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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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--- Citazione ---MOLDAVIA: La crisi nasce da lontano
Francesco Magno  8 giorni fa

Questo pezzo è frutto della collaborazione tra East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso

Sabato 8 giugno la Moldova è salita agli onori delle cronache internazionali a seguito della nascita di un nuovo governo sostenuto da una coalizione formata dai social-democratici filorussi e il blocco ACUM, dichiaratamente favorevole a un legame sempre più stretto tra Chisinau e l’Unione Europea. Obiettivo di questa ambigua alleanza è mettere fuori gioco Vladimir Plahotniuc, leader del Partito Democratico di Moldavia (PDM) e più potente oligarca del paese. Il nuovo esecutivo, guidato dalla leader di ACUM, Maia Sandu ha ricevuto il sostegno congiunto di Bruxelles, Washington e Mosca, ma è stato quasi subito dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale moldava, su cui Plahotniuc esercita una pericolosa influenza. Il governo, sarebbe nato quando già erano scaduti i 90 giorni concessi per la formazione di un esecutivo dopo le elezioni.

Si è venuta a creare quindi una situazione di pericoloso stallo politico e istituzionale, con un governo legittimato dai più forti attori internazionali e con una maggioranza parlamentare da un lato, e la decisione vincolante della Corte Costituzionale dall’altro. Difficile prevedere oggi quali saranno gli sviluppi della vicenda. Per domenica sono previste nella capitale delle manifestazioni a favore del governo Sandu. E’ forse la prima volta dal 2014, anno dell’annessione della Crimea, che occidente e Russia si schierano dalla stessa parte per raggiungere un obiettivo politico condiviso. Tuttavia, ridurre la vicenda a un semplice accordo tra euro-americani e russi contro un nemico comune rischia di semplificare un quadro ben più complesso.

Certo è che quel che è accaduto sabato scorso non può essere slegato dalla visita, il 3 giugno scorso, del commissario UE per le politiche di vicinato e i negoziati per l’allargamento Johannes Hahn. questi, dopo aver incontrato tutti i principali leader di partito, ha ribadito la necessità impellente di un governo per la Moldova, paventando addirittura dei rischi estremamente concreti per il paese nel caso in cui non si fosse giunti al risultato, primo fra tutti una diminuzione degli aiuti economici provenienti da Bruxelles.

Quello stesso 3 giugno si trovavano a Chisinau anche Dmitri Kozak, rappresentante del Cremlino e autore del famoso memorandum Kozak promotore di una federalizzazione della Moldova, e Bradley Freden, responsabile dell’ufficio Europa orientale presso il dipartimento di stato americano. La presenza simultanea dei rappresentanti di Russia, Europa e Stati Uniti ha sicuramente dato un impulso decisivo alle negoziazioni per la formazione del nuovo governo, culminate poi con la nascita dell’esecutivo Sandu. I tre grandi attori internazionali si son trovati d’accordo nel rifiuto di una prosecuzione del binomio di potere formato da Plahotniuc dal presidente Igor Dodon, che negli ultimi anni ha monopolizzato la vita politica moldava.

Sebbene nelle ultime ore Dodon abbia pronunciato parole incendiarie contro Plahotniuc, i due hanno collaborato spesso, egemonizzando lo spettro politico del paese. Celebre è la famosa legge elettorale varata nel 2017 e figlia della collaborazione tra il PDM e il partito socialista di Dodon. Essa, trasformando il tradizionale sistema proporzionale moldavo in un sistema misto con parte dei parlamentari eletti tramite competizione in collegi uninominali ha mirato alla marginalizzazione politica del blocco pro-occidentale della Sandu. Nel contesto moldavo infatti la competizione in collegi uninominali facilitava i partiti più strutturati nel territorio e più propensi ad abusare del loro potere amministrativo.

Cosa si è rotto pertanto nel dialogo tra il potente oligarca e il presidente filorusso? E’ difficile credere che a Dodon interessi davvero liberare il paese dalle oligarchie. Più probabile è che la negoziazione personale tra i due sulla distribuzione del potere e delle influenze sia naufragata. Una trattativa provata anche da un video casualmente pubblicato da ‘Publika’ (un’emittente controllata dallo stesso Plahotniuc) proprio nella tumultuosa giornata di sabato che ritrae un incontro del 7 giugno. Nel video Dodon spiega a Plahotniuc come il partito socialista abbia puntualmente ricevuto sostegno finanziario dalla Russia, tramite Alexey Miller, amministratore delegato di Gazprom, e Dmitri Kozak, senza tuttavia entrare nel dettaglio delle operazioni. Il partito avrebbe ricevuto dal Cremlino più di 1 milione di dollari, secondo le stime di Dodon, il quale successivamente pone come condizione fondamentale per un accordo il famigerato progetto di federalizzazione.

L’accordo tra i due è naufragato, e il resto è storia. La Moldova, paese più povero d’Europa, rischia di uscire distrutta dalla crisi politica scoppiata nei giorni scorsi. Molto dipenderà ovviamente da come Europa, Stati Uniti e Russia, si porranno di fronte all’evolversi degli eventi e quanto vorranno impegnarsi nella soluzione della crisi sostenendo l’esecutivo Sandu.

Secondo l’analista romeno Dan Dungaciu, direttore dell’istituto di scienze politiche dell’accademia delle scienze romena, da sempre attento alle questioni moldave, la nascita del governo Sandu, visto come un ottimo segnale nella lotta alla corruzione e all’oligarchia, è segno in realtà di obiettivi più ampi perseguiti dalle grandi potenze. Plahotniuc è soltanto un pretesto per ridisegnare la situazione geopolitica del confine sud-orientale d’Europa, dal momento che “si dovrà discutere a un certo punto sia della soluzione del conflitto congelato in Transnistria sia di una soluzione di quello in Ucraina, e pertanto tutta la zona acquista un’importanza strategica fondamentale, sul futuro della quale tutti dovranno trovarsi d’accordo”.
--- Termina citazione ---

Frank:
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--- Citazione ---GEORGIA: Scontri a Tbilisi per la presenza di un politico russo in Parlamento
Aleksej Tilman  19 ore fa

Sono giorni di scontri a Tbilisi. Con la città carica di tensioni e divisioni legate all’organizzazione del gay pride, un altro caso, molto geopolitico, rischia di mettere in discussione la stessa maggioranza di governo.

Lo scorso 20 maggio, nella sede di Tbilisi del Parlamento georgiano, si è aperta la ventiseiesima Assemblea interparlamentare sull’ortodossia, un’organizzazione il cui scopo è favorire il dialogo tra paesi accomunati dalla confessione cristiana ortodossa. Il presidente dell’Assemblea, il parlamentare russo Sergej Gavrilov, è stato invitato a sedersi al posto normalmente assegnato allo Speaker dell’Assemblea legislativa georgiana.

Questo gesto, in apparenza innocuo, è bastato a scatenare un vespaio di polemiche nel paese caucasico, dove la Russia è considerata come una potenza occupante a causa del sostegno di Mosca a Ossezia del Sud e Abkhazia, le due repubbliche separatiste in territorio georgiano.

Un gruppo di parlamentari dell’opposizione è entrato nell’aula durante un intervallo. Elene Khoshtaria, un membro del Partito della Georgia europea, indosssando una bandiera georgiana, ha urlato: “Dov’è Gavrilov? Dov’è l’occupante?”, e, accompagnata da alcuni colleghi, ha strappato i fogli che contenevano il discorso del parlamentare russo, dichirando che l’evento non sarebbe andato avanti finchè la delegazione russa non avesse lasciato l’assemblea.

Gavrilov è stato velocemente scortato prima in albergo e poi all’areoporto e ha minacciato ritorsioni nei rapporti commerciali tra Russia e Georgia. Nel frattempo, una folla si è radunata sul viale Rustaveli, davanti al Parlamento. Durante la serata, la protesta è diventata violenta quando alcuni manifestanti hanno provato ad aprirsi la via all’interno dell’edificio. La polizia ha sparato pallottole di gomma e gas lacrimogeni per disperdere la folla e la manifestazione si è sciolta solo verso l’una e mezzo del mattino. Al momento, le cifre ufficiali parlano di 240 persone, inclusi 12 giornalisti e 80 poliziotti, ferite durante gli scontri.

Con il degenerarsi della situazione, la coalizione di governo del Sogno georgiano è dovuta correre rapidamente ai ripari. Bidzina Ivanishivili, l’eminenza grigia della politica del paese caucasico, si è detto in accordo con i manifestanti e ha spiegato che è inaccettabile che il rappresentante di uno stato occupante presieda una qualsiasi forma di assemblea in Georgia. La presidente, Salome Zurabishvili, ha criticato la scelta di invitare Gavrilov, ma ha anche condannato il tentativo della folla di entrare con la forza nell’edificio del Parlamento.

Nonostante le parole dei rappresentanti del governo, l’ondata di proteste non si è esurita. Questa mattina, il partito di opposizione Movimento Nazionale Unito ha indetto una nuova manifestazione per ottenere le dimissioni del Ministro dell’Interno, Giorgi Gakharia, e dello Speaker del Parlamento, Irakli Kobakhidze – quest’ultime arrivate poco dopo –, e spingere il paese ad elezioni parlamentari anticipate.

L’autogol della coalizione di governo e un uso della forza da parte delle forze di sicurezza che non si vedeva da anni in Georgia lasciano qualsiasi opzione aperta. Gli scontri di Tbilisi mostrano anche quanto politiche di apertura alla Russia trovino l’opposizione, quasi compatta, dell’opinione pubblica georgiana.
--- Termina citazione ---

Frank:
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--- Citazione ---BOSNIA: Un paese senza governo, di nuovo
Angelo Massaro  2 giorni fa

Sono passati otto mesi dalle ultime elezioni in Bosnia Erzegovina e non si è ancora giunti ad un accordo per la formazione di un nuovo esecutivo. Allo stato attuale, le posizioni divergenti dei partiti bosniaci in merito al processo di adesione della Bosnia Erzegovina alla NATO sono tra gli ostacoli maggiori verso la risoluzione dello stallo istituzionale. Mentre la classe politica bosniaca resta divisa, gli organismi internazionali temono che il ritardo nella formazione del governo possa rallentare il consolidamento delle riforme necessarie al paese.

La NATO al centro della disputa

Un primo passo formale verso l’adesione della Bosnia Erzegovina alla NATO è stato compiuto lo scorso 5 dicembre, quando i ministri degli Esteri dei paesi dell’organizzazione euro-atlantica si sono espressi a favore dell’attivazione del Piano d’azione per l’adesione (Membership Action Plan, MAP). Il MAP, che è stato progettato come un programma di assistenza e sostegno pratico per i paesi che intendono aderire all’Alleanza Atlantica, è a sua volta subordinato alla preparazione di programmi annuali nazionali (National Annual Programme, ANP). In questi ultimi, i paesi interessati a una futura adesione alla NATO indicano alcune misure da attuare in campo militare, economico, giuridico e politico.

Mentre i rappresentanti dei partiti politici bosgnacchi si sono espressi a favore dell’attivazione del MAP, i serbo-bosniaci si oppongono. Questi ultimi, attraverso le posizioni dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) sono principalmente in contrasto con il principale partito conservatore bosgnacco, il Partito d’Azione Democratica (SDA). Entrambi i partiti si accusano a vicenda di causare l’attuale impasse istituzionale: se l’SDA pone l’attivazione del MAP come una condizione essenziale per la formazione del governo, l’SNSD rifiuta vivamente tale ipotesi, non dicendosi disposta ad accettare ulteriori misure per l’integrazione della Bosnia nella NATO.

La natura dello stallo istituzionale

Al momento l’SDA e l’SNSD, insieme ai croato-bosniaci dell’HDZ-BiH, sono riusciti a trovare un accordo solamente in merito alla distribuzione dei ministeri. Oltre alla paralisi sulla formazione del governo, l’inconciliabilità delle posizioni tra i partiti bosniaci è esemplificata dalla mancata costituzione del governo della Federazione di Bosnia Erzegovina – una delle due entità del paese – nonché dall’inattività degli organi parlamentari della Bosnia Erzegovina.

Sullo stallo politico del paese si sono espressi sia l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina , Valentin Inzko sia il Consiglio per l’attuazione della pace  (Peace Implementation Council, PIC) sottolineando entrambi la necessità di una formazione delle autorità esecutive e parlamentari a tutti i livelli di governo. Una posizione simile è stata espressa dalla Commissione europea nell’Opinione sulla domanda d’adesione della Bosnia Erzegovina all’Unione europea, dove è stata evidenziata la “necessità di coordinamento e armonizzazione delle posizioni politiche del paese, in particolare per quanto riguarda l’allineamento e l’attuazione della legislazione derivante dall’acquis dell’UE.” Mentre il Consiglio UE ha sostenuto che “la politica di partito e la mancanza di volontà di compromesso non dovrebbero bloccare le legittime aspirazioni dei cittadini bosniaci di avanzare verso l’Unione europea”.

Quando verrà superata l’impasse?

L’incapacità dei partiti bosniaci di risolvere l’attuale impasse politica è indice di una mancata lungimiranza della classe dirigente, interessata a porre veti piuttosto che fornire soluzioni concrete ai problemi della cittadinanza. Il costo di queste inadempienze ricade in larga misura sulle nuove generazioni, sempre più propense ad abbandonare il paese in ricerca di migliori opportunità lavorative. Come sottolineato dal Rapporto analitico 2019 della Commissione europea la disoccupazione giovanile si attesterebbe intorno al 40%, comprovando, oltre alla sfiducia crescente verso le istituzioni, la grave mancanza di prospettive di realizzazione personale nel proprio paese. In aggiunta a questi fattori, l’aumento estivo dei flussi migratori attraverso la Bosnia Erzegovina costituisce una problematica ulteriore per le autorità locali. Con il protrarsi della crisi istituzionale nel paese vi è il rischio di fornire risposte ancora più insufficienti riguardo la gestione dei transiti, a discapito delle popolazioni locali, dei migranti e delle associazioni che lavorano sul campo.

Alla luce di quanto espresso, la risoluzione dell’attuale stallo istituzionale richiede un’assunzione condivisa di responsabilità tra i maggiori partiti bosniaci. Secondo il leader del HDZ-BiH Dragan Cović, l’esecutivo verrà formato a breve, un’opinione che tuttavia non sembrerebbe essere pienamente condivisa dagli esponenti degli altri schieramenti in campo. Per Bakir Izetbegović, presidente del partito bosgnacco SDA, il blocco istituzionale verrà sciolto soltanto se i partiti troveranno un compromesso sul processo di adesione alla NATO. Mentre il leader dei serbo-bosniaci del SNSD, Milorad Dodik, non si dice al momento ottimista sul raggiungimento di un accordo tra le parti. Nel frattempo a pagarne le conseguenze sono i cittadini bosniaci, ormai scoraggiati da otto mesi di lunghe attese e preoccupati che ulteriori rallentamenti possano minare il normale funzionamento dei vari livelli di governo nel paese
--- Termina citazione ---

Frank:
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--- Citazione ---ALBANIA: Alle elezioni amministrative un paese sull’orlo di una crisi di nervi
Pietro Aleotti  3 giorni fa

Da mesi ormai l’Albania è attraversata da pulsioni di piazza che non sembrano avere tregua. Avevano iniziato gli studenti universitari a cavallo di fine anno, ha proseguito, senza soluzione di continuità, l’opposizione parlamentare al governo socialista di Edi Rama, quella della compagine di centrodestra del Partito Democratico guidata da Lulzim Basha. Tra le due cose, è bene precisarlo, non vi è alcuna correlazione, né politica né di intenti, se non la mera coincidenza temporale. Ma è un fatto che esse rappresentino, entrambe, un paese in crisi politica e sull’orlo di una crisi di nervi.

Elezioni sì, elezioni no, elezioni forse…

E’ in questo clima di veleni che il paese si appresta a recarsi alle urne il prossimo 30 giugno, per una tornata elettorale amministrativa. Elezioni che l’opposizione di Basha boicotterà non presentando propri candidati in segno di protesta contro un governo, a suo dire, illegittimo e corrotto. L’Albania non è certo nuova a queste prese di posizione e, storicamente, i partiti d’opposizione hanno brandito un vasto campionario di minacce, più o meno credibili, più o meno gravi, portando i propri sostenitori per strada e spaccando la popolazione albanese in una contrapposizione più simile a quella delle tifoserie da stadio che a quella di parti che, legittimamente, si confrontano nell’alveo del riconoscimento reciproco.

Ma la tensione e la confusione, anche istituzionale, di queste giornate di vigilia ha davvero pochi precedenti ed è, anzi, per certi versi inedita. L’8 giugno scorso, con una mossa a sorpresa, il presidente della Repubblica, Ilir Meta, ha annullato il decreto riguardante la data delle elezioni rimandandole a data da destinarsi, motivando tale decisione come conseguenza del fatto che nessuna delle parti si è impegnata a risolvere la crisi politica e facendo un preciso riferimento al fatto che, a causa del boicottaggio dell’opposizione di centrodestra, le elezioni non sarebbero state “vere, rappresentative e inclusive”. L’ennesimo capitolo, questo, della saga che vede come protagonisti il presidente Meta e il primo ministro socialista Edi Rama, da sempre in aperta polemica e, spessissimo, in aspra contrapposizione, nonostante sia stato Rama stesso il vero fautore dell’elezione di Meta a presidente.

La reazione di Rama non si è fatta attendere: bollando, senza mezzi termini, l’estemporanea iniziativa del presidente e le prese si posizione dell’opposizione come “comportamenti di un gruppo disperato, costretti a perdere disperatamente”, il premier ha confermato lo svolgimento delle elezioni secondo quanto previsto. Posizione ribadita dal parlamento e dalla commissione elettorale centrale (monopolizzati, entrambi, dal partito socialista a seguito dell’auto-esclusione di gran parte delle opposizioni) che, a stretto giro, ha annullato il decreto presidenziale dando il via libera definitivo al “regolare” svolgimento delle elezioni. In questo marasma di decreti e contro-decreti si è sentita, più che mai, l’assenza di una Corte Costituzionale funzionante, paralizzata da tempo per mancanza di giudici.

Opposizione, tra moti di piazza e boicottaggio

Fallita la via maestra del decreto presidenziale, l’opposizione ha proseguito con quella ben più collaudata dei moti insurrezionali. Con un novità, però: ai soliti tumulti e alle consuete rimostranze a base di vetrine rotte e lacrimogeni che sono, ormai, cronaca quotidiana in tutto il paese, se n’è aggiunta una, per certi versi più preoccupante ed eversiva.

Quella in atto in alcune municipalità governate dal Partito Democratico, dove si sta perpetrando un vero e proprio ostruzionismo al libero svolgimento delle elezioni: il sindaco di Scutari, da esempio, la democratica Voltana Ademi, ha schierato le forze di polizia davanti ad uno degli uffici elettorali impedendo l’ingresso ai membri della commissione elettorale. A Tropoja i dipendenti del municipio guidati dal primo cittadino democratico, Besnik Dushaj, hanno preso possesso del materiale elettorale e l’hanno buttato per strada. Più in generale tutti i municipi a guida democratica (ma anche quelli governati dell’altro partito d’opposizione, il Movimento Socialista per l’Integrazione fondato dallo stesso Meta) hanno invocato la chiusura degli uffici elettorali a seguito dal decreto presidenziale e l’annullamento delle elezioni.

La tenuta democratica a rischio

Non è ben chiaro, allo stato, come andrà a finire. Quello che è chiarissimo, invece, è che l’atteggiamento di Basha appare politicamente fallimentare e strategicamente autolesionistico. Storicamente, l’isolamento e l’auto-esclusione, quello che in Italia chiameremmo “Aventino”, non hanno portato bene a chi l’ha promosso e, stanti così le cose, Basha sta consegnando il paese nelle mani di Rama e del Partito Socialista. Il che potrebbe sembrare addirittura paradossale se non fosse che il leader del centrodestra sta giocando col fuoco, con la credibilità dell’intero paese e, persino, con la tenuta democratica dell’Albania.

Non è un caso che, proprio in queste settimane, il processo di adesione dell’Albania all’Unione europea abbia subito un drastico raffreddamento. Sebbene le ragioni di tale raffreddamento siano di natura geopolitica più complessiva, non tutte nobilissime, è del tutto evidente che la posizione dell’Albania appare oggi più fragile alla luce dello spettacolo deprimente che la propria classe dirigente sta offrendo a chi la guarda.
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Frank:
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--- Citazione ---Macedonia del Nord, Skopje tiene il suo primo Pride

Domani Skopje tiene il suo primo Pride, col sostegno di rilevanti rappresentanti delle istituzioni. Un importante passo in avanti per i diritti della comunità LGTBI della Macedonia del Nord, in un contesto storicamente difficile

28/06/2019 -  Ilcho Cvetanoski   Skopje
Con la prevista considerevole protezione della polizia, circa 500 attivisti e sostenitori LGBTI daranno vita alla prima Pride Parade di Skopje sabato 29 giugno. Il comitato organizzatore, la "Rete nazionale contro l'omofobia e la transfobia", ha annunciato che l'inizio dell'evento è programmato per le ore 11 presso il parco Woman Warrior nel centro della capitale.

"La sfilata dell'orgoglio sarà una forma di protesta per l'affermazione, il sostegno e la protezione dei diritti umani delle persone LGBTI nella Macedonia del Nord", ha detto durante la conferenza stampa a Skopje Antonio Mihajlov, un attivista LGBTI.

Oltre agli attivisti LGBTI dei paesi vicini, sono attesi al Pride anche politici macedoni di alto profilo. Tra loro ci sarà il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Mila Carovska, che dovrebbe rivolgersi gli attivisti alla fine della sfilata. Inoltre, il presidente eletto Stevo Pendarovski e il sindaco di Skopje Petre Shilegov hanno annunciato la propria presenza, dando così all'evento il necessario supporto politico.

La registrazione dei partecipanti e l'inizio della marcia avranno luogo al parco Woman Warrior nel centro della città. La sfilata dovrebbe iniziare a mezzogiorno e terminare verso le 13 nel principale parco cittadino, ma l'evento continuerà per molte altre ore con numerosi concerti. La rappresentante del paese all'Eurovision di quest'anno, Tamara Todevska, canterà la sua canzone "Proud". Il Pride dovrebbe terminare dopo le 16:00.

La Macedonia del Nord, insieme alla Bosnia Erzegovina, era l'unico paese balcanico a non aver mai organizzato un Pride. Questo cambierà a partire da domani. Da alcune dichiarazioni, pare che Sarajevo seguirà l'esempio di Skopje e terrà la sua prima sfilata arcobaleno entro la fine del 2019. Tuttavia, a prescindere dai segnali positivi, la situazione generale nella regione non è così positiva. La Macedonia del Nord ha depenalizzato l'omosessualità nel 1996, ma da allora non sono stati fatti progressi importanti nei diritti delle persone LGBTI.

Diritti LGBTI
L'organizzazione del Pride è un passo nella giusta direzione, ma anche oggi le persone LGBTI rimangono la comunità più emarginata dello stato, oggetto di quotidiane aggressioni fisiche, incitamento all'odio e discriminazione.

"La violenza e l'inefficiente protezione dalla violenza, dalla discriminazione, dall'impunità per l'incitamento all'odio, dall'elevato rischio di diventare senzatetto, dall'accesso limitato alle posizioni lavorative e così via sono tra i principali problemi che le persone LGBTI devono affrontare quotidianamente", ha detto a OBCT un rappresentante del Centro di supporto LGBTI di Skopje.

La cupa situazione è stata descritta in dettaglio da numerose organizzazioni internazionali. Nell'estate 2015, il National Democratic Institute (NDI) ha condotto una ricerca sulle principali questioni LGBTI nei Balcani. Il sondaggio ha mostrato che "la maggioranza degli intervistati in Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia (del Nord), Montenegro e Serbia ha bassi livelli di conoscenza sulle comunità lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali, e di conseguenza un livello alto di resistenza a conferire uguali diritti e opportunità indipendentemente da orientamento sessuale e identità di genere". Sul versante positivo, i residenti giovani, istruiti e urbani mostrano un supporto visibile per i diritti LGBTI.

La Universal Periodic Review delle Nazioni Unite, che comporta un'analisi dello stato dei diritti umani in tutti gli stati membri sotto gli auspici del Consiglio dei diritti umani, durante la valutazione della Macedonia del Nord che si è svolta il 24 gennaio 2019, si è concentrata principalmente sui diritti delle persone rom e LGBTI come i gruppi più vulnerabili del paese.

Secondo l'Annual Review di ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), l'anno scorso la Macedonia del Nord era al 41° posto su 49 paesi europei. Quest'anno è al 34°, tra Cipro (33°) e Italia (35°).

Tuttavia, secondo gli attivisti LGBTI, la situazione sul campo è rimasta più o meno la stessa. A riprova di questa conclusione, vengono riportati i costanti attacchi al Centro LGBTI a Skopje e l'impunità per tali incidenti. Inoltre, discorsi di odio e discriminazione sono onnipresenti in una parte significativa della società macedone. Indipendentemente dal background politico, etnico o religioso, parte della società è unita nella discriminazione contro la comunità LGBTI.

Uranija Pirovska, presidente del Comitato Helsinki per i diritti umani della Macedonia del Nord, ha dichiarato ai media che uno dei passi nella giusta direzione sarebbe identificare e perseguire tutti gli autori degli attacchi al Centro LGBTI.

"Questo sarà un definitivo segnale dell'esistenza della volontà politica di affrontare tali questioni e cambiare il clima per la comunità LGBTI", ha detto Pirovska.

Attacchi al Centro LGBTI
Incidenti e attacchi sono iniziati subito dopo l'apertura del Centro nell'ottobre 2012, nel vecchio bazar di Skopje. Poche ore dopo il termine dell'evento, verso le 3.30 del mattino, diverse persone hanno lanciato pietre contro il Centro. Due mesi dopo, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, teppisti sconosciuti hanno disegnato una svastica sulle barre protettive di metallo del Centro e scritto "Tremiti", facendo riferimento alle Isole Tremiti dove Benito Mussolini imprigionò centinaia di omosessuali. La notte successiva il Centro è stato nuovamente attaccato nel tentativo di incendiarlo.

"Gli attacchi al Centro sono stati la concretizzazione di precedenti dichiarazioni omofobiche e transfobiche, minacce e pressioni portate avanti con lo scopo di fermare l'apertura di tale istituzione", hanno spiegato a OBCT i rappresentanti del Centro.

Gli incidenti sono continuati negli anni seguenti. Nel marzo 2013, il Centro è stato attaccato da una folla di vandali che hanno causato danni significativi alla proprietà. L'incidente è stato registrato sulla telecamera di sicurezza. Tre mesi dopo, il 22 giugno 2013, il Centro LGBTI è stato nuovamente attaccato, questa volta durante l'evento della Pride Week, mettendo in pericolo la sicurezza di 40 ospiti.

L'anno successivo, nell'ottobre 2014, circa 20 teppisti incappucciati hanno vandalizzato il caffè Damar nell'Antico Bazar, dove la comunità LGBTI festeggiava il secondo anniversario del Centro. Durante gli incidenti, come riportato dai media, una donna è stata ferita alla testa da una bottiglia lanciata dai teppisti. Fino ad oggi nessuno di questi tentativi di danneggiare o incendiare il Centro è stato chiarito, mentre i responsabili rimangono non identificati.

Sulla strada giusta
L'organizzazione del Pride di quest'anno, insieme al sostegno dei più alti funzionari statali, è sicuramente un grande passo avanti considerando la mancanza di azioni positive mostrata dal precedente governo conservatore, guidato dal VMRO-DPMNE di Nikola Gruevski. Dopo l'adozione di quest'anno della nuova legge sulla prevenzione e la protezione contro la discriminazione, che per la prima volta vieta la discriminazione basata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, il paese si sta muovendo verso una società più inclusiva e tollerante.

Il nuovo ministro dell'Istruzione si è impegnato a rivedere alcuni libri di testo e cancellare o riscrivere le affermazioni discriminatorie che vi sono contenute, ad esempio "l'omosessualità è una stasi dello sviluppo psico-sociale ad un livello inferiore" e "le relazioni omosessuali sono parassitarie rispetto a quelle eterosessuali".

ILGA-Europe ha sottolineato che la Macedonia del Nord dovrebbe adottare leggi contro l'incitamento all'odio con menzione esplicita di tutte le motivazioni (orientamento sessuale, identità di genere, caratteristiche sessuali), mentre i social media sono invasi dall'incitamento all'odio dopo l'annuncio della parata imminente.

A giudicare dalle esperienze precedenti e dalle attuali reazioni dei cittadini, servono ancora molti passi per arrivare ad una società inclusiva. Il Pride è un passo in quella direzione, ma ciò non porterà i cambiamenti attesi finché ci sarà impunità per l'incitamento all'odio e gli assalti motivati dall'odio. Il segno del successo sarebbe avere la Skopje Pride Parade senza necessità di protezione della polizia.
--- Termina citazione ---

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