definitivo revisionato sulla base del quale è stato rilasciato il permesso di costruire”, ha precisato il ministro, giustificando i controversi interventi col fatto che vengono eseguiti in una “zona transizionale del fiume Tara” dove presumibilmente è possibile distruggere e costruire “allo stesso modo in cui sul territorio di Mojkovac e Kolašin venivano costruiti viali e fortezze lungo il fiume”.
L’espressione “zona transizionale del fiume” il ministro l’ha sentita dal geologo Mihailo Burić, professore dell’Università di Podgorica. “Il tratto dell’autostrada in questione si trova lontano dal canyon del fiume Tara rigorosamente protetto”, sostiene Burić. “Dal punto di vista della tutela, il bacino del fiume Tara è suddiviso in tre grandi aree: l’area di confluenza dei fiumi Veruša e Opasnica [da cui nasce il Tara], poi la parte del bacino che ricade nel territorio dei comuni di Mateševo, Kolašin e Mojkovac (che rappresenta una zona di transito), e infine il canyon del Tara protetto dall’UNESCO. Il corso del fiume Tara a monte della zona rigorosamente protetta costituisce un’area transizionale, con un regime di tutela meno rigoroso, dove si può costruire alle condizioni stabilite dalla legge”, ha spiegato Burić, dando una lezione a tutti quei malinformati che hanno alzato la propria voce in difesa del fiume.
Ha ragione?
“Il parlamento del Montenegro rifiuta qualsiasi intervento nel canyon del fiume Tara. Come cittadini, siamo consapevoli del fatto che il Tara è il nostro futuro e ciò per cui siamo conosciuti”, si legge nella Dichiarazione sulla difesa del fiume Tara, approvata dal parlamento montenegrino nell’agosto 2004. “Qualsiasi tentativo di modificare il Tara richiede che tutti i cittadini del Montenegro si esprimano liberamente in merito e l’unico modo corretto per prendere una decisione sul destino del fiume sarebbe attraverso un referendum, sia oggi che in futuro”, si constata nella Dichiarazione, precisando inoltre che “la costruzione della centrale idroelettrica di Buk-Bijela, così come altri eventuali interventi lungo l’intero corso del fiume Tara rappresenterebbero un fattore di disturbo, non solo nella parte di canyon che verrebbe sommersa, ma nell’intera regione che per il suo sviluppo dipende dal canyon”.
L’approvazione della Dichiarazione sulla difesa del Tara ha segnato l’abbandono del progetto di costruzione della centrale idroelettrica di Buk-Bijela e una sconfitta dell’allora premier Filip Vujanović che aveva (segretamente) firmato, a nome del Montenegro, un documento che prevedeva la sommersione di quello che è probabilmente il tratto più bello del canyon del Tara, lungo circa 14 chilometri. È stata una grande vittoria dei cittadini contro la cosiddetta mafia dell’energia.
Una decina di anni più tardi, la cosiddetta mafia delle costruzioni non ha voluto rischiare. La decisione di costruire un’autostrada attraverso il bacino del fiume Tara è stata quindi presa senza alcun coinvolgimento del parlamento e dell’opinione pubblica.
“Non ricordo che il fiume Tara sia mai stato menzionato in parlamento durante le discussioni sui contratti relativi alla costruzione e al finanziamento dell’autostrada”, dice Mladen Bojanić, allora deputato di opposizione. “All’epoca non era ancora stato deciso il tracciato dell’autostrada, per cui non era possibile sapere con certezza se e in quale misura avrebbe interferito con il fiume. Successivamente, il governo ha reso note alcune informazioni relative al progetto, ma nonostante tutti i tentativi di nascondere i principali punti di questo affare, è emerso che i nostri negoziatori erano dei dilettanti. Ora sappiamo con quanta ignoranza e improvvisazione si erano avventurati in questo progetto. Quello che ancora non si sa è quanto ci costerà la loro ignoranza”, spiega Bojanić.
I rappresentanti del potere continuano a essere riluttanti nel rendere note le informazioni sui lavori progettati, eseguiti e ancora da fare. Capita che anche i presunti esperti si trovino aggrovigliati in una rete di mezze verità e bugie, proprie e altrui.
Dopo che l’organizzazione non governativa MANS (Rete per l’affermazione del settore non governativo) ha pubblicato alcuni video che testimoniano la devastazione (ir)reparabile dell’alveo del fiume Tara nel punto dove sono in corso i lavori di costruzione dello svincolo di Mateševo (per ragioni ignote, due dei quattro svincoli previsti su questo tratto dell’autostrada sono stati progettati negli alvei dei fiumi: lo svincolo di Smokovac sul fiume Morača, e quello di Mateševo sul fiume Tara), il ministro Radulović ha dichiarato che non c’è stata alcuna deviazione del corso del fiume.
Ma i rappresentanti dell’impresa CRBC (China Road and Bridge Corporation), esecutrice dei lavori, lo hanno smentito: “Nella zona dello svincolo di Mateševo l’alveo del fiume Tara è stato spostato, come previsto dal Progetto definitivo e dal tracciato dell’autostrada. Si tratta di spostamenti provvisori e, una volta conclusi i lavori, il fiume verrà riportato nel suo alveo naturale”.
Allora il ministro si è detto “convinto” che tutto sia stato fatto secondo le regole: “Se il progetto prevede uno spostamento provvisorio [del fiume] e se l’elaborato progettuale è stato realizzato da esperti, non posso che confermare le informazioni contenute nei rapporti che ricevo”, ha dichiarato il ministro.
Nel frattempo si è saputo che i rapporti che il ministro riceve, e nasconde all’opinione pubblica, dimostrano che molte cose non vanno bene. A quel punto il ministro ha cercato di difendere la sua posizione e quella della coalizione al governo affermando che l’esecutore dei lavori si è più volte discostato dal Progetto definitivo. “Problemi simili c’erano anche prima. L’anno scorso i lavori sono rimasti bloccati per 154 giorni”, ha precisato il ministro.
Quindi, non c’è nessun problema particolare, solo quelli che “c’erano anche prima”, e non c’è nulla di strano nel fatto che i lavori siano stati bloccati per quasi sei mesi, nonostante siano già in ritardo di quasi un anno. Il quotidiano di Podgorica Dan è venuto in possesso di documenti dai quali emerge che gli ispettori ambientali hanno presentato 16 richieste di avvio del procedimento sanzionatorio nei confronti dell’impresa CRBC per “irregolarità accertate”.
“Il Tara rimarrà la lacrima d’Europa, non c’è alternativa”, ha dichiarato il ministro schiacciato sotto il peso delle prove che suggeriscono che la vicenda potrebbe non finire bene.
Non è però riuscito a convincere la direttrice di MANS Vanja Ćalović-Marković e i suoi collaboratori. “L’attenzione suscitata dalle immagini del Tara pubblicate da MANS la dice lunga sul fatto che l’opinione pubblica era pressoché all’oscuro di quello che stava succedendo nei cantieri di CRBC”, dice la Ćalović. “Solo ora abbiamo saputo che ci sono dei problemi relativi al mancato rispetto da parte di CRBC di quanto previsto nella documentazione progettuale. Finora l’opinione pubblica era al corrente solo di poche informazioni sulla costruzione dell’autostrada, perché i rapporti di monitoraggio della documentazione tecnica e dell’esecuzione dei lavori sono stati dichiarati segreti dal governo. Questo è uno dei principali motivi per cui l’opinione pubblica non ha saputo prima che il Tara viene devastato, ed è uno dei principali ostacoli che impediscono un’adeguata vigilanza pubblica sui lavori di costruzione dell’autostrada”.
Anche Mladen Bojanić è dello stesso parere. “È quasi impossibile, ormai da tempo, polemizzare con le posizioni del governo su molte questioni, perché l’arroganza dei suoi esponenti cresce in assenza di argomenti che potrebbero giustificare le loro posizioni rigide. Questo è particolarmente evidente in relazione alla costruzione e al finanziamento dell’autostrada, ed è ancora più palese nel caso della devastazione del Tara. Quando il ministro tira fuori, come ultimo asso nella manica, alcuni documenti dichiarati segreti dal governo, allora è chiaro che la situazione è molto grave. Purtroppo non c’è responsabilità e i cittadini si sono ormai rassegnati al fatto di dover pagare ogni errore del governo”, spiega Bojanić.
Le argomentazioni del governo sono ulteriormente indebolite dal fatto che il professor Burić, uno dei più accesi sostenitori del progetto dello svincolo di Mateševo, è autore di uno studio, commissionato da CRBC, intitolato “Proposta di misure di rimedio e progetto di monitoraggio dello stato ambientale del fiume Tara”.
Da questo documento siamo venuti a sapere che il professor Burić si aspetta che la futura autostrada, compreso lo svincolo di Mateševo, renda più bello l’ambiente. “Questo progetto stradale porterà a un miglioramento del paesaggio, che sarà più bello di quello attuale. Un ambiente caotico diventerà un paesaggio coltivato”, afferma Burić, per poi concludere che “il paesaggio incontrollato e caotico di un corso d’acqua impetuoso non è da ritenersi piacevole”.
Ma non tutti sono d’accordo
“L’attuale stato idrologico del fiume Tara nel tratto compreso tra Jabuka e Mateševo, lungo più di 5 chilometri, è catastrofico”, dice Nataša Kovacević dell’associazione ambientalista Green Home. “Vediamo l’alveo del fiume devastato, l’area intorno al fiume devastata, la perdita di quella biodiversità a cui siamo abituati, la meccanizzazione pesante…”.
Ad esprimere preoccupazione è anche un gruppo di professori della Facoltà di Scienze naturali e matematiche dell’Università di Podgorica che dal 2016 monitora lo stato di salute della fauna dei fondali del fiume Tara. “La popolazione di animali che abitano il fondale si è notevolmente ridotta rispetto al 2017. Anche la diversità è diminuita in modo considerevole e la maggior parte dei gruppi di specie non è stata rilevata durante la nostra ricerca svolta nel 2018”, ha dichiarato il professor Vladimir Pešić al quotidiano Vijesti, commentando i risultati dell’ultimo monitoraggio effettuato. “Il ripristino della popolazione di fauna del fondale su questo tratto sarà un processo lungo, potrebbe durare fino a 10 anni. Tuttavia, rimane aperta la domanda se le popolazioni di alcune specie rare ed endemiche riusciranno mai a riprendersi”.
“Il canyon del fiume Tara gode di una tutela particolare in quanto parte del patrimonio mondiale dell’umanità. Su questo tratto del Tara sono consentite alcune attività, ma quello che abbiamo visto in loco non può essere definito come sviluppo economico sostenibile secondo i criteri dell’UNESCO”, dice Vanja Ćalović-Marković. E sottolinea: “Assistiamo a un totale cambiamento del paesaggio, ad interventi che hanno completamente modificato l’alveo del Tara, e i rapporti dei professori universitari parlano di devastazioni della flora e della fauna di grandi dimensioni. È allarmante il fatto che il governo sia stato informato in tempo che i lavori previsti potrebbero danneggiare quest’area protetta, e ha fatto ben poco per evitare che accadesse quello che sta accadendo”.
Poteva andare diversamente?
Abbiamo chiesto ai nostri interlocutori se l’autostrada avrebbe potuto essere realizzata senza interferire con il fiume.
“La risposta a questa domanda si nasconde nel progetto dell’autostrada, un altro documento coperto da segreto che il governo da anni tiene nascosto ai cittadini”, dice la Ćalović, aggiungendo: “Penso che oggi nel settore delle costruzioni quasi nulla sia impossibile, è solo questione di prezzo. Perché si è deciso che il Tara deve pagare questo prezzo, insieme a tutti i cittadini del Montenegro, è una domanda a cui le autorità prima o poi dovranno rispondere”.
Mladen Bojanić dice: “Non mi intendo di tracciati autostradali. Ma allo stesso modo in cui chiedo al muratore di non costruire un muro inclinato, anche se non so come si costruiscono i muri, così ho il diritto di chiedere al ministro di proteggere il Tara pur non essendo né ecologo né ingegnere. Ho il diritto di esigere il meglio per quello che pago, sia che si tratti di un muratore o di un ministro”.
--- Termina citazione ---
Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/94717
--- Citazione ---UNGHERIA: Quarto giorno di proteste contro la “legge schiavitù”
Gian Marco Moisé 21 giorni fa
Dopo mercoledì, giovedì e venerdì, domenica 16 dicembre Budapest ha visto il suo quarto giorno di proteste. Con la più alta partecipazione di persone finora, 10 mila secondo le stime, un corteo di manifestanti ha marciato da Piazza degli Eroi, nel sesto distretto della città, fino di fronte al parlamento ungherese al grido di: “Buon Natale signor primo ministro”.
Le ragioni della manifestazione
Le proteste sono iniziate mercoledì 12 dicembre, quando il parlamento ungherese ha approvato una legge per la riforma delle condizioni lavorative, soprannominata dai manifestanti “legge schiavitù”. La normativa propone un aumento delle ore di straordinari da 250 a 400 l’anno, e la possibilità del pagamento ritardato delle stesse fino a tre anni, aumentando di ben due anni il precedente limite. Secondo i manifestanti questa modifica è pensata a favore delle case automobilistiche tedesche, ma peggiora la condizione dei lavoratori ungheresi.
La seconda legge, approvata durante la stessa sessione parlamentare, riguarda l’adozione di corti amministrative che avranno funzioni di revisione giudiziaria rispetto a decisioni governative riguardanti tasse, permessi di costruzione, proteste, scioperi e divulgazione di informazioni di pubblico interesse. Il sistema non è nuovo per l’Ungheria, che ne ha avuto uno simile fino al 1949, con la successiva abolizione da parte del regime comunista. Ciò che crea problematiche è che il ministero della giustizia avrà influenza diretta rispetto: al budget delle corti, alla nomina dei giudici e dei presidenti di corte, alle loro promozioni e aumenti di stipendio. Questa normativa compromette definitivamente l’indipendenza del potere giudiziario in Ungheria.
La protesta
I manifestanti hanno indossato sciarpa e cappello bianchi per segnalare la natura non-violenta della protesta, si sono riuniti alle tre del pomeriggio in Piazza degli Eroi e hanno marciato fino a piazza Kossuth, sede del parlamento. Lì, membri di tutti i partiti d’opposizione, un ex giudice e il vicepresidente della federazione ungherese dei sindacati hanno fatto discorsi caratterizzati dal richiamo all’unità per la difesa della democrazia. La manifestazione è stata organizzata come un evento Facebook dai partiti d’opposizione MSZP, DK e Momentum. Oltre a Budapest, le proteste hanno avuto luogo a Győr, Debrecen, Békéscsaba, Szeged, Nagykanizsa, ed Eger. Le richieste dei manifestanti includono:
L’abolizione della “legge schiavitù”
Meno straordinari per la polizia
L’indipendenza del potere giudiziario
L’adesione dell’Ungheria alla Procura europea
L’indipendenza dei mass media statali
M1, primo canale della televisione pubblica ungherese, ha dato la notizia delle proteste bollandole come l’espressione di un’opposizione ai governi sovranisti anti-migranti e promosse da sostenitori delle idee di George Soros.
--- Termina citazione ---
Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/93172
--- Citazione ---BALCANI BALCANI ORIENT. RUSSIE BALTICO MEDIO ORIENTE CAUCASO ASIA CENTRALE EUROPA(e)
BALCANI: Come i media serbi insultano gli albanesi (e vengono condannati)
Pietro Aleotti 12 Novembre 2018
Utilizzare il termine “šiptar”, termine dispregiativo per definire gli albanesi, è qualificabile come incitamento all’odio e, pertanto, da considerarsi offensivo. Lo ha stabilito la corte di Belgrado in una sentenza di primo grado per l’uso a mezzo stampa di questo termine.
La decisione arriva nell’ambito del processo intentato da Anita Mitić, all’epoca dei fatti direttrice della Youth Initiative for Human Rights (YIHR, un’associazione attiva in tutti i Balcani occidentali nel campo della difesa dei diritti umani), contro Dragan J. Vučićević, direttore dell’Informer, il più diffuso tabloid belgradese, assai vicino al presidente serbo Aleksandar Vučić. La corte ha sanzionato Vučićević, peraltro non nuovo a queste condanne, al pagamento di un risarcimento per aver leso l’immagine e la reputazione della Mitić e dell’intera organizzazione. Il direttore del tabloid in passato era già stato accusato dall’autorità garante per l’uguaglianza per aver violato la legge sul divieto di discriminazione impiegando il termine šiptar sulle prime pagine del giornale.
Sebbene si tratti solo di un giudizio di primo grado, la sentenza potrebbe essere destinata a fare giurisprudenza come raro esempio di sanzione contro l’impiego di termini discriminatori e ingiuriosi – quel discorso d’odio che trova spazio giornaliero sui tabloid serbi. Anche se Vučićević non sembra aver appreso la lezione; Informer ha già fatto una nuova copertina definendo nello stesso modo il calciatore svizzero Shaqiri.
I fatti
I fatti risalgono al gennaio 2017, quando alcuni membri della YIHR irruppero nel corso di una manifestazione organizzata nella cittadina di Beška dal Partito Progressista Serbo (SNS) di governo: a parlare era stato invitato anche Veselin Šljivančanin, ex ufficiale dell’esercito jugoslavo (JNA) già condannato a 17 anni di reclusione (poi ridotti a 10) dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia per crimini di guerra durante l’assedio di Vukovar. Gli attivisti tentarono di interrompere il discorso di Šljivančanin srotolando uno striscione di protesta con la frase “i criminali di guerra dovrebbero essere zittiti cosicché la voce delle vittime possa essere ascoltata” ma furono attaccati dal servizio d’ordine e malmenati.
All’indomani dell’episodio, l’Informer aveva pubblicato un articolo sprezzante in cui qualificava la Mitić e i membri della YIHR come fascisti, nemici della Serbia e sostenitori degli šiptari. Non una novità, dato che il termine in questione è ampiamente utilizzato da molta stampa e l’Informer stesso l’avrebbe impiegato per ben 196 volte nei primi nove mesi del 2017, secondo una ricerca dell’OSCE sulle percezioni reciproche tra serbi e albanesi. A tale definizione ricorrono spesso anche i siti internet dei gruppi di estrema destra per indicare con disprezzo un albanese.
La retorica nazionalista (e, spesso, razzista) permea molta parte della stampa serba, specie quella filo-governativa: non è confinata al solo Informer, non si limita all’uso di qualche termine dispregiativo e, ancora, non si rivolge ai soli albanesi. E, soprattutto, viene impiegata nella sostanziale impunità e, con rare eccezioni, nell’ignavia delle élite culturali e politiche serbe.
E’ anche per questa ragione che la sentenza della corte di Belgrado assume un significato simbolico ancora più rilevante: non è un caso, infatti, che la stampa kosovara l’abbia accolta come una sentenza storica dandole un certo risalto mediatico. Se è vero, infatti, che si sta parlando di un singolo caso, è altresì vero che essa costituisce un precedente importante con il quale d’ora in poi la stampa serba dovrà fare i conti.
Le origini e l’uso del termine
L’Albania in albanese è Shqipëria, termine che deriva verosimilmente da shqiponja, ovvero aquila, animale molto rappresentato nella simbologia delle antiche dinastie albanesi al punto da essere raffigurato, bicefala, sulla bandiera nazionale. Per questa ragione gli albanesi si autodefiniscono shqip(ë)tar – da cui il termine šiptar nelle lingue slave meridionali.
Ma la parola šiptar, pronunciata con accento slavo volutamente calcato, assume oggi una connotazione pesantemente razzista alludendo a una presunta inferiorità culturale degli albanesi, immaginati caricaturalmente alla stregua di cavernicoli, anzi di “moderni trogloditi, che come gli antenati dell’uomo, dormivano sugli alberi e vi si attaccavano con la coda” come già a fine ‘800 li descriveva Vladan Đorđević, politico e scrittore serbo.
All’atto della formazione della federazione jugoslava, il termine šiptar veniva, anche formalmente, impiegato per indicare gli appartenenti alla comunità albanese, perlopiù kosovari, come inserito nei censimenti del 1948, del 1953 e del 1961. Solo successivamente, su pressione della dirigenza kosovara albanese desiderosa di enfatizzare in questo modo una sorta di autonomia nazionale piuttosto che etnica, il termine šiptari fu sostituito da albanci nei censimenti del 1971, del 1981 e nel 1991. Nella Serbia post-jugoslava la definizione albanci è stata mantenuta ed è tuttora utilizzata ufficialmente.
E’ così che l’impiego di šiptar assume, oltre alle prerogative negative anzi dette, anche una valenza sottilmente politica: utilizzarlo, oggi, significa negare una qualsivoglia connotazione nazionale rimarcando, al contrario, l’appartenenza ad un gruppo minoritario.
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--- Citazione ---3 commenti
Marco 12 Novembre 2018 at 14:01
Vi basta fare un giro sui social e su diversi gruppi per vedere come agisce si manifesta il nazionalismo albanese: odio per Greci, serbi e croati; manipolazione della storia, revisionismo e sciovinismo terribile. La narrazione che vede solamente i serbi come i cattivoni nei balcani mi è particolarmente indigesta (anche se ovviamente è principalmente dalla loro parte che avvengono le maggiori provocazioni). Da un sito cosi autorevole come il vostro mi aspetto una copertura a 30 gradi delle vicende. Grazie
Giorgio Fruscione
Giorgio Fruscione 13 Novembre 2018 at 12:29
caro Marco, su nazionalismo albanese e temi correlati abbiamo scritto in passato. Tuttavia, questo non è un articolo sui “serbi cattivoni dei Balcani” e sarebbe meglio non dare queste letture troppo generalizzate su singoli articoli. Il tema è molto specifico: il modo in cui si esprime un quotidiano – il più venduto nel paese – che è stato condannato per incitamento all’odio. L’articolo non contiene quindi accuse contro il popolo serbo.
Rifat 15 Novembre 2018 at 12:01
Mi sembra una buona azione di liberazione e giustissima del tribunale di Belgrado. Incitamento all’odio e disprezzo verso gli altri popoli e un gesto di una scarsa cultura e ignoranza politica. Non esistono popoli * nemici * sono i governi,politici,che fanno * nemici * i popoli,e dietro di loro giornali e media. Amicia e rispetto verso i altri popoli porta in pace e stabilità.
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