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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Florian-Bieber-l-UE-non-tollerera-all-infinito-gli-autocrati-dei-Balcani-194216


--- Citazione ---Florian Bieber: l’UE non tollererà all’infinito gli autocrati dei Balcani

Esperto di Balcani ed Europa orientale, professore presso l'Università di Graz, Florian Bieber traccia un profilo dei rapporti tra Balcani e Unione europea, spiegando perché Bruxelles sostiene leader autoritari

26/04/2019 -  Darvin Murić
(Originariamente pubblicato dal quotidiano Vijesti  )

In uno dei suoi articoli ha affermato che l’Unione europea sostiene i leader autoritari dei paesi dei Balcani. Perché, secondo lei? Solo per mantenere la stabilità nella regione oppure c’è qualche altro motivo?

Il motivo principale risiede nel fatto che negli ultimi cinque/sei anni l’Unione europea si è concentrata su altre priorità, come Brexit, le relazioni con gli Stati uniti, diverse crisi, lasciando in secondo piano la questione dell’allargamento. L’UE non vuole occuparsi molto dei Balcani, per cui le va bene ogni leader balcanico che sostiene di tenere la situazione nel paese sotto controllo e di essere filoeuropeo.

Ovviamente, non tutti i politici europei sono uguali; ci sono governi che prestano attenzione a ciò che sta realmente accadendo nei Balcani. La questione dell’allargamento non sarà mai una priorità assoluta nell’agenda dell’UE, ma finché non le verrà prestata maggiore attenzione l’UE continuerà a sostenere i leader balcanici che si offrono come garanti di stabilità, a patto che si dichiarino filoeuropei.

La leadership al potere in Montenegro sta sfruttando questa situazione a proprio vantaggio, per nascondere i problemi interni sotto il tappeto. Lo stesso vale per Vučić e il governo serbo. Ma non si può andare avanti così all’infinito, non è questa la strada che porta all’Unione europea. Tale comportamento viene tollerato solo prima dell’adesione all’UE. Molti stati membri si opporrebbero all’ingresso nell’UE dei paesi guidati dai leader autocratici, soprattutto a causa dei problemi avuti con l’Ungheria, la Polonia, la Romania e la Bulgaria. Se parlate con i diplomatici tedeschi e francesi vi diranno che non vogliono altri paesi simili nell’UE. I funzionari europei non hanno nulla contro i leader autocratici fintanto che restano fuori dall’UE, ma molti di loro non vorranno sedere allo stesso tavolo con Đukanović e Vučić né farsi fotografare con loro. La domanda è in quale misura gli stati membri sono disposti ad accettare il Montenegro e la Serbia nell’UE. Questo tema ora non è sul tavolo, ma un giorno lo sarà.

La Commissione europea ha più volte definito il Montenegro e altri paesi dei Balcani occidentali come paesi imprigionati. Anche lei è dello stesso parere? Come i leader dei Balcani occidentali sono riusciti a imprigionare i loro paesi?

L’espressione “paese imprigionato” illustra bene l’attuale stato di cose nei Balcani. La situazione però non è uguale in tutti i paesi. In Montenegro questa fenomeno si manifesta in maniera molto più accentuata rispetto agli altri paesi perché non c’è mai stato un cambio ai vertici dello stato. Il potere esecutivo non è mai stato svincolato dal controllo del partito, come avvenuto in altri paesi della regione dopo la caduta del comunismo.

Il motivo principale di questa situazione risiede nella debolezza delle istituzioni. Nei Balcani, compresi quei paesi dove c’è stato un cambio di regime, le istituzioni non sono mai state sufficientemente rafforzate, non sono diventate abbastanza forti da poter operare in modo indipendente. È un processo difficile.

Alcune persone in Macedonia mi hanno raccontato quanto sia difficile cambiare questa dinamica, quando, ad esempio, i giudici si aspettano che il governo dica loro come procedere in determinati casi. Non si tratta solo di pressioni da parte del potere; il problema è che anche i dipendenti delle istituzioni statali sono abituati ad obbedire agli ordini.

Il secondo motivo riguarda il controllo esercitato dai principali partiti politici. In Serbia il Partito progressista serbo (SNS) ha più iscritti del primo partito in Germania, che è 12 volte più grande della Serbia. La situazione è simile anche in Montenegro e in Macedonia, dove il numero di iscritti ai partiti politici è molto superiore alla media europea. Ciò si spiega con il fatto che per ottenere un lavoro bisogna essere iscritti a un partito. Questo dimostra che lo stato non funziona in modo indipendente rispetto ai partiti politici, che non sono partiti democratici bensì agenzie per l’impiego controllate da una ristretta élite. È un problema che affligge l’intera regione. All’interno di questa struttura, i leader autoritari agiscono esclusivamente nel proprio interesse. E anche quando cadono, la struttura resta in piedi, come dimostra l’attuale situazione in Macedonia.

In Kosovo, invece, non c’è solo un leader come Đukanović o Vučić, ma ce ne sono tre, e si scontrano reciprocamente. Questa situazione in un certo senso contribuisce a rafforzare il pluralismo politico, ma le istituzioni restano comunque imprigionate, solo che non sono controllate da una, bensì da più persone. Un eventuale cambio di potere in Montenegro o in Serbia non comporterebbe alcun cambiamento immediato del quadro istituzionale. È un processo che richiede molto tempo, le istituzioni non si costruiscono da un giorno all’altro.

Milo Đukanović di solito reagisce alle critiche, proteste e altre mobilitazioni anti-governative sostenendo che siano orchestrate da un nemico esterno, ovvero dalla Russia. Pensa che la presenza della Russia nei Balcani sia davvero così forte da poter rappresentare una minaccia alla stabilità che Đukanović e altri leader dei Balcani pretendono di difendere?

La Russia svolge un ruolo distruttivo nei Balcani, questo è fuori di dubbio. Dall’altra parte, però, la leadership al potere in Montenegro utilizza la narrativa del nemico esterno in modo strumentale ai suoi interessi. Sono d’accordo sul fatto che, prima dell’ingresso del Montenegro nella Nato, la questione della presenza russa nel paese era molto delicata, perché la Russia aveva un forte interesse nell’impedire che il Montenegro aderisse alla Nato. Ma il Montenegro è ormai membro della Nato ed è una questione chiusa. Come anche la questione dell’indipendenza del Montenegro. La decisione è ormai presa e non si torna indietro.

La Russia era contraria anche alla proposta di risolvere la disputa sul nome tra la Macedonia e la Grecia, ma quando l’accordo è stato raggiunto, Mosca lo ha salutato positivamente. I russi sono pragmatici, non hanno interessi strategici nei Balcani, vogliono solo creare caos per causare problemi all’UE e impedire l’allargamento della Nato. Se falliscono si concentrano su altri obiettivi, perché non hanno interessi strategici nei Balcani come in Ucraina e in altri paesi confinanti con la Russia, dove vogliono ad ogni costo bloccare l’allargamento della Nato. In Serbia la situazione è un po’ diversa perché il paese non vuole aderire alla Nato. La stabilità può essere costruita solo in una democrazia dotata di istituzioni indipendenti che poggia le sue basi sullo stato di diritto. È il modo migliore per impedire derive autoritarie.

In Montenegro sono in corso proteste anti-governative, iniziate dopo lo scoppio del cosiddetto “scandalo della busta”, ovvero dopo la pubblicazione di video che mostra un uomo d’affari consegnare una busta piena di soldi a un alto funzionario del partito al governo. Nel frattempo sono scoppiati anche altri scandali che coinvolgono i vertici dello stato. Pensa che questi eventi potrebbero far vacillare la leadership politica montenegrina al potere da 30 anni?

Forse è questa l’occasione giusta per un vero cambiamento per quanto riguarda il sistema di governo e la democrazia in Montenegro. Tutto dipenderà dalla pazienza dei cittadini che protestano e dalla loro capacità di formulare le richieste che potrebbero portare a qualche risultato. Le mobilitazioni e manifestazioni di protesta si svolgono in tutta la regione, in Serbia, in Albania; anche in Macedonia qualche anno fa ci sono state proteste anti-governative. I movimenti di protesta a volte ottengono certi risultati, a volte falliscono. Molto dipende dalla pazienza e dalla prontezza dei cittadini a protestare per un periodo sufficientemente lungo, nonché dalla loro capacità di formulare richieste realistiche.

È inoltre necessario che il movimento di protesta instauri una qualche forma di collaborazione con le forze che offrono un’alternativa politica. In Serbia, come abbiamo visto, il problema principale è che le forze di opposizione sono deboli, nel senso che non offrono alcuna soluzione concreta e i cittadini non le percepiscono come una valida alternativa politica.

In Macedonia la situazione era diversa, perché i manifestanti avevano instaurato stretti rapporti con l’opposizione, e questa collaborazione aveva portato risultati concreti. Tutto era cominciato con lo scoppio di una serie di scandali, che avevano dimostrato come il governo abusasse dei suoi poteri; poi i cittadini erano scesi in strada ed era riuscita a imporsi una forza politica alternativa in grado di offrire un approccio diverso. Solo mettendo insieme tutti questi fattori è possibile giungere a un vero cambiamento politico, e in Montenegro evidentemente mancano ancora questi presupposti. Vedo che l’opposizione montenegrina è profondamente divisa; le forze di opposizione hanno idee diverse su come guidare il paese e godono di scarsa fiducia dei cittadini. I cittadini scendono in strada per protestare anche a dispetto dell’opposizione, non sulla spinta dell’opposizione.

L’opposizione montenegrina ha recentemente firmato un accordo con gli organizzatori delle proteste e ha appoggiato i cittadini che scendono in piazza per protestare. Pensa che i partiti di opposizione abbiano capito che le divisioni non portano da nessuna parte e che solo uniti possono combattere il potere?

Questo è sicuramente un segnale. È ovvio che un’opposizione divisa non può conseguire alcun risultato. Il problema è che tra i partiti di opposizione montenegrini esistono differenze sostanziali, nel senso che alcuni partiti offrono un’alternativa filoeuropea focalizzata sulle riforme, e altri invece una politica piuttosto retrograda e nazionalista, ed è molto difficile unire tutte le forze di opposizione quando ci sono alcuni politici, come Nebojša Medojević, che diffondono le teorie del complotto dell’estrema destra. Questa retorica è in contrasto con l’idea di un cambiamento finalizzato all’attuazione di riforme serie, alla creazione di istituzioni indipendneti e al miglioramento delle condizioni di vita. Questo è un problema per l’opposizione. Se l’opposizione dovesse decidere di ritirare l’appoggio alle proteste perderebbe ogni credibilità. Non intravedo nella situazione attuale alcuna possibilità che venga compiuto un passo decisivo verso un cambiamento della dinamica politica nel paese. Il Montenegro ha bisogno di un cambiamento sostanziale del sistema politico; è necessario separare lo stato dal partito al potere e rompere l’egemonia di quest’ultimo, ma è un processo che avanza un passo alla volta, e al momento non intravedo alcuna strategia finalizzata al raggiungimento di questo obiettivo.

Secondo lei è possibile raggiungere questo obiettivo senza l’aiuto della comunità internazionale?

Penso che sia molto difficile. L’energia, le iniziative e le idee devono venire dal paese, se vengono da fuori non porteranno ad alcun risultato. Dall’altra parte, è molto difficile ottenere il sostegno della comunità internazionale, ma è altrettanto difficile riuscire senza di esso. Prendiamo l’esempio della Macedonia. All’inizio delle proteste, i principali attori internazionali, soprattutto l’Unione europea, erano piuttosto scettici. Per loro, purtroppo, in queste situazioni la stabilità è più importante dello stato di diritto. È sufficiente che il governo dichiari formalmente di essersi impegnato ad assicurare lo stato di diritto. Un altro aspetto che può rivelarsi problematico è legato al fatto che i governi possono sfruttare l’inerzia degli attori internazionali a proprio vantaggio, sostenendo di godere del loro appoggio. Questo ostacola ulteriormente ogni tentativo di introdurre cambiamenti interni.

Inoltre, se l’opposizione è favorevole all’ingresso del paese nell’Unione europea deve essere credibile, affermando di essere in grado di perseguire questo obiettivo con maggiore efficacia rispetto al governo, e deve cercare di ottenere il sostegno della comunità internazionale. Credo che ciò sia possibile, ma bisogna agire secondo una precisa strategia. Abbiamo visto che la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha incontrato Milo Đukanović durante la sua recente visita a Berlino, e questo non senza motivo. La Merkel non ha voluto incontrare Đukanović, dimostrando in tal modo che Berlino sta perdendo la pazienza nei confronti dell’élite al potere in Montenegro. Bisogna sfruttare questo momento. Secondo me, l’opposizione montenegrina dovrebbe cercare di instaurare e rafforzare buoni rapporti non solo con i governi dei paesi occidentali ma anche con i partiti politici europei. Le coalizioni di partiti politici europei sono molti forti e possono giocare un ruolo negativo, fornendo sostegno ai regimi autoritari. Orbán gode del sostegno dell’Alleanza dei conservatori e dei riformisti europei, mentre il partito al governo in Montenegro, il Partito democratico dei socialisti, ha ottenuto il sostegno dell’Alleanza dei socialisti e democratici europei. Quindi, se volete criticare e cambiare la situazione politica nel paese dovete intrattenere buoni rapporti con i partiti politici europei.

Il Montenegro e la Serbia si trovano in una situazione simile per quanto riguarda sia i negoziati di adesione all’Unione europea sia il sistema di governo. Vučić e Đukanović a volte sembrano andare d’accordo, a volte si criticano a vicenda, ricorrendo alla retorica nazionalista. Pensa che questi scontri tra Vučić e Đukanović, ma anche tra gli altri leader dei paesi dei Balcani, siano solo una messinscena?

Vučić e Đukanović usano strategie molto simili. Ricorrono alla retorica nazionalista quando conviene loro, per provocare tensioni. Sono allo stesso tempo piromani e pompieri. Hanno sempre bisogno di crisi per poter presentarsi come garanti di stabilità. Se non ci fossero crisi, scontri, problemi bilaterali, nazionalismi, cosa farebbero Vučić e Đukanović? Il loro potere si nutre di crisi. Sono molto pragmatici, è proprio grazie al fatto di essersi dimostrati più pragmatici di altri leader politici che sono riusciti a salire al potere. Io non ci vedo alcuno scontro, è una messinscena. Anche per quanto riguarda le relazioni tra Serbia e Kosovo, non credo che Thaçi e Vučić siano migliori amici, ma quel gioco in cui si odiano a vicenda non è nient’altro che una messinscena, pensata soprattutto per il pubblico locale.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/97758


--- Citazione ---RUSSIA: Primo maggio all’insegna di arresti e violenze
Leonardo Scanavino  2 giorni fa

Mercoledì primo maggio, durante le manifestazioni per la Festa dei Lavoratori, la polizia e i servizi di sicurezza hanno arrestato oltre cento persone in tutta la Russia, in particolare nella città di San Pietroburgo. Nella lista spuntano i nomi di attivisti dell’opposizione e membri dei sindacati, alcuni dei quali sono stati fermati ricorrendo all’uso della forza.

I disordini a San Pietroburgo

Nella seconda città più grande del paese, la polizia ha interrotto una protesta dell’opposizione e ha arrestato 66 persone dopo che i partecipanti, secondo quanto riportato da un attivista del gruppo di monitoraggio OVD-Info, avevano intonato dei cori critici nei confronti del presidente Vladimir Putin. Alcuni manifestanti gridavano “Putin è un ladro” oppure “questa è la nostra città”, mentre altri mostravano cartelli riportanti le scritte “Putin non è immortale”, “per libere elezioni” o “San Pietroburgo contro Russia Unita”, il partito che sostiene il presidente.

Secondo quanto riportato da Radio Free Europe, il primo maggio nella sola San Pietroburgo sarebbero stati presenti circa duemila sostenitori del leader dell’opposizione Aleksei Navalny, il quale su Twitter ha commentato gli arresti scrivendo “Tremendo. Sono stati catturati durante una manifestazione senza nessuna valida motivazione”. Il deputato locale Maksim Reznik, che è stato a sua volta arrestato e poi rilasciato, ha condiviso una foto che mostra gli agenti della polizia mentre lo trascinano violentemente sull’asfalto.

La situazione nel resto del paese

In altre città del paese, inclusa la capitale Mosca, migliaia di persone hanno manifestato all’interno dei cortei che erano in programma per la Festa dei Lavoratori. Alcuni sventolavano bandiere rosse, altri intonavano cori di protesta e altri ancora innalzavano cartelli con scritte contro il presidente Putin.

Secondo il conteggio riportato sul sito di OVD-Info, sarebbero 125 in totale le persone arrestate in tutto il paese. Anche se il maggior numero degli arresti è concentrato a San Pietroburgo, nel resto del paese la situazione non si è rivelata particolarmente tranquilla, con sedici persone arrestate e poi rilasciate  a Petropavlovsk-Kamchatsky, 10 a Tomsk, 8 a Kursk e altri ancora in diverse località. Alcuni non sarebbero ancora stati rilasciati.

Le proteste del primo maggio hanno luogo in un momento particolarmente complicato per Putin, il quale vede il suo consenso scivolare al di sotto del 60 percento, dopo aver toccato picchi di oltre il 90 percento. Secondo i sondaggisti, le motivazioni di questo abbassamento sarebbero parzialmente dovute all’annuncio del governo di voler alzare l’età pensionabile e aumentare l’imposta sul valore aggiunto dopo cinque anni di abbassamento costante dei redditi, misure poco gradite alla maggior parte dei russi.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/Tutte-le-notizie/Il-freno-alla-mobilita-dell-Europa-orientale-194263


--- Citazione ---Il freno alla mobilità dell’Europa orientale

Le nuove norme europee sul trasporto di merci su strada, che impongono restrizioni all’accesso delle aziende dell’Europa orientale ai mercati occidentali, sono percepite da diversi paesi dell’Est come l’ennesimo tentativo di impedire ai cittadini dei nuovi stati membri Ue di beneficiare dei vantaggi del mercato unico

03/05/2019 -  Ilin Stanev
(Articolo pubblicato originariamente da Capital su EDJnet   il 16 aprile 2019)

"Oggi siamo testimoni di una grave tragedia". L'europarlamentare svedese Peter Lundgren non si riferisce alle terribili conseguenze della Brexit, l’attuale dramma che coinvolge l’Ue. Né all'incapacità dell'Europa di intervenire e prevenire la sanguinosa guerra civile in Siria. La disillusione di Lundgren è causata da qualcosa di completamente diverso: il voto fallito del 27 marzo per l’adozione delle modifiche al cosiddetto Mobility Package 1  , la normativa comunitaria che disciplina i tempi di lavoro e la retribuzione degli autotrasportatori. Gli emendamenti sono stati poi adottati una settimana più tardi.

Questo tema, a prima vista, non sembra meritare toni tanto drammatici. Ma il Mobility Package 1 costituisce una delle normative Ue più controverse degli ultimi tempi. Non ha attirato l'attenzione mondiale riscossa dalla riforma del diritto d’autore, in occasione della quale Bruxelles ha cercato di tenere a bada giganti come Google e Facebook; né le controversie hanno mai raggiunto il livello del dibattito sui migranti. Ma negli ultimi due anni, da quando la Commissione europea le ha proposte, le nuove regole per il trasporto di merci su strada contrappongono est e ovest, creando una nuova spaccatura tra i paesi più ricchi, che cercano di proteggere i loro posti di lavoro ben remunerati, e i paesi dell’ex blocco sovietico, che cercano a tutti i costi di recuperare il divario.

Cos’è e come funziona il Mobility Package
In sostanza la nuova legislazione pone restrizioni all’accesso delle aziende dell’est ai floridi mercati dell'Europa occidentale. Gli autotrasportatori dovranno infatti assicurarsi che i loro guidatori tornino a casa per riposare almeno una volta ogni quattro settimane (il Parlamento europeo ha votato un emendamento che richiede che anche i camion rientrino alla base). Ciò significa che le aziende dei paesi periferici come Bulgaria o Lettonia possono operare per non più di 2 settimane consecutive nei vantaggiosi mercati ad esempio di Francia e Paesi Bassi. Inoltre la retribuzione dei conducenti dovrà raggiungere il minimo salariale locale (se è superiore rispetto al livello del loro paese nativo) non appena attraversano il confine, e questo annullerà il vantaggio in termini di costi per gli autotrasportatori e i conducenti dell’Europa orientale.

Le imprese dell'est Europa sfruttano la vantaggiosa possibilità di avere dipendenti relativamente economici, soprattutto per i minori versamenti previdenziali nei loro paesi di origine, e per la loro disponibilità a trascorrere molto tempo sulla strada. Il vantaggio in termini di costi, chiaramente, mostra anche aspetti negativi: i camionisti raramente trascorrono la notte in hotel, dormendo all’interno dei loro mezzi, e spesso tornano dalle loro famiglie solo una volta ogni tre mesi. Nel quadro dell’attuale legislazione, dovrebbero essere adottati i congedi obbligatori richiesti. Molti dipendenti in ogni caso accettano questi lavori perché sono ben remunerati, almeno per gli standard dei loro paesi d’origine.

La domanda è dunque: dovremmo impedire ai lavoratori di accettare lavori più duri? 

I governi, i sindacati e le imprese dell’area occidentale dicono di sì. Secondo loro, i conducenti sono sfruttati dai datori di lavoro che si rifiutano di rispettare le norme sociali più stringenti tipiche dell’Europa occidentale.

I governi e le aziende di trasporti dell’est europeo, invece, dicono di no: sostenendo che il libero mercato consente a tutti di perseguire i propri interessi, dando agli autotrasportatori dell'est la possibilità di guadagnare salari equivalenti a quelli dei colleghi occidentali. 


Secondo la cosiddetta “Road Alliance" (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Svezia e Norvegia), il Mobility Package 1 impedirà la concorrenza sleale provocata dal social dumping, la pratica per cui le società creano sedi in paesi con salari più bassi e meno norme sociali. Nella sua recente lettera ai cittadini europei  , Emmanuel Macron ha dipinto l’immagine di un’Unione europea più forte e con nuove energie, ma ha minimizzato l'importanza del mercato unico del continente: “Un mercato unico è di certo utile, ma non dobbiamo dimenticare la necessità di mantenere frontiere di protezione e valori unificanti".

L'alleanza dei cosiddetti "paesi che condividono la stessa posizione"   (una variabile coalizione di paesi guidata da Polonia, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Estonia, Ungheria e Romania) ha assunto una posizione opposta: secondo loro, la nuova normativa è un altro esempio di politica protezionistica mascherata da preoccupazione sui diritti sociali, che mira a impedire alle aziende dell’Europa orientale di competere a parità di condizioni coi loro colleghi ad ovest. "Ho la sensazione che se le aziende con sede in grandi paesi svolgono attività commerciale in Europa orientale, questo si chiama libero mercato. Se invece le aziende orientali operano nei paesi occidentali, si tratta di concorrenza sleale e social dumping", sostiene l’europarlamentare socialista bulgaro Pietro Kouroumbashev, esprimendo i sentimenti condivisi da molti nell’est Europa.

Tuttavia, sembra che il Mobility Package 1 diventerà presto legge, malgrado l'opposizione dei paesi orientali. È stato approvato in prima lettura dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Entrambe le istituzioni dovranno trovare un compromesso dopo le elezioni di maggio, quando si comporrà il nuovo Parlamento europeo.

Ovest contro est
In ogni caso gli scontri non accennano a placarsi. Queste controversie continueranno a gettare ombre sul rapporto tra i paesi membri in Europa occidentale e in quella orientale.

La Commissione europea ha proposto  il Mobility Package 1 nel 2017 per rispondere all’adozione da parte di diversi paesi, come Francia e Germania, di normative che puntavano a limitare le operazioni delle imprese dell’est europeo nei loro mercati. Nel suo ruolo di custode dei trattati, la Commissione ha inizialmente risposto adottando azioni legali   nel 2016 nei confronti di entrambi i paesi, affermando che "l'applicazione sistematica delle norme relative al salario minimo da parte di Francia e Germania a tutte le operazioni di trasporto nei loro rispettivi territori limita in modo sproporzionato la libera prestazione di servizi e la libera circolazione delle merci". Tuttavia più tardi la Commissione europea ha assunto una posizione largamente a favore della "Road Alliance", adottando tutte le misure proposte dagli 8 stati membri. Improvvisamente, le nuove norme sono entrate nell’agenda “A Europe that Protects” dell'esecutivo dell’Unione europea.

Il cambiamento di opinione della Commissione europea è in gran parte determinato dalla Brexit: il referendum per l’uscita del Regno Unito, tenutosi poche settimane dopo l’avviamento delle procedure d’infrazione contro Francia e Germania, è stata una doccia fredda per le istituzioni di Bruxelles, impegnate a bloccare qualsiasi fonte reale o percepita di malcontento del Regno Unito verso l’Ue. Mentre uno di questi problemi è stata senza dubbio l'immigrazione, l'altro era la concorrenza da parte della manodopera proveniente dall’Europa orientale.

Di fronte al crescente sentimento antieuropeo in Francia e in Germania, la Commissione europea si è precipitata a smorzare eventuali voci riguardo alla Frexit, dando a Macron una potente arma contro i suoi avversari nelle elezioni presidenziali del 2017. Invece di combattere le disposizioni nella cosiddetta Loi Macron  , che ha introdotto una serie di misure percepibili come contrarie alla lettera e allo spirito del mercato unico, la Commissione europea ha deciso di approvarle, solo pochi giorni   dopo le elezioni presidenziali   in Francia. Questa mossa ha fornito a Macron un buon elemento di discussione sul social dumping durante la sua campagna, e un inizio in discesa come neo-eletto Presidente.

Questa successione di eventi non è stata accolta con piacere in Europa orientale. Attualmente, le norme abbastanza liberali del mercato unico dell'Unione hanno consentito al Pil pro capite della Romania di aumentare di oltre il 60% dal 2006, mentre la Repubblica Ceca risulta già più ricca del Portogallo. Qualsiasi misura che danneggi questo processo di recupero è considerata un affronto dalla maggior parte dei governi dell’est Europa. Mentre le politiche come Mobility Package 1 possono contribuire a calmare gli animi in Occidente, sempre più spesso fanno nascere sentimenti antieuropei nella parte orientale del continente.

Nel corso dell’ultimo decennio, i paesi più ricchi si sono lamentati sempre più riguardo al minor livello fiscale e retributivo che caratterizza i nuovi stati membri, accusati di favorire una forma di social dumping. I governi dei nuovi stati membri temono che una nuova serie di proposte legislative in materia, quali l'armonizzazione fiscale e il salario minimo, teoricamente positive, seguirà l’esempio del Mobility Package 1, soffocando il loro potenziale di crescita e provocando un'altra ondata di emigrazione di lavoratori qualificati.

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network   ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0
--- Termina citazione ---

Frank:
E' un articolo di sette anni fa; ma lo riporto ugualmente.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Le-strade-pericolose-dell-Albania-119957


--- Citazione ---Le strade pericolose dell’Albania

In Albania circa 350 persone muoiono ogni anno in un incidente stradale. Questo è quanto hanno reso pubblico Open Data Albania, il ministero dei Trasporti e il ministero della Sanità del paese balcanico. Molte le cause, tra cui la rete stradale inadeguata all’enorme traffico attuale e l'indisciplina degli automobilisti albanesi che non sono proprio i più scrupolosi d’Europa

18/07/2012 -  Marjola Rukaj
Un bilancio da guerra, che riferendosi ai dati resi pubblici recentemente sembra peggiorare di anno in anno. L’Albania si aggiudica per via di queste statistiche sconcertanti, il primo posto nei Balcani per quanto riguarda la pericolosità stradale, e sprofonda nella lista nera con un bilancio comparabile a quello del Sudafrica. Nel 2010 secondo un preoccupante report reso pubblico da Open data Albania, sono rimasti coinvolti in incidenti stradali ben 1564 veicoli, facendo degli incidenti una normalità quotidiana, dall’incidenza di 39 su 10 mila veicoli ogni anno.

Oltre a numerosissimi incidenti di autovetture e motocicli, negli ultimi due anni sono avvenuti diversi incidenti gravi, dal bilancio fatale: un autobus di studenti è precipitato da uno strapiombo nella zona di Puka, nel nord del paese, un altro ha avuto la stessa sorte nell’Albania del sud percorrendo l’asse Tirana-Atene, mentre poche settimane fa il paese è rimasto sconvolto da un altro incidente avvenuto a Himara, sempre un autobus precipitato mentre trasportava degli studenti universitari di Elbasan in gita verso il sud del paese. Tutti episodi drammatici, che sono costati la vita a decine di passeggeri, e che hanno attirato l’attenzione degli albanesi su un fenomeno che oltre a essere cronaca quotidiana preoccupante, costituisce un problema da affrontare seriamente.

Orgoglio su quattro ruote
La causa principale: in Albania circolano troppe macchine. La rete stradale seppur notevolmente migliorata negli ultimi anni, rimane poco adeguata all’enorme traffico attuale e gli albanesi non sono proprio gli autisti più scrupolosi d’Europa.

Possedere una macchina, possibilmente una immortale Mercedes, è ormai una questione di prestigio. Che in questo paese ci siano più Mercedes che in Germania, è ormai una frase iperbolica strausata dal giornalismo mainstream nei reportage sull’Albania. Per un paese che prima degli anni '90 offriva un paesaggio urbano privo di macchine private, qua e là attraversato da qualche bicicletta austera di produzione cinese, ora possedere un'automobile è indispensabile, sia per chi proviene dallo spazio urbano sia per gli abitanti delle zone rurali.

Voglia di riscatto? Certamente. Occidentalizzazione e conti aperti con le frustrazioni del comunismo. Ma non solo. La causa principale è che dopo il crollo del comunismo, i trasporti pubblici albanesi sono sprofondati in una crisi irreversibile. Le stazioni interurbane si sono trasformate in luoghi malfamati abbandonati, rifugio per i senzatetto e per traffici poco decorosi, malgrado la loro centralità nello spazio urbano. I privati che si sono sostituiti al deceduto sistema dei trasporti pubblici statali, hanno contribuito a complicare ulteriormente la situazione in balia della disorganizzazione, e delle rivalità tra gli autisti e le compagnie di autobus o furgoni. Basti pensare che in quasi tutti i centri urbani albanesi trovare dove partono i mezzi per determinate destinazioni è un’impresa tutt’altro che facile per i forestieri. Se si vuole essere efficienti e autonomi, disporre di un'automobile propria è l’unica soluzione. Il risultato è il traffico perennemente caotico e le strade bloccate. A tutto ciò c’è da aggiungere il traffico proveniente dall’estero in particolar modo nei mesi estivi, mentre molti migranti rientrano in Albania per trascorrere le ferie tra il mare e i parenti.

Io parto in treno

Autostrade di campagna
La rete stradale albanese è notevolmente migliorata negli ultimi anni. In particolar modo gli assi più importanti del paese, come quello che collega Valona e Tirana, o Tirana e Morina - la famosa autostrada della nazione [vedi box sotto]. Numerosi anche gli assi secondari, e prossimamente tra diverse inaugurazioni gli albanesi avranno un miglior collegamento anche con la Macedonia e con la Grecia.

Questi due ultimi assi stradali, dove avviene il maggior flusso di trasporti internazionali dell’Albania, con i suoi partner economici principali per via terra, la Grecia e la Macedonia, sembrano essere le ultime priorità nella rete stradale albanese, nonostante l’importanza economica. Se ne è parlato circa un anno fa, quando nelle colline a sud-est di Fier un autobus della linea Tirana-Atene ha perso il controllo causando la morte di almeno una decina di passeggeri. Le scarse simpatie del governo Berisha per il sud socialista, la poca professionalità e l’arbitrarietà delle politiche intraprese sono solo alcune delle spiegazioni che circolano tra gli albanesi.

L’incidente sulla Tirana-Atene ha gettato luce anche sul fatto che il sistema stradale albanese rimane in parte in balia degli errori fatti dai progettisti durante il comunismo, in cui si cercava di lasciare liberi i pochi terreni agricoli del paese, costruendo in altitudine con minor costo possibile anche laddove il terreno è geologicamente poco stabile. Ma appunto le vecchie strade sono state progettate in tempi in cui l’Albania era un paese agricolo, isolato dal mondo, dal traffico assolutamente non paragonabile a quello odierno.

Spesso gli esperti denunciano che alcuni difetti di quel sistema dalle corte vedute non sono stati migliorati, tra cui le autostrade a due corsie che rimangono pur sempre insufficienti a lungo termine. Come in passato spesso sono considerate con enorme relativismo le misure di sicurezza, come le barriere ai bordi delle strade esposte in altitudine. Riguardo l’ultimo grave incidente a Himara, gli esperti hanno dichiarato ai media albanesi che l’incidente non sarebbe stato così grave se la nuova strada nel sud del paese fosse stata costruita rispettando tutte le norme di sicurezza. Inoltre sono numerosi gli errori progettuali, le deviazioni per via di conflitti con i proprietari dei terreni, o la segnaletica non ben studiata. Nonostante gli assi nazionali albanesi siano parte di vari corridoi geopolitici che attraversano i Balcani, il nuovo sistema stradale sembra appena sufficiente ai flussi attuali del paese.

La via della Nazione

Automobilisti si nasce
Gli albanesi scommettono sempre che non sarà lontano il giorno in cui nella Formula Uno sbarcherà qualche albanese che toglierà il fiato a tutti. Perché guidare spericolati sembra essere lo sport preferito e quotidiano degli albanesi. Sfidare la segnaletica, le regole e arrangiarsi è all’ordine del giorno. La polizia stradale è un ostacolo sormontabile, addirittura sulla corruzione dei suoi dipendenti circolano molti aneddoti divertenti. Ma spesso la relatività con cui gli albanesi trattano le regole della circolazione stradale poggia nelle scarse conoscenze, e nella pessima preparazione delle scuole guida. E’ facilissimo ottenere la patente in Albania, dopo solo un mese di scuola guida, e poca pratica, in scuole sovraffollate, mentre spesso gli istruttori sono solo degli autisti che hanno ben poco a che fare con la didattica. Secondo le statistiche rese pubbliche di recente dall’Associazione delle vittime degli incidenti stradali più della metà degli incidenti viene causata da cittadini che hanno la patente da meno di cinque anni. Mentre nel 40% dei casi le vittime sono dei pedoni che attraversano la strada.

La scarsa sicurezza stradale è un problema quotidiano degli albanesi. Diverse associazioni, e persino le autorità riconoscono la necessità di dover intervenire, ma per ora, oltre alla volontà più volte espressa nei media, passi concreti sembrano ancora lontani.

--- Termina citazione ---




--- Citazione ---Colpa degli automobilisti
Fatmir

(09/08/2012 11:15)

Più che colpa delle strade darei la colpa agli automobilisti albanesi che sono i peggiori che ho mai visto. La citta messa peggio è Tirana, per entrare nelle rotonde ti devi fare la crocce perchè sembra che la gente non abbia mai vista una rotonda in vita sua, per non dire che passano quasi sempre con il rosso, in Italia le loro patenti durerebbero si e no una settimana, altro che strade pericolose....
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--- Citazione ---Strade albanesi
Simona

(23/07/2012 12:15)

E' giusto dire quello di positivo c'è in Albania. Purtroppo circolano molte macchine con targhe italiane con autisti dalla guida che dire spericolata è un eufemismo. Vivo a Tirana e spesso mi dico che in Italia certe cose non le farebbero perchP a forza di punti sottratti la patente durerebbe pochi mesi: Purtroppo manca una repressionee punizione vera delle trasgressioni. Le strade sono molto migliorate e solo raramente sono la causa degli incidenti per lo più dovuti all'imperizia e alla prepotenza dei guidatori
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--- Citazione ---incidenti
daniel

(20/07/2012 08:30)

il caos delle machine e vero pero solo nella "metropoli" di Tirana e Durazzo e forse causato per di piu dall piano urbanistico che nn ha mai previsto i posti machina nei nuovi condomini, l'incidenti poi vengono causati per una massicia presenza di automobilisti che vivono all estero e tornano per le vacanze, il grande flusso che poi dal porto di durazzo porta a Kossova e oviamente come nel caso dei autobus un controlo mecanico da paura
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--- Citazione ---La causa principale è davvero il numero di macchine???
Leyla

(19/07/2012 09:00)

leggo sempre con molto interesse gli articoli delle Sig. Rukaj, trattano sempre temi e problemi reali, la cosa di cui mi spiaccio però è questo taglio negativo e pessimistico che viene sempre dato. Non vengono mai esaltati i cambiamenti postivi che questo Pese sta vivendo. Le strade sono tuttora un problema, è vero, però negli ultimi anni - autostrada a parte- vi sono state apportate molte migliorie, ad esempio è stato creato il nuovo ponte a Scutari utilissimo nel periodo estivo per i collegamenti con il MOntenegro, e la stessa strada per la capitale non è più la stessa di tre anni fa, i tempi di percorrenza si stanno abbreviando. Sul fatto di possedere troppe automobile bhe... non concorderei pienamente. Vada a farsi un giro al nord in periodo di bassa stagione e faccia un po' una stima tra il numero di biciclette e di auto in circolazione, poi mi sappia dire. Le do pienamente ragione sulla guida, alquanto spericolata e troppo spesso causa di incidenti mortali.
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Vicus:
In Russia circolano tutti con la telecamera

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