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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-la-serie-TV-culto-Domani-cambiera-tutto-192059
--- Citazione ---Serbia: la serie TV culto “Domani cambierà tutto”
Una serie Tv sta spopolando in Serbia. Una serie che racconta con autenticità la perenne incertezza in cui vivono quattro trentenni a Belgrado
18/01/2019 - Nikola Radić
(Pubblicata originariamente da Le Courrier des Balkans il 14 gennaio 2019)
Durante i 39 episodi di 20 minuti ognuno di Jutro će promeniti sve ("Domani cambierà tutto", titolo preso in prestito dai leggendari rocker jugoslavi Indexi), seguiamo per un intero anno le vite di quattro trentenni in una Belgrado contemporanea. Filip, ingegnere informatico prodigio, volta le spalle al sogno americano rinunciando al suo lavoro a San Francisco per tornare a Belgrado, la sua città natale, senza altro scopo se non quello di abbandonare la slot machine che è la Silicon Valley. Sua sorella Anđela, studentessa di dottorato in psicologia e assistente alla Facoltà di Filosofia, si sta separando dal suo compagno di lunga data. Il bar notturno, grazie al quale vive la sua migliore amica Saša viene chiuso a seguito di una perquisizione della polizia. Ljuba, originario della provincia, personal trainer, anticonformista e seduttore, perde il lavoro in una palestra locale e si ritrova per strada e indebitato.
Passioni effimere, separazioni, conflitti intergenerazionali, precarietà, gravidanze indesiderate, disillusioni, promiscuità, droghe e eccessivo consumo di alcol si susseguono in un affresco di una società disorientata da una transizione che non finisce mai. Jutro će promeniti sve racconta un'intera generazione, dipinge un bel ritratto dei millenials, questa generazione Y nata nell'Europa dell'Est agli ultimi sospiri del socialismo. Una generazione cresciuta con le turbolenze degli anni '90 che oggi vaga in questo labirinto neoliberista in cui il talento non sempre fa rima con successo.
"Nessuno è un dipendente fisso, tutti sono in affitto, tutti in lotta perpetua", riassume Vladimir Tagić, co-creatore della serie. I quattro eroi, che affrontano una tardiva transizione all'età adulta, sono coscienti che questa vita non è quella che avevano immaginato. Le loro rimozioni, la loro accettazione, le illusioni e le speranze rappresentano il cuore di questa serie melodrammatica firmata da Goran Stanković e Vladimir Tagić.
Ma i nostri protagonisti non rimangono immobili in attesa di un "mattino in cui tutto cambierà". La simpatica Ljuba si cimenta in cucina in un ristorante, Saša in una serie di lavori poco appassionanti e spesso ridicoli, Filip fa il giro di tutte le sue vecchie conoscenze alla ricerca di un posto da ingegnere e Anđela continua con la sua tesi, al termine della quale dovrebbe spettarle un posto da professoressa.
Ma troveranno un modo di sfuggire all'instabilità di questa vita dal sapore adolescenziale? Nulla è certo: le scelte importanti sono già state fatte (lasciare gli Stati Uniti per Filip, abbandonare l'università per Saša, ecc.). Le porte pian piano si chiudono: la start-up degli ex colleghi di Filip si è sviluppata così tanto che non c'è più spazio per lui, il nepotismo regna nella Facoltà di Anđela mentre sia Saša che Ljuba continuano ad annaspare nella precarietà.
Se la serie ha avuto così tanto successo in Serbia, è innanzitutto grazie all'autenticità dei dialoghi e al realismo delle situazioni. Alcune introduzioni sono dolorosamente realistiche (la città natale di Ljuba nella Serbia centrale, dove il quotidiano è una noia, intriso di birra e scandito dalle scommesse sportive), altre comiche (la polizia che interrompe una festa e alla fine rimane a bere qualcosa con i festaioli, Ljuba ed i suoi amici che ballano ubriachi il kolo nel cuore della notte su un campo da basket).
Più di 350 set ci accompagnano attraverso Belgrado e dintorni. Le immagini della capitale serba sono piccole cartoline urbane e perdono il potenziale della città come personaggio a parte. La fotografia è nitida e sottile che flirta con l'estetica del cinema indipendente americano; sullo sfondo una moderna colonna sonora strumentale, fissa un tono malinconico, soprattutto alla fine di ogni episodio, quando i personaggi, al calar della notte, galleggiano nell'incertezza. È in questi momenti che la nostra empatia è tirata in ballo, ci identifichiamo con i personaggi, immaginiamo il corso dei loro pensieri prima del prossimo episodio ed un nuovo risveglio.
“Domani cambia tutto” avrebbe potuto fare a meno di alcuni luoghi comuni come le infinite code davanti agli uffici, riferimenti ad una burocrazia desueta, o frasi del tipo "L'America è una terra di infinite opportunità”. I personaggi sono accattivanti anche se alcuni, come quello di Filip, rimangono un po' abbozzati. Lo stesso vale per alcune tracce narrative che rimangono sottoutilizzate come l'uso interessante di piccole finestre per visualizzare gli scambi di SMS. La serie solleva molte questioni etiche. Fare o meno visita ad un padre moribondo che non è mai stato parte della nostra vita? Quanto siamo disposti a fare per pagare i nostri debiti? È anche la prima serie tv serba di questa portata a mettere in scena una relazione romantica tra due donne.
Il cast è una vera e propria iniezione di freschezza: l'interpretazione di Nikola Rakočević è di una facilità degna di veterani del cinema. La presenza carismatica della giovane Isidora Simijanović, il recitare eccezionale e l'attenzione alle sottigliezze Jovana Stojiljković e l'incredibile naturalezza di di Andrija Kuzmanović sono supportati da ruoli secondari altrettanto interessanti, in particolare quello di Jakša, interpretato da Nemanja Oliverić e di Dušan, il padre di Filip, interpretato da Nebojša Dugalić.
Alcuni critici hanno rimproverato agli autori alcuni "tempi morti" e alcune narrazioni fuorvianti. Sono infatti presenti e per un motivo: “Domani cambierà tutto” è come i giorni dei suoi protagonisti, a volte sorprendenti ed euforici, a volte lenti e ripetitivi.
L'ultimo episodio conferma il messaggio che si libra nell'aria dalla prima scena: non ci sarà nessun deus ex machina, una sola mattina non potrà cambiare tutto e non si verificherà alcun miracolo. Gli eventi saranno collegati con un ritmo naturale, imposto dal tempo e dalle circostanze. Una nota di speranza si aggrappa comunque alla nostra mente alla fine di questa prima e per ora unica stagione, i nostri eroi guarderanno a nuovi orizzonti, ma sempre nel mezzo di un'incertezza permanente, di un eterno “vedremo”.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Croazia-mille-cause-contro-i-giornalisti-192090
--- Citazione ---Croazia, mille cause contro i giornalisti
Sono oltre mille i processi in corso contro i giornalisti o i media croati, e la lista non è completa. La denuncia dell'Associazione dei giornalisti croati
18/01/2019 - Giovanni Vale Zagabria
Dal punto di vista della libertà di espressione e della sicurezza dei giornalisti, in Croazia il 2019 pare cominciare con i peggiori auspici.
Gli ultimi giorni del 2018 hanno infatti portato due notizie preoccupanti per i reporter del paese: prima, un portale satirico è stato condannato per aver scritto delle “falsità” in un articolo di fantasia; poi, l’Associazione dei giornalisti croati (HND) si è vista citare in giudizio dalla televisione pubblica (HRT) che chiede 70mila euro di danni per alcuni commenti critici nei suoi confronti.
Purtroppo, non si tratta di eccezioni, ma di un trend che si sta confermando nel paese: è sempre più frequente, per chi fa giornalismo, essere trascinato in tribunale con l’accusa di diffamazione. L’HND, che in questi giorni sta contando tutte le cause aperte nei confronti dei colleghi, anticipa ad OBCT i dati finora raccolti: "Vi sono ad oggi più di mille processi in corso contro i giornalisti o i media croati”. E la lista non è completa.
Il “Lercio” croato condannato per aver scritto cose non vere
NewsBar.hr è un portale satirico ed umoristico, alla stregua del nostro Lercio.it . Pubblica quotidianamente articoli di politica, sport, economia… e ha persino una dichiarata sezione “clickbait”, oltre che un canale video.
Le “notizie” spaziano dalla "nonna zagabrese (che) batte il record dei 100 metri piani nel prendere il tram ", fino alla presentazione dell’ultima hit dei mercatini di Natale a Zagabria: il "sarmoled ", un mix tra il gelato (sladoled) e il tradizionale cavolo farcito (sarma). Nella sezione politica, tutti i volti più noti finiscono regolarmente nel mirino della satira, con ad esempio la presidente croata Grabar-Kitarović che "sposta il suo ufficio in Spagna per occuparsi del Real Madrid ".
In questo contesto, il caso Bujanec vs. News Bar rasenta i limiti dell’assurdo. Nel 2015, il portale pubblica un articolo dal titolo: «Bujanec rianimato al pronto soccorso, dopo aver letto della confisca di un carico di cocaina da 44 milioni di euro». La storia (inventata) fa riferimento al fatto che Velimir Bujanec, un presentatore televisivo di estrema destra, è stato condannato nel 2014 per aver pagato una prostituta con della cocaina.
Per il giudice, "i fatti e gli eventi riportati nell’articolo sono inventati" e "pubblicati con lo scopo di discreditare moralmente (Bujanec)". Il fatto che nelle condizioni d’uso del portale Newsbar.hr sia precisato che tutte le notizie sono false non è sufficiente perché "non tutti i lettori ne sono al corrente", prosegue il giudice. Morale della favola: il portale è condannato in primo grado a pagare 12mila kune (1.600 euro circa) a Bujanec. La direzione di Newsbar.hr ha annunciato che farà ricorso.
La televisione pubblica croata contro tutti
Il caso della HRT è, se possibile, ancora più sinistro. Tra Natale e Capodanno, la televisione pubblica croata ha chiesto all’Associazione dei giornalisti croati (HND, fondata nel 1910) e a due dei suoi massimi esponenti di pagare una somma complessiva di 500mila kune (circa 70mila euro), per "danni all’onore e alla reputazione".
Ad essere considerati diffamatori dall’HRT, sono un comunicato pubblicato sul sito dell’HND nel settembre scorso e firmato dalla responsabile per la televisione pubblica in seno all’HND Sanja Mikleušević Pavić e alcuni interventi pubblici del presidente dell’HND Hrvoje Zovko. In entrambi i testi, vengono criticate alcune decisioni editoriali dell’HRT e si condanna il possibile coinvolgimento della stessa nello scandalo della rivendita dei biglietti per la Coppa del mondo riservati alla televisione.
L’azione in giustizia della HRT ha fatto scalpore non soltanto per le motivazioni o per la somma richiesta, ma anche perché si inserisce in quella che sembra essere ormai una pratica assodata. L’HND nota infatti che la televisione pubblica croata ha sviluppato l’abitudine di citare in giudizio chiunque la critichi: negli ultimi mesi, una ventina di cause sono state intentate contro otto testate diverse. "È un chiaro esempio di censura", commentano dall’HND.
La vicenda diventa ancora più allarmante se inserita nel suo contesto. Come in Italia, la dirigenza della Tv pubblica è decisa dalla maggioranza al potere. Due anni fa, ai tempi del governo Orešković, la HRT ha sostituito nel giro di tre giorni una sessantina di redattori e caporedattori e, da allora, il numero di giornalisti licenziati è aumentato di pari passo con le accuse di censura interna e pressioni politiche.
Lo stesso Hrvoje Zvonko, presidente dell’HND, è stato licenziato senza preavviso nel settembre scorso dopo aver denunciato alcune pressioni interne in seno alla HRT. Nel frattempo si assiste a un fuggi fuggi di giornalisti che dalla HRT passano alle televisioni private, N1 in primis.
Peggio che negli anni Novanta?
Discutendo con i giornalisti croati e soprattutto con chi è impegnato nei sindacati o all’HND, non è raro sentirsi dire che la situazione della stampa oggi è "peggiore che negli anni Novanta". Può sembrare un’esagerazione, considerato che, durante e dopo la guerra (1991–1995), la Croazia è stata governata in modo autoritario dal primo presidente Franjo Tuđman (1922–1999). Ma i dati sembrano confermare questa versione.
"In quanto al numero di condanne contro i media, il 2018 ha registrato il dato più alto dall’indipendenza della Croazia nel 1991, con alcuni verdetti così illogici che potrebbero essere interpretati come attacchi contro la libertà di espressione". Inizia così un recente articolo di Euractiv sulla situazione dei media in Croazia, analizzando alcuni casi che hanno colpito i principali organi di stampa croati.
Tra le cause di questa situazione, è menzionata anche la legge voluta dal governo socialdemocratico nel 2013 e che ha introdotto il reato di shaming, una variante della diffamazione che può essere invocata dalla persona offesa qualora questa consideri che un articolo l’abbia fatta vergognare, anche se per dei fatti veri. Sta al giudice, poi, valutare se ci fosse pubblico interesse nel pubblicare il fatto.
In Croazia, "è possibile fare causa ai giornalisti anche per dei fatti acclarati", lamenta Oriana Ivković Novokmet dell’associazione GONG, impegnata nel monitoraggio dei processi democratici e del pluralismo nel paese. La nuova normativa si aggiunge ad un generale "caos nel sistema" e al fatto che "i giudici non vogliono occuparsi del nocciolo del problema", producendo così "un’ondata di cause contro i giornalisti".
Oltre mille, appunto, le cause tuttora in corso contro giornalisti e testate appartenenti al gruppo Hanza media (Jutarnji List, Globus…), al gruppo Styria (Večernji List, 24 Sata…), o ancora ai portali Index et T-Portal e ai settimanali Nacional e Novosti. Inoltre, precisa l’HND, questi dati non tengono ancora conto di grandi organi di stampa come RTL, Nova TV, Slobodna Dalmacija, Novi list e altri.
Dall’estero, le prime denunce dell’insostenibilità della situazione in Croazia sono già arrivate, con alcuni eurodeputati che hanno condannato il comportamento dell’HRT e con un comunicato pubblicato anche dalla rete per la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti nei Balcani (Western Balkan’s Regional Platform for Advocating Media Freedom and Journalists’ Safety ). Nessuna presa di posizione, anche solo formale, da parte del governo di Zagabria.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-prima-o-poi-doveva-accadere-192292
--- Citazione ---Albania, prima o poi doveva accadere
Gresa Hasa in manifestazione - foto di Ivana Dervishi e Isa Dervishi
Un fiume di vitalità per la società e il futuro dell'Albania. Un'intervista a Gresa Hasa, attivista del movimento studentesco che sta mettendo in difficoltà il governo albanese
28/01/2019 - Nicola Pedrazzi
«Prima o poi doveva accadere». Sono le prime parole di Gresa Hasa, 23 anni, nata e cresciuta a Tirana, studentessa di Scienze politiche: una delle menti – anche se lei non lo ha detto – della protesta che dal 4 dicembre paralizza l’Università pubblica albanese. Un “Sessantotto altrove”, scattato cinquant’anni dopo? La tentazione al parallelo è forte, ma per capire cosa stia succedendo in Albania potrebbe essere più utile mettersi nei panni di Gresa: una giovane donna europea che non vuole lasciare il suo paese e non capisce perché, in termini di istruzione e di prospettiva, dovrebbe accettare di avere così tanto meno rispetto a una coetanea italiana, tedesca o francese. La cassa di risonanza delle sue parole – tranchant e amare, ma mai venate di vittimismo – è l’insufficienza della democrazia costruita da Berisha e Rama: ex leader dei giovani, che giovani non sono più.
Sono quasi due mesi che non si fa lezione. Come si è arrivati a questo punto?
Il Movimento Lëvizja Për Universitetin esiste dal 2012 e manifesta da più di quattro anni, ma l’Università pubblica è paralizzata dal 4 dicembre scorso, da quando hanno detto agli studenti di architettura che avrebbero dovuto pagare una tassa per ogni credito formativo degli esami arretrati. Da lì è partita una protesta che ha coinvolto diverse città del paese, portando 15.000 studenti davanti al ministero dell’Istruzione.
Quanto è spontanea e quanto organizzata la mobilitazione di massa che stiamo vedendo?
La protesta del 4 dicembre è cominciata grazie agli studenti. Studenti liberi. Lo ribadisco perché il nostro principale problema sono le infiltrazioni dei militanti inviati dai partiti, che vorrebbero strumentalizzarci per loro tornaconto. La maggior parte dei ragazzi che avete visto in strada in questi mesi non è politicizzata, viene da famiglie normali, molti da strati medio-bassi; dalla protesta non guadagnano nulla, anzi rischiano personalmente. In un paese corrotto come il nostro questa cosa fa la differenza, la gratuità della nostra mobilitazione è qualcosa di nuovo ed è la nostra forza. Gli attivisti del Movimento per l’Università si stanno impegnando per tenere costante la mobilitazione e il livello di informazione tra gli studenti; ma anche per noi, che organizziamo manifestazioni da anni, la reazione di dicembre è stata una sorpresa. Una sorpresa bellissima.
Fotoracconto
Il fotoracconto di Ivana Dervishi e Isa Dervishi dei giorni di manifestazioni degli studenti albanesi
Dunque la mobilitazione è spontanea, ma tu e gli altri attivisti del Movimento per l’Università soffiate sulla brace per tenerla viva. Ho capito bene?
Noi del Movimento continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: mobilitazione e sensibilizzazione. Non rivendichiamo alcuna leadership, cerchiamo di dare una mano e di condividere la nostra esperienza con tutti gli studenti che sentono il desiderio di partecipare alla protesta. Per comunicare all’esterno le nostre iniziative utilizziamo una pagina FB e un profilo Instagram .
Cosa avete chiesto al governo? Qual è il vostro obiettivo?
La nostra protesta è diretta conseguenza della riforma dell'istruzione superiore varata nel luglio 2015 [dal primo governo Rama, ndr.] La riforma si basa sull'idea neoliberista che la concorrenza tra le università pubbliche e private (che in Albania sono di più) innalzerà il livello dei servizi e dell’offerta didattica. Per il momento l’università pubblica ha visto crescere solamente le rette, ed è normale che sia così: se il bilancio statale per l’istruzione stanzia il 50% delle sue risorse per le università private, quelle pubbliche dovranno rifarsi sugli iscritti. In Albania buona parte degli studenti lavora, ma un anno di triennale costa circa 350 euro, che è più del salario medio mensile. L’iscrizione al master è molto più cara, si aggira attorno ai 1.700 euro.
A Tirana ci sono studenti da tutto il paese: immaginate che ogni gennaio, per pagare le rette, i fuorisede prendono un autobus che li riporta a casa, chiedono alle loro famiglie uno sforzo immane e ritornano a Tirana con i contanti appena sufficienti a pagare l’iscrizione. Dopodiché bisogna sopravvivere nella città più costosa del paese, in dormitori fatiscenti, senza riscaldamento, senza le strutture basilari per lo studio, senza biblioteche. La nostra situazione è insostenibile, per quale formazione e quale prospettiva stiamo facendo questi sforzi? Quello che chiediamo è l’abolizione della riforma del 2015 ed un serio investimento pubblico per la costruzione di un sistema universitario di qualità e accessibile a tutti.
Potremmo dire che il vostro è un movimento di sinistra…
Se vogliamo utilizzare delle categorie, sì: stiamo lottando per un’istruzione pubblica e garantita; per i diritti delle giovani donne, contro la corruzione e lo schema di potere che rende povero il nostro paese. Ma nel movimento ci sono diverse posizioni ideologiche… Quello che conta e ci rende diversi è che nessuno di noi è iscritto a un partito. In questo momento il Partito Democratico, ma anche il Partito Socialista per l’Integrazione (LSI), gli attuali partiti di opposizione al governo Rama, sono molto aggressivi. Vedono una mobilitazione reale, non controllata da loro, e vogliono impossessarsene. Loro vogliono sostituirsi a Rama, noi vogliamo accesso all’istruzione. Sono due motivazioni molto diverse. Il nostro movimento si occupa di università, nient’altro. Non abbiamo nulla a che spartire con l’opposizione, che è responsabile di questa situazione al pari del governo in carica.
Cosa dicono i docenti? Da che parte stanno?
La maggior parte dei professori ci sostiene: conoscono le condizioni della nostra università perché ci lavorano. Venerdì scorso per la prima volta docenti di tutte le facoltà dell'Università di Tirana si sono riuniti e hanno deciso di sostenere gli studenti. Abbiamo anche casi di “appoggio indesiderato”: docenti che hanno provato a unirsi alla protesta ma hanno dovuto abbandonarla perché accusati pubblicamente dagli studenti, chi di corruzione in sede di esame e chi addirittura di molestie sessuali. La situazione è mista, in linea di massima vige solidarietà.
Il femminismo? È un fattore del movimento studentesco?
Direi che il femminismo è al centro. Questa è la prima protesta di massa in cui le donne e i diritti delle donne albanesi sono un argomento. La maggioranza del movimento è composta da ragazze, e non stupisce, perché questa riforma universitaria penalizza soprattutto loro. Parliamoci chiaro: cosa fa una donna albanese senza accesso all’istruzione? Passa da un padre a un marito. Nel movimento i ragazzi sono al nostro fianco, ma le ragazze sono le più coraggiose. Perché noi abbiamo molto più da perdere. Questo è un altro aspetto che sta mandano in paranoia il potere.
I genitori cosa vi dicono? Come affrontate il gap generazionale?
In verità tanti genitori ci sostengono. In corteo abbiamo avuto dei nonni, ci credi? Ma è ovvio che veniamo da una società patriarcale, si tratta di cambiare la mentalità. Un giorno c’è stato un dibattito interessante, interno al movimento, sull’opportunità di andare in strada a manifestare in gonna. E allora sai cosa abbiamo fatto? Ci siamo andate tutte quante con la minigonna e senza reggiseno. È stata una protesta dentro la protesta. Mi è piaciuta molto.
Che ruolo ha l’Europa nella vostra mobilitazione? Parlo di Europa come modello sociale, come prospettiva futura e riferimento culturale.
Il nostro movimento nasce dalle condizioni in cui versa il nostro paese, ma noi non ne rivendichiamo l’albanesità, sarebbe assurdo: cerchiamo di prendere spunto da quei paesi dove le cose vanno meglio, anche se sappiamo che ogni paese ha i suoi problemi, la mia generazione non idealizza più. Al momento tutte le facoltà pubbliche sono occupate: stiamo organizzando letture, proiezioni, dibattiti sui movimenti sociali in Europa e nel mondo. Facciamo paragoni, perché è utile comprendere che certe richieste in altre parti del mondo sono già state fatte; e abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà dagli studenti di mezza Europa, inclusa l’Italia. Il governo ci dice che le casse dello stato albanese rendono impossibile un’istruzione pubblica gratuita, noi diciamo che è proprio questo stato di cose a renderla necessaria, e che questa cosa già esiste, in Europa e nel mondo. Insieme con i professori abbiamo analizzato i sistemi educativi di diciassette paesi europei, comparando quanto questi stati investano nell’educazione pubblica in proporzione al loro PIL e al loro salario medio. Non stiamo parlando di utopie, ma di politiche possibili.
Considerato lo stato in cui versa il welfare albanese si capisce perché le vostre richieste vengano considerate ambiziose. In questo senso, anche se girate alla larga dai partiti, il vostro è un movimento politico, perché per ottenere quello che chiedete occorrono tutta una serie di riforme in materia di fiscalità pubblica che non si cambiano dall’oggi al domani, si tratta di imporre un nuovo paradigma culturale. È normale che si veda in voi un’alternativa per il paese. Siete sicuri di non incarnare una nuova élite culturale?
Vedi, farsi queste domande è esattamente quello che dobbiamo evitare in questo momento. Questo paese ha moltissimi problemi, la cosa buona del Movimento per l’Università è che non è colluso con il potere. Durante il regime di Berisha non avremmo potuto avere piazze così, ma il potere politico in Albania resta malato, su questo non c’è stato nessun cambiamento, e noi non ci stiamo. Durante le proteste davanti al ministero dell’Istruzione alcuni militanti dei partiti hanno cercato di dividerci utilizzando la tentazione della politica: “Basta stare qui davanti, andiamo alla sede del primo ministro, buttiamo giù Rama”. Anche i militanti del partito socialista ci hanno provato, arrivavano in facoltà e dicevano: “Siamo studenti come voi, ma vogliamo fare lezione”. Al che abbiamo votato: la maggioranza voleva continuare la protesta. Il Movimento per l’Università deve stare lontano da queste dinamiche. Noi non chiediamo le dimissioni del governo Rama, perché questo comporterebbe la sua sostituzione con un altro governo che è altrettanto responsabile dello stato della nostra università. Al contempo non ascoltiamo Rama, che ha detto che vuole parlare a un leader. Il giorno in cui ci porremo il problema di individuare un leader il nostro movimento sarà finito.
Quindi cosa farete? Qual è il piano?
Continueremo a occupare. Il 75% degli studenti è d’accordo sul blocco delle lezioni, nessuna facoltà riprenderà a funzionare. Inizialmente ci aveva dato dei ripetenti, poi Rama cambiato i toni, ha accettato di rispondere alle domande degli studenti e ha dichiarato che ascolterà le nostre richieste. Propaganda: fino a quando non sarà cancellata la legge del 2015 per noi tutto questo è irrilevante. È possibile che torneremo in strada, ma non lo sappiamo nemmeno noi, perché siamo spontanei, bisogna che i politici si rassegnino a questa novità.
Non temete che tutta questa spontaneità vi sfugga di mano?
Stiamo parlando della più grande mobilitazione in 28 anni di “democrazia”, il sistema è ancora sotto shock. Sinora le manifestazioni sono state pacifiche, nessuno si è mai azzardato a tirare qualcosa, e così deve rimanere, gli studenti sono contro la violenza. Gli unici momenti di tensione, come ti dicevo, sono stati causati dai rappresentanti dei partiti che hanno provato a manipolare il movimento, e che con noi sono molto aggressivi: ci odiano proprio. Nelle ultime settimane, poi, abbiamo avuto la polizia all’interno delle facoltà. Secondo la legge, la polizia non può entrare in università, se non per disastri ambientali. Alcune delle loro azioni sono state fisiche, e questo non va bene, non va bene che il governo lo abbia consentito.
Il Presidente della Repubblica, in una sua dichiarazione, ha invitato la politica a considerare le istanze degli studenti. Vi sentite tutelati dalla massima carica dello Stato?
Oh Dio, Ilir Meta rappresenta tutto quello che non funziona. Belle parole, ma sfortunatamente conosciamo chi le ha pronunciate.
E i giornalisti? I media raccontano la protesta?
Ci sono media molto attenti, soprattutto quelli dell’opposizione, per le ragioni di cui sopra; ma le nostre dichiarazioni sono spesso tagliate o manipolate. Cerchiamo di rendere semplice e chiaro il nostro messaggio, e per questo accettiamo di partecipare ai talk show in cui veniamo invitati. La maggior parte di noi non è preparata sul piano della comunicazione, ma da quando sono iniziate le proteste ho visto cose incredibili, ragazze tener testa al primo ministro e metterlo in difficoltà. Ho visto il coraggio.
Esiste un collegamento tra la vostra protesta e altre rivendicazioni della società albanese? Penso alle manifestazioni ambientaliste di qualche anno fa, o alla recente polemica sulla demolizione del teatro Nazionale.
Ripeto: non cerchiamo di creare collegamenti con altre altre questioni politiche, ma siamo aperti a chiunque desideri manifestare per l’università; in strada al nostro fianco sono scesi rappresentanti delle istanze che ricordavi, ambientalisti e attivisti che hanno difeso il teatro Nazionale, ma c’erano anche anziani, genitori, famiglie, semplici cittadini… Gli unici che non vogliamo al nostro fianco, lo ribadirò fino allo sfinimento, sono i membri e i rappresentanti dei partiti politici, sia di governo che di opposizione.
No partiti. Ti giuro che l’ho segnato. Ma fammi capire come riconoscete questi “infiltrati”.
Si capisce da come parlano. E poi grazie a Dio c’è internet: vediamo da FB se hanno fatto foto con politici, se sono attivi; in quel caso non vengono con noi semplicemente in quanto studenti.
Mettiamo che la mia famiglia sia del PD, e che mio padre ha pubblicato un selfie di lui con Basha, perché quando era sindaco è venuto a inaugurare il cantiere in cui lavorava... Provo a unirmi alla protesta ma sulla base del FB di mio padre mi emarginate. Non mi sembra un criterio molto democratico…
Tutti sono i benvenuti, non fraintendiamoci. Non è un problema di credo politico, non è una discriminazione; si tratta di isolare persone che cercano di mischiarsi a noi per ordine del loro partito. Forse fuori di qui si fatica a comprenderlo, ma in Albania la politica non è fatta di idee, è fatta di fazioni, per questo non la vogliamo con noi. Anche questo parallelo che fanno con gli anni Novanta è una manipolazione storica utile alla loro lotta per il potere, che a noi non interessa.
A proposito di paralleli storici stiracchiati… Qui in Italia la tentazione di dipingere un ’68 albanese è molto forte. Posso chiederti cosa ne pensi di questo modo di guardare all’Albania? Non è sminuente descrivervi come pezzo d’Europa in ritardo sulla cronologia?
Non so come risponderti. Senza dubbio sentiamo che è tempo anche per noi. Veniamo da quarantacinque anni di dittatura e da ventotto anni di “democrazia” con le virgolette, anni in cui le generazioni di giovani che si sono susseguite non hanno mai alzato la voce come stiamo facendo oggi. Secondo me noi siamo molto diversi dai ragazzi degli anni Novanta: gli studenti della transizione, i miei genitori, venivano dalla dittatura e non avevano prospettive reali dal punto di vista della società. Democrazia e benessere erano il sogno, molti l’hanno realizzato andando via, ma al posto del ’68 in Albania abbiamo fatto il ’97 (ero piccola però la guerra me la ricordo…). Ora ci siamo noi: ancora una volta senza prospettive né dentro né fuori l’Università, ma consapevoli e non depressi. Noi non vogliamo chiedere asilo in Europa, non vogliamo finire per strada cercando di nutrirci e di sopravvivere. Noi vogliamo trasformare questa merda. Senza questa speranza tutto in Albania sarebbe troppo buio: in un certo senso siamo obbligati a crederci. Se vogliamo una società migliore, una società senza corruzione, omicidi e violenza sulle donne, dobbiamo chiedere più istruzione. Una società diversa passa dall’università.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Le-carceri-in-Slovenia-e-il-modello-scandinavo-192186
--- Citazione ---Le carceri in Slovenia e il modello scandinavo
Con i suoi 1400 detenuti, la Slovenia è tra i paesi europei con il più basso tasso di detenuti per abitanti. Ma il sovraffollamento rimane un problema e gli esperti chiedono politiche di reinserimento sociale
28/01/2019 - Charles Nonnes
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 20 gennaio 2019)
Niente fa capire al visitatore che sta per entrare in un penitenziario. Lasciando la via principale di Ig, piccola città a sud di Lubiana, una stretta strada asfaltata serpeggia attraverso file di conifere senza incontrare alcuna barriera, guardia o dispositivo di sicurezza.
L'edificio massiccio assomiglia ad uno tra le centinaia di forti medievali del territorio sloveno: residenza nobiliare fino al 1717, ha attraversato rivolte contadine, gli attacchi degli Ottomani, la villeggiatura dei carabinieri italiani, l'incendio innescato dai partigiani. Solo le sbarre delle finestre tradiscono il fatto che il castello di Ig, vecchio più di sei secoli, è una delle sei prigioni della Slovenia e l'unico centro di detenzione femminile nel paese.
Il penitenziario ha 50 dipendenti e 75 detenute, divise in zone chiuse, semi-aperte o aperte. Le quattordici detenute di quest'ultima categoria possono liberamente fare telefonate, usare i loro computer, Internet e camminare nel parco vicino alla fortezza. Le uscite avvengono senza intoppi. "C'è una buona convivenza con la popolazione locale", sottolinea Tadeja Glavica, direttrice della prigione.
Con un tasso di occupazione di solo il 72,82%, Ig risulta sicuramente un carcere modello. Per Tadeja Glavica la principale difficoltà sta nell'utilizzo dell'edificio, in qualche suo aspetto poco adatto alla funzione che svolge: "C'è solo uno spazio molto piccolo per le madri che ricevono visite dai propri figli, non abbiamo un posto dedicato per le visite e le detenute spesso dormono in ampie sale comuni senza alcuna intimità”.
Studente modello, in apparenza
Ci sono solo sei carceri in Slovenia. Data l'assenza di grandi centri urbani, il tasso di criminalità rimane inferiore rispetto ad altri paesi della regione. Il 60% delle condanne a reclusione sono legate a furti, furti con scasso o traffico di droga. L'ergastolo è in vigore dal 2008, ma la pena massima rimane de facto di 30 anni di reclusione.
"Spiegando a un collega messicano che la Slovenia aveva solo 1.500 detenuti, inizialmente pensò che avevo dimenticato degli zeri", sorride Damjana Žist, penalista e giornalista giudiziaria per il quotidiano di Maribor Večer. Nel 2016, il tasso medio di incarcerazione in Slovenia era del 63,4 per 100.000 abitanti, a fronte dei 117 come media europea.
Europa
Dall’inizio del secolo il vecchio continente è l’unica macroregione al mondo a conoscere una riduzione della popolazione carceraria. Una tendenza che si spiega con gli sviluppi positivi in Russia e in Europa centro-orientale. Invece in Italia si registra un aumento del 13% in tre anni, e si fa notare il problema del sovraffollamento. Un'analisi del network Edjnet
Il paese ha 1398 prigionieri per 1339 posti disponibili, con un tasso di occupazione quindi del 104%. La realtà è però più contrastata: la prigione di alta sicurezza di Dob, 60 chilometri a est di Lubiana, ospita 497 detenuti per 449 posti, nonostante la costruzione di una nuova ala nel 2012. La piccola prigione di Capodistria ospita 146 detenuti per 110 posti. Inoltre la popolazione carceraria è in aumento, in particolare tra le donne, e il tasso di recidiva raggiungerebbe il 50% tra i detenuti di età superiore ai 18 anni.
Il problema è amplificato dalla precarietà di strutture che inizialmente non erano state concepite come prigioni. Lubiana rimane la pecora nera: "Fino al 2014 c'erano ancora prigionieri stipati in celle dove i bagni e la doccia erano separati dal resto della cella da una tenda", sottolinea Damijana Žist.
Condanne internazionali
La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) viene regolarmente adita da detenuti sloveni che denunciano l'angustia e l'insalubrità delle loro celle: tra il 2012 e il 2018, lo stato ha pagato più di 173.277 euro di danni e interessi a detenuti ed ex detenuti. A questi si aggiungono i 119.204 euro erogati a seguito di procedimenti giudiziari intentati nei tribunali sloveni.
L'ombudsman slovena Vlasta Nussdorfer, che ha in ogni caso sottolineato evidenti miglioramenti negli ultimi anni, rileva "condizioni di vita ancora negative nella maggior parte delle strutture. I prigionieri non devono essere privati della loro dignità umana". Ogni anno, il suo ufficio pubblica raccomandazioni come la possibilità di lavorare per i detenuti che ne facessero richiesta, una migliore assistenza per i gruppi più vulnerabili e la ristrutturazione delle celle.
Il fenomeno è aggravato dalla carenza di personale: "Siamo in situazioni in cui un solo poliziotto accompagna un detenuto in tribunale e siamo talvolta obbligati a rinviare le udienze", afferma Damjana Žist. Il personale di altre carceri deve a volte dare man forte a quello di Lubiana, in un contesto di spossatezza denunciato dai sindacati: tra gennaio e luglio 2018, ogni guardia ha lavorato in media 91 ore di straordinario.
Le falle del sistema sono state messe a nudo nel caso dell'evasione nel gennaio 2019 di due detenuti dalla prigione di Capodistria, fuggiti dopo aver segato le sbarre della loro cella e aver utilizzato dei bidoni della spazzatura impilati nel cuore della notte. La loro fuga è stata scoperta solo il giorno successivo, a colazione. L'incidente è costato al direttore della prigione un pensionamento immediato, oltre a un rapporto al vetriolo della commissione di inchiesta.
Pene alternative
Da oggi al 2023, saranno investiti più di 100 milioni di euro per la costruzione di un nuovo penitenziario nei pressi della capitale. Avrà una capacità di 388 posti, più del doppio della prigione di Lubiana, che andrà a sostituire. Ig sarà ristrutturato e ampliato. L'ombudsman Damjana Žist si felicita di queste misure pur rilevando che "il problema del sovraffollamento non può essere risolto con la semplice costruzione di nuove prigioni". Il governo sta addirittura pensando di poter riassegnare i soldati che sono oltre i 45 anni alla sorveglianza penitenziaria.
Per Damjana Žist, il problema è l'indurimento delle pene. "I penitenziari sarebbero meno affollati se i giudici usassero più spesso punizioni alternative", come servizi alla comunità, arresti domiciliari e il carcere nel fine settimana. Tuttavia, questi ultimi sono accessibili solo per reati punibili con la reclusione fino a tre anni e su richiesta dell'imputato. L'alternativa spesso è solo tra carcere e assoluzione.
"La costruzione di carceri era assolutamente necessaria, ma è solo uno spegnere l'incendio quando le luci di emergenza lampeggiano", sottolinea Mojca Plesničar, ricercatrice presso l'Istituto di criminologia della facoltà di diritto di Lubiana. Al di là della questione delle pene alternative, Plesničar evidenzia la mancanza di omogeneità nelle politiche in campo penale. "I segnali inviati dal ministero della Giustizia non sempre sono coerenti. Spesso si dipende dall'iniziativa personale dei giudici”. Inoltre, in assenza di linee guida specifiche, la gestione di ciascun carcere dipende dallo stile del suo direttore.
Il sistema scandinavo
Il quadro rimane comunque positivo se lo si compara al contesto internazionale. Il tasso di affollamento è inferiore rispetto ad altri paesi come la Francia o il Belgio. Le condanne dei giudici di Strasburgo per trattamenti umanitari o degradanti riguardano solo il carcere di Lubiana. I rari casi di strutture obsolescenti dovrebbero essere risolti con i recenti investimenti. Il concetto di "regime aperto" ricorda tra l'altro le prigioni aperte in gran numero in Svezia.
"In verità - dice Mojca Plesničar - non siamo così lontani dal modello scandinavo. Ci sono ovviamente fattori che dipendono dal PIL del paese, ma il divario fondamentale tra gli stati del nord e la Slovenia è più legato alla concezione del regime carcerario. La Slovenia rimane combattuta tra la visione punitiva del sistema anglosassone e il sistema riabilitativo scandinavo, incentrato sui bisogni e sulla reintegrazione dei detenuti”.
E Mojca Plesničar poi tira fuori una sorprendente fonte di ispirazione: la Jugoslavia negli anni '80, che avrebbe promosso il sostegno umano per i detenuti piuttosto che l'asprezza della sorveglianza. "All'epoca, la socioterapia era parte integrante del sistema carcerario. Le autorità erano consapevoli dell'importanza di aprire il carcere. Ig era a quei tempi un modello: quasi tutte le detenute erano collocate nell'area aperta. In contatto quasi permanente con il mondo esterno".
--- Termina citazione ---
Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/95655
--- Citazione ---RUSSIA: Un senatore è stato arrestato per omicidio e altre gravi accuse
Martina Turra 9 ore fa
Mercoledì 30 gennaio, Rauf Arashukov, il trentaduenne senatore russo per la regione Karačaj-Circassia, è stato arrestato in Senato durante una riunione del Consiglio della Federazione. È accusato di almeno due omicidi su commissione verificatisi nel 2010.
Le dinamiche dell’arresto
Lo scorso mercoledì, è stato annunciato che la regolare sessione parlamentare che doveva svolgersi quella mattina era stata chiusa alla stampa. In seguito, i presenti hanno votato affinché venissero sottratte ad Arashukov le immunità parlamentari al fine di poterlo perseguire. Stando a quanto riporta l’agenzia di stampa russa TASS, il senatore ha tentato la fuga durante il discorso del procuratore generale russo Yury Chaika ma, in seguito al sollecito da parte della portavoce del Consiglio della Federazione Valentina Matviyenko, è stato costretto a rimanere in aula. Le forze dell’ordine, che in quel momento avevano già circondato l’edificio, lo hanno quindi arrestato. Più tardi, un tribunale di Mosca ha ordinato la sua detenzione preventiva fino al 30 marzo.
Le accuse a carico di Arashukov
La principale accusa a carico del senatore è l’aver collaborato a due omicidi avvenuti nel 2010. Le vittime furono un assistente presidenziale ed un giovane politico. Vivevano nella stessa regione di provenienza di Arashukov, la Karačaj-Circassia, che si estende nel versante nord-occidentale del Caucaso. Tuttavia, il senatore nega ogni accusa, anche se sembra che sia responsabile anche di altri due omicidi. Il sito web Baza riporta alcune segnalazioni non verificate che sosterrebbero queste denunce, mostrando come prova il fatto che la polizia ha trovato nella sua casa un passaporto falso che gli sarebbe servito per scappare negli Emirati Arabi Uniti.
Una dichiarazione della commissione d’inchiesta russa afferma che Arashukov avrebbe anche agito come membro di un gruppo organizzato del quale faceva parte anche il padre Raul Arashukov. Quest’ultimo è stato arrestato lo stesso giorno con l’accusa di appropriazione indebita. Infine, il senatore è inoltre accusato di aver falsificato gli stessi documenti che gli hanno permesso di prendere parte al Consiglio della Federazione. È stato quindi espulso dal partito “Russia Unita”.
--- Termina citazione ---
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