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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Sardus_Pater:
Arme Deutschland.

Frank:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/28/laquila-e-la-piovra-il-racconto-di-un-poliziotto-italiano-in-albania-fra-trafficanti-e-politici-corrotti/1991057/


--- Citazione ---“L’Aquila e la Piovra”, il racconto di un poliziotto italiano in Albania fra trafficanti e politici corrotti
di Mario Portanova   

PAGINE NERE - Libri su crimini veri italiani e no/ Il diario in presa diretta di Gianni Palagonia - nome finto di un investigatore vero - in servizio negli anni 2000 nell'ufficio di collegamento di Tirana. Le ragazze inghiottite nella tratta, il trafficante in visita a una grande discarica italiana, il ministro che viaggia su una Mercedes rubata in Germania. Ritratto criminale (e sentimentale) di un Paese molto vicino a noi
di Mario Portanova | 28 agosto 2015
Più informazioni su: Albania, Narcotraffico, Polizia, Traffico di Rifiuti, Traffico Esseri Umani

Le tragedie dell’immigrazione riportano all’attualità la questione delle mafie straniere, cresciute intorno ai nostri confini, terrestri e marittimi, soprattutto grazie al traffico di esseri umani e di droga. In “L’aquila e la piovra – Un poliziotto italiano in missione in Albania” (Edizioni CentoAutori, 319 pagine, 16,50 euro), Gianni Palagonia svela il dietro le quinte delle attività delle nostre forze dell’ordine in Paesi caldi. Palagonia è il “nome falso di un poliziotto vero” che ha già all’attivo due romanzi, in realtà esperienze di vita vissuta in cui nomi e circostanze sono alterate quanto basta per garantire la necessaria riservatezza. Senza concedere nulla a preziosismi stilistici Palagonia, siciliano, investigatore protagonista nella realtà di delicate inchieste antimafia e antiterrorismo, offre un racconto in presa diretta della sua esperienza nell’ufficio di collegamento tra polizia albanese e italiana a Tirana negli anni 2000. Leit motiv del libro è il classico dilemma dello sbirro tra rispetto delle regole e necessità di portare a casa risultati. O, più semplicemente, di evitare un omicidio annunciato, con gli scarsi margini di manovra sanciti dai protocolli bilaterali e dal divieto di portare armi in un Paese dove negli anni Novanta sono state saccheggiate le caserme e non sono pochi quelli che conservano in casa un Kalashnikov.

Naturalmente Palagonia si imbatte in tragiche storie di emigrazione, viste con gli occhi degli altri. Come le croci bianche intorno alla chiesa di Blinshit – tra le montagne del Nord, la parte più povera dell’Albania – dedicate alle “ragazze smarrite di Zadrima”. Cioè le ragazze rapite dai trafficanti per essere avviate alla prostituzione in Italia, di cui i familiari non hanno saputo più nulla. Il che ci ricorda dolorosamente che a volte i temuti barconi dell'”invasione” sono trainati più dalla domanda che dall’offerta. Ma non è questo l’unico business criminale tra le due sponde dell’Adriatico. Il poliziotto-scrittore racconta una rocambolesca indagine su uno dei più importanti trafficanti di droga albanesi, in contatto con la ‘ndrangheta, agganciato in palestra dalla squadretta di investigatori italiani e inzeppato di “cimici” in occasione di un suo viaggio in Italia. Anche qui i nomi sono finti, tranne uno, quello di Borgo Montello. A sopresa, questa piccola frazione del Comune di Latina è l’unica meta del viaggio del trafficante, oltre alla visita a una società che si occupa, guarda un po’, di impianti eolici. Borgo Montello è la sede della seconda discarica di rifiuti del Lazio, intrisa di veleni e misteri. Poi ci sono i criminali disorganizzati, ma pericolosi lo stesso. Come l’albanese residente in italia che via sms annuncia a un amico di essere tornato in patria a uccidere “quella puttana” della sue ex, colpevole di essersi trovata un altro un po’ troppo presto, dando adito al sospetto di corna pregresse. La ragazza in questione ringrazierà le intercettazioni telefoniche.

E’ la dura legge del Kanun, il codice d’onore tradizionale che regola in modo drastico le questioni d’onore e le vendette di sangue e priva le donne di qualunque diritto (eredità compresa). Palagonia racconta un’Albania dove il Kanun offre la griglia di “valori” alle organizzazioni criminali, la corruzione è capillare – la mazzetta è necessaria anche per ottenere le minime cure in ospedale -, politici e mafiosi vanno a braccetto, i poliziotti integri finiscono disoccupati, per chi ha le amicizie giuste la legge è un optional e la maggioranza degli onesti fa sforzi eroici per resistere e sopravvivere. E ‘ citato anche un ministro che viaggia su una “Mercedes rubata in Germania” con due mafiosi come guardaspalle, ma il “protocollo” in casi come questi non prevede interventi da parte dei nostri agenti. Di fronte a questa Albania il poliziotto italiano si stupisce. Ma fino a un certo punto.

LA FRASE. “Il controllo non lo vuole nessuno perché sarebbe una perdita enorme di denaro che serve comunque a muovere l’economia di un’intera nazione e a fare arricchire i soliti noti”.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/19/news/albania_paura_furti-158678977/


--- Citazione ---Albania, allarme rapine dopo l'ultimo colpo grosso all'aeroporto: pronte misure d'emergenza

Presa una banda armata dopo una spettacolare caccia all'uomo. Sarebbe la stessa che lo scorso giugno fece irruzione indisturbata nel settore partenze, bottino oltre 3 milioni. Bruxelles ammonisce che per un’adesione futura del paese all’Unione europea - obiettivo strategico del premier Rama – è necessaria una vittoria definitiva contro malavita e corruzione
di ANDREA TARQUINI
19 febbraio 2017

Allarme rapine in Albania, il governo annuncia misure d’emergenza. L’ultima vicenda evoca quasi i film con cui Hollywood narrò del crimine a Chicago e altrove in Usa ai tempi di Al Capone. Dopo una spettacolare caccia all’uomo durata in tutto dieci giorni, la polizia albanese ha arrestato i sei membri della banda che il 9 febbraio scorso aveva assaltato un furgone blindato portavalori non lontano dall’aeroporto della capitale Tirana, dunque in una delle zone del paese dove dovrebbe essere garantito il massimo livello di sicurezza.

I sei arrestati, secondo il capo della polizia, Ervin Hodaj, erano gli stessi che in dicembre avevano assaltato a mano armata e svaligiato un altro camioncino portavalori, sempre nei pressi dell’aeroporto. E nel giugno dell’anno scorso, alcuni gangster erano addirittura riusciti a entrare, armi in pugno, nella zona di sicurezza del lato partenze dello scalo rubando circa 3 milioni di euro. Mentre a ottobre un’altra banda – forse la stessa del colpo del 9 scorso contro il furgone - aveva svaligiato una gioielleria in pieno centro, facendo saltare un muro dell’edificio con una potente carica esplosiva.
       
L’ultima rapina è stata il caso più clamoroso, dicono le autorità citate dalla Reuters e dall’agenzia di stampa cinese Xinhua. Il 9 febbraio appunto i sei, armati fino ai denti, avevano bloccato il furgone portavalori della ditta privata ‘Jaguar security’, e senza alcun problema avevano rubato un totale di 3,2 milioni di euro in varie valute. Lo hanno assaltato speronandolo con due potenti auto, poi sparando coi mitra gli hanno messo fuori uso tutti i 4 pneumatici. Hanno agito con calma, per dieci lunghi minuti.

Gravi sospetti pesano sulle guardie a bordo del furgone, che a quanto pare non hanno tentato di opporre resistenza, e probabilmente anche su altri componenti dei corpi privati di vigilantes portavalori: "Sono pagati poco e male, non possono essere eroi", ha detto il ministro dell’Interno, Saimir Tahiri. La dinamica della rapina è sconcertante: durante l’assalto, le guardie private non avevano acceso il sistema Gps che ovunque, di solito, consente alla centrale di ogni ditta portavalori, in collegamento con la polizia, di localizzare i furgoni carichi di denaro e quindi di scoprire in tempo una rapina. Il dispositivo Gps, addirittura, era stato spostato: non si trovava vicino ai sacchi colmi di banconote, ma sotto uno dei sedili della cabina di guida.

E le telecamere di sicurezza a bordo del furgone erano spente. Tutte tranne una che ha filmato i dieci minuti della rapina, mostrando i gangster che con tutta calma caricavano sulle loro auto una decina di enormi sacchi pieni di valuta. Poi sono fuggiti, e in un villaggio poco lontano, per ironia in una strada chiamata ‘Via dei ladri’,  hanno dato le loro vetture alle fiamme continuando il loro viaggio con altri veicoli.

La ‘Jaguar security’ si è vista subito ritirare la licenza. E governo e alti gradi della polizia studiano con la Banca centrale e gli istituti di credito misure per migliorare le garanzie di sicurezza. Un’ipotesi operativa è di affidare il trasporto di valuta ad agenti delle forze dell’ordine o dei corpi speciali, evidentemente ritenuti più affidabili delle guardie private.
       
La caccia all’uomo è durata fino a stamane quando, afferma la Xinhua, la polizia ha arrestato Admir Murataj, il capobanda. Gli altri cinque erano caduti nella rete degli agenti martedì scorso. Uno di loro aveva lavorato per la compagnia portavalori, altri due erano ex commandos dell’esercito albanese con alto addestramento militare: avevano prestato servizio nel piccolo contingente inviato dal paese in Afghanistan nell’ambito delle operazioni Nato. L’associazione delle banche albanesi esprime allarme: proprio la strada che dalla capitale conduce all’aeroporto internazionale “Madre Teresa” dovrebbe essere una delle più sicure, perché spessissimo vi transitano furgoni portavalori.
       
La rapina all’interno dell’aeroporto era avvenuta, scrive la Xinhua, il 30 giugno scorso. Tre gangster armati erano riusciti a entrare nell’area di sicurezza del settore partenze, senza che nessuno tentasse di fermarli, e da banche e negozi avevano rapinato circa 3 milioni di euro. La rapina con l’esplosivo condotta contro la gioielleria era avvenuta in ottobre, ed era fruttata mezzo milione di euro. La polizia sospetta che i suoi autori siano gli stessi del colpo contro il furgone condotto appunto il 9 febbraio scorso nei pressi dell’aeroporto.
       
Dopo mezzo secolo di spietata dittatura stalinista guidata da Enver Hoxha, che fu brutale e isolata dal mondo un po’come la Corea del Nord, l’Albania ha fatto dapprima lenti passi avanti verso una normalizzazione. Da quando Edi Rama, prima popolare sindaco-rinnovatore di Tirana, è diventato premier, riforme, modernizzazione e sviluppo economico hanno compiuto grandi progressi. Ma per un’adesione futura all’Unione europea – obiettivo strategico di Rama – è necessaria, come ammonisce Bruxelles, una vittoria definitiva contro malavita e corruzione.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/87934


--- Citazione ---ROMANIA: Prima donna premier. Ma c’è poco da festeggiare
Francesco Magno 2 giorni fa   

Il presidente della Repubblica Klaus Iohannis ha accettato la proposta socialista: Viorica Dăncilă sarà il nuovo primo ministro del paese. La Dăncilă, 54 anni, è attualmente europarlamentare del partito social-democratico (PSD). E’ nata a Videle, nella provincia di Teleorman; stessa città di cui è originaria Carmen Dan, il ministro degli Interni che l’ex premier Tudose voleva a tutti i costi allontanare dal suo governo. Teleorman è poi la provincia di Liviu Dragnea, il territorio che il padre padrone del partito governa indisturbato da vent’anni e da cui ha iniziato la sua scalata verso i palazzi del potere di Bucarest.

Leggendo la stampa occidentale, spesso tristemente offuscata dalla sindrome del politically correct, il sesso del nuovo primo ministro sembra offuscare il suo background politico. La Dăncilă non vanta infatti grandi realizzazioni; presidente dell’associazione femminile del PSD e due volte europarlamentare, essa non possiede alcun tipo di esperienza nell’amministrazione del paese. Il suo curriculum non riporta la conoscenza di lingue straniere, sebbene Dragnea sostenga la sua piena padronanza dell’inglese e del francese. Molti commentatori sostengono che la scelta sarebbe caduta su di lei dopo i rifiuti di altri più autorevoli membri del partito, tra cui spiccano il premier a interim Mihai Fifor e, soprattutto, il sindaco di Bucarest Gabriela Firea, da molti accreditata come una delle possibili sfidanti di Klaus Iohannis alle elezioni presidenziali del 2019.

La Dăncilă non ha mai nascosto la vicinanza al suo conterraneo Dragnea. Quest’ultimo, dopo due primi ministri “troppo indipendenti” ha optato per una persona fedele e ligia alle direttive del partito. E’ difficile credere che il nuovo premier arriverà allo scontro frontale con il presidente del PSD così come hanno fatto Grindeanu prima e Tudose poi. Nel febbraio 2017, quando Bucarest divenne teatro delle grandi proteste di piazza, la Dăncilă difese strenuamente a Bruxelles la modifica delle leggi sulla giustizia promossa dal suo partito, rispondendo piccata ad altri europarlamentari che dubitavano della bontà di suddette normative. Non sarebbe sorprendente pertanto vedere un nuovo tentativo di modifica della legislazione anti-corruzione, favorito questa volta dalla presenza di un primo ministro accondiscendente.

Perché Iohannis ha accettato la proposta di Dragnea? Il presidente ha agito pensando prima di tutto al suo tornaconto politico. Diventare adesso l’arbitro della vita politica romena, nominando un governo di unità nazionale o trascinando il paese verso le elezioni anticipate, lo avrebbe posto troppo sotto i riflettori. Un rischio molto grosso, a un anno dalle elezioni presidenziali. Iohannis ha scommesso sull’autodistruzione del PSD, falcidiato dalle lotte interne, il che gli garantirebbe una facile rielezione nel 2019. Senza contare il fatto che l’instabilità provocata dall’assenza di un governo forte potrebbe avere effetti gravissimi sull’economia romena.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/87892


--- Citazione ---KOSOVO: Ucciso Oliver Ivanovic, uno dei maggiori leader della comunità serba
Riccardo Celeghini 4 giorni fa   

Oliver Ivanović, uno dei maggiori leader politici dei serbi del Kosovo, è stato ucciso questa mattina a Nord Mitrovica. L’omicidio è avvenuto di fronte alla sede del suo partito, Građanska inicijativa “Srbija demokratija pravda”, dove Ivanović è stato raggiunto da cinque colpi di pistola. Alla notizia, il governo serbo ha annullato il previsto incontro di oggi a Bruxelles con la delegazione kosovara – parte del dialogo tra Kosovo e Serbia sotto la tutela dell’Unione Europea. Il capo dell’Ufficio per il Kosovo e Metohija del governo serbo, Marko Đurić, ha definito l’omicidio un atto criminale e terroristico, nonché un attacco a tutto il popolo serbo. Il governo kosovaro ha condannato con fermezza l’omicidio.

Di ritorno da Bruxelles, il presidente della repubblica Aleksandar Vučić, ha convocato per mezzogiorno una sessione straordinaria del Consiglio di Sicurezza Nazionale, alla quale è seguita la conferenza per i giornalisti alle 13. Alla conferenza, Vučić ha confermato che si tratta di un attentato terroristico contro tutto il paese e che i responsabili verranno consegnati alla giustizia.
Il presidente ha poi approfittato della presenza dei media per condannare le speculazioni pubblicate sui social poco dopo la conferma della morte di Ivanović, e per affermare che queste provengono da coloro che vorrebbero che “lo stivale albanese calpesti il nord del Kosovo”. Inoltre, Vučić ha fatto riferimenti diretti ai suoi oppositori politici, tra cui Saša Janković e Dragan Đilas, per difendersi dalle accuse di tradimento della questione kosovara.

Ivanović è stata una delle figure preminenti della comunità serba in Kosovo negli ultimi venti anni. La sua carriera politica inizia negli anni della guerra, quando diventa presidente del Consiglio Nazionale Serbo per il Nord Kosovo e Metohija. Da allora è emerso come uno dei leader più dialoganti del nord Kosovo, spendendosi come interlocutore sia con le organizzazioni internazionali che con le istituzioni di Pristina, divenendo deputato nel parlamento kosovaro. La sua carriera subisce una svolta nel 2014, quando viene arrestato, tra le proteste della Serbia, con l’accusa di crimini di guerra commessi a danno di albanesi durante il conflitto. Nel 2016 Ivanović viene condannato a 9 anni di detenzione, ma un anno dopo il verdetto viene annullato dalla Corte di Pristina, che ordina un nuovo processo. Durante la detenzione, Ivanović concorre alla carica di sindaco di Mitrovica Nord nelle elezioni locali del 2014, dove viene sconfitto da Goran Rakić, candidato della Lista Serba, il partito sostenuto dal governo di Belgrado. La sfida si ripete alle elezioni locali del 2017, quando Ivanović viene nuovamente sconfitto da Rakić al primo turno.

Proprio la decisione di opporsi al partito controllato dal governo di Belgrado è costata ad Ivanović un progressivo isolamento all’interno del panorama politico della comunità serba in Kosovo. Durante l’ultima campagna elettorale, Ivanović ha denunciato un clima di intimidazioni e minacce contro di lui e contro il suo partito da parte della Lista Serba. Nei mesi che hanno preceduto le elezioni quattro candidati di Iniziativa si sono ritirati in circostanze poco chiare e lo stesso Ivanović ha trovato molte difficoltà nell’accedere ai media serbi in Kosovo.

Questa situazione lascia presupporre che dietro all’omicidio ci possano essere regolamenti di conti all’interno della leadership politica serba del Kosovo, che da sempre è contrassegnata da violenze, aggressioni e minacce di diversa natura. D’altro canto, anche l’opzione di un omicidio interetnico non può essere scartata. Le accuse che pesavano su Ivanović erano particolarmente pesanti, tra cui l’aver orchestrato un’operazione di espulsione ed uccisione della popolazione albanese che viveva nel lato nord di Mitrovica, in qualità di leader di un’unità paramilitare in azione durante il bombardamento della Nato sulla Serbia di Slobodan Milosević. Nonostante si sia dichiarato sempre innocente, dunque, i nemici nel campo albanese non mancano.

Quel che è certo è che l’uccisione di un politico di tale livello rischia di avere delle ripercussioni pesanti nell’equilibrio inter-etnico e politico del Kosovo. In un momento di crescente tensione, dovuta all’attesa dei primi rinvii a giudizio della Corte Speciale per i crimini commessi dall’UÇK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, l’omicidio di Ivanović getta nuove ombre sul futuro del Kosovo.
--- Termina citazione ---

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