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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-la-lotta-contro-l-estremismo-violento-e-la-radicalizzazione-193842
--- Citazione ---Kosovo: la lotta contro l’estremismo violento e la radicalizzazione
Anche in Kosovo, come in molti paesi europei, sono state adottate misure per la de-radicalizzazione, in particolare, ma non esclusivamente, rivolte a chi è rientrato da fronti di guerra. Quali sono? E soprattutto, sono utili?
12/04/2019 - Ervjola Selenica
Contro-terrorismo, de-radicalizzazione e contrasto all’estremismo violento sono diventati centrali nelle agende per la sicurezza di attori internazionali quali l’Unione europea, le Nazioni unite, Osce1. All’interno di molti paesi europei, misure di prevenzione contro l’estremismo violento sono state sviluppate nei quartieri, nelle comunità, nelle scuole e negli ospedali. Queste hanno incluso la partecipazione di attori tradizionalmente non-securitari quali insegnanti, operatori sociali, autorità religiose, personale sanitario e le famiglie2. In diversi paesi europei, le misure di de-radicalizzazione, contro-terrorismo e contrasto all’estremismo violento hanno sollevato dubbi e critiche riguardo alla loro efficienza e ai loro effetti sociali più ampi sui diritti fondamentali, la discriminazione religiosa e la coesione sociale. In particolare, diversi studiosi hanno enfatizzato il rischio di stigmatizzazione delle comunità musulmane3.
La partecipazione di combattenti islamici originari della Bosnia Erzegovina e del Kosovo nel conflitto siriano ha riportato la questione dello jihadismo e dei pericoli legati alla radicalizzazione e l’estremismo violento al centro delle agende di attori locali e donatori internazionali nei Balcani Occidentali. Molti dei concetti, misure e strategie inizialmente sviluppate all’interno dell’UE sono stati esportati, recepiti e implementati nei paesi balcanici. A partire dal 2014, in seguito all’arresto di 130 cittadini kosovari con l’accusa di terrorismo, le autorità kosovare hanno intensificato la lotta contro il terrorismo e la radicalizzazione. Nel 2015 è stato adottato il piano strategico Kosovo’s Strategy on Prevention of Violent Extremism and Radicalization Leading to Terrorism 2015-2020, basandosi prevalentemente sulle strategie europee.4 Mentre inizialmente la lotta contro il terrorismo era incentrata attorno a misure repressive e criminalizzazione dei soggetti radicalizzati, successivamente, in linea con un cambiamento di atteggiamento a livello globale, tale lotta si è spostata verso un approccio di prevenzione e reintegrazione sociale dei ritornati dalla guerra siriana.
I numeri
Circa 400 cittadini kosovari hanno viaggiato in Siria e Iraq nel periodo 2012-2017: di questi un terzo ha perso la vita nelle zone di conflitto e un terzo è tornato in Kosovo5. Alcuni cittadini kosovari sono stati arrestati in Germania e Kosovo nel 2018 con il sospetto che stessero preparando degli attacchi terroristici nel loro paese e in altri paesi europei. Nonostante non si sia registrato in Kosovo un singolo atto terroristico, il pericolo dell’estremismo violento e della radicalizzazione sta attirando crescenti attenzioni e fondi da parte di attori internazionali del paese balcanico. I dati sulla radicalizzazione e l’estremismo violento in Kosovo sono vaghi e spesso basati su un sensazionalismo mediatico sia locale che internazionale.
Interviste condotte in Kosovo nel settembre del 2018 riguardo la natura e la portata del pericolo estremista mostrano opinioni contrastanti con i numeri che fluttuano da un paio di centinaia di radicalizzati in prigione a quasi 20.000 radicalizzati identificati da fonti non verificate dei servizi di intelligence kosovara6. Una confusione ancora più significativa regna tra i vari portatori di interesse in merito al significato dei concetti usati: in particolare i termini estremismo violento e radicalizzazione nel caso kosovaro sono spesso equiparati all’Islam e all’ideologia islamista. Ciò contrasta con valutazioni del rischio condotti dalla Kosovar Center for Security Studies, che mostrano come il 40% della violenza avviene su basi etniche o politiche mentre solo il 25% è motivato da una matrice religiosa. Ciononostante, è la violenza politica associata all’estremismo religioso che attrae la maggiore attenzione mediatica e i più consistenti finanziamenti per la sua prevenzione. Anche se non esiste un profilo unico dei combattenti kosovari, molti di quelli che hanno viaggiato in Siria e Iraq appartongono alla fascia d’età tra i 20 e i 30 anni. Inoltre, il Kosovo ha un numero significativo di giovani maschi in condizioni socio-economiche di povertà e marginalità: il 43% della popolazione è sotto i 25 anni, mentre la disoccupazione giovanile è attorno al 57.7%.
Perché avviene la radicalizzazione? Il dibattito
Tra i vari fattori a spiegazione del fenomeno di radicalizzazione dei combattenti kosovari due sono quelli che spiccano nel dibattito pubblico: da una parte, la presenza di fondazioni straniere religiose che appartengono a diverse congregazioni islamiche e dall’altra le condizioni socio-economiche in cui versa il paese. Il ruolo svolto da fondazioni straniere finanziate dai paesi del Golfo o dalla Turchia è stato identificato da vari analisti come rilevante nel promuovere traiettorie di radicalizzazione e reclutamento di giovani kosovari attraverso una complessa e informale rete di mediatori privati, imam estremisti e donazioni7. Anche se promuovono agende e forme diverse di Islam, queste fondazioni hanno contribuito ad inserire nel contesto kosovaro una forma dell’Islam di matrice wahabita in contrasto con la forma localmente radicata in Kosovo e nei Balcani di tradizione Hanafi. Studi recenti condotti dal British Council hanno però mostrato come vi sia una scarsa evidenza che queste fondazioni abbiano direttamente reclutato giovani in gruppi di estremismo violento. Il reclutamento sembra essere stato veicolato tramite contatti personali fisici o virtuali diretti.
Le condizioni socio-economiche del paese e la combinazione tra alti livelli di povertà, disoccupazione giovanile e basi livelli di istruzione sono stati identificati come il secondo fattore più importante di radicalizzazione in Kosovo. Recenti studi hanno però sottolineato come l’istruzione non sia un fattore chiave esplicativo quanto la disoccupazione combinata all’immobilità sociale. Lo stesso rapporto del British Council identifica come spinta significativa della radicalizzazione un ‘vuoto d’identità, espressa in termini di distacco dal tessuto sociale”8. In altre parole, appartenere a un gruppo che abbraccia idee di estremismo violento diventa più importante della dottrina religiosa di per sé.
Settori e attori sociali quali l’istruzione e i giovani sono diventati centrali nei modelli sia esplicativi sia di contrasto dell’estremismo violento in Kosovo. In quest’ottica, tali settori sono visti sia come potenziale causa che soluzione al pericolo estremista. Mentre non ci sono dubbi sul fatto che la radicalizzazione in Kosovo sia un fenomeno giovanile, un fattore esplicativo ignorato è l’inattività diffusa e l’assenza di prospettive di quei giovani kosovari che hanno studiato e che non sono considerati economicamente poveri. In quest’ottica, ciò che è in gioco è una dinamica di frustrazione delle aspettative, e una promessa di ordine e significato in un contesto che è carente di entrambi. In altre parole, secondo la prospettiva analitica di Oliver Roy, ciò che si nota nel caso kosovaro non è un meccanismo di radicalizzazione basato su una matrice settaria e identitaria islamica, bensì una forma di radicalizzazione di altre questioni e rimostranze, un’identità radicalizzata tra percezioni di marginalizzazione e nichilismo.
Tra gli attori che identificano la radicalizzazione come un fenomeno sostenuto da un’ideologia religiosa, l’istruzione è identificata come uno spazio dove il fenomeno possa essere capito, prevenuto e contrastato. Una comprensione dell’indottrinamento estremista come sostenuto da un’informazione e consapevolezza inadeguata riguardo all’ideologia stessa e alle sue conseguenze ha reso l’istruzione un settore chiave nelle risposte e interventi di contro-radicalizzazione. Più del 40% delle attività previste dalla strategia governativa spettano per esempio al ministero dell’Istruzione. In pratica, ciò è stato tradotto in una molteplicità di interventi di fomrazione indirizzati dal livello delle scuole primarie a quello universitario, e implementati da un numero crescente di attori governativi e non-governativi e spesso carenti di coordinamento da parte del ministero dell’Istruzione.
Reintegrazione
Le misure sia locali che internazionali contro l’estremismo violento e la radicalizzazione in Kosovo si sono inizialmente focalizzate sui fattori trainanti dell’estremismo. Successivamente il focus si è spostato sulle comunità a rischio quali i giovani, le donne e le famiglie dei combattenti. Più recentemente, l’attenzione si è concentrata sulla reintegrazione dei combattenti ritornati e delle loro famiglie, così come sulla radicalizzazione nelle prigioni. La reintegrazione sociale dei combattenti ritornati è diventata un obiettivo centrale nella lotta contro l’estremismo in Kosovo ed è stata impostata sul modello tedesco e quello danese. Altri progetti si sono focalizzati sugli Imam che insegnano in prigione, dando centralità alla diffusione di narrazioni contro la radicalizzazione. Inoltre, i vari donatori internazionali hanno finanziato la creazione di meccanismi di segnalazione basati sui modelli statunitensi e danesi, in quali sono stati implementati congiuntamente dalle autorità municipali, gli imam e i funzionari di polizia.
La lotta contro l’estremismo violento in Kosovo solleva molte domande sul fenomeno stesso e sulle conseguenze di come è stato contrastato, domande che possono essere applicate anche a simili contesti balcanici quali l’Albania o la Bosnia. Mentre l’ammontare complessivo di fondi che è previsto in crescita suggerisce che vi sia un pericolo di radicalizzazione sempre presente, i dati su tale pericolo e il fenomeno stesso sono contraddittori e spesso solo sostenuti da un sensazionalismo mediatico. Inoltre, non c’è consenso riguardo a cosa estremismo violento e radicalizzazione significhino nel contesto kosovaro. Spesso le definizioni usate riproducono la stessa vaghezza problematica che si trova nei discorsi di politiche internazionali sullo stesso tema. L’equivalenza dell’estremismo violento con l’estremismo islamico religioso nel paese rischia di stigmatizzare la comunità musulmana che rappresenta anche la maggioranza della popolazione. Modelli esplicativi correnti enfatizzano il ruolo giocato da fondazioni straniere e allo stesso tempo trascurano altri fattori sottostanti il legame tra giovani e radicalizzazioni in Kosovo quali la questione dell’anomia, l’inattività e un’assenza di opportunità lavorative per la generazione nata dopo la guerra.
Il coinvolgimento di leader religiosi, famiglie, insegnanti, nelle politiche contro la radicalizzazione e l’estremismo violento può danneggiare l’inclusione, la fiducia e la coesione sociale in un paese fragile quale il Kosovo. Un’analisi critica delle politiche messe in campo mostra un inquadramento del ruolo dei giovani, dell’istruzione e di altri attori locali secondo una logica securitaria. In quest’ottica, i giovani rischiano di essere identificati tra due visioni opposte: da un lato, come oggetti di radicalizzazione e quindi potenzialmente pericolosi per la sicurezza del paese; dall’altro, come strumenti di prevenzione dell’estremismo e della radicalizzazione. Ciò ha portato a uno spostamento semantico secondo il quale i giovani non sono più visti come soggetti radicali ma come soggetti potenzialmente radicalizzati. Il rischio che tale spostamento comporta è che la loro immanente potenzialità a fungere come attori di cambiamento sociale, emancipazione e critica è ristretta significativamente. Allo stesso modo vi è il timore che la strumentalizzazione dell’istruzione nel servire scopi di contro-radicalizzazione possa minare la fiducia nel settore stesso e generare risentimento ed esclusione, e quindi generare più radicalizzazione. Inoltre, tale strumentalizzazione rischia di restringere la funzione dell’istruzione come un’istituzione fondamentale per la messa in discussione dei valori prestabiliti e delle autorità, così come il suo potere di sfidare e superare lo status quo.
Note:
1. Kundnani A., Hayes B. 2018. The Globalisation of Countering Violent Extremism Policies, (Amsterdam: Transnational Institute).
2. Ragazzi, F. 2017. Students as Suspect. The challenges of counter-radicalisation policies in education in the Council of Europe member states. Interim report. Council of Europe. Strasbourg
3. Bigo, D., Bonelli, L., Guittet, E.P. and Ragazzi, and Ragazzi, F. 2014. “Preventing and Countering Youth Radicalisation in the EU,” PE 509.977
Council of Europe. 2014. Revised EU Strategy for Combating Radicalisation and Recruitment to Terrorism, 9956/14 (http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9956-2014-INIT/en/pdf, last access 15 December 2018).
4. Intervista dell'autrice con un giornalista investigativo, Pristina, 24 settembre 2018.
5. Kursani, S. 2018. Kosovo Report. Western Balkans Extremism Research Forum, April 2018, funded by the British Council.
6. Author's interview with a local scholar, Prishtina, 25 September 2018; Author's interview with a local o cial working with an international organization active in CVE, 26 September 2018.
7. Kursani, S. 2018. Kosovo Report. Western Balkans Extremism Research Forum, April 2018, funded by the British Council
8. Kursani op cit.
* Questo studio è stato finanziato dalla Kosovo Foundation for Open Society come parte del progetto “Building knowledge about Kosovo (2.0), i cui risultati verranno pubblicati a breve.
--- Termina citazione ---
Vicus:
E da chi pro viene ques'estremismo violento? Forse dagli ortodossi? :shifty:
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/97543
--- Citazione ---UCRAINA: E se un comico potesse salvare il paese?
Oleksiy Bondarenko 1 giorno fa
A pochi giorni dal secondo turno elettorale che domenica prossima deciderà il futuro presidente del paese, sembra molto probabile che il vincitore possa essere davvero Volodymyr Zelensky, il comico che ha sorpreso gli osservatori internazionali dominando il primo turno con oltre il 30% di voti. Ad inseguire, sempre più in affanno, il presidente uscente, Petro Porošenko.
Una figura nuova
In molti, in Ucraina e all’estero, sostengono che Zelensky oltre ad essere un comico, giovane ed inesperto, sia anche una figura debole. “Ve lo immaginate un comico a negoziare con Putin?” ci è stato ripetuto nelle ultime settimane. Una domanda legittima, ma che ha il torto di dismettere troppo rapidamente quello che Zelensky potrebbe rappresentare.
Se da una parte Ze è sicuramente inesperto, dall’altra essere una figura nuova potrebbe rappresentare un grande vantaggio. In primo luogo perché difficilmente amici, colleghi e partner di vario tipo verranno a bussare alla porta chiedendo il conto dei vecchi favori. È sempre successo in Ucraina, e Porošenko non è un’eccezione, dato che ha disseminato i propri compagni politici e vecchi partner in affari tra le principali istituzioni dello stato. Anche se i nomi dei vari Kononenko e Svinarchuk (che ha cambiato il suo cognome in Gladkovskij, proprio quello coinvolto nel recente scandalo di UkrOboronProm) possono risultare sconosciuti ai molti, sono proprio loro ad aver beneficiato maggiormente della presidenza di Porošenko negli ultimi 5 anni, contribuendo in buona misura ad offuscare la sua immagine. Zelensky, al contrario, non ha un proprio clan politico-economico fatto da amici fidati e vecchi compagni di merende.
Un presidente debole e un ruolo nuovo per il parlamento?
Una delle conseguenze positive della probabile presidenza di Volodymyr Zelensky potrebbe toccare anche l’assetto istituzionale del paese. Non va dimenticato, infatti, che formalmente l’Ucraina è una repubblica semipresidenziale. Anche se quel ‘semi’ viene ricordato oggi soprattutto dai sostenitori di Porošenko che ci suggeriscono come il presidente, de jure, non sia responsabile dei problemi nella sfera economica (men che meno nella lotta alla corruzione!!!), spesso ci si dimentica che de facto i poteri del presidente oggi si estendono ben oltre i limiti formali. Uomini fidati al comando dei servizi di sicurezza (SBU), un amico a capo della procura generale e la posizione di Primo ministro occupata da un alleato di vecchia data (che non a caso ha rimpiazzato un meno malleabile Yatseniuk) hanno permesso, seppur informalmente, di concentrare il potere nelle mani del presidente rendendo l’Ucraina de facto una repubblica presidenziale.
Proprio da questo punto di vista la presidenza di Zelensky, uomo nuovo e per certi versi debole al cospetto dei vecchi squali della politica ucraina, potrebbe rappresentare una novità istituzionale positiva, avviando una lenta transizione verso il consolidamento di un modello veramente semipresidenziale. Non è nemmeno detto che questo passaggio debba avvenire per volontà dello stesso Zelensky. La storia dei regimi ibridi in transizione (soprattutto in Asia e America Latina) è piena di cambiamenti istituzionali ‘accidentali’.
L’importanza di questo fattore va ben oltre un ruolo più attivo del parlamento che dovrebbe rappresentare il principale limite ai poteri del presidente. Come sostengono numerosi studiosi, infatti, il principale effetto di un sistema semipresidenziale in contesti caratterizzati da un alto livello di corruzione e clientelismo, è proprio quello di limitare la concentrazione del potere nelle mani di una singola figura con la conseguente creazione di una singola piramide (di un singolo clan) intorno al presidente. Una presidenza più debole potrebbe così comportare la nascita di più centri di potere (parlamento e presidente) in competizione tra loro, limitando di conseguenza le possibilità di un nuovo accentramento del potere. Gli oligarchi non scompariranno certo con Zelensky, i cui legami con Igor Kolomoisky sono ben noti, ma un gioco più competitivo potrebbe paradossalmente consolidare l’assetto semipresidenziale del paese, promuovere un ruolo più attivo del parlamento e dare il via a una lenta transizione verso un modello più democratico, seppur mai ideale rispetto ai parametri delle democrazie consolidate.
Un candidato pro-russo?
Quello per Zelensky non appare solo un voto di protesta nei confronti dell’attuale politica economica, sociale e culturale, ma anche contro la posizione dell’attuale presidente sul conflitto. Il 63% degli ucraini, infatti, considerano la guerra in Donbass come il principale problema del paese.
Anche se la sua posizione sui rapporti con Mosca rimane poco strutturata e nonostante quello che dicono molti detrattori, difficilmente Zelensky come nuovo presidente potrà invertire il corso della politica internazionale e scendere ad accordi inaccettabili per Kiev (e per l’opinione pubblica) su Crimea e Donbass con il Cremlino. Sebbene il suo punto fermo sul tema più caldo – guerra in Donbass – sembra essere la consapevolezza di non poter determinare le sorti del conflitto con la forza, quindi lasciando le porte aperte ad un possibile dialogo con la Russia, ha sempre mantenuto una posizione piuttosto chiara, anche se pragmatica, nei confronti della direzione europea del paese. Pur partendo dall’idea che un allargamento dell’Unione non è in agenda per il prossimo futuro e che l’ingresso nella NATO non è tecnicamente possibile quando parte del territorio del paese è occupato dalla Russia, l’Ucraina continuerà a guardare all’Europa come punto di riferimento. Qualcuno può legittimamente gridare all’appeasement, ma quale altra soluzione realistica sia oggi disponibile, rimane una domanda senza risposta.
Se tutti sappiamo che sul piano internazionale le carte migliori non sono nelle mani di Kiev ma in quelle del residente del Cremlino, sul piano interno, però, la figura e la posizione di Zelensky potrebbe offrire più prospettive per la reintegrazione del Donbass. Il suo bilinguismo, nonostante un ucraino non perfetto e il russo come lingua principale, la sua posizione piuttosto moderata sulla natura multi-identitaria del paese – espresse anche tramite un sostegno selettivo alla decomunizzazione – e i suoi richiami ad una forma di ‘democrazia diretta’ secondo la quale le decisioni più importanti e controverse debbano essere sottoposte a referendum, potrebbero essere tutti elementi in un certo senso riconcilianti per una parte della popolazione dell’est del paese. Di certo sarebbe una cesura piuttosto chiara rispetto alla posizione sempre più etnonazionalista del presidente uscente (suo lo slogan: Esercito, Lingua, Fede). Non a caso, anche se il sostegno per il vincitore del primo turno è più forte nel sud-est, Zelensky è riuscito a vincere anche nella maggioranza delle regioni occidentali del paese, quelle storicamente più ucrainofone.
Tra populismo e società civile
È vero che il successo di Mr. Ze è probabilmente da attribuire alla sua vena che oggi chiameremmo populista. Il richiamo diretto alla contrapposizione tra popolo ed élite, l’uso dei social media, la grande popolarità tra i giovani sono solo alcuni degli elementi centrali del comico che vuole diventare presidente. Per capire davvero il suo successo però bisognerebbe fare attenzione ad usare semplici parallelismi con i populismi di matrice europea. La realtà in Ucraina è ben diversa e la qualità della classe politica e dei problemi legati ad essa (corruzione su tutti) sono imparagonabili con quelli delle democrazie europee, nonostante tutti i loro problemi. Nel contesto ucraino una possibile vittoria di Zelensky potrebbe essere letta come un segnale positivo per la società civile, quella reduce da EuroMaidan, che nonostante i numerosi problemi degli ultimi 5 anni, può ancora aspirare ad avere una voce senza per forza soccombere ai soliti volti noti della vecchia classe dirigente. Il punto quindi non riguarda tanto Zelensky e le sue capacità, quanto il fatto che la sua figura potrebbe rappresentare un punto di non ritorno nella lunghissima transizione del paese e nella complessa relazione tra società civile e politica nell’Ucraina post-sovietica.
Il giullare non cambierà di certo il paese in un baleno, ma gli effetti positivi potrebbero essere più di quelli che siamo capaci di vedere oggi.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/97528
--- Citazione ---RUSSIA: La Duma approva la legge sul controllo di internet
Eleonora Febbe 3 giorni fa
L’isolamento del RuNet è sempre più realtà. La Duma ha votato per la terza e definitiva volta a favore della legge “per garantire un funzionamento stabile e sicuro di internet”. Una legge controversa, che implicherebbe un maggiore controllo statale dei contenuti condivisi sul web e che potrebbe “disconnettere” la Russia dalla rete internet mondiale in caso di non meglio precisati cyberattacchi.
La stretta del Cremlino su internet
La legge è stata approvata con 307 voti favorevoli e 68 contrari. Prevede che, nel caso in cui un cyberattacco minacci l’accesso a internet della Russia, il Roskomnadzor – l’agenzia statale che controlla connessioni e comunicazioni di massa – possa prendere il controllo di internet, filtrando tutto il traffico web del Paese.
Perché questo possa avvenire, sarà necessaria l’installazione di sistemi di sorveglianza, che il Cremlino consegnerà gratuitamente ai fornitori di servizi internet di tutta la Russia, i quali saranno tenuti a bloccare l’accesso a determinati siti qualora richiesto dal Roskomnadzor. Si tratta di un sistema che dovrebbe essere attivato soltanto in caso di cyberminacce, ma molti temono che le autorità possano sfruttarlo anche per bloccare contenuti di opposizione, implementando un modello di censura sul web sempre più simile a quello cinese.
Una Russia sempre più autoritaria, anche online
La libertà di espressione sul web è già da tempo sotto attacco in Russia: nel suo rapporto sulla Freedom of the Net del 2018, Freedom House ha piazzato Mosca al 53° posto su 65 Paesi, stabilmente nella categoria degli Stati “non liberi”. Già l’anno scorso, il Roskomnadzor aveva bloccato Telegram in Russia dopo il rifiuto del fondatore, Pavel Durov, di consentire all’FSB di accedere ai messaggi degli utenti. Il blocco però era stato molto poco preciso, con siti e sistemi di messaggistica che venivano accidentalmente bloccati insieme a Telegram.
E anche nel caso della legge appena votata, una sua implementazione capillare rischia di essere imprecisa e di causare disagi al traffico internet, se approvata in via definitiva. Per ora, sarà sottoposta al voto nella camera alta del parlamento, il Consiglio Federale, il prossimo 22 aprile, prima della firma di Putin. Entrerebbe in vigore a partire dal 1 novembre 2019.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Liberta-di-informazione-sempre-piu-giu
--- Citazione ---Libertà di informazione: sempre più giù
19 aprile 2019
L'indice 2019 di Reporters senza frontiere mostra alcuni significativi peggioramenti. Anche in aree da cui ci si aspetterebbero situazioni meno problematiche. E nel Sud Est Europa si fanno notare - in negativo - Serbia e Ungheria
Il 6 ottobre 2018 la giornalista bulgara Viktoria Marinova veniva uccisa . Quest’anno la Bulgaria rimane ferma al 111esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere, su un totale di 180 paesi esaminati. Con la presidenza di turno del Consiglio d’Europa, che la Bulgaria ha tenuto nei primi sei mesi del 2018 - si legge nella pagina dedicata al paese - ci si poteva aspettare un miglioramento nella condizione della stampa, ma appunto così non è stato.
Secondo i dati appena pubblicati, 88 paesi hanno peggiorato la loro posizione nel ranking rispetto allo scorso anno, 12 sono rimasti stabili e 68 hanno registrato un qualche miglioramento. In generale, dunque, le cose non vanno bene per la libertà di informazione. In questa classifica, tra i paesi dell’area balcanica, si fa notare il calo di 14 posizioni registrato dalla Serbia, arrivata alla 90esima posizione e dove appunto la situazione per i giornalisti e l’informazione è definita “non sicura ”. “Il numero di attacchi nei confronti dei media è in aumento, comprese le minacce di morte - si legge nella pagina sulla Serbia - retorica incendiaria nei confronti dei giornalisti viene sempre più utilizzata dai funzionari del governo”.
Altrettanto consistente (-14) la perdita di posizioni registrata dall’Ungheria, che a livello di classifica risulta all’89esimo posto. In evidente peggioramento anche la situazione dell’Albania, che perde 7 posizioni e si ritrova all’82esimo posto, tra campagne denigratorie e minacce di morte ai giornalisti, ma anche azioni legali intese a intimidire e usate come deterrente dall’attività investigativa sulla corruzione. Tra l’altro Reporters senza frontiere inserisce l’Albania tra i paesi su cui tenere sotto stretto controllo la situazione della proprietà dei media , insieme a Serbia, Turchia e Ucraina per quanto riguarda la regione Europa e Asia centrale.
Solo l’8% dei paesi a livello internazionale risulta avere una situazione “buona” per la libertà di informazione. I paesi che rientrano in questa ristretta fetta sono quasi tutti europei, con l’unica aggiunta del Costa Rica. Tuttavia anche in Europa i problemi non mancano. Se per esempio si prende il punteggio assegnato in base alla presenza di abusi e atti di violenza nei confronti dei giornalisti, la situazione nell’area Unione Europea e Balcani risulta peggiorata: l'indicatore registra infatti un aumento di 1,7 punti percentuali, una differenza da notare visto che si parla di una delle regioni da cui ci si aspettano standard elevati e in cui, almeno in teoria, è garantitoun livello di libertà dei giornalisti tra i più alti. Invece la situazione risulta problematica non solo per l’intensificarsi di atti intimidatori in zone con governi considerati autoritari, dove sono sempre più diffuse le azioni legali nei confronti della stampa investigativa e in particolare le inchieste sulla corruzione. Ma desta particolare preoccupazione anche l'emergere di un più generale atteggiamento ostile nei confronti dei reporter, come nel caso degli attacchi e delle minacce nei confronti dei giornalisti durante le proteste dei gilet gialli in Francia .
Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0
--- Termina citazione ---
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