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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Sviluppo-regionale-in-Romania-c-e-chi-fa-miracoli-193351


--- Citazione ---Sviluppo regionale in Romania: c'è chi fa miracoli...

Da sei anni un ampio programma di sviluppo rurale ha assorbito dieci miliardi di euro dal bilancio nazionale. Ma i villaggi restano nel fango ed i loro abitanti in miseria. Un'inchiesta di Recorder.ro

14/03/2019 -  Alex Nedea,    David Muntean
(Pubblicato originariamente su Recorder  il 7 marzo 2019, selezionato da LcB  e OBCT)

Sâmbăta Nouă è un villaggio isolato della contea di Tulcea dove tutto sembra sul punto di crollare. Qui qualche centinaia di abitanti vivono ai limiti della sussistenza, come del resto milioni d'altri in molti villaggi della Romania. Nel mezzo degli edifici fatiscenti se ne erge uno dall'aspetto del tutto anomalo: una grande villa a due piani circondata da un'alta recinzione. È la casa del prete Mădălin Iscru che, da due anni, veglia sulla comunità. La sua autovettura – una Volvo XC90 del valore di circa 60.000 euro, è parcheggiata al fianco di quella della moglie, una Mercedes GLE350 del valore di poco inferiore, circa 45.000 euro.

Mădălin Iscru non è solo un servitore di Dio. Quando dismette la tunica diviene un uomo d'affari le cui relazioni arrivano sino ai vertici dello stato. La sua ricchezza non è solo legata a Sâmbăta Nouă ma a tutti i villaggi della Romania. Ha trovato una buona ricetta – o in altri termini una vacca da mungere – nel principale programma nazionale di modernizzazione dei villaggi rumeni.

Dieci miliardi di euro per far uscire i villaggi dal fango: questo era l'obiettivo che si proponeva il Programma nazionale di sviluppo locale (PNDL) quando venne istituito per decreto nel 2013 dal governo social-democratico di Victor Ponta. Risorse finanziarie tolte ai progetti legati alle grandi infrastrutture, come ad esempio dalla rete ferroviaria che sta cadendo in rovina. Il suo inventore: Liviu Dragnea, attualmente a capo del Partito social-democratico (PSD) che, dopo aver trascorso anni all'ombra di Ponta, è dal 2016 al timone. “Il PNDL è il più rilevante programma di sviluppo dopo la rivoluzione, e il più coraggioso, è un programma che mi è molto caro”, dichiarava a quei tempi durante un incontro del Psd. “L'ho creato io assieme a Sevil Shhaideh”. Quest'ultima è l'ex ministra per lo Sviluppo regionale. È questo il ministero incaricato di distribuire i 10 miliardi di euro ai comuni dell'intera Romania. Risorse destinate a pagare le aziende impegnate nella modernizzazione delle infrastrutture dei villaggi. Ma, in realtà, serve come paravento per un grande furto.

Durante l'estate del 2018 Mădălin Iscru venne nominato consigliere presso il ministero dello Sviluppo regionale sotto la supervisione diretta del ministro Paul Stănescu, barone dei Socialdemocratici dell’Olt e vice-primo ministro (incarico nel frattempo che gli è stato revocato da parte di Liviu Dragnea a seguito di un rimescolamento delle carte in seno al Psd). Qualche settimana dopo il prete divenne proprietario dell'azienda Hercinic SRL, un ex negozio di quartiere che ha sede in un appartamento: nessun dipendente, nessun fatturato, nessuna esperienza nel ramo delle costruzioni. Ciononostante il ministero per lo Sviluppo regionale ha immediatamente iniziato ad allocare fondi all'azienda di Mădălin Iscru attraverso l'intermediazione dei sindaci dei villaggi. Ha ricevuto fondi per la ristrutturazione di scuole, ambulatori medici, centri culturali. In quattro mesi ha ottenuto 130 contratti pubblici. Un record: Hercinic SRL occupa il primo posto all'interno del Sistema elettronico di acquisizioni pubbliche (SEAP), davanti a giganti dell'economia reale come OMV Petrom, Telekom, Selgros, Dedeman...

Drenaggio organizzato di fondi pubblici
Per capire come Hercinic SRL ha potuto racimolare 130 contratti in 4 mesi ci siamo recati nel comune di Gârliciu, nella contea di Costanza. Il sindaco, Constantin Cinpoiașu, desiderava far costruire un campo sportivo per i bambini del villaggio. Ed è l'azienda di Mădălin Iscru ad aver ottenuto il contratto. Di fatto Hercinic SRL si è vista attribuire in pochi minuti più contratti dalla municipalità di Gârliciu per un totale di 300.000 euro. Perché il sindaco Constantin Cinpoiașu ha scelto proprio quest'azienda? “Come l'abbiamo scelta?...”, ripete il sindaco imbarazzato dalla domanda. “Eh, dal SEAP. È così che l'azienda è stata selezionata”. Cosa aveva quest'azienda in più delle altre? “La serietà!”. E mentre Recorder.ro mostrava al sindaco che Hercinic SRL non aveva alcun dipendente né fatturato l'imbarazzo cresceva. “L'azienda non ha dipendenti...?”. Non lo sapeva? “Chiediamo alla segretaria”.

In Romania contratti pubblici possono essere assegnati ad un'azienda privata in due modi: con appalto o assegnazione diretta. Per quanto riguarda l'assegnazione diretta il totale del contratto deve essere inferiore ai 100.000 euro. Il vantaggio è che l'ente pubblico può scegliere in modo più agile l'azienda con cui intende lavorare. Il comune di Gârliciu intendeva costruire dei marciapiedi nel villaggio. Ma la somma del progetto superava i 100.000 euro e, affinché ottenesse il contratto la Hercinic SRL, venne diviso in due contratti distinti, ciascuno inferiore al limite dei 100.000 euro. Recorder.ro ha chiesto al sindaco Constantin Cinpoiașu quale fosse la differenza tra i due contratti. “Sono due contratti per il miglioramento del traffico a piedi”, ha risposto. Ma quale la logica della divisione? Il sindaco non sapeva che rispondere ed ha messo in calcio d'angolo.

Dividere i progetti in più contratti inferiori ai 100.000 euro è una pratica che avviene in tutto il paese. Il programma PNDL è stato concepito in modo che questa modalità operativa si sia potuta diffondere in modo incontrollabile.

Una rete di vassallaggi
Il sindaco di Ciochina, nella contea di Ialomița, ha ricevuto 400.000 euro dal ministero dello Sviluppo regionale per ristrutturare tre asili d'infanzia del comune. È Mădălin Iscru, ancora lui, ad avere ottenuto il contratto tramite un'altra società che controlla e che, come la Hercinic SRL, è “abbonata” al PNDL. I lavori sono terminati tre mesi fa. Il risultato è spaventoso.

Questi rubinetti sono nuovi? “Si”, risponde una dipendente. Sono già rovinati dopo solo tre mesi. “Sono di cattivo materiale”. Il sindaco Vasile Câmpulungeanu spiega cosa è stato ristrutturato: “Sono state tinte le pareti, questo muro è stato rifatto...”. Ma la stanza è in uno stato pietoso come se di ristrutturazione non ve ne fosse mai stata. Un interruttore non funziona, l'intonaco si stacca, nel muro vi sono crepe, il mobilio, di pessima qualità, ha già bisogno di riparazioni. “La ditta non aveva molto tempo...”, spiega il sindaco con un sorriso imbarazzato. “Mi hanno detto che quando arriverà primavera e quando il tempo lo permetterà ritorneranno a riparare tutto”.

Il rubinetto gocciola, l'interruttore è bloccato, i mobili rotti... e questo non significa che sono stati pagati poco. Recorder.ro ha ottenuto i prezzi applicati dall'azienda del prete Mădălin Iscru per la ristrutturazione degli asili d'infanzia: il prezzo per la manodopera, 9 volte superiore al prezzo di mercato; per 100 metri quadri di piastrelle Mădălin Iscru ha chiesto 4 volte il prezzo di mercato; per 1 m² di parquet, 8 volte il prezzo di mercato... quando gli viene fatto notare che per 100.000 euro si sarebbe potuto costruire un nuovo asilo Vasile Câmpulungeanu dimostra nuovo imbarazzo. E finisce per parlare a mezze parole.

Come ha selezionato quest'azienda? “Con... una telefonata. 'Qualcuno vi aiuterà per quel vostro progetto di ristrutturazione degli asili nel vostro comune'”. Una telefonata ricevuta da dove? “Eh... dal centro”. Dal partito?. “Centrale”, risponde il sindaco con un sorriso. Del partito al potere? “Si”. Temeva di perdere i fondi ministeriali se non avesse sottoscritto il contratto con l'azienda che le era stata segnalata? “Si, ci avrebbero accusati di non essere in grado di attirare i fondi a disposizione”. Alla fine il sindaco ammette di essersi pentito di aver accettato il contratto con l'azienda di Mădălin Iscru, ma che non aveva altra scelta: gli è stato detto che se non firmava con il prete non avrebbe ricevuto alcun fondo dal ministero. Una minaccia alla quale dice di essersi piegato per il bene dei bambini.

L’influenza di Mădălin Iscru deriva direttamente dal governo rumeno. Nell'autunno del 2018, quando ha sottoscritto il contratto per la “ristrutturazione” degli asili di infanzia a Ciochina, il prete era già consigliere presso il ministero per lo Sviluppo regionale, che concede i fondi. E mentre attingeva ai soldi del ministero, il prete ha nascosto nella sua dichiarazione dei redditi di essere amministratore della sua azienda. Un sindaco che ha accompagnato Mădălin Iscru al ministero e che si è ritrovato nella stessa situazione di Vasile Câmpulungeanu nell'essere obbligato a siglare i contratti con la Hercinic SRL ha dichiarato a Recorder.ro, sotto condizione di anonimato: “Mădălin Iscru ruba denaro utilizzando le firme dei sindaci”, e assicura di averlo detto anche in faccia al prete. Va notato che non è detto che Mădălin Iscru sia necessariamente il destinatario finale di questa presunzione di sottrazione di fondi pubblici.

Recorder.ro ha tentato di scoprire se colui il quale all'epoca ricopriva la carica di ministro dello Sviluppo regionale, Paul Stănescu, fosse a conoscenza di ciò che faceva il suo “consulente” e quali fossero i motivi reali del suo impiego presso il ministero. Interrogato in merito davanti al Palazzo del Popolo, sede del parlamento rumeno, Paul Stănescu ha risposto: “Assumo chiunque ritengo di avere la necessità di assumere”, prima di entrare nella sua vettura di servizio.

Altân Tepe è un villaggio dove vivono 200 persone dimenticate ai confini della contea di Tulcea. Qui l'ampiezza dei problemi è tale che le falle nel sistema di cui siamo stati testimoni sembrano avere meno importanza che altrove. “Ah mio caro, qui vedete il Medioevo, gli edifici stanno cadendo in rovina e tutti se ne fregano”, denuncia un'abitante. “Guardi questa crepa, se tocco, cade tutto... se vi è un terremoto cade tutto giù. Questi edifici vanno ristrutturati”. Molti appartamenti sono abbandonati. La gente se ne è andata. Alcuni servono solo come deposito per la legna. “Non abbiamo più un riscaldamento centrale. Quando la miniera funzionava ancora ce l'avevamo. Allora ci siamo arrangiati con delle stufette”. Comignoli di fortuna escono dalle finestre... la povertà grida vendetta ma le priorità dell'amministrazione locale sembrano non avere nulla a che fare con i bisogni degli abitanti.

Altân Tepe fa parte del comune di Stejaru. L’anno scorso il sindaco Nicolae Gioga ha firmato un contratto di 100.000 euro per installare “un'illuminazione pubblica intelligente”. Il contraente: Mădălin Iscru e la sua azienda. I fondi sono stati trasferiti al comune tramite il PNDL ma nessuno al ministero ha controllato di quanti lampioni avesse bisogno Altân Tepe. Il villaggio è costituito da poche vie... Abbiamo verificato: sono state installate 46 “lampadine intelligenti” per 100.000 euro, cioè 2173 euro a lampadina il cui prezzo unitario è, sul mercato, di circa 50 euro. U prezzo gonfiato quindi 40 volte.

“Sarebbe stato meglio fare dei tetti agli edifici piuttosto che questi lampioni”, afferma un abitante dopo essere venuto a conoscenza dell'ammontare speso per il progetto di illuminazione pubblica. “Perché hanno installato queste lampadine? Perché si vedano i fantasmi vagare? La verità è che lassù in alto accade di tutto e che siamo troppo piccoli per questa battaglia”.

Il sindaco è assente, il vice malato
Recoder.ro ha sollecitato il municipio di Stejaru per capire come sono stati spesi i fondi del Programma di sviluppo locali per il progetto di illuminazione pubblica ma non ha ottenuto alcune risposta. Dopo due settimane Recorder.ro è tornato sul posto ma sindaco e vice-sindaco erano assenti. “Dovrebbe arrivare presto, ci ho parlato stamattina, mi ha detto che sarebbe arrivato”, assicura un'impiegata comunale. Poi più tardi: “dice che non può venire, è a Tulcea per degli incontri”. E il vice-sindaco? Lei lo chiama e gli dice che ci sono dei giornalisti che desiderano fargli alcune domande. “È malato”, riporta lei.

Recorder.ro ha scritto a 20 comuni delle contee di Tulcea, Constanța, Brăila, Buzău, Vrancea e Mureș richiedendo documentazione pubblica per giustificare ciò che il “consulente” Mădălin Iscru ha fatto con i soldi ricevuti dal ministero dello Sviluppo regionale. Nessuna risposta.

Ritorniamo alla chiesa di Sâmbăta Nouă dove il prete ha tenuto messa. “Possa Dio avere pietà, che Gesù sia con tutti voi. Dio fa sorgere il sole su coloro i quali fanno il bene e quelli che fanno il male; fa cadere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti, aiuta tutti senza distinzioni”, intona davanti ai fedeli.

All'uscita della messa proviamo a porgli delle domande. “Vi ho invitati alla mia tavola, non avete accettato, mi spiace, non rispondo alle vostre domande”, risponde lui. “A seconda di come vi comporterete vi risponderò forse un'altra volta, va bene?”, sottolinea con un tono paternalista al quale sembra essere abituato.

- “Vogliamo solo sapere come si fa a costituire un'azienda fantasma e poi ottenere 130 contratti pubblici in pochi mesi”

- “È un'opinione vostra noi non abbiamo...”, si difende il prete

- “È un miracolo incredibile”

- “Dio fa dei miracoli. È per questo che noi siamo suoi servitori, perché ci ama e fa dei miracoli”

Dio sembra effettivamente aver fatto dei miracoli con il denaro dei contribuenti. Un abitante di Sâmbăta Nouă ce lo spiega: “Il Psd compera 70 lei di gessi che ne costano 1. È così il Psd. È così la Romania”, spiega. Il miracolo è tale che Viorica Dăncilă, primo ministro e portavoce di Liviu Dragnea, ha annunciato un «PNDL 2», quindi altri 10 miliardi di euro per lo sviluppo regionale. 10 miliardi di euro per le tasche di qualcuno e per spingere ancor più i villaggi rumeni nel fango.

 
Post-scriptum: dopo l'inchiesta di Recorder.ro la Direzione nazionale anti-corruzione DNA ha aperto un'inchiesta sul “Dio dei contratti”

--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Giorni-difficili-per-il-giornalismo-croato-193519


--- Citazione ---Giorni difficili per il giornalismo croato

Mentre la Croazia si avvicina gradualmente ad assumere il semestre di presidenza del Consiglio Ue, nel gennaio 2020, Zagabria registra un record negativo: è l’unico paese europeo in cui la TV pubblica fa causa ai suoi dipendenti

20/03/2019 -  Giovanni Vale   Zagabria
"Chi scrive contro la Croazia dovrebbe ricevere un proiettile in testa", ha detto un tassista di Zagabria alla giornalista Gordana Grgas di Jutarnji List. "Morte ai giornalisti", si legge su un graffito apparso pochi giorni fa di fronte alla redazione della televisione N1 e dei portali Telegram.hr e Net.hr. Una scritta identica è spuntata a poca distanza, in un’altra via del centro della capitale croata.

Questo mese di marzo ha registrato diversi segnali preoccupanti per lo stato di salute della libertà di espressione in Croazia. E questi sono solo alcuni degli esempi. Cosa sta succedendo al mondo del giornalismo nell’ultimo stato membro dell’Unione europea? Assistiamo forse al deterioramento di una libertà fondamentale, nel momento in cui Zagabria sta per assumere la presidenza del Consiglio dell’UE il prossimo primo gennaio 2020?

"Lavoriamo in un clima di minacce"
La vicenda riportata da Gordana Grgas e il caso dei graffiti sono sintomatici di un’atmosfera generale, che vede la figura del giornalista diventare sempre meno popolare. Un fenomeno che non è appannaggio esclusivo della Croazia, ma contro il quale l’Associazione dei giornalisti croati (HND) ha più volte puntato il dito. "È un’altra prova del clima di minacce in cui lavorano giornalisti e media", spiega Hrvoje Zovko, presidente dell’HND.

"Da tempo, avvertiamo che la libertà dei giornalisti e dei media è in pericolo in Croazia", prosegue Zovko, che si chiede: "Chissà se anche dopo queste minacce, il premier Andrej Plenković continuerà a sostenere che le valutazioni sul peggioramento della libertà di espressione in Croazia sono ridicole". "Perché in realtà ciò che è ridicolo per il premier, non lo è per nessun altro", conclude il presidente dell’HND.

La polizia sta ancora investigando sulle scritte apparse nei pressi delle redazioni dei giornali, mentre contro il tassista incontrato da Gordana Grgas è già stata aperta un’inchiesta. Nel frattempo, la App estone Bolt (nota in precedenza con il nome di Taxify), per la quale lavorava il tassista, ha immediatamente sospeso il profilo del guidatore, prendendo ufficialmente le distanze dal suo comportamento.

Cause temerarie e poliziotti nelle redazioni
Sintomatici di una situazione più generale, i recenti incidenti si iscrivono in un contesto difficile per il giornalismo croato. A inizio mese, l’Associazione dei giornalisti croati è scesa in piazza per protestare contro la pratica diffusa delle cause temerarie (oltre mille manifestanti). Ad oggi, l’HND conta 1163 processi in corso contro giornalisti e media: la causa per diffamazione è diventata un modo per far pressione sui reporter.

Nella guerra della cause, un ruolo particolare è svolto dalla televisione pubblica, HRT, che ha fatto causa a 35 giornalisti  , anche tra i suoi stessi dipendenti. L’importo che la HRT esige dalle persone e dai giornali citati in giudizio ammonta ad oltre 2 milioni di kune (quasi 300mila euro), un importo non in linea con quanto stabilito di recente della Corte europea dei diritti dell’uomo  , contraria alle richieste di risarcimento eccessive.

La televisione pubblica se la prende con quei giornalisti che denunciano «un clima di censura» e delle «pressioni politiche» in seno alla HRT, reagendo appunto con delle cause per diffamazione. Per tutta risposta, una trentina di associazioni hanno decretato un boicottaggio della HRT, rifiutandosi di invitarne i giornalisti alle proprie conferenze stampa. L’Unione europea di radiodiffusione (EBU) ha criticato questa decisione  .

Ma la HRT non è l’unico ente pubblico ad abusare delle cause per diffamazione. La stessa Università di Zagabria ha citato in giudizio diversi media, così come hanno fatto alcuni giudici. Si tratta di una pratica non nuova, ma che si è accentuata a partire dal 2013, quando è stato introdotto il nuovo reato di “shaming”, che allarga il ventaglio delle possibilità per cui si può fare causa a un giornalista.

Inoltre, ciò che ha sorpreso in questo mese di marzo, oltre al numero vertiginoso dei processi in corso, è anche il fatto che la polizia croata sia entrata nella sede di un portale (Net.hr) per verificare l’identità e l’indirizzo di una giornalista contro cui un politico aveva fatto causa per diffamazione. Al proposito, è intervenuto anche Harlem Désir, il Rappresentante per la libertà dei media presso l’OSCE. "Sono preoccupato per la visita della polizia al portale Net.hr […] Questo fatto può essere visto come una pressione nei confronti dei giornalisti e non deve diventare una prassi", ha dichiarato Désir su Twitter  . Il Rappresentante dell’OSCE ha commentato anche il caso della HRT, invitando i vertici della TV pubblica a "un dialogo costruttivo e al di fuori dei tribunali con i giornalisti al fine di risolvere le dispute in corso".

Tentativi di dialogo e attenzione internazionale
Harlem Désir si è rallegrato del fatto che la HRT abbia effettivamente iniziato un processo di discussione con le altre parti in causa per arrivare ad una risoluzione extra giudiziaria dei contenziosi. Per il momento, questa pratica non è però stata iniziata con tutti i media e giornalisti citati in giudizio. In particolare, rimane il nodo delle cause fatte da HRT nei confronti di Hrvoje Zovko e dell’Associazione dei giornalisti.

Il problema delle cause temerarie è nel frattempo arrivato al Consiglio d’Europa  (COE), al quale la Federazione europea dei giornalisti (EFJ) ha segnalato la possibile minaccia alla libertà di espressione. La stessa EFJ ha pubblicato a metà marzo un comunicato duro  in cui interpella direttamente il premier croato Andrej Plenković e gli chiede se ritiene «normale» la situazione nel paese.

In patria, l’esecutivo ha fino ad ora respinto le lamentele dei giornalisti croati, parlando di «esagerazioni» sia per quanto riguarda le denunce di censura e di pressioni politiche in seno alla HRT, sia per quanto concerne il generale peggioramento della libertà di espressione nel paese. "Non vedo in questo paese alcun problema con i media", ha dichiarato il Primo ministro croato a inizio marzo  .

Con l’avvicinarsi del semestre europeo, tuttavia, c’è da sperare che il governo croato prenda più sul serio le preoccupazioni dei giornalisti e in particolare la crisi in corso tra l’Associazione dei giornalisti e la televisione pubblica. Come hanno fatto notare diversi osservatori internazionali, la Croazia registra in questo momento un record: è l’unico paese europeo in cui la TV pubblica fa causa ai propri dipendenti.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Romania-i-cementifici-ed-il-business-dell-importazione-dei-rifiuti-193493


--- Citazione ---Romania: i cementifici ed il business dell’importazione dei rifiuti

È un immenso scandalo sanitario ed ambientale quello che minaccia la Romania. I cementifici del paese bruciano rifiuti, spesso importati dall’estero, tra cui vi sarebbero sostanze illegali. Il tutto a spese dei cittadini che si trovano a vivere nel mezzo di fumi tossici. Un'inchiesta dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP)

27/03/2019 -  OCCRP
(Pubblicato originariamente da Organized Crime and Corruption Reporting Project  , tradotto e selezionato da Le Courrier des Balkans  e OBCT)

Fin dall’inizio degli anni Novanta, la Romania ha adottato misure che proibiscono l’importazione di rifiuti destinati ad essere poi depositati nelle discariche pubbliche. Tuttavia, la legge ancora autorizza le aziende ad importare rifiuti nell’ambito di programmi energetici. Così, tutti i cementifici romeni usano rifiuti come combustibile, accanto al carbone.

Chi difende questo nuovo mercato dichiara che questi scambi hanno un impatto positivo sull'ambiente, che vi sarebbero meno emissioni di gas ad effetto serra di quando si ricorre ai combustibili fossili, e che tutto questo fornisce uno sbocco per i rifiuti che la nostra società dei consumi ha difficoltà a smaltire. I cementifici così ne approfittano: invece di pagare per acquistare del carbone, vengono pagati per bruciare rifiuti. Eppure, questa dinamica non è affatto l'operazione a somma zero che alcuni affermano essere.

Il traffico
Il porto di Costanza è il principale punto di accesso dei rifiuti stranieri utilizzati dai cementifici romeni. “La Romania è diventata un luogo allettante per l’immondizia di tutta l’Europa”, spiega Tiberiu Niță, un procuratore. Più di un milione di tonnellate, ossia un quinto dei rifiuti urbani prodotti nel paese, sono bruciate ogni anno nelle fabbriche di cemento, ma nessuno le controlla. Nessuna autorità governativa è incaricata di verificare che tipo di rifiuti vengono bruciati nelle fabbriche.

Tiberiu Niță indaga sul traffico di rifiuti in Romania da parecchi anni. “È diventato un problema enorme e nessuno vi presta attenzione. Eppure, sarebbe così semplice stabilire una normativa a riguardo. Alcuni “uomini d’affari” colgono l’opportunità per ripulire il proprio paese riempiendo la Romania di rifiuti. Quando arrivano alla frontiera, i camion sono belli, i rifiuti imballati in modo appropriato, come se ci inviassero del materiale scolastico”. In realtà, in mezzo ai rifiuti ordinari, vengono nascoste sostanze tossiche.

Le autorità competenti per l’ambiente incontrano grandi difficoltà nella gestione del problema. Alla frontiera romena, Răzvan Huber, ispettore ambientale della Guardia nazionale ambientale riporta la storia di un carico italiano, nel 2016. “Assomigliavano a rifiuti ordinari, ma quando abbiamo aperto i pacchi, abbiamo visto che contenevano rifiuti sanitari, provenienti probabilmente da diversi ospedali”. Questa spedizione era la prima di un contratto che prevedeva l’importazione di 12.000 tonnellate di rifiuti da bruciare nei cementifici romeni.

Chi si nascondeva dietro queste spedizioni? I rifiuti provenivano dall’Italia, ma i documenti ottenuti dall’OCCRP mostrano che sono stati cittadini romeni a negoziare l’affare per conto di un cementificio locale. Tiberiu Găneșanu è uno di questi intermediari romeni. A suo avviso, il carico conteneva solo una percentuale molto bassa di rifiuti sanitari. “Esiste una procedura da seguire quando si prelevano dei campioni: si aprono solo due pacchi”, si giustifica, ritenendo che gli ispettori hanno esagerato la quantità e la tossicità di quei rifiuti “clandestini”. Assicura che i suoi partner italiani sono puliti: “Andate a vedere in Italia. Lì, è così pulito che non vi è alcun odore nemmeno all’interno della fabbrica per il trattamento”.

Sponda italiana
Siamo andati a vedere in Italia. Più precisamente a Peccioli, in Toscana. “Tutti si sono trasferiti. Tutti quelli che hanno un po’ di cervello se ne sono andati”. Mario è un abitante del paese. “Questa zona che stiamo attraversando è costituita di campi dove sono stati scaricati rifiuti industriali”. Il trucco consisteva nello sbarazzarsi dei fanghi tossici dandoli agli agricoltori come concime. Questi ultimi li spargevano sul loro terreno o li sotterravano. Il terreno è contaminato ancor oggi.

L’uomo sospettato di essere dietro questo espediente è Domenico Del Carlo. È lui che si trova dietro la spedizione dei rifiuti sanitari confiscati in Romania nel 2016. Sospettato d’essere legato alla criminalità organizzata, è stato indagato nel 2017 per presunti legami con la Camorra. “Molti uomini d’affari che si occupano di rifiuti sono legati a persone coinvolte in gruppi criminali tipo la Camorra”, spiega Adriano D’Elia, comandante della Guardia di Finanza in Toscana.

Non sono solo i rifiuti sanitari ad essere proibiti. La legge romena proibisce che nei cementifici vengano usati come combustibili tanto i rifiuti radioattivi quanto altri rifiuti patogeni. Per gli pneumatici, le bottiglie di plastica e gli oli esausti, le norme sono leggermente più complesse: questi rifiuti possono essere bruciati se le emissioni sono mantenute sotto un certo livello.

Il combustibile non fossile più usato nei cementifici romeni resta l’immondizia urbana, anche detta, spazzatura. Questi rifiuti possono essere bruciati se sono differenziati e puliti. Nella maggior parte dei paesi europei, affinché i cementifici si occupino di questa operazione, bisogna pagarli parecchie centinaia di euro per tonnellata di immondizia. In Romania, è molto più economico: da 10 a 15 euro per tonnellata. È per questo motivo che il paese è una destinazione privilegiata.

La nostra inchiesta ci porta sulle tracce di un altro italiano, Sergio Gozza. Secondo i carabinieri, tra le 150.000 tonnellate di rifiuti spediti da Sergio Gozza dall’Italia alla Germania tra il 2007 ed il 2010, alcuni rifiuti erano contaminati dall’arsenico. Sergio Gozza aveva usato un laboratorio italiano per falsificare i test sui livelli di arsenico affinché il tasso non superasse il limite legale. Ciò nonostante, ha continuato ad esportare i rifiuti per l’Europa fino al giorno d’oggi.

Secondo la Procura romena, Sergio Gozza ha provato ad inviare 2.000 cargo pieni di rifiuti dall’Italia ai cementifici romeni nel 2013. È anche riuscito a far assumere uno dei suoi soci presso un ministero romeno. Il piano è saltato in aria quando la polizia romena - grazie ad una denuncia - ha intercettato il primo carico di questi 2000. Era pieno di rifiuti urbani italiani che non erano stati differenziati ed erano stati mescolati con altri tipi di rifiuti non elencati nell’inventario relativo alla spedizione. “Se qualcuno non spiffera, riescono ad arrivare, scaricare e ripartire”, spiega il procuratore Tiberiu Niță. Le 2.000 spedizioni di rifiuti di Sergio Gozza erano destinate ad un cementificio appartenente a Holcim Romania, filiale del consorzio svizzero LafargeHolcim. Questa fabbrica può bruciare fino a 300.000 tonnellate di rifiuti all’anno.

In Romania arrivano anche rifiuti provenienti dalla Germania. La Cina è stata a lungo la destinazione privilegiata dei rifiuti tedeschi di “minor valore” ma, dopo l’adozione di una nuova legislazione cinese che bandisce 24 tipi di rifiuti, la Germania si è rivolta alla Romania e alla Bulgaria per trovare uno sbocco per le sue eccedenze. Alcuni camion intercettati alla frontiera dagli ispettori romeni contenevano rifiuti non regolamentari.

A Chișcădaga, nella contea di Hunedoara, in Transilvania, Maius Mangu vive a 200 metri dal cementificio HeidelbergCement, uno dei sette cementifici della Romania. HeidelbergCement (più di 15 miliardi di euro di fatturato all’anno) è il secondo produttore mondiale di cemento dopo LafargeHolcim (22 miliardi di euro di fatturato). Il cementificio brucia all’incirca 200.000 tonnellate di rifiuti all’anno. I camion di Domenico Del Carlo ed i camion tedeschi fermati dagli ispettori romeni erano destinati a questo cementificio.

Le api e gli alberi muoiono
“Sentite questo odore?” chiede Marius Mangu. Effettivamente, è atroce. “Le correnti d’aria arrivano fin qui. In certi periodi dell’anno, questo odore è soffocante, letteralmente. Quando fanno più di 30 gradi, non si riesce a respirare”. Secondo Marius, gli uccelli e le api muoiono e l’acqua che dà ai suoi animali è contaminata. Allo stesso modo, diversi alberi del suo frutteto sono morti. “I ciliegi ed i peschi sono gli alberi più sensibili, muoiono per primi”. Ci mostra l’acqua piovana. “Quest’acqua è stata raccolta ieri sera. Prima la davo da bere agli animali. Visto a cosa assomiglia oggi, non oserei più, ho paura che li faccia ammalare. Bruciano gli pneumatici delle automobili ed i rifiuti, e noi ci ammaliamo.” Le tegole del tuo tetto sono nuove, datano otto mesi, ma sono già mezze annerite. “Bruciano qualsiasi cosa. Siamo la fossa biologica della Romania.”

Per mostrarci la scarsa considerazione di HeidelbergCement per l’ambiente e la legislazione romena, Marius ci accompagna nel bosco vicino al cementificio. Vi sono depositati decine di migliaia di pneumatici. È tanta la gomma che è in attesa d’essere bruciata. Dopo la segnalazione dei giornalisti dell’OCCRP, HeidelbergCement è stato condannato a pagare una multa di 10.000 euro per questo deposito illegale che rischiava di causare un incendio.

Marius non è il solo ad essere preoccupato. “A Chișcădaga si può sentire l’odore dei rifiuti, l’odore di cose in putrefazione, soprattutto in estate”, riporta il sindaco, Mihai Irimie, che è particolarmente preoccupato per via di alcuni picchi di emissione. “Il direttore mi ha assicurato che tutto si svolgeva nei limiti legali e che le emissioni erano sicure in quanto monitorate dal ministero dell’Ambiente.” Ma sarà vero?

Controlli (mancati) e tumori
Georgeta Barabaş è la direttrice dell’Agenzia ambientale regionale della contea. Racconta una versione diversa della storia. “Non abbiamo la possibilità di controllare queste emissioni perché non esiste nessun obbligo legale che vincola lo stato ad effettuare dei controlli. Non ci sono norme per le diossine e furani, e i nostri laboratori non sono attrezzati per controllarli.” Le diossine sono una sostanza altamente tossica prodotta dalla combustione di materie plastiche.

Preoccupato e disilluso, Ionel Circo, pneumologo a Simeria, ha constatato un aumento dei casi di cancro nella regione. “Numerosi studi dimostrano l’influenza delle diossine sui casi di cancro. Le diossine si diffondono attraverso l’aria, l’acqua e le piante. Arrivano nell’organismo con il cibo contaminato. Uno studio sulle conseguenze delle emissioni sugli abitanti che vivono intorno ai cementifici richiederebbe degli specialisti interessati ed un sostegno finanziario, e le conclusioni di certo non fornirebbero alcun vantaggio alle persone al potere. Pertanto, chiudiamo gli occhi e continuiamo”.

Nel 2004, alla Romania sono stati assegnati dei fondi europei per acquistare degli strumenti di controllo delle emissioni, specialmente quelle dei cementifici. Secondo Georgeta Barabaş, le autorità romene hanno comprato le attrezzature ma queste non sono mai state istallate. Dunque, le autorità romene non monitorano le emissioni dei cementifici. La legge, del resto, prevede che i cementifici si debbano autocontrollare. È un compito che tre dei sette cementifici subappaltano ad un’unica impresa: Tehno Instrument.

L’impresa appartiene a Mihai Fâcă. Questo vecchio deputato del Partito socialdemocratico (PSD) è stato il direttore dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente fino al 2013 e ha coordinato l’agenzia fino al 2015. All’epoca, aveva già creato la sua impresa di controllo delle emissioni, non ne faceva parte ma suo figlio ne era azionario. “Sappiamo che era l’impresa di Mihai Fâcă ad ottenere i contratti ma che cosa potevamo farci?” domanda Georgeta Barabaş. A suo avviso, è Mihai Fâcă che ha impedito l'istallazione degli strumenti di controllo acquistati con i fondi europei.

I conflitti d’interesse di Mihai Fâcă non si fermano qui, vi ritroviamo infatti Sergio Gozza, il trafficante internazionale di rifiuti: quando i suoi 2.000 carichi illegali sono stati approvati, il nome di Mihai Fâcă figurava sui documenti di autorizzazione. Corruzione ordinaria su piccola scala o crimine organizzato transfrontaliero? Ciò che è certo è che tutti, dai rappresentanti locali all’industria del cemento, traggono beneficio dal “sistema” attuale. Salvo le persone, gli animali, le piante ed i terreni: loro vengono avvelenati.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/96987


--- Citazione ---UCRAINA: Chi è Zelensky, il comico che vuole diventare presidente
Claudia Bettiol  12 ore fa

da KIEV – Da comico a presidente, è un attimo. Il candidato alle imminenti elezioni presidenziali ucraine che svetta in testa alla classifica dei sondaggi e delle scommesse elettorali destabilizzando concorrenti e rivali, è un attore, un comico e uno showman a tutto tondo: Volodymyr Zelensky, per gli amici “Ze”, anche conosciuto come il “servitore del popolo”.

Il giovane quarantunenne ucraino aspirante alla carica di presidente dell’Ucraina che porta il nome di Volodymyr Zelensky è un uomo dello spettacolo, un comico e un attore nato, che è riuscito a far carriera e se la cava molto bene anche nel mondo degli affari. Creatore e regista degli studi televisivi Kvartal 95, dal 2003 è legato al canale “1+1”, di proprietà dell’oligarca Igor Kolomoiskiy, noto rivale dell’attuale presidente Petro Porošenko e magnate che sembra celarsi dietro la candidatura del giovane Zelensky.

Zelensky: da presidente in tivù a presidente nella vita reale?

Prima di candidarsi come capo di stato del suo paese, Zelensky ha interpretato il ruolo di presidente in una serie televisiva dal titolo “Il servitore del popolo” (Sluha narodu), prodotta dagli studi Kvartal 95, riscuotendo un enorme successo su YouTube e continuando la sua ascesa anche su Netflix, che ne ha acquistato recentemente i diritti (Servant of the People).

La serie, che ricorda inevitabilmente l’americana House of Cards, si concentra sul personaggio di Vasyl Holoborod’ko (interpretato da Zelensky), un insegnante di storia che viene segretamente filmato mentre lotta contro la corruzione nel suo paese e critica apertamente le autorità. I suoi video diventano virali su YouTube, raccogliendo una marea di visualizzazioni, e il giovane insegnante si ritrova presto vincitore della campagna elettorale e presidente in un baleno. Naturalmente il neo-eletto è un presidente semplice, onesto e vicino al popolo, “uno di noi”.

Ed è proprio questo presidente modello che Zelensky propone oggi ai suoi elettori, candidandosi realmente (e non per finzione) per tentare di cambiare qualcosa in Ucraina. Il comico, proprio come il personaggio televisivo de “Il servitore del popolo”, non ha alcuna esperienza politica, nessun passato da oligarca; la sua campagna elettorale mediatica è povera di contenuti e non ha una vera squadra da presentare insieme al suo partito (Sluha narodu, creato nel marzo 2018 da alcuni collaboratori di Kvartal 95). Eppure il suo carisma e la sua presenza sui social network, con cui comunica e attira sostenitori (soprattutto giovani) si è rivelata a dir poco vincente. In pochissimi mesi Zelensky ha scalato con successo la classifica di qualsiasi sondaggio elettorale, scartando un candidato dopo l’altro e arrivando in cima alla vetta, con un netto distacco dalla ex-favorita Julija Tymošenko e dal presidente in carica Petro Porošenko.

Il segreto del successo

Al contrario degli altri candidati, Zelensky è riuscito non solo a conquistare il sostegno dei giovani, ma anche ad attirare l’attenzione dell’elettorato da est a ovest, a prescindere dal fatto che gli elettori siano parlanti russi o ucraini. Una conquista non indifferente se si pensa alla diatriba linguistica che spacca letteralmente in due il paese, creando non poche tensioni.

Molto popolare tra gli ucraini, Zelensky è praticamente sconosciuto al di fuori dei confini nazionali (Russia esclusa) e questo crea un alone misterioso intorno alla figura del comico, che si dice pronto a governare il proprio popolo e addirittura a negoziare con il presidente Vladimir Putin per porre fine alla guerra nell’est dell’Ucraina e vivere in un paese unito.

La sorprendente popolarità di Zelensky si può attribuire alla voglia di un cambiamento radicale da parte del popolo, che è stato coinvolto fin da subito per redigere con lui il suo programma elettorale, oggi ancora piuttosto vago. Un popolo che sogna un governo senza più oligarchi al potere che continuano a provocare scandali e a regnare in un sistema corrotto e ormai marcio; un sistema dove la rivoluzione di Maidan ha fallito. “Ze” sarebbe questo volto nuovo, un innovatore capace di distruggere il vecchio sistema e instaurare un governo dove possano dominare trasparenza e democrazia.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/96862


--- Citazione ---RUSSIA: L’emancipazione sempre mancata della donna
Matteo Zola  8 ore fa

Il Domostroj, galateo delle botte

“Dagli uomini cattivi nascono più figli maschi”, questo il titolo di un provocatorio articolo a firma di Yaroslav Korobatov apparso sulla Komsomolskaya Pravda, popolare tabloid russo, che ha fatto molto discutere fuori e dentro la Russia. L’articolo prende le mosse da uno studio di Satoshi Kanazawa, controverso psicologo evoluzionista, secondo cui le donne prese a botte godrebbero del vantaggio biologico di poter fare più figli maschi (che sono ovviamente meglio delle femmine) grazie al temperamento del partner. Quanto scritto da Korobatov non nasceva dal caso, quel giorno la Duma aveva approvato una legge per la depenalizzazione della violenza domestica e la stampa nazionale si prodigava nel difenderla in nome dei “valori tradizionali” della società. Sono passati alcuni mesi dall’istituzione di quella legge e, malgrado alcune espressioni di malcontento da parte delle associazioni femministe, la situazione non è cambiata, anche perché attinge ai valori tradizionali della società russa.

E la tradizione della violenza domestica è tutta riassunta in un celebre proverbio russo, “bët, značit ljubit”, se ti picchia vuol dire che ti ama. Un detto che richiama il Domostroj, sorta di galateo russo del XV secolo, volto a istruire il pater familias su come raggiungere la felicità domestica, il quale prescriveva botte alle donne che non dimostravano reverenza e obbedienza al marito. Certo negli ultimi cinque secoli la società russa è mutata e con essa il ruolo della donna che, specialmente in epoca sovietica, ha potuto emanciparsi dalla soggezione al marito. Tuttavia la vita domestica risente ancora del passato e la società russa non ha perso il suo antico carattere patriarcale. Il putinismo non ha fatto che riaffermare questo carattere strizzando l’occhio ai settori più conservatori della società russa tra cui spicca la Chiesa ortodossa.

Delitto senza castigo

Ma quella della depenalizzazione della violenza domestica è una storia tutta moderna. Come spiegato da Laura Luciani, tutto è cominciato nel giugno 2016, quando il governo decise di depenalizzare le percosse a eccezione della violenza domestica per cui invece si stabilì una pena di due anni di detenzione, di fatto equiparandola alla violenza per motivi razziali. Un discrimine volto a proteggere donne e minori che, secondo le stime, sarebbero sempre più vittime di maltrattamenti: ben 26.000 i bambini oggetto di violenza domestica ogni anno, e circa il 25% delle donne.

Tale distinzione non è però piaciuta al clero ortodosso, pronto nell’insorgere rammentando – sacre scritture alla mano – che “un uso ragionevole della punizione corporale è parte essenziale dei diritti che Dio conferisce ai genitori”. Su pressione di gruppi vicini al clero, il governo decise allora di ridurre le pene per violenza domestica a soli quindici giorni di lavori socialmente utili e a una multa di circa 500 euro, derubricando il reato a “violenza privata”, fattispecie in cui viene meno la notitia criminis ed è quindi la vittima a dover raccogliere le prove e sporgere denuncia.

I sostenitori del diritto al pestaggio domestico si sono radunati attorno a Elena Mizulina, deputata nota per le sue controverse leggi contro la “propaganda omosessuale”, che ha redatto una proposta di legge per la depenalizzazione della violenza domestica che prevede che la responsabilità penale si applichi solo se gli episodi di violenza vengono commessi per più di una volta all’anno.

L’emancipazione sempre mancata

Alexandra Kollontaj, rivoluzionaria russa, agitatrice e filosofa, prima donna a ricoprire la carica di ministro, scrisse nel 1921 alcune righe destinate a rimanere nella storia. Sostenitrice del “libero amore” era convinta che il matrimonio fosse un’ulteriore istituzione finalizzata allo sfruttamento e che “la liberazione della donna non può compiersi che attraverso una trasformazione radicale della vita quotidiana […] sulle nuove basi dell’economia comunista”.

Quello che il bolscevismo prometteva era una rivoluzione totale della società e la Kollontaj, consapevole della dimensione economica dell’emancipazione femminile, vedeva nel comunismo una via verso la libertà individuale della donna. Durante il periodo sovietico le donne assursero a ruoli importanti, in anticipo sulle società occidentali, ma i compiti all’interno della famiglia e della coppia restavano ben definiti soprattutto fuori dalle grandi città, in quelle sterminate campagne dove riposa l’eterna anima russa.

Come ricorda Vittorio Filippi, sociologo e docente a Ca’ Foscari, “nonostante le immagini della rabotnica, dell’operaia, venissero riprodotte in dimensioni superiori alla realtà, la liberazione della donna promessa dalla rivoluzione rimase sempre incompiuta, ondivaga e contraddittoria. Già alla fine degli anni Venti l’esaltazione della figura avveniristica della donna-operaio veniva affiancata dalla rivalutazione stalinista della madre eroina con prole numerosa. Poi nel 1968 la nuova legislazione familiare e matrimoniale segnò il trionfo del welfare state e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ma non veniva ridotta l’asimmetria di genere, dato che sulle donne gravavano il lavoro extradomestico e quello domestico”.

La rivoluzione bolscevica non portò fino in fondo il discorso dell’emancipazione femminile lasciando la società russa a metà del guado. Nel 1989, mentre il mondo sovietico si accingeva al crollo, la Pravda scriveva che “la donna deve tornare a casa e non mettere il becco in nient’altro”. La fine della rivoluzione segnava l’ideale ritorno al punto di partenza, al Domostroj e alle regole della tradizione domestica. Un ritorno che molte donne hanno inizialmente accolto come una liberazione, visto che su di loro gravava il doppio fardello del lavoro in fabbrica e in casa, salvo accorgersi presto della necessità dell’indipendenza economica. Oggi, cento anni dopo le dichiarazioni di Alexandra Kollontaj, le donne russe si trovano nel mezzo di un rinascimento patriarcale basato – afferma ancora Filippi – “sui valori pre-socialisti della tradizione ortodossa e nazionalista panrussa” che le vede discriminate tanto nel mondo del lavoro, quanto in quello della politica.

Donne in politica, vetrina del maschio

Si è tuttavia registrato un aumento della presenza delle donne in politica: alla Duma la quota raggiunge il 14% dei parlamentari segnando il risultato più alto di sempre. Questo incremento – nella qualità e nella quantità – della presenza femminile in politica non è però il risultato di una legislazione atta a favorire la parità di genere. Si tratta piuttosto di una mossa tattica da parte di un Cremlino in cerca di nuovi consensi nell’elettorato femminile e di un tentativo di “ripulirsi” dopo i recenti scandali legati alla corruzione: un sondaggio diffuso tra i russi ha mostrato come l’elettorato ritenga le donne più oneste ed efficaci in politica rispetto ai loro omologhi uomini. Ecco allora che per riacquisire credibilità la classe politica ha deciso di aumentare la propria componente femminile. Tuttavia le donne accedono al potere solo quando l’uomo del Cremlino lo consente, e solo se di provata fedeltà e obbedienza. Ecco che la donna in politica è soggetta all’autorità e alla benevolenza del pater patriae replicando le dinamiche patriarcali già presenti nella società.

Diritti negati, lavori proibiti

“Se l’uomo è la testa, la donna è il collo” recita un popolare detto russo. Un proverbio che riconosce il fondamentale ruolo della donna all’interno della famiglia. La domanda tuttavia è: perché è l’uomo a dover essere la testa? La tradizionale subalternità della donna russa nella società e nella famiglia ha fin qui impedito lo sviluppo di un femminismo russo e di una consapevolezza di genere. La recente puntata di Kiosk, programma radiofonico realizzato da Radio Beckwith in collaborazione con la redazione di East Journal, dal titolo “Donne, diritti negati a est“, affronta questa problematica ricordando come, ancora oggi, esista in Russia una lista delle professioni proibite alle donne. Segno di come l’emancipazione della donna sia ancora di là da venire in Russia.
--- Termina citazione ---

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