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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
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--- Citazione ---Cronache dalla Romania, tra ernie del disco, gaffe e referendum
Francesco Magno  7 ore fa

da BUCAREST – La primavera sembra aver fatto finalmente capolino tra i Carpazi e il Danubio, riscaldando l’aria e anche il dibattito politico. Il clima più mite e gli alberi nuovamente in fiore, tuttavia, non sembra abbiano apportato grosso giovamento alla salute dei leader socialisti. Mentre scriviamo queste righe, l’immarcescibile Ion Iliescu, l’uomo che avrebbe deciso la morte di Nicolae Ceausescu, si trova sotto i ferri a causa di gravi problemi al cuore. Anche il suo erede alla guida del partito social-democratico (PSD) Liviu Dragnea ha frequentato nelle scorse settimane gli ospedali della capitale, a causa di una ben più banale ernia del disco che lo ha costretto ad interrompere la campagna elettorale. Da buon socialista statalista, Dragnea è stato ovviamente ricoverato in strutture sanitarie private. Niente di sorprendente, per il leader di un partito sedicente social-democratico che ama la nazione e dialoga amabilmente con la chiesa ortodossa. Whitman diceva orgogliosamente che “essendo un uomo, conteneva moltitudini”. Pensava forse a Dragnea e alle sue multiformi ambiguità? Non impossibile. Il leader maximo interrogato sul perché avesse scelto ospedali privati e non pubblici, come gli onesti poveri cittadini da lui tanto osannati, ha orgogliosamente risposto che si trattava di una struttura finanziata al cento per cento da capitale romeno e non straniero. La Romania ha dato i natali all’inventore del teatro dell’assurdo, ma probabilmente delle moltitudini di Dragnea molti romeni farebbero volentieri a meno.

Dacian Ciolos e la sua lotta col comunismo

La situazione non è più rosea dall’altro lato dello schieramento politico, dove il povero Dacian Ciolos, ex primo ministro e leader del neonato partito PLUS, continua a litigare con lo spettro comunista. Dopo essere stato accusato di amicizie pericolose con ex membri della Securitate, Ciolos e i suoi alleati dell’Unione per la Salvezza della Romania (USR) hanno cercato di dimostrare la loro candida verginità proponendo una legge che vieti la diffusione di idee e dottrine marxiste, minacciando i rei con una pena di dieci anni di galera. In Romania il rapporto col regime continua ad essere manicheo; da chi lo osanna ricordandolo nostalgicamente a chi vorrebbe in galera chi ne propaga le idee, nessuno riesce a interiorizzarlo e a digerirlo. Non sembra che la proposta di Ciolos abbia scaldato i cuori della gente, se non di qualche nostalgico che ha puntualmente lanciato pubblici improperi all’indirizzo dell’ex primo ministro, che forse farebbe bene ad accantonare il passato, dove non ha molta fortuna, e ha concentrarsi sul presente.

Chi gestisce la politica estera?

Nel frattempo la sempre puntuale premier Viorica Dancila ha attirato su di sé le luci della ribalta dichiarando che la Romania è pronta a spostare la sua ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, dimenticando tuttavia un piccolo ma fondamentale particolare. Il governo non può prendere decisioni in materie di politica estera senza il consenso del presidente della Repubblica, Klaus Iohannis. Conscia della gaffe, Viorica ha cercato di salvarsi in corner dicendo di esser stata travisata. Qualche giorno prima, in un momento di tenerissima sincerità, Dancila ha dichiarato di leggere sempre durante i suoi discorsi per evitare di dire stupidaggini. Speriamo ardentemente per le sorti del paese che il ghost writer della premier non si dia alla macchia.

Iohannis e il referendum sulla giustizia

Quando non corregge gli strafalcioni della premier, Iohannis si impegna nel suo sport preferito, ossia fare opposizione al governo. Nei giorni scorsi il presidente ha proposto un referendum, da tenersi il 26 maggio in concomitanza con le europee, sulle politiche del governo in materia di giustizia. Il quesito, piuttosto vago e aperto, dovrebbe recitare più o meno così “siete d’accordo con le politiche del governo in materia di giustizia?”; una domanda che definir retorica è eufemistico. Certo è che l’eventuale mix elezioni europee-referendum potrebbe assestare un colpo ben più letale dell’ernia del disco per il povero (si fa per dire) Liviu Dragnea, che nonostante la morfina ha tuonato contro il suo acerrimo nemico Iohannis, definendolo “disperato, ossessionato e terrorizzato”.

Continua la guerra alla Kovesi?

I veri ossessionati e terrorizzati sembrano tuttavia Dragnea e i suoi, che vedono come il fumo negli occhi la possibilità che Laura Codruta Kovesi, ex procuratore della direzione anti-corruzione, possa essere nominata procuratrice capo europea. La settimana scorsa la Kovesi è stata nuovamente interrogata dai giudici che la accusano di abuso d’ufficio, falsa testimonianza e corruzione. Alla Kovesi è stato impedito di lasciare il paese e di parlare con la stampa. Una chiara misura repressiva per ostacolare la sua nomina a Bruxelles. Un fatto gravissimo, chiaramente emblema di un regolamento di conti estremo non degno di un paese europeo. Alcuni commentatori hanno addirittura affermato (esagerando) che la Kovesi potrebbe essere arrestata. A quel punto non basterà la primavera a colorare il grigiore di un paese che sta pericolosamente imboccando la strada dell’autoritarismo.
--- Termina citazione ---

Frank:
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--- Citazione ---REP. CECA: Il primo paese ex-comunista a riconoscere il matrimonio gay?
Leonardo Benedetti  11 ore fa

Lo scorso 26 marzo il parlamento ceco ha discusso la proposta interpartitica di 46 deputati circa il riconoscimento del matrimonio gay. La nuova legge permetterebbe di superare l’attuale situazione legislativa, andando a colmare quella disparità normativa che a oggi distingue tra matrimonio e unione civile, con la conseguente limitazione di alcuni diritti per le coppie dello stesso sesso. Il voto finale è stato però nuovamente rimandato.

La legislazione attuale

La Repubblica Ceca è uno dei pochi paesi dell’area centro-orientale dell’Europa dove esiste un riconoscimento delle coppie dello stesso sesso sotto forma di unione civile. La società ceca è storicamente aperta, democratica, e tollerante verso le differenze. Anche grazie all’assenza del peso ideologico e politico della religione – il 70% della popolazione ceca si professa ateo – il paese è generalmente tra i più sicuri per le minoranze e ben disposto verso le istanze del mondo LGBT. Manifestazioni come il gay pride si svolgono senza problemi nel paese, dove le relazioni omosessuali sono socialmente accettate molto più che negli stati di confine a forte tradizione cattolica, come la Polonia o la Slovacchia.

La legge attuale risale al 2006 e assicura importanti diritti economici alle coppie dello stesso sesso. In quell’occasione, fu il parlamento a svolgere un ruolo determinante. Le sinistre unite riuscirono a superare il veto del presidente Václav Klaus, e a far approvare dal parlamento il riconoscimento delle unioni civili tra coppie dello stesso sesso, con la conseguente estensione di diritti nella sfera economica e sociale.

A restare fuori dalla legislazione attuale è la questione dell’adozione di minore, che richiedere la totale equiparazione dell’unione civile tra coppie dello stesso sesso al matrimonio eterosessuale. Il nuovo disegno parlamentare si muove proprio in questa direzione.

La proposta di matrimonio

La Repubblica Ceca potrebbe diventare il primo paese ex-comunista a riconoscere pienamente il matrimonio omosessuale. Le società di questi paesi, tradizionalmente poco inclini all’apertura verso i diritti civili, stanno attraversando una nuova ondata conservatrice. Se in alcuni stati si tenta goffamente di rendere anticostituzionale il matrimonio tra coppie dello stesso, come in Romania o in Slovacchia, la Repubblica Ceca sembra poter prendere un’altra direzione.

La proposta di equiparazione del matrimonio omosessuale con quello eterosessuale è però bloccata in parlamento da oltre un anno. La nuova legge permetterebbe la definizione di “matrimonio” anche per le unioni tra coppie dello stesso sesso e darebbe quindi la possibilità per questi di adozione di minori.

A presentare tale modifica del codice civile ceco, su proposta dei membri del partito di governo ANO2011, 46 deputati di diversi schieramenti politici: liberali di destra, liberali di sinistra, socialdemocratici, comunisti. In risposta, un gruppo di 37 parlamentari ha sottoscritto una controproposta per emendare la costituzione e proteggere il matrimonio come unione coniugale tra un uomo e una donna. Tra i difensori della famiglia tradizionale troviamo deputati cattolici della KDU, conservatori del partito democratico civico (ODS), ma anche esponenti delle stesse formazioni proponenti il matrimonio omosessuale, come i socialdemocratici o lo stesso partito del premier ANO2011, a dimostrazione della trasversalità politica della proposta. A tal fine, i partiti hanno lasciato ai propri parlamentari massima libertà di coscienza, che apparentemente dovrebbe portare questi a interpretare la questione solamente secondo proprie credenze, travalicando eventuali logiche e tattiche politiche.

Gli ostacoli politici

La discussione della proposta in parlamento è già stata rinviata molte volte. Se oltre il 60% della popolazione ceca si dice favorevole al matrimonio omosessuale, lo stesso non si può dare per scontato riguardo i parlamentari. La questione spacca i partiti. Sebbene il premier Andrej Babiš si è detto favorevole alla proposta presentata al parlamento proprio dal partito di governo ANO2011, non tutti al suo interno sembrano convinti della bontà della legislazione. Lo stesso appare evidente per altre formazioni politiche, dai socialdemocratici ai liberal-conservatori, fino alla strenua opposizione del partito cattolico della KDU che accusa Babiš di seguire gli istinti popolari senza valutare il merito della proposta.

Sembra quindi complicato prevedere l’esito della discussione parlamentare. Certamente un tema così divisivo non è mai un passaggio semplice per le forze di governo. Il rischio è proprio quello di aprire una ferita nella già debole maggioranza, senza poter completamente intestarsi l’eventuale vittoria politica con i propri elettori. Problema simile si pone per i partiti più liberali e progressisti come il partito pirata, attualmente all’opposizione ma in forte crescita, che si troverebbe ad approvare una proposta trasversale ma proveniente dal governo, rischiando così di aumentarne la popolarità.

Se anche queste resistenze dovessero essere superate e la proposta approvata dal parlamento, il presidente Miloš Zeman ha già minacciato di porre il veto per impedire l’emanazione della legge, o quantomeno rimandarla indietro al parlamento per un ulteriore riesame del provvedimento.

Probabilmente sarà solo una questione di tempo. Nessun paese ex-comunista gode di un’opinione pubblica così aperta e ben disposta verso il riconoscimento di nuovi diritti civili. Nonostante il momento storico, su questi temi la Repubblica Ceca sembra capace di resistere alle influenze ultraconservatrici dei vicini di Visegrád. Con il sostegno di quasi due cechi su tre, si può credere che il matrimonio omosessuale prenderà forma in questa legislatura.
Praga è pronta a riempire il suo parlamento di bandiere arcobaleno.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Grecia/Tra-due-famiglie-storie-di-lavoratrici-domestiche-migranti-in-Grecia-193380


--- Citazione ---Tra due famiglie: storie di lavoratrici domestiche migranti in Grecia

Anna, Maria, e molte altre. In Grecia, migliaia di donne immigrate lavorano come collaboratrici domestiche e badanti. Una vita difficile, sospesa tra legalità e settore grigio, paese di origine e di arrivo, orgoglio e rimpianti

18/03/2019 -  Elvira Krithari   Atene
Invisibile com'era (ed è ancora), era impossibile per lei andare in banca per mandare i soldi alla famiglia in Bulgaria. Anna Georgieva – non è il suo nome, ma suo figlio (che chiameremo Ivan) non voleva che fosse usato per l'articolo – andava quindi in centro ad Atene una volta al mese, ad Ayiou Konstantinou numero 36, Omonia, per inviare denaro in Bulgaria: con l'autobus.

Il momento in cui consegnava all'autista una busta con il nome di sua madre (tra molte buste simili di altre donne) simboleggiava una piccola vittoria, un obiettivo raggiunto.

Anna Georgieva può ricordare almeno 168 di questi momenti (in 14 anni) di riuscite transazioni, necessarie per far sì che Ivan, il suo unico figlio a Sofia, potesse diventare l'avvocato promettente che è oggi. Meno sono stati però i momenti in cui ha potuto effettivamente vederlo diventare tale.

Il confine indefinito tra pubblico e privato
Mentre la maggior parte delle donne migranti in Grecia è impiegata nelle famiglie (il 57,2% secondo un sondaggio del 2011)1, quelle provenienti dai paesi geograficamente e culturalmente vicini di Balcani ed Europa orientale non rappresentano un gruppo compatto e omogeneo.

Quando Polonia, Bulgaria e Romania sono entrate nell'UE, per le lavoratrici domestiche si è creata l'opportunità di vivere e lavorare in Grecia. Tuttavia, rimangono molti casi come quello di Anna: impiegata da due medici in pensione che non pagano l'assicurazione obbligatoria, rimane ancorata al tradizionale contesto di lavoro nero.


Anna si gode il caffè nella casa in cui lavora - E.Krithari

L'assenza di un senso di comunità fra le migranti dai Balcani e dai paesi dell'Europa orientale non è causata solo dalle differenze nel diritto alla mobilità legate allo status UE, ma anche dai loro diversi background e bisogni: ad esempio, le lavoratrici domestiche albanesi arrivano generalmente in Grecia con le loro famiglie per stabilirsi definitivamente, mentre le migranti ucraine, secondo gli studi, sono in genere vedove o divorziate.

Le differenze sono, ovviamente, solo un lato della medaglia. L'altro è che queste donne non hanno nemmeno la possibilità di incontrarsi.

Sebbene Anna non si trovi nella situazione di prendersi cura di una persona anziana inferma e non poter lasciare la casa, lavora da anni senza nemmeno un giorno di riposo. Maria Louka dall'Ucraina, invece, si prende cura di una donna anziana, inferma e completamente dipendente da lei, in una casa molto vicina a dove lavora Anna. Le due donne non si sono mai incontrate.

La mancanza di giorni di riposo non solo viola le leggi sul lavoro, ma è anche causa dello stato psicologico di costante sovraccarico delle lavoratrici domestiche. Durante la nostra conversazione, Maria inizia molto spesso a piangere. È anche la ragione per cui queste donne migranti non sono in grado di sindacalizzarsi e negoziare condizioni di lavoro legali.

"È molto difficile per loro organizzarsi quando non hanno un giorno libero, o possono uscire solo la domenica. Hanno paura delle persone, non conoscono bene la società, raramente partecipano a discussioni aperte. Queste donne non sanno leggere e scrivere in greco, hanno poca autostima e non vogliono andare da sole negli uffici pubblici a registrarsi. Quindi anche le donne greche che lavorano nel settore devono iscriversi al sindacato, collaborare, esigere la certificazione della loro professione", spiega la parlamentare europea Kostadinka Kuneva. Kuneva, che lavorava come addetta alle pulizie in Grecia, è stata segretaria del sindacato greco addetti alle pulizie e governanti. Nel 2008, a causa delle sue attività sindacali, è stata violentemente attaccata con acido solforico (vetriolo), riportando danni permanenti alla vista e alle corde vocali.

Bloccate nelle case delle città o delle province isolate della Grecia, con l'obiettivo di spendere il meno possibile del salario che guadagnano per poter mandare il resto a casa, queste migranti hanno il duplice ruolo di lavoratrici e capifamiglia. Eppure, non possono svolgere appieno nessuno dei due: lavorano in condizioni illegali, non hanno la libertà di negoziare e sono fondamentalmente sole: per loro, le loro famiglie esistono su Skype.

Anna: "Ci vogliamo bene, ma non penso che ci riabitueremo l'uno all'altra"
"Alla fine ho trovato una soluzione per lo scaldabagno; quando lei dormiva, lo accendevo di nascosto. Ma una notte ho dimenticato di spegnerlo. Quando l'ha visto, al mattino, si è scatenato l'inferno". Anna, 49 anni, parla di datori di lavoro difficili, pretese assurde o addirittura offensive che vanno contro i più elementari diritti umani, dagli appartamenti luridi ad attacchi personali sulla (non) importanza della storia del suo paese.

"Lavoro qui da 14 anni, e non ho un solo timbro [per la previdenza sociale/assicurazione]. Quando lavoravo a Kypseli, quando ancora non eravamo nell'Unione europea, [il governo] ha avviato un processo per i documenti. Ma se eri una collaboratrice domestica il datore di lavoro doveva darti un documento per certificare che vivevi al suo indirizzo.

Quando chiedevi i documenti nessuno voleva darti niente e ovviamente nessuno voleva pagare l'IKA [sicurezza sociale/assicurazione]. Quindi ho fatto senza. All'inizio era terribile. Prima che entrassimo nell'UE, la polizia ci dava la caccia. Salivano sugli autobus, i tram e i treni di Omonia, dove fermavano i furgoni che usiamo per trasportare cose e trasferire denaro. E ora che siamo nell'UE, ancora non posso inviare denaro dalla banca perché non ho un permesso di lavoro. Devi avere un numero AMKA [sicurezza sociale], un AFM [codice fiscale]. Per ottenere un numero AMKA devi avere un indirizzo, o il datore di lavoro ti deve dare un documento, non ricordo nemmeno più quale, ho smesso di chiedere".

Il massimo che Anna ha mai guadagnato in Grecia è stato 750 Euro al mese. "A settembre mi servivano molti soldi per comprare libri, scarpe e vestiti a mio figlio. E poi quando ha iniziato l'università, di nuovo avevo bisogno di un sacco di soldi: doveva affittare un appartamento a Sofia. Ad ogni modo non tenevo nulla per me, mandavo tutto a casa", racconta.

L'eurodeputata Kuneva, in passato lei stessa migrante e addetta alle pulizie, sa che questo non è un lavoro che ti permette di risparmiare: "Queste donne mandano i loro soldi a casa e non tengono nulla per sè, né per l'assicurazione sanitaria né per la pensione. Quelle che sono riuscite a comprare un appartamento da qualche parte sono pochissime, non è il tipo di lavoro in cui guadagni abbastanza da stare tranquilla, da sapere che avrai una vita più facile. La situazione ricorda i tempi difficili, quando navi piene di giovani lasciavano la Grecia per tornare solo dopo molti anni".

Ivan, grazie agli sforzi di sua madre e alla propria diligenza, è diventato uno dei migliori studenti della facoltà di giurisprudenza. Recentemente è entrato nel mercato del lavoro del suo paese e guadagna già uno stipendio più alto di quello di Anna. Lei mi dice, con grande gioia, che ora deve lavorare solo per mantenere se stessa. Dopo aver guadagnato alcuni contributi di sicurezza sociale da un precedente lavoro in fabbrica, può ora ottenere una pensione minima dal suo paese (circa 80 Euro al mese). Se i medici greci in pensione per cui lavora decideranno di fare a meno di lei, tornerà al suo villaggio. Tuttavia, la realtà che ha sperimentato in Grecia non si concilia più con la sua vecchia vita in Bulgaria.


Una foto delle nipoti di Maria nella sua stanza ad Atene

"Ora sono un'estranea. Perché non torno da anni, non conosco più i miei vecchi amici, non riconosco i loro figli... Altri sono morti. Ho un'amica, la conosco da quando siamo bambine, ma quando la vado a trovare lei parla di che cosa ha cucinato e così via. Questo non mi interessa. Per la stessa ragione non riesco a parlare con mia sorella. Lei pensa solo a che cosa cucinerà quel giorno, questo mi annoia. Ok, forse sono io da biasimare, perché sono cambiata, me ne rendo conto. Non sono come ero prima. Sono diventata scorbutica".

Il periodo più lungo senza tornare in Bulgaria è stato per Anna tra il 2005 e il 2007. Quando è scesa dall'autobus e ha visto Ivan, 15 anni, "mi è caduta in testa una tonnellata di mattoni", dice in modo caratteristico. "Non avevo mai provato quella sensazione prima, Ivan era cambiato molto e ho pensato ecco, non riconosco più mio figlio. Sensazione strana. Ricordo all'inizio quando me n'ero andata, quanto aveva pianto. 'Mamma non andare via, non lasciarmi, non lasciarmi, non voglio soldi!'. Ora le cose sono cambiate. Ci siamo allontanati dai nostri figli. Sono riusciti a vivere da soli. Penso solo agli anni in cui era piccolo e aveva bisogno di me e io non ero lì. Ci vogliamo bene, ma non credo che ci riabitueremo l'una all'altro".

"Lo rimpiangi?", chiedo.

"No. Senza la Grecia, Ivan non sarebbe quello che è oggi"

E lui lo rimpiange? "Bah, avrebbe avuto un computer? Sarebbe stato in grado di vivere così bene da solo, come adesso? Probabilmente vivrebbe ancora nel dormitorio universitario e avrebbe già avuto tre figli...".

Maria: "Mi piaceva molto lì. Era come essere a casa. Mi hanno chiesto come festeggiamo il Natale in Ucraina"
"Sono venuta da turista, avevo un visto di due mesi. Sono venuta con l'autobus da Leopoli. Ci sono volute 36 ore. Dovevo incontrare un'amica. Non avevo un telefono. Ho chiesto all'autista di chiamarla. È riuscita ad incontrarmi la sera. Erano passati nove anni dalla morte di mio marito. Ho avuto i miei figli a 12 anni di distanza. Il maggiore era sposato, il minore aveva terminato la scuola superiore e frequentava l'università per diventare insegnante di ginnastica. Non avevo soldi. Dovevo pagare".

Maria è arrivata in Grecia l'11 novembre 2002. Aveva 51 anni ed era già nonna. Aveva lavorato per 34 anni in un ospedale come cuoca, 17 come capo cuoca. Ma ad un certo punto i soldi non bastavano e lei era l'unica che potesse andarsene.

All'inizio ha lavorato a Kesariani, prendendosi cura di una signora anziana, ma non capiva bene il greco. "Ma la signora aveva vissuto in America per 40 anni. Mi disse che quando era andata per la prima volta in America nemmeno lei conosceva la lingua. Chiedeva e pian piano imparava. E così ho preso un taccuino. Ho cominciato a chiedere. Chiedevo il nome di tutto quello che vedevo. La sera mi mettevo a studiare. È ancora difficile".

Nei suoi 16 anni di vita in Grecia, Maria non ha solo imparato la lingua. La nipote di una donna di cui Maria si è occupata per 7 anni dice che, a parte la sua stessa famiglia, Maria è l'unica persona al mondo che si ricorda sempre del suo compleanno e dei compleanni di tutta la famiglia.

Sebbene abbia vissuto lontana dalla sua famiglia per molti anni, Maria ha vissuto con altre famiglie che ha aiutato e, inevitabilmente, a cui si è a volte affezionata.

"Mi piaceva molto lì. Era come essere a casa. Mi hanno chiesto come festeggiamo il Natale in Ucraina". I suoi occhi sono pieni di lacrime mentre descrive quanto sia importante per le persone mostrare semplicemente un interesse.

Come la maggior parte delle donne che si prendono cura degli anziani in Grecia, Maria è rimasta con ciascuno di loro fino alla fine. "Li aiutavo ad alzarsi, facevo loro il bagno. Nessuno mi ha mai aiutata. Poi facevo il bucato e stiravo". Fra le faccende domestiche, ogni tanto sentiva i suoi genitori.

"Prima che partissi erano ancora tutti vivi, li chiamavo sempre, sapevo sempre che cosa stavano facendo. Ma non potevo andare lì. Beh, sarei potuta andare, ma poi non sarei potuta tornare in Grecia. Il periodo più lungo in cui sono stata via sono stati tre anni e otto mesi. E un giorno di quel periodo, era il 23 luglio... alle sette di sera, ho portato la signora a fare una passeggiata e ho chiamato a casa dal mio cellulare.

"Tua madre è appena morta", mi hanno detto.

"Che cosa hai fatto?", chiedo.

"Che cosa potevo fare?... Ho pianto. E un altro giorno sono andata in chiesa"

 

Come Anna, Maria ha visto i suoi figli diventare indipendenti e ora dice che lavorerà solo per se stessa. Le chiedo cosa farebbe se potesse tornare indietro nel tempo e lei dice, categoricamente, che non lascerebbe mai il suo paese. "Il tempo si è congelato. 16 anni. Hanno imparato a stare da soli. I nipoti sono cresciuti senza di me. Mi manca tutto".

Anna Georgieva e Maria Louka sono in molti casi il lato invisibile delle famiglie greche contemporanee.

La famiglia internazionale: un processo più che una struttura stabile
Nel suo studio sulle lavoratrici domestiche dei Balcani e dell'Europa orientale, la ricercatrice Katerina Vasilikou nota che per le donne migranti "la famiglia diventa qualcosa per cui lottare, uno sforzo costante, più un processo che una struttura stabile".

La famiglia internazionale – una famiglia in cui i legami non cessano di esistere solo perché i suoi membri sono separati da grandi distanze – dipende in larga misura dal costante mantenimento della comunicazione.

Per la maggior parte del tempo passato in Grecia, Anna e Maria non hanno avuto accesso alle tecnologie avanzate per comunicare con le loro famiglie. La domenica chiamavano le loro famiglie da telefoni a pagamento: Maria ricorda che 20 minuti le costavano 3 Euro, il prezzo della scheda telefonica. Anna ha comprato un portatile dalla Bulgaria. Dopo aver provato per 3 anni a connettersi al wifi del vicino dal suo cellulare, Maria ha recentemente preso un tablet e nella casa in cui lavora c'è Internet. Ora, almeno, entrambe le donne sono meno sorprese della velocità con cui le loro famiglie stanno crescendo e cambiando.

Sembra che le donne siano la ragione principale per cui le famiglie internazionali rimangono unite, anche se sono loro che se ne vanno. Kostadinka Kuneva offre una spiegazione: "Come la vita ha dimostrato e come ha visto la maggior parte delle persone negli ultimi 30 anni, le donne sono più adattabili e flessibili e più pronte a decidere di partire e trovare lavoro altrove per mantenere la loro famiglia. Ho questa idea, che come donne impariamo ad offrire il nostro corpo e lavoro ed energie agli altri, e così, penso, lavoriamo sul nostro egoismo. Questo si trasforma in amore, poi in devozione, e quindi una madre sente fortemente la responsabilità di mantenere la famiglia se gli altri membri non sono in grado di farlo per un motivo o per l'altro. Una donna non può stare a guardare quando vede che suo figlio non ha nulla da mangiare. Ricordo che mia zia stava molto male quando suo figlio chiedeva un biscotto, non uno al cioccolato, ma solo un biscotto, che costa pochissimo: poche monete, ma lei non aveva nemmeno quelle. Che cosa doveva fare per il cibo, come poteva permettersi di mandare suo figlio a scuola? Così lei ha dovuto andarsene. Diceva sempre: "Sono andata via per un biscotto".

La regolamentazione del lavoro domestico, per non parlare di un quadro di certificazione, cambierebbe non solo la vita delle donne che spesso vivono come prigioniere, ma andrebbe anche a beneficio dei loro datori di lavoro, le famiglie che affidano i propri cari a persone di cui sanno molto poco.

In una certa misura, questo influenzerebbe positivamente anche la vita dei figli delle migranti, perché "una cosa è dover partire improvvisamente per un lavoro che è come una prigione, sopportare la mancanza di rispetto, la tua famiglia non sa nemmeno se sei viva, come stai, ti prendono i documenti e non li restituiscono... ed è un'altra cosa se loro sanno che sei andata in un centro di ricerca, in un'università o in un'azienda e hai un indirizzo e un telefono e puoi sempre essere in contatto con loro", aggiunge Kuneva.

Per il resto, è difficile offrire risposte. Come compensare la perdita di un genitore che non è morto, e come gestire il senso di colpa che probabilmente provi perché la separazione è a causa tua, o a tuo vantaggio? La risposta può arrivare solo dalla generazione globale che è cresciuta senza le loro madri.

 

1 Women΄s Immigration in Greece (2011) con la collaborazione del Centro nazionale di ricerca sociale, Università di Panteion e Centro per la ricerca sulle questioni femminili nel quadro del Fondo europeo per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi (EIF)
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-a-processo-l-ex-presidente-Iliescu-per-le-morti-del-1989


--- Citazione ---Romania, a processo l'ex presidente Iliescu per le morti del 1989
11 aprile 2019

L'ex presidente romeno Ion Iliescu sarà processato per crimini contro l'umanità, insieme ad alti membri della leadership politica e militare che guidò la rivoluzione romena del 1989 contro il dittatore comunista Nicolae Ceaușescu.

È una delle pagine più oscure e dolorose della storia recente romena: nel dicembre 1989, durante e dopo la caduta di Ceaușescu, le strade di Bucarest e di altre città romene divennero preda del caos più completo. Per alcuni giorni, misteriosi “terroristi” spararono sulla folla, scesa in piazza per chiedere democrazia e libertà.

Secondo la procura militare romena a provocare e gestire il caos - per riuscire a prendere il potere nella fase più violenta della transizione - sarebbe stata la leadership del “Fronte di Salvezza nazionale”, creato in fretta e furia da elementi meno esposti del Partito comunista e capeggiato da Iliescu. Dopo la presa del potere da parte del Fronte, il 22 dicembre 1989, i morti nelle strade furono 862, i feriti più di duemila.

L'accusa sostiene che il gruppo raccolto intorno a Iliescu - capo di stato dal 1989 al 1996, e poi di nuovo dal 2000 al 2004 - avrebbe deliberatamente utilizzato servizi segreti ed esercito contro i manifestanti, con l'obiettivo di creare un clima di terrore nelle strade.

Sul banco degli imputati, insieme ad Iliescu, ci sarà l'ex vice primo ministro Gelu Voican-Voiculescu. Sempre secondo la procura, i due avrebbero “diffuso informazioni false attraverso comunicati televisivi e a mezzo stampa, contribuendo alla creazione di uno stato di psicosi generale”. Entrambi rigettano però le accuse, che Voican-Voiculescu ha definito “un atto di vendetta politica”.

Accuse anche per l'ex capo dell'aviazione militare Iosif Rus, accusato di aver ordinato ad un reggimento dell'aviazione di camuffare le proprie divise, ordine che portò a uno scontro a fuoco con altri militari nell'aeroporto di Bucarest (Otopeni), sfociato nella morte di 40 militari e otto civili.

Non è questo il primo processo sugli eventi che hanno segnato la controversa “rivoluzione romena”: una prima indagine venne chiusa senza rinvii a giudizio nel 2009. Secondo il procuratore generale Augustin Lazăr, il nuovo processo “rappresenta un momento importante per il sistema giudiziario romeno, che assolve così ad un debito d'onore verso la nostra storia”.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/97303


--- Citazione ---Ungheria e Slovenia ai ferri corti per la copertina di un giornale
Gian Marco Moisé  2 giorni fa

Nelle ultime settimane, si è alzata la tensione tra Ungheria e Slovenia a seguito della pubblicazione di una caricatura del primo ministro ungherese Viktor Orbán sulla copertina di un settimanale politico sloveno, Mladina.

Il caso

Che il premier ungherese Viktor Orbán riconoscesse nella Russia di Vladimir Putin un modello da seguire era chiaro da tempo, ma che l’emulazione avrebbe raggiunto questi livelli se lo sarebbero immaginati in pochi.

Negli ultimi due anni, il settimanale politico Mladina, uno dei più autorevoli prodotti del giornalismo sloveno ha riportato i tentativi del governo ungherese di interferire nella politica interna del piccolo paese balcanico. Tra questi, ci sarebbero il conferimento della cittadinanza ungherese ai cittadini della regione confinante con l’Ungheria, Pomurje, il finanziamento di business e attività sociali a Koper, e una fotografia provocatoria della stessa ambasciatrice ungherese a Lubiana, Edit Szilágyiné Bátorfi, con la mappa della Grande Ungheria, che comprende la stessa regione di Pomurje. Infine, Mladina ha riportato l’acquisto di quote di un giornale conservatore in parte detenuto dal partito democratico sloveno (SDS), guidato da Janez Janša.

Mladina

Di recente, però, la tensione tra Mladina e il governo ungherese ha raggiunto livelli istituzionali. Il 22 marzo, il settimanale sloveno ha pubblicato una storia sul voto interno al gruppo parlamentare dei popolari europei, sostenendo che a Fidesz sia stato permesso di rimanere all’interno del gruppo grazie al voto dello stesso Janša e di altri due parlamentari di SDS, Milan Zver e Branko Grims. Tuttavia, a scandalizzare il governo ungherese sarebbe stata proprio la copertina del giornale che ritrae una versione caricaturale di Viktor Orbán, sostenuto da Janša, Branko e Grims, mentre fa il saluto fascista.

Le reazioni

Tre giorni dopo, il 25 marzo, l’ambasciata ungherese a Lubiana ha rilasciato una nota diretta al ministro degli esteri sloveno, nella quale ha dichiarato che: “La copertina del 22 marzo 2019 del settimanale Mladina eccede i limiti della libertà di stampa e di espressione. L’ambasciata ungherese a Lubiana crede che simili azioni danneggino l’altrimenti eccellente rapporto bilaterale tra i due paesi. Quindi, l’ambasciata protesta nei confronti del Ministro degli Affari Esteri sloveno per l’irresponsabile copertina di Mladina, chiedendo al Ministro di prevenire simili incidenti in futuro.” Alla malcelata richiesta di interferenza nella libertà di stampa ha replicato il portavoce del ministro degli esteri sloveno, sostenendo che: “[Noi] rispettiamo la libertà di parola e di stampa e non interferiremmo mai nella politica editoriale di nessun giornale”.

Ciononostante, Mladina ha lamentato continue pressioni da parte delle autorità ungheresi. Il primo aprile, il portavoce del governo Zoltán Kovács ha attaccato il giornale dal suo blog, sostenendo che: “Per gli intellettuali negli uffici editoriali di Mladina, che hanno una lunga storia di supporto dell’agenda multiculturale e di antipatia nei confronti della chiesa, chiunque si opponga all’immigrazione e voglia proteggere la cultura cristiana dev’essere un nazista”. Il direttore di Mladina, Grega Repovž, ha commentato la vicenda a POLITICO, chiarendo che Orbán: “Parla come un fascista, si comporta come un fascista e usa retorica antisemitica. L’Ungheria è un paese che non nasconde i suoi tentativi di prendere il controllo dello stato sloveno in tutti i modi possibili.”

Non è la prima volta che la satira attira l’attenzione di leader che non tollerano critiche, ma la cosa più desolante della vicenda è sapere di non potersi aspettare la più timida reazione a livello europeo. Le istituzioni europee sono popolate da sovranisti che hanno a cuore solo le vicende nazionali. Svuotata del suo respiro sovranazionale, l’Unione Europea è solo l’alibi per il delitto perfetto.

Foto: Copertina di Mladina, 22 Marzo 2019
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