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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
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--- Citazione ---Europee in Bulgaria, sotto il segno della corruzione

Una serie di scandali ha scosso la Bulgaria alla vigilia delle prossime elezioni europee, e rischia di condizionare i risultati e mettere in secondo piano il dibattito sui grandi temi del futuro dell'Unione

15/05/2019 -  Francesco Martino   Sofia
Appartamenti acquistati a prezzi stranamente agevolati da parte di politici e funzionari pubblici. Fondi europei utilizzati per costruire “guesthouse” e agriturismi, poi utilizzati come case-vacanza o abitazioni private, sempre da parte di amministratori pubblici, spesso dietro la cortina fumogena di ditte compiacenti, prestanomi e parenti vari.

La campagna elettorale per le elezioni europee in Bulgaria è segnata da una serie di scandali - esplosi nelle scorse settimane - che hanno messo di nuovo sotto accusa la classe dirigente di un paese che, secondo Transparency International, conserva stabilmente da anni il poco invidiabile primato di paese Ue con la corruzione percepita più forte.

A pagarne lo scotto al momento è soprattutto GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria), il movimento conservatore del premier Boyko Borisov, che nonostante le dimissioni di alcune figure chiave, oggi arranca nei sondaggi, e secondo le ultime rilevazioni, potrebbe finire superato dall'opposizione socialista.

Case, immobili e fondi europei
Il primo scandalo - presto ribattezzato “Apartamentgate” dai media locali - è scoppiato lo scorso marzo, quando un'inchiesta giornalistica ha portato alla luce acquisti immobiliari a Sofia dai prezzi sospetti, con alcune delle figure chiave di GERB tra i protagonisti: personaggi politici del calibro di Tsvetan Tsvetanov, eterno scudiero di Borisov e numero due del partito, o della ministra della Giustizia Tsetska Tsacheva, già candidata di GERB nelle ultime elezioni presidenziali.

In un contesto tutt'altro che chiaro, i fortunati acquirenti avevano potuto usufruire di drastici sconti sull'acquisto di appartamenti di lusso in alcuni dei quartieri “in” della capitale. I prezzi di favore erano gentilmente garantiti dalla compagnia “Arteks”, che caso o meno, ha goduto di una modifica di legge che ha esteso i permessi (ormai scaduti) relativi alla costruzione di un controverso grattacielo nel quartiere di Lozenets. Tutti i politici coinvolti hanno negato qualsiasi illecito, ma le teste sono rotolate: Tsvetanov ha dovuto rinunciare alla carica di deputato e capogruppo di GERB in parlamento, la Tsacheva al ministero (in compagnia di altri due vice-ministri).

E ancor prima che l'“Apartamentgate” si placasse, un nuovo scandalo ha scosso i piani alti del potere: un numero indefinito di “guesthouse” e agriturismi, costruiti o rinnovati utilizzando generosi contributi europei per lo sviluppo delle aree rurali, si sono rivelati lussuose case private, utilizzate da politici e funzionari, e spesso intestate a parenti e amici.

Il primo caso a fare scalpore ha coinvolto il vice-ministro dell'Economia Aleksander Manolev (dimessosi anche lui il 17 aprile scorso), che avrebbe utilizzato come casa per le vacanze una guesthouse costruita su un terreno di sua proprietà nella regione termale di Sandanski, in Bulgaria sud-orientale. L'opera, finanziata dai fondi per lo sviluppo regionale dell'Ue, ha ricevuto un sostanzioso contributo di 380mila leva (195mila euro): denaro che (forse) ora dovrà essere restituito.

Esposte dai media, le istituzioni preposte si affannano ora ad effettuare verifiche su tutte le circa 700 guesthouse realizzate negli ultimi anni coi contributi europei. Le prime sentenze intanto sono di stampo prettamente politico: martedì 14 maggio anche il ministro dell'Agricoltura Rumen Porozhanov, che nel suo precedente ruolo di direttore del “Fondo Agricoltura” era responsabile dei controlli sul versamento dei contributi europei, ha presentato ufficialmente le sue dimissioni.

Testa a testa
Come già fatto in passato in occasione di scandali e difficoltà, il premier Borisov ha rispolverato la carta della severità (in passato Borisov è stato a capo della polizia) e della disciplina di partito, promettendo “le punizioni più pesanti a tutti [i membri di GERB] che non hanno pensato alle conseguenze delle proprie azioni e che si sono abbandonati all'idea che tutto fosse loro permesso”. “Presentare le proprie dimissioni è solo metà dell'opera”, ha tuonato corrucciato il premier.

Secondo gli ultimi sondaggi, la strategia di contenimento del danno sta funzionando solo in parte. Dopo lunghi anni di egemonia politica, GERB subisce un'emorragia di consensi legata in modo esplicito agli scandali in corso, ed è stata raggiunta e forse superata dal Partito socialista bulgaro (BSP), in un testa a testa che verrà deciso negli ultimi giorni di campagna elettorale.

Anche i socialisti, però, sembrano più impegnati nelle lotte interne di partito che concentrati ad approfittare delle evidenti difficoltà di GERB. Le divisioni sono culminate durante la definizione delle liste elettorali, sfociata in una lotta senza esclusione di colpi, che per poco non ha portato alla clamorosa esclusione di Sergei Stanishev, attuale leader del Partito socialista europeo.

Oltre ai due principali partiti, dati appaiati intorno al 32% delle preferenze, anche il Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS), tradizionale riferimento politico della minoranza turca, accreditato del 9-10% dovrebbe riuscire con certezza ad inviare eurodeputati a Bruxelles. Reali chance di raccogliere voti a sufficienza per almeno un europarlamentare le hanno anche i nazionalisti della VMRO e l'alleanza “Bulgaria democratica”, che raccoglie le varie anime della destra liberale e ambientalista.

La serie di scandali ha riacutizzato la tradizionale sfiducia degli elettori nei confronti della politica bulgara, e il numero di cittadini che si dichiarano pronti a votare è in calo costante (32,9% a fine aprile). Con un'affluenza che si preannuncia addirittura più bassa di quella del 2014 (35,84%), il risultato del voto dipenderà sostanzialmente dalla capacità dei principali partiti di mobilitare il “nucleo forte” del proprio elettorato, mentre lo spazio per il cambiamento risulta inevitabilmente ridotto.

Dibattito sul futuro dell'Ue: non pervenuto
Schiacciate dagli scandali, interpretate come un referendum sull'attuale esecutivo, snobbate da una fetta sostanziale dell'elettorato, le prossime elezioni europee rischiano di essere per la Bulgaria un'occasione mancata per discutere sul futuro dell'Unione europea in quella che è probabilmente la sua fase storica più delicata.

I temi centrali di come riformare e rendere più efficiente l'Ue restano, almeno per il momento sullo sfondo, inesplorati da un serio dinamico dibattito politico. Un vero e proprio paradosso, considerato che per la Bulgaria l'Unione ha rappresentato in questi decenni – e continua a rappresentare - il pilastro della stabilità politica e il principale motore dello sviluppo economico.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/98165


--- Citazione ---UCRAINA: “Nella vita ho cercato di farvi ridere, ora farò di tutto perché non piangiate”. Il discorso d’inaugurazione di Zelenskij
Martina Napolitano  3 ore fa

Lunedì 20 maggio Volodymyr Zelenskij è ufficialmente diventato presidente dell’Ucraina, avendo prestando giuramento alla Rada. Il nuovo presidente con il suo discorso di inaugurazione ha marcato una netta distanza dai suoi predecessori, optando per un linguaggio “popolare” e per un atteggiamento apertamente critico verso la “vecchia politica”, che negli ultimi 28 anni ha, a suo avviso, creato nel paese solo le condizioni per la prosperità di illegalità e corruzione.

Zelenskij nel suo discorso ha sottolineato in più occasioni il carattere “collettivo” della sua vittoria e si è rivolto anche ai milioni di ucraini all’estero, invitandoli a rientrare per dare inizio a una nuova stagione per l’Ucraina.

Dopo aver sottolineato che il paese ha imboccato il cammino verso l’Europa, Zelenskij ha affermato che il primo compito della sua presidenza sarà la risoluzione del conflitto nel Donbass, “senza alcuna perdita di territori”. Per questo, in una parte del discorso, il neo-presidente si è rivolto direttamente ai membri dell’esercito, “eroi sia ucrainofoni che russofoni” verso cui il governo deve osservare il massimo rispetto. Il discorso è passato in due occasioni dalla lingua ucraina a quella russa proprio toccando l’argomento Donbass (in corsivo nel testo).

Concludendo, Zelenskij ha affermato che “gli ucraini vogliono fatti, non parole”: il neo-presidente, come aveva già annunciato di voler fare, ha così sciolto la Rada e indetto elezioni anticipate, invitando i vecchi politici a lasciar spazio a nuovi volti pronti a “mettersi al servizio del popolo”.

Zelenskij ha infine chiuso il discorso di inaugurazione ricordando il suo lavoro come attore (Ronald Reagan, suo “predecessore” come presidente-attore, è stato inoltre da lui citato): “Caro popolo, nella vita ho cercato di fare di tutto per far sorridere gli ucraini. Nei prossimi cinque anni farò di tutto perché non piangiate”.

Di seguito la traduzione integrale del discorso di Zelenskij:

 

Ognuno di noi è presidente

«Cari ucraini! Dopo la vittoria delle elezioni, mio figlio di sei anni mi ha detto: “Papà, per tv dicono che Zelenskij è presidente, quindi anche io sono presidente!”. Allora, questa era suonata come una battuta; solo poi ho capito che, al contrario, è proprio così, poiché ognuno di noi è presidente. Non lo è solo il 73% degli ucraini che per me ha votato, ma il 100%. Non è la mia vittoria, ma la nostra comune vittoria e la nostra comune chance della quale ci assumiamo la comune responsabilità. Or ora non sono stato solo io a prestare giuramento, ma ognuno di noi ha posto la mano sulla Costituzione e ognuno di noi ha giurato fedeltà all’Ucraina.

Immaginatevi dei titoli di giornale come “Il presidente non paga le tasse”, “Il presidente è passato con il rosso in stato di ebbrezza”, “Il presidente ruba, ‘perché così fan tutti’”. Siete d’accordo con me che questa è una vergogna? Ecco cosa intendo quando dico che ognuno di noi è Presidente. Da oggi ognuno di noi è responsabile dell’Ucraina che lasceremo ai nostri figli. Ognuno di noi può fare ciò che è in suo potere per lo sviluppo del paese.

Abbiamo scelto la via dell’Europa

Un paese europeo parte dal singolo. Sì, abbiamo scelto la via dell’Europa. Ma l’Europa non è lì da qualche parte, l’Europa è proprio qui [indica la testa con il dito]. E una volta che l’Europa sarà qui, allora sarà in tutta l’Ucraina. E questo è il nostro sogno comune.

Siamo tutti ucraini (e siamo 65 milioni)

Tuttavia, abbiamo anche un dolore comune: ognuno di noi è morto nel Donbass – ogni giorno perdiamo qualcuno di noi – e ognuno di noi è sfollato – sia colui che ha perso la casa, sia coloro che hanno aperto le porte della propria casa, per condividere il dolore.

E ognuno di noi è emigrato per lavoro, sia colui che non si è realizzato a casa e ha trovato lavoro all’estero, sia colui che lottando contro la povertà si è visto privato della propria dignità personale.

Ma supereremo tutto questo, perché ognuno di noi è ucraino. Siamo tutti ucraini, non ci sono  maggioranze, minoranze, giusti, non-giusti. Da Užhorod a Luhans’k, da Černihiv a Sinferopoli, a Leopoli, Charkiv, Donetsk, Dnipro, Odessa, siamo tutti ucraini. E dobbiamo essere uniti, perché solo così siamo forti.

Oggi mi rivolgo anche a tutti gli ucraini nel mondo. Siamo 65 milioni. Sì, non stupitevi, siamo in 65 milioni noi, nati dalla terra ucraina. Ucraini in Europa e Asia, in America settentrionale e latina, in Australia e Africa, mi rivolgo a tutti gli ucraini sul pianeta. Noi abbiamo molto bisogno di voi. A tutti coloro che sono pronti a costruire una nuova Ucraina forte e di successo garantirò con gioia la cittadinanza ucraina. Voi non dovete venire come ospiti in Ucraina, ma come se tornaste a casa vostra; vi aspettiamo. Non occorrono souvenir dall’estero. Portateci il vostro sapere, la vostra esperienza e le vostre qualità intellettuali. Tutto ciò ci aiuterà a dare inizio a una nuova epoca. Gli scettici diranno che è tutta fantasia, che non è possibile. Mentre invece questa può proprio essere la nostra idea nazionale: una volta uniti, realizzare l’impossibile. Contro ogni aspettativa.

Ricordate la nazionale islandese di calcio al campionato europeo, quando un dentista, un regista, un pilota, uno studente e un custode hanno difeso l’onore del proprio paese e hanno fatto quello che tutti credevano impossibile. Questa è la nostra strada. Dobbiamo divenire islandesi nel calcio, israeliani nella difesa della nostra terra, giapponesi nella tecnologia, svizzeri nella convivenza felice e a prescindere da qualsiasi diversità.

Porre fine alla guerra nel Donbass

Nostro compito primario è porre fine alla guerra nel Donbass. Mi hanno chiesto spesso cosa sono pronto a fare perché si giunga a un cessate il fuoco. È una domanda bizzarra. Cosa siete pronti a fare voi, ucraini, per salvare la vita dei vostri cari? Posso assicurarvi che perché i nostri eroi non muoiano più sono pronto a tutto. Non ho affatto timore di prendere decisioni difficili. Sono pronto a perdere la mia popolarità, i miei rating e, se sarà necessario, sono pronto a perdere senza esitazione la mia carica perché si abbia la pace. Senza perdere i nostri territori.

La storia è ingiusta, è vero. Non abbiamo iniziato noi questa guerra. Non l’abbiamo iniziata, ma sta a noi concluderla. Siamo pronti al dialogo, [Zelenskij passa qui dall’ucraino al russo] ma sono certo che un ottimo primo passo verso l’apertura di questo dialogo sia il rientro di tutti i prigionieri ucraini.

La nostra sfida seguente è la riacquisizione dei territori perduti. Onestamente mi pare che non sia corretta questa formulazione, visto che non è possibile perdere ciò che è nostro. Sia la Crimea che il Donbass sono terra ucraina. E lì abbiamo perso la cosa più importante: le persone. [Zelenskij passa qui dall’ucraino al russo] Oggi siamo tenuti a far riprendere loro la coscienza. Abbiamo perso questa coscienza. In questi anni il governo non ha fatto nulla perché loro si sentissero di nuovo ucraini. Non sono stranieri, sono dei nostri. Sono ucraini. Capiscono l’ucraino. Siamo tutti ucraini, a prescindere da dove viviamo. Perché “ucraino” non è una scritta sul passaporto; l’Ucraina è qui [indica il cuore]. Questo lo so per certo, lo so attraverso le parole di chi lotta per difendere l’Ucraina, attraverso i nostri eroi, sia ucrainofoni che russofoni. Non esiste un esercito forte lì dove il potere non dimostra rispetto verso coloro che danno la propria vita per il paese, ogni giorno. Farò ogni cosa perché vi sentiate rispettati. Si parla di una degna e soprattutto stabile garanzia economica, di condizioni abitative, di permessi dopo le operazioni militari, di riposo per voi e le vostre famiglie. Non serve a nulla parlare di standard NATO; è necessario concretizzare questi standard.

Oltre il Donbass

Certamente, oltre alla guerra, ci sono molti altri problemi che rendono infelici gli ucraini. Sono le tasse e i prezzi esorbitanti, gli stipendi e le pensioni umilianti, i posti di lavoro inesistenti. È la sanità, del cui miglioramento parlano soprattutto coloro che non sono mai stati in un comune ospedale con un bambino. Sono le mitologiche strade ucraine, che vengono costruite e rifatte solo nella fantasia di qualcuno.

Gli ucraini sono stanchi della vecchia politica

Permettetemi ora di citare un attore americano che è stato un grande presidente americano: “Il governo non è la risoluzione del nostro problema, il governo è il nostro problema” [R. Reagan al suo primo discorso inaugurale, 1981]. È solo una citazione. Ma io non capisco sinceramente il nostro governo che fa spallucce e dice “non possiamo farci nulla”. Non è vero, potete. Potete prendere carta e penna e lasciare i vostri posti a coloro che penseranno alle generazioni future, e non alle prossime elezioni. Penso che le persone apprezzeranno. E la mia elezione lo dimostra: i cittadini sono stanchi dei politici con esperienza, sistemici, boriosi, che in 28 anni hanno creato il paese delle possibilità: delle possibilità di corruzione, traffici, ladrocini.

Noi costruiremo un paese di altre possibilità. Dove tutti saranno uguali davanti alla legge, dove le regole del gioco saranno oneste e trasparenti, uguali per tutti. E per questo al potere devono venire persone che si metteranno al servizio del popolo.

E voglio che nei vostri uffici non ci siamo mie immagini, che non ci siano miei ritratti, perché il presidente non è un’icona, non è un idolo. Il presidente non è un ritratto. Appendete piuttosto le fotografie dei vostri figli e prima di prendere qualsiasi decisione guardateli negli occhi.

Il popolo vuole fatti, non parole: Zelenskij scioglie la Rada

Sapete, potrei dire ancora molte cose, ma gli ucraini non vogliono parole, vogliono azioni. Pertanto, stimati deputati, voi stessi avete fissato l’inaugurazione di lunedì, giorno feriale. Vedo in questo un lato positivo. Vuol dire che siete pronti a lavorare. E pertanto vi chiedo di accettare: la legge che cancella l’immunità parlamentare, la legge che assegna responsabilità penale per l’arricchimento illecito, il tanto atteso Codice elettorale; e facciate in modo, per favore, che le liste siano aperte al pubblico. Vi chiedo inoltre di destituire il capo dei Servizi di sicurezza ucraini, il procuratore generale dell’Ucraina, il ministro della difesa dell’Ucraina. Questo è ben lungi dall’essere tutto ciò che potete fare, ma tanto per iniziare è sufficiente. Avrete due mesi di tempo. Fatelo e guadagnatevi le vostre medaglie. E questa è l’occasione giusta per annunciare elezioni parlamentari anticipate. Sciolgo la Verchovna Rada dell’ottava legislatura.

Gloria all’Ucraina! Vi ringrazio.

E infine, sarò breve: caro popolo, nella vita ho cercato di fare di tutto per far sorridere gli ucraini. Questo – lo sentivo nel cuore – è stato in realtà non soltanto il mio lavoro, ma la mia missione. Nei prossimi cinque anni farò di tutto, ucraini, perché voi non piangiate. Grazie».
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/98099


--- Citazione ---UCRAINA: Storie di miniere, guerra ed ecologia
Claudia Bettiol  1 giorno fa

Da KIEV – Sono più di 5 anni che nelle regioni orientali dell’Ucraina si combatte un conflitto armato con la vicina Russia che ha portato alla morte di più di 13.000 persone tra soldati e civili e quasi 2 milioni di sfollati interni. Numeri che, invece di arrestarsi, continuano a salire giorno dopo giorno.

Ad aggiungersi a tutto ciò, c’è un altro disastro, questa volta di tipo ambientale, che ricade sulla popolazione civile e minaccia la salute dei cittadini di questi territori. Il problema è principalmente legato alle inondazioni e alle condizioni precarie delle miniere di carbone presenti nel bacino del Donbass, una zona fortemente industrializzata che produce elevate quantità di rifiuti. Il degrado ambientale causato dalla guerra si presenta così sotto forma di scorie che favoriscono la diffusione di malattie a causa della contaminazione delle risorse idriche, del suolo e dell’aria. La guerra impedisce di effettuare la manutenzione delle infrastrutture e di gestire queste difficoltà in maniera adeguata, mentre i governi interessati non riescono a coprire le spese per i servizi ambientali, i cui fondi finiscono per lo più ai bisogni legati al conflitto.

Le miniere e la contaminazione da rifiuti radioattivi

Nel bacino del Donbass ci sono attualmente 222 miniere di carbone, di cui 33 sono ancora sotto il controllo degli ucraini; le restanti 189 sono sotto il controllo delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Secondo i dati forniti da alcuni specialisti di idrogeologia, ben 39 miniere sono in fase di allagamento (di cui solo una situata nel territorio controllato dalle repubbliche separatiste), 99 sono ancora in funzione (24 nella zona controllata dagli ucraini e 75 tra DNR e LNR), 70 (rispettivamente 6 e 64) sono in fase di liquidazione e altre 14 in modalità di drenaggio (2 e 12).

Il motivo che suscita questo allarme ambientale di vasta scala è il massiccio allagamento di queste miniere di carbone sparse nell’area dove oggi si combatte la guerra tra Russia e Ucraina. Le conseguenze di queste inondazioni sono catastrofiche per la regione: inquinamento dell’acqua potabile, cedimento del suolo e derivata distruzione delle infrastrutture.

L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa e il ministro ucraino dell’Ambiente Ostap Semerak hanno già sollevato la questione a livello internazionale sui pericoli ambientali causati, in particolare, dalla miniera di carbone Yunkom, dove nel 1979 venne condotto un test nucleare. Nel 2002, la miniera è stata definitivamente chiusa in modo da evitare che i materiali radioattivi di cui si compone entrassero a contatto con le falde acquifere e i rifiuti tossici salissero in superficie. Nell’aprile 2017, tuttavia, l’amministrazione della repubblica di Donetsk – DNR (che attualmente gestisce la miniera) ha deciso di inondare una delle miniere adiacenti, collegata a quella di Yunkom. Potrebbe trattarsi di una ragione prettamente economica, ma si teme l’ennesimo ricatto politico nei confronti del popolo ucraino. Il risultato? Acqua contaminata e materiali radioattivi finiscono nei fiumi della regione, per poi sboccare nel Mar d’Azov. Il Seversky Donets, principale fonte di acqua potabile, già rivela un elevato grado di salinità e di mineralizzazione, a causa delle quali l’acqua diventerà definitivamente non potabile.

Il bacino del Donbass rischia di affondare

Il ministro degli Affari Interni dell’Ucraina Arsen Avakov osserva che il terreno di alcuni territori del bacino del Donbass è affondato di ben 25 centimetri in alcuni punti. “Il bacino minerario di Donetsk forma un gigantesco sistema geologico e industriale in cui la maggior parte delle miniere hanno una connessione idraulica l’una con l’altra”, precisa Avakov. E aggiunge: “In tal modo, la chiusura di qualsiasi miniera porta a riempire i vuoti sotterranei con l’acqua; ne consegue un cedimento del terreno, che danneggia strutture,  edifici e punti di comunicazione”. In altre parole, il Donbass si sta avvicinando a un punto di non ritorno, dove la vita e il lavoro diventeranno semplicemente impossibili.

Le miniere non sono, naturalmente, l’unico problema ambientale da risolvere nei territori occupati del Donbass. La guerra continua e c’è sempre il rischio che un proiettile o una granata cada in uno di questi stabilimenti industriali pericolosi. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite, solamente a seguito del conflitto sono stati distrutti almeno 530 mila ettari di ecosistemi, tra cui 18 riserve naturali, a cui si aggiungono anche 150 mila ettari di foreste.

Le conseguenze ambientali sembrano irreversibili. Numerosi ambientalisti ucraini e alcune organizzazioni umanitarie internazionali hanno lanciato l’allarme, chiedendo aiuto non solo per monitorare la situazione e discuterne, ma soprattutto per agire e impedire una catastrofe ecologica. Nel frattempo, il pericolo si estende alla vita quotidiana: approvvigionamento idrico, fognature, linee elettriche, tubi del gas e altre infrastrutture non sono agibili. Nei pozzi e nelle sorgenti l’acqua è contaminata e sta causando infezioni intestinali e avvelenamento. Le acque sotterranee infette danneggiano il paesaggio e il rischio di terremoti causati dall’uomo è a portata di mano.

L’idrogeologo Yevgeny Yakovlev assicura che, nonostante il fattore di irreversibilità del processo stia crescendo, la situazione può ancora essere corretta, ma le decisioni devono essere prese subito. “Altri 2-3 anni e avremo conseguenze irreversibili per la maggior parte del Donbass e non solo”, aggiunge.

Un desiderio di pace anche per l’ambiente

Al fine di prevenire incidenti e catastrofi, ed evitare un’altra Chernobyl, è necessario porre fine a questa guerra. “Le minacce ambientali derivanti dal conflitto nell’est dell’Ucraina non possono essere ignorate, perché possono colpire la popolazione civile che vive e lavora nella zona, così come il personale delle missioni di monitoraggio dell’OSCE”, ha affermato il capo della missione Ertugrul Apakan.

Il collasso ecologico del bacino del Donbass e dei territori circostanti non sembra essere nell’interesse di nessuna delle parti in questo conflitto. Sia il governo ucraino che quello russo, in primis, dovrebbero iniziare ad affrontare le implicazioni di questo disastro ambientale che potrebbe estendersi oltre il confine nazionale ucraino-russo.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/98246


--- Citazione ---ROMANIA: Dragnea in carcere. I due giorni che hanno sconvolto il paese
Francesco Magno  2 giorni fa

La Corte di Cassazione romena ha oggi confermato la condanna a tre anni e sei mesi di carcere per Liviu Dragnea, uomo forte del partito social-democratico (PSD) e presidente della Camera dei Deputati. Dragnea era accusato di abuso d’ufficio a seguito dello scandalo delle assunzioni fittizie quando era presidente del consiglio provinciale di Teleorman, sua regione natia.

L’ormai ex leader del PSD avrebbe favorito l’assunzione presso l’ufficio provinciale per la protezione dei minori di due donne, che non avrebbero però mai lavorato presso tale ente; entrambe, pur percependo regolarmente lo stipendio statale, continuavano infatti a svolgere attività lavorativa presso la sezione locale del partito social-democratico.

Alle 17.20 ora romena Dragnea è arrivato nel penitenziario Rahova, alla periferia di Bucarest, dove si è consegnato spontaneamente. La leadership ad interim del PSD è stata assunta dalla premier, Viorica Dancila.

Si chiude un’era

Liviu Dragnea ha monopolizzato la vita politica romena negli ultimi anni, da quando è succeduto a Victor Ponta alla guida del più importante partito politico del paese. I suoi avversari lo hanno sempre etichettato come un leader populista, corrotto,  interessato soltanto a risolvere i suoi guai con la giustizia.  Dai suoi sostenitori (ormai sempre meno, anche all’interno del partito) Dragnea veniva visto come un leader patriottico ma perseguitato dal famigerato “stato parallelo“, un insieme di uomini e corpi dello stato (primi fra tutti i servizi segreti) che avrebbero lavorato al suo annientamento politico e alla distruzione del PSD. Esce di scena, almeno per un paio d’anni, uno dei personaggi più ambigui che la Romania, pur prolifica nello sfornare figure controverse, abbia partorito ultimamente. Un uomo capace di stravincere le elezioni parlamentari non più di due anni e mezzo fa, ma nello stesso tempo di trascinare in piazza con le sue politiche migliaia di cittadini inferociti. Dragnea, nella sua complessità, è figlio della Romania profonda, quella periferica, rurale, governata ancora secondo metodologie da regime comunista. In lui vi erano anche pulsioni che in occidente verrebbero definite populiste, paternaliste, autoritarie, ma che nascevano comunque da un modo di intendere la politica tipicamente romeno. Per questo, non è detto che la sua uscita di scena segni per sempre un cambiamento in positivo nel dibattito politico. Dragnea è stato l’effetto, non la causa.

La crisi del PSD

I guai non vengono mai da soli. E l’incubo per il PSD, oggi privato del suo leader, era iniziato già ieri con la pubblicazione dei primi exit poll dopo la lunga domenica delle elezioni europee. I social-democratici si sono fermati ad un modesto 23,44 %, scavalcati nettamente dal partito liberale (27%) e tallonati dalla coalizione di centro-destra europeista USR-Plus (20%). Un risultato che sovverte chiaramente gli equilibri politici del paese. Il presidente della repubblica Klaus Iohannis, immarcescibile avversario del PSD, ha gioiosamente dichiarato che il voto segna la fine della fiducia dei romeni nei confronti dell’esecutivo, che dovrebbe prendere atto del voto e dimettersi. La premier Viorica Dancila, tuttavia, ringalluzzita dall’arresto del suo vecchio protettore, si è presa la scena del partito assumendone la leadership ad interim ed affermando che non intende assolutamente abbandonare l’incarico.

E adesso?

Seguiranno giorni di violente lotte intestine all’interno del PSD. Difficile credere che Viorica Dancila possa mantenere a lungo la guida del partito. Nella sua ultima dichiarazione pubblica prima dell’arresto, ieri sera, Liviu Dragnea ha detto che la più probabile candidata del PSD per le elezioni presidenziali del prossimo autunno potrebbe essere il sindaco di Bucarest Gabriela Firea, donna che gode di molta forza all’interno del partito. La soluzione, in ogni caso, non arriverà nel breve, e sembra avviarsi un lungo periodo di crisi per il PSD. Ad oggi, non è improbabile che la sfida presidenziale possa essere tutta interna al centro-destra europeista, tra Klaus Iohannis e Dacian Ciolos.
--- Termina citazione ---

Frank:
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--- Citazione ---KOSOVO: Maxi arresto delle unità speciali, la Serbia allerta l’esercito
Eleonora Febbe  13 ore fa

Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha posto l’esercito in stato d’allerta dopo che nella giornata di martedì la polizia kosovara ha compiuto una serie di arresti  – per la maggior parte poliziotti – nel nord del Kosovo, area a maggioranza serba del paese.

Lotta al crimine o ritorsioni etniche?

Per Pristina, l’operazione è da inserirsi nel quadro della lotta alla criminalità organizzata, senza distinzioni etniche: tra gli arrestati risultano difatti 11 serbi, 4 albanesi e 4 bosgnacchi, appartenenti alle forze di polizia kosovare. Per Belgrado, però, si tratta di un’inaccettabile provocazione ai danni della minoranza serba in Kosovo. Una parte della comunità locale non ha esitato a opporsi all’arrivo della polizia: nel villaggio di Zubin Potok, gruppi di cittadini hanno eretto barricate e dato fuoco a pneumatici per impedire il passaggio alle forze dell’ordine. Quattro poliziotti sono rimasti feriti negli scontri.

Tra gli arrestati, anche un funzionario dell’UNMIK, la missione ONU in Kosovo. Si tratta di un cittadino russo, che secondo i kosovari avrebbe finto di essere un diplomatico per bloccare l’operazione di polizia. Dopo che l’UNMIK ha espresso preoccupazione per la sorte del suo funzionario, il russo è stato rilasciato, mentre le organizzazioni internazionali presenti in Kosovo invitavano la popolazione alla calma. Mosca, storica alleata di Belgrado, non ha mancato di esprimere la sua indignazione. La portavoce del Cremlino Maria Zakharova ha definito l’accaduto una provocazione.

Contrabbando e illegalità nel nord del Kosovo

Dal Kosovo, il primo ministro Ramush Haradinaj e il ministro degli esteri Behgjet Pacolli hanno accusato la Serbia di esagerare i fatti a fini politici, sostenendo che l’operazione non avesse come obiettivo i serbi, quanto la criminalità organizzata e le sue infiltrazioni tra le forze di polizia.

Il nord del Kosovo, a maggioranza serba, rifiuta il controllo di Pristina. Nella regione la criminalità organizzata è piuttosto diffusa, anche grazie al confine molto poroso, che consente ai criminali locali di cercare rifugio in territorio serbo. Il contrabbando è in continua crescita dal novembre scorso, quando Pristina ha aumentato i dazi doganali per i prodotti provenienti dalla Serbia. Quest’ultima, a undici anni dalla dichiarazione unilaterale del Kosovo, non ne ha ancora riconosciuto l’indipendenza.
--- Termina citazione ---

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