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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-quando-la-cronaca-nera-smuove-il-sistema-politico-195858
--- Citazione ---Romania, quando la cronaca nera smuove il sistema politico
L'omicidio di una ragazza di quindici anni scuote l'intero paese e non solo per l'efferatezza del delitto, ma anche a causa del comportamento delle forze dell'ordine. I romeni scendono in piazza, il ministro dell'Interno si dimette
31/07/2019 - Francesco Magno
Negli ultimi giorni l'opinione pubblica romena dibatte soltanto del terribile omicidio avvenuto probabilmente tra il 25 e il 26 luglio a Caracal, una piccola cittadina del sud, dove una quindicenne, Alexandra Măceșanu, è stata rapita, violentata e infine uccisa. L'accusa è caduta su un uomo, tale Gheorghe Dincă, già accusato di aver assassinato un'altra ragazza nella scorsa primavera con modalità spaventosamente simili. Nel cortile della sua abitazione sono stati ritrovati resti umani, e nella sua macchina un orecchino della vittima. C’è tuttavia chi nega che Alexandra e l’altra adolescente scomparsa qualche mese fa (di cui non è mai stato ritrovato il corpo), siano state uccise da Dincă, che le avrebbe invece consegnate a criminali dediti al traffico di esseri umani. Le indagini sono ancora in corso.
Il delitto ha scosso l'intero paese, non soltanto per la sua efferatezza, ma anche e soprattutto a causa del comportamento delle forze dell'ordine. Prima di essere uccisa Alexandra è riuscita più volte a mettersi in contatto con la polizia grazie a un telefono trovato nella casa dove era sequestrata, fornendo dati importanti sull'ubicazione del luogo del rapimento; la sua disperata richiesta d'aiuto è stata tuttavia ignorata dai funzionari del centralino d'emergenza, che hanno scambiato la telefonata per una burla e hanno invitato la ragazza, secondo quanto riportano alcune testate, a non tenere la linea occupata.
Le rivelazioni sul comportamento dei poliziotti hanno scatenato un'ondata di indignazione e proteste. Come spesso accade in Romania, il tragico evento di cronaca si è trasformato in un pretesto per lanciarsi contro l'intero sistema politico e istituzionale: la scarsa efficienza, anche se potremmo addirittura parlare di totale incompetenza, dei poliziotti del 112 (il numero romeno delle emergenze) viene imputata alla corruzione e al malaffare che dominano le assunzioni pubbliche ad ogni livello.
Dimostrazioni sono state organizzate nei giorni scorsi di fronte al ministero dell'Interno e nelle principali strade di Bucarest. L’altro ieri un gruppo di manifestanti si è radunato di fronte alla sede del Partito social-democratico, urlando improperi all'indirizzo di membri del partito, accusati di essere corresponsabili dell'omicidio.
La mobilitazione di piazza ha portato alle dimissioni del ministro dell’Interno, Nicolae Moga, che aveva assunto la carica appena sette giorni fa. Moga ha motivato le dimissioni con la “necessità di proteggere il prestigio del ministero, augurandosi che eventi del genere possano non accadere più”.
Nel pomeriggio di ieri il presidente della Repubblica Klaus Iohannis, già in evidente clima da campagna elettorale per le elezioni presidenziali, ha indirettamente incolpato il governo a guida social-democratica, reo di aver “riempito le istituzioni pubbliche di incompetenti” .
Non è la prima volta che in Romania un evento di cronaca scatena proteste e manifestazioni contro l'intero sistema politico e istituzionale. Nel 2015, a seguito dell'incendio della discoteca Colectiv di Bucarest, che causò la morte di decine di ragazzi, il governo guidato dal social-democratico Victor Ponta fu costretto a dimettersi sotto i colpi delle enormi dimostrazioni di piazza.
Anche in quel caso, la morte delle vittime venne imputata alla corruzione e all'inefficienza della pubblica amministrazione di Bucarest, che aveva concesso troppo facilmente la licenza a un locale con chiari problemi strutturali. Ovviamente i responsabili ultimi della tragedia, anche in quel caso, erano considerati i membri del governo e del Partito social-democratico, dai più ritenuto l'unico dispensatore di malaffare del paese.
Per quanto ambiguo e spesso corrotto, risulta difficile credere che anche tragici eventi di cronaca nera possano essere sempre imputati al Partito social-democratico, o alla corruzione. La corruzione sta diventando in Romania un'eminenza grigia astratta responsabile di ogni magagna che affligge il paese, e ogni occasione è buona per indignarsi contro le inefficienze del sistema. A ciò va aggiunto l'astio sempre crescente della popolazione nei confronti delle forze dell'ordine. Un rancore nato circa un anno fa, a seguito della manifestazione della diaspora terminata in violenza del 10 agosto 2018, quando manifestanti pacifici vennero massacrati senza apparente motivo dalla gendarmeria.
Per questo un evento di cronaca nera diventa l'ennesimo pretesto per scendere in piazza e mostrare indignazione contro il sistema. A volte, tuttavia, la spiegazione più banale è anche quella più semplice. La povera Alexandra è stata vittima di un uomo crudele e di poliziotti incompetenti: due tragiche fatalità, di cui difficilmente si può accusare il PSD.
Il modo in cui la gente reagisce a questi eventi ci dice però molto sulla situazione del paese e sul sentir comune: i romeni si sentono vittime di una struttura più grande di loro, alla quale imputano ogni problema che li affligge. Un sentimento che è un po' figlio della storia e del retaggio comunista: lo stato è ritenuto responsabile di qualsiasi cosa accada, sia essa bella o brutta, e il più delle volte purtroppo è brutta.
Abituarsi alla libertà significa anche abituarsi al destino, anche tragico. Il non saper rassegnarsi al fato e il dover cercare sempre una motivazione superiore, più oscura, è un altro segno della transizione post-comunista mai terminata.
Che le istituzioni pubbliche, specialmente nella remota periferia contadina, non siano efficienti e spesso si limitino ad essere vere e proprie prebende da offrire in cambio di voti, è fuor di dubbio. Che la colpa sia solo del sistema PSD e non di una cultura politica generalizzata e trasversale esistente da almeno un secolo è, tuttavia, difficile da sostenere. A ciò vanno aggiunte una formazione scadente impartita alle forze dell’ordine, e un totale stato di abbandono della provincia profonda.
È improbabile che la fine dell’egemonia politica del PSD possa risolvere nel breve questi problemi, ed è del tutto impossibile che un cambiamento politico segnerà la fine delle fatalità tragiche.
--- Termina citazione ---
--- Citazione ---Le rivelazioni sul comportamento dei poliziotti hanno scatenato un'ondata di indignazione e proteste. Come spesso accade in Romania, il tragico evento di cronaca si è trasformato in un pretesto per lanciarsi contro l'intero sistema politico e istituzionale: la scarsa efficienza, anche se potremmo addirittura parlare di totale incompetenza, dei poliziotti del 112 (il numero romeno delle emergenze) viene imputata alla corruzione e al malaffare che dominano le assunzioni pubbliche ad ogni livello.
--- Termina citazione ---
Fosse accaduto in Italia, i soliti italiani esterofili e disfattisti, nonché quotidianamente impegnati a prendersi a martellate sui genitali, avrebbero urlato ai quattro venti che "certe cose accadono solo in Italia".
Certo, come no.
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/99245
--- Citazione ---RUSSIA: Perché nessuno spegne gli incendi in Siberia?
Maria Baldovin 3 giorni fa
“La situazione in Siberia è catastrofica”. Con queste parole Grigorij Kuksin, responsabile della sezione antincendi di Greenpeace Russia, commenta gli incendi che, da circa dieci giorni, stanno mettendo in ginocchio un’area molto estesa del paese. Si parla di circa tre milioni di ettari di foreste in fiamme, soprattutto nelle regioni di Krasnojarsk e Irkutsk. Fiamme divoratrici che stanno colpendo il polmone verde della federazione e la cui nube si sta espandendo a vista d’occhio. Ciononostante, gli interventi, fino ad oggi, sono stati effettuati solo su novantamila ettari di terreno.
La decisione riguardo alle zone in cui intervenire, in questi casi, spetta alle autorità. Stando a diverse fonti russe, il governatore della regione di Krasnojarsk Aleksandr Uss avrebbe dichiarato che spegnere gli incendi, nella cosiddetta “zona di controllo”, non avrebbe senso e potrebbe essere addirittura dannoso.
Ma cosa sono le “zone di controllo”? La definizione è stata introdotta da una legge disegnata nel 2014 e approvata nel 2015 dal Ministero per l’ambiente. Secondo quest’ultimo, all’interno delle “zone di controllo” non sarebbe obbligatorio spegnere gli incendi. Nei casi in cui la presenza delle fiamme non rappresenti un pericolo per la popolazione e per l’economia e, in aggiunta, se l’estinzione dell’incendio venisse a costare di più dei potenziali danni, gli incendi nelle zone di controllo possono dunque divampare liberamente. Inizialmente, le zone di controllo erano state definite come aree remote, difficili da raggiungere per mezzi e persone. In realtà, secondo i calcoli del responsabile di Greenpeace, un’elevata percentuale di foreste presenti sul territorio della federazione è classificata come zona di controllo e proprio qui sono avvenuti il 90% degli incendi nella stagione passata. Incendi che nessuno spegne.
“A nessuno verrebbe mai in mente di affondare un iceberg, così da poter avere un clima più caldo. La stessa cosa vale per gli incendi nelle zone di controllo, è un normale fenomeno naturale” ha commentato il governatore di Krasnojarsk Aleksandr Uss. Totalmente in disaccordo Grigorij Kuksin, il quale ha risposto: “Non c’è niente di usuale in questi incendi. Se fossimo nella regione di Mosca, a nessuno verrebbe mai in mente di dire ‘Ma sì, è un processo naturale'”.
Non lontano dalle zone degli incendi ci sono villaggi, vivono persone, la nube rischia di intossicare migliaia di cittadini e animali. Tuttavia, l’indifferenza sembra regnare sovrana, con le autorità ad assicurare che tutto è sotto controllo. Spegnere gli incendi è oneroso e sembra che il calcolo costi-benefici non decida a favore dell’intervento. In altre parole, non ne vale la pena.
È proprio questo a far indignare i cittadini siberiani. Ancora una volta, nelle periferie del paese domina la sensazione di essere cittadini di seconda classe. È lo stesso processo in atto nella regione di Archangel’sk, dove i cittadini locali protestano da mesi contro la costruzione di una discarica che “accoglierebbe” i rifiuti provenienti dalla regione della capitale.
“Il nostro governo si comporta come un contabile”, “Ci dicono senza mezzi termini di morire”, sono solo alcune delle citazioni di cittadini siberiani riprese negli ultimi giorni dai media. Intanto sono partite le petizioni, mentre gli hashtag #SaveSiberianForests e #потушитепожарывсибири (“Spegnete gli incendi in Siberia”) sono tra i più utilizzati su Twitter. Come sempre, l’ironia sui social media non manca e c’è anche chi, tra il serio e il faceto, ipotizza una nuova fiction drammatica, dopo il successo raggiunto dalla serie tv dedicata agli eventi di Chernobyl.
Nel frattempo, lo stato di emergenza è stato dichiarato nelle regioni di Krasnojarsk, Irkutsk e, parzialmente, in Buriazia. Tuttavia, non è chiaro cosa questo comporterà e se si uscirà dalla logica che regola gli interventi nelle cosiddette “zone di controllo”. Rimarranno, per molto tempo, i danni causati dagli spaventosi incendi – definiti “senza precedenti” – e dall’immobilismo di questi dieci lunghi giorni.
In Siberia, come in altre zone del mondo, più o meno estese, più o meno periferiche, il calcolo costi-benefici detta legge, decidendo le sorti dell’ambiente e dei cittadini che ci vivono.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Emigrazione-sud-est-Europa-anemico-195857
--- Citazione ---Emigrazione: sud-est Europa anemico
L’emigrazione di forza lavoro e la cosiddetta fuga di cervelli – due fenomeni in crescita in tutti i paesi del sud-est europeo – preoccupano esperti, politici e imprenditori da Budapest ad Atene
22/08/2019 - Euractiv
(Originariamente pubblicato dal portale euractiv.rs il 23 luglio 2019)
Una delle cose che accomunano i paesi del sud-est Europa è il timore che, a causa di una massiccia emigrazione dei propri cittadini verso l’estero, siano destinati a spopolarsi. Nonostante un progressivo, seppur lento, aumento del tenore di vita e dei salari in tutti i paesi della regione, molti cittadini scelgono di emigrare, perlopiù verso Germania, Austria, Italia e Spagna. L’emigrazione di forza lavoro e la cosiddetta fuga di cervelli – due fenomeni in crescita in tutti i paesi del sud-est europeo – preoccupano esperti, politici e imprenditori da Budapest ad Atene.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa tedesca DPA, in tutti i paesi del sud-est Europa si registra una carenza di forza lavoro. Ad andarsene sono soprattutto i giovani altamente istruiti, molto richiesti dai mercati del lavoro di alcuni paesi dell’UE.
“Il nostro paese sta scomparendo”, dice Marian Hanganu, proprietario di un’agenzia di lavoro con sede in Romania, commentando il fenomeno dell’emigrazione di massa da uno dei paesi più poveri dell’Unione europea. “Di conseguenza, molte multinazionali hanno deciso di non investire più in Romania, semplicemente perché manca forza lavoro”, ha scritto Hanganu sul sito della sua agenzia che svolge attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro.
La situazione è simile anche in Bulgaria. “Le imprese iniziano a ritirarsi dagli accordi e a posticipare l’avvio di nuovi progetti perché manca forza lavoro”, ha dichiarato il ministro dell’Economia bulgaro Emil Karanikolov nel corso di una trasmissione televisiva.
Di fronte al fenomeno dell’emigrazione di massa, alcune autorità locali reagiscono cercando disperatamente di convincere la popolazione che tutto va bene. Le autorità del villaggio di Ruševo, nei pressi di Slavonski Brod in Croazia, hanno recentemente provveduto a intonacare l’unica scuola del villaggio, frequentata da quattro alunni in tutto. Tuttavia, nessuna intonacatura può nascondere il fatto che in questo villaggio, che oggi conta appena 310 abitanti, la metà delle case è vuota e molti edifici versano in uno stato di degrado.
Stando ai dati diffusi dal governo di Bucarest, sono oltre 2 milioni i romeni che vivono all’estero, perlopiù in Spagna e in Italia. Cifre simili si registrano anche in altri paesi del sud-est Europa. Secondo le statistiche ufficiali, oltre 700mila cittadini bulgari vivono in un altro stato membro dell’UE.
Stando ad uno studio commissionato dalla Banca centrale croata, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016 dalla Croazia sono emigrati 230mila cittadini, un dato che corrisponde ad un tasso emigratorio annuo del 2% della popolazione.
Dal 2000 ad oggi 654mila persone hanno lasciato la Serbia, aggiungendosi a quel mezzo milione di cittadini serbi emigrati durante gli anni Novanta a causa della guerra e del regime di Slobodan Milošević.
I dati diffusi da alcune organizzazioni sindacali greche dimostrano che, dallo scoppio della crisi del debito pubblico nel 2010, dalla Grecia se ne sono andati circa 400mila cittadini, perlopiù giovani. Il neo premier greco, il conservatore Kyriakos Mitsotakis, ha più volte ribadito che uno dei principali obiettivi del suo governo sarà quello di migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini greci e di offrire nuove prospettive ai greci emigrati all’estero affinché tornino in patria.
Secondo una ricerca realizzata dalla sociologa ungherese Ágnes Hárs, la crisi finanziaria globale del 2008 ha provocato un’ondata di emigrazione dall’Ungheria – fino ad allora considerata uno dei paesi più sviluppati dell’Europa sud-orientale -, e il fenomeno ha subito una forte accelerazione a partire dal 2010, anno in cui Viktor Orbán ha assunto l’incarico di primo ministro.
Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2017, dall’Ungheria sono emigrati 200mila cittadini, e il paese si è collocato al primo posto tra i nuovi stati membri dell’UE per numero di espatriati.
Mancanza di medici e personale sanitario
Una delle più gravi conseguenze della massiccia emigrazione dai paesi del sud-est Europa è la carenza di medici e di personale sanitario in tutta la regione. Il reparto di malattie infettive dell’ospedale di Szolnok in Ungheria è stato chiuso per mancanza di personale. L’ospedale di Tulcea in Romania è attualmente senza anestesisti: due dei tre anestesisti che vi lavoravano si sono licenziati, mentre uno è assente per malattia.
Molti medici e operatori sanitari provenienti dai paesi dei sud-est europeo decidono di continuare la loro carriera in Germania. Da un sondaggio condotto in 217 ospedali in Germania è emerso che la maggior parte degli infermieri stranieri impiegati negli ospedali tedeschi proviene dalla Bosnia Erzegovina. Stando ai dati della Federazione tedesca delle aziende ospedaliere, la maggior parte degli infermieri stranieri impiegati presso gli ospedali tedeschi è stata assunta direttamente dalle aziende ospedaliere o tramite un intermediario privato.
Cristina Mihu, 32 anni, originaria dalla Romania, ha deciso di emigrare in Germania senza troppa esitazione. Ha studiato il tedesco, come seconda lingua straniera, a scuola a Deva, in Transilvania. Successivamente, da studente di medicina presso l’Università di Timișoara ha trascorso periodi di specializzazione in Italia, Spagna e a Heidelberg. “Volevo fare un’esperienza all’estero”, dice Cristina, che ormai da sei anni vive a Norimberga, dove lavora come medico internista presso una clinica.
Mihu spiega che, oltre ai bassi salari, un altro motivo che l’ha spinta a lasciare la Romania è la corruzione, ormai dilagante, nel settore sanitario. Aggiunge inoltre che in Germania gli ospedali sono attrezzati molto meglio rispetto a quelli romeni e che i medici “parlano molto di più con i loro pazienti”.
Per far fronte alla grave carenza di manodopera, gli imprenditori romeni cercano di attrarre i lavoratori stranieri, compresi quelli provenienti dal Medio Oriente. Quest’anno il governo romeno ha autorizzato l’ingresso di 20mila lavoratori extracomunitari. Marian Hanganu dice che questa misura non può risolvere il problema, perché la Romania ha bisogno, come minimo, di 300mila lavoratori.
Stando alle parole di Andrea Tartacan, collaboratore di Marian Hanganu, i lavoratori provenienti dai paesi del Medio Oriente spesso decidono di disdire il contratto di lavoro stipulato con un datore romeno perché non riescono ad abituarsi al clima e al cibo romeno. “Ora stiamo cercando di reclutare lavoratori edili dal Tajikistan. Sono più robusti dei vietnamiti perché provengono dalle steppe”, spiega Tartacan.
Anche in Bulgaria ci sono molti gastarbeiter, anche se provengono dai paesi meno esotici, mentre nei ristoranti e alberghi sulla costa montenegrina lavorano molti cittadini ucraini, bielorussi e moldavi.
Sembra che i paesi occidentali, con le loro politiche del lavoro, favoriscano l’emigrazione da alcuni paesi meno sviluppati. Il ministro della Sanità tedesco Jens Spahn ha recentemente visitato una scuola superiore medico tecnica in Kosovo che ha stipulato una convenzione con alcune aziende ospedaliere tedesche. Anche il ginnasio tedesco di Prizren sembra favorire la fuga dei cervelli. Ogni anno fino ai 30 studenti dell’ultima classe ricevono un contributo per continuare gli studi in Germania, e sono pochi quelli che, una volta conclusi gli studi, decidono di tornare in Kosovo.
Secondo Herbert Brücker, ricercatore presso l’Istituto per la ricerca sull’occupazione (IAB) con sede a Norimberga, la Germania trae grande vantaggio dalla presenza di lavoratori provenienti dal sud-est Europa. Stando alle sue parole, senza questi lavoratori alcuni settori dell’economia tedesca, come quello dell’edilizia, ristorazione e cura della persona, sarebbero in grande difficoltà perché è praticamente impossibile trovare lavoratori tedeschi disposti a lavorare in questi settori.
Brücker afferma inoltre che la prospettiva di un buon lavoro nell’Europa occidentale spinge molti cittadini dei paesi dell’Europa sud-orientale a studiare, contribuendo così all’aumento dei livelli di istruzione in questi paesi.
Tado Jurić, politologo e docente di storia presso l’Università Cattolica di Zagabria, la pensa diversamente. Stando alle sue parole, la Germania non dovrebbe cercare di risolvere la crisi demografica che sta attraversando ormai da tempo attingendo alla forza lavoro proveniente dal sud-est Europa. “Non è giusto che la Germania si stia salvando a scapito di tutti noi”, ha dichiarato Jurić, aggiungendo che l’Unione europea dovrebbe occuparsi del problema delle “migrazioni ingiuste”.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bulgaria/Quale-futuro-per-il-turismo-in-Bulgaria-196104
--- Citazione ---Quale futuro per il turismo in Bulgaria?
Secondo il ministero del Turismo di Sofia, il settore rappresenta oggi ben il 12% del prodotto interno lordo del paese, per un giro di affari di circa 4 miliardi di euro nel 2018. La Bulgaria tuttavia non è ancora riuscita a trasformarsi da “soluzione alternativa” a “destinazione preferita”
23/08/2019 - Francesco Martino Sofia
Colonne infinite di auto piene di villeggianti in fuga dalla Bulgaria, in chilometriche code alla frontiera con la Grecia, direzione mare Egeo. Allo stesso tempo immagini di spiagge vuote e ombrelloni chiusi sulle spiagge delle principali località turistiche bulgare sul Mar Nero. Era iniziata così, a inizio luglio, con fotografie contrastanti e cariche di cattivi presagi, la stagione turistica bulgara dell'estate 2019.
Le polemiche avevano fatto presto a seguire, rimbalzando dai social media all'arena della politica. Per alcuni, la stagione appena iniziata – evidentemente col passo sbagliato - non era che l'inevitabile conseguenza di politiche irresponsabili, prezzi fuori controllo e eccessivo sfruttamento delle coste del Mar Nero, altri invece minimizzavano, parlando di un assestamento naturale dopo anni di forte crescita del settore.
Oggi, a stagione ormai matura, è possibile fare un primo, seppur parziale punto della situazione che, pur archiviando gli scenari più apocalittici, lascia aperti numerosi punti interrogativi sulla sostenibilità di lungo corso del modello di turismo sviluppato in Bulgaria negli ultimi anni.
12%
Innanzitutto, qualche numero: secondo i dati del ministero del Turismo di Sofia, il settore rappresenta oggi ben il 12% del prodotto interno lordo del paese, una fetta dell'economia importante, soprattutto se, oltre alle entrate dirette, si considerano anche la ricadute della presenza dei turisti su altri rami, come i trasporti, i generi alimentari, i servizi, non sempre facilmente quantificabili.
Dell'intera torta del turismo bulgaro, che nel 2018 ha fatto registrare un giro d'affari totale intorno agli 8,4 miliardi di leva (4,3 miliardi di euro) il 70% è rappresentato proprio dal turismo estivo, che gravita intorno alle località di mare distribuite sui quasi 400 chilometri di coste che si affacciano sul mar Nero. Ecco perché, i primi dati statistici significativi, arrivati proprio a inizio luglio, e che mostravano un calo drastico di prenotazioni e presenze, quantificabile intorno al 20% in meno rispetto al 2018, hanno scatenato così in fretta preoccupazioni, malumori e polemiche.
C'è da dire che, effettivamente, il turismo estivo in Bulgaria negli ultimi anni ha fatto registrare una crescita importante, a tratti tumultuosa. A sentire gli esperti, però, dovuta più ai problemi della concorrenza che a virtù proprie. Gli ultimi anni, infatti, sono stati estremamente difficili per alcune delle classiche destinazioni dei flussi turistici nell'area mediterranea, come Turchia, Tunisia ed Egitto, che tra terremoti politici, problemi di terrorismo e instabilità hanno visto un crollo nelle presenze di visitatori, soprattutto stranieri.
La Bulgaria, approdo tradizionalmente meno gettonato, ma da anni stabile e tranquillo (unica eccezione, il sanguinoso attentato contro i turisti israeliani all'aeroporto di Burgas del luglio 2012) , ha saputo imporsi come “piano B” per moltissimi turisti provenienti da Germania, Regno Unito, Russia, Ucraina, e molti paesi dell'Europa centro-orientale, che spesso conoscevano già il Mar Nero bulgaro dai tempi della Cortina di ferro.
Dopo il boom il calo
Il problema però, è che la Bulgaria non ha saputo o potuto trasformarsi da “soluzione alternativa” a “destinazione preferita”: ecco perché, col relativo miglioramento della situazione nei paesi summenzionati, il vantaggio accumulato dal paese negli ultimi anni sembra essersi esaurito in fretta, e agli anni del boom è seguito quest'anno un calo imponente.
I conti finali, naturalmente, potranno essere fatti solo a stagione conclusa, ma il trend per il 2019 difficilmente potrà essere ribaltato nelle ultime settimane d'estate. Se i dati sembrano chiari, però, la loro interpretazione è invece aperta al dibattito. Uno degli elementi in discussione, ad esempio, è il tormentato rapporto dei turisti bulgari con il proprio litorale, dopo anni di sviluppo caotico, speculazione edilizia, costruzioni selvagge.
In occasione delle code al confine con la Grecia il quotidiano Dnevnik pubblicava un accorato editoriale dal titolo tanto lungo quanto esplicito: “Quest'estate rappresenta la condanna del turista bulgaro della cementificazione del Mar Nero”. “Sì, i bulgari non amano protestare”, argomentava l'editoriale, “ma non potete obbligarli ad andare sul litorale del Mar Nero, dove deve pagare ai mafiosi quaranta leva per una sdraio, o bere alcol taroccato che gli viene servito sempre dagli stessi mafiosi”.
Come gestire il Mar Nero?
Il clima politico sulla gestione del Mar Nero in realtà si era arroventato già prima, con l'approvazione a metà giugno di una nuova normativa da parte del parlamento di Sofia. Principale motivo del contendere, l'introduzione del divieto di campeggio libero, iniziativa apertamente contestata da una parte della società civile, e che aveva portato addirittura al veto parziale da parte del presidente Rumen Radev. Per i critici, la nuova normativa si accanisce contro gli amanti del campeggio libero, lasciando però mano libera a una nuova ondata di cementificazione lungo le coste, anche ai danni di aree protette.
C'è però anche chi ha interpretato il calo delle presenze sul Mar Nero sotto una luce meno negativa. Per Rumen Draganov, presidente dell'Istituto per l'analisi sul turismo, la crisi dell'estate 2019 in realtà è “salutare” per tutto il settore. Intervistato dalla tv pubblica, Draganov ha parlato di una “pausa dovuta”, dopo anni di crescita a due cifre che ha portato a “affollamento, pessimo servizio e in ultima battuta, a clienti insoddisfatti”. Nel 2019, invece, “abbiamo prezzi più contenuti, spiagge meno affollate, un servizio di gran lunga migliore”. L'ottimistica previsione di Draganov è che “l'anno prossimo avremo nuovamente un aumento nel numero dei turisti, perché chi ha visitato il Mar Nero quest'anno sarà rimasto soddisfatto, e tornerà ancora”.
Sospeso tra prospettive catastrofiche e sogni di gloria, il futuro del turismo sul litorale bulgaro resta segnato da non poche incognite rispetto ai piani di sviluppo per il futuro. Al momento, nei confronti dei turisti internazionali, il suo punto di forza restano ancora e soprattutto i prezzi bassi rispetto alla maggior parte delle destinazioni alternative in Europa. Un vantaggio che però ha generato un turismo di massa dagli effetti devastanti su molte delle località più gettonate, e che non sembra sostenibile sul lungo periodo.
Per i turisti bulgari il Mar Nero resta il “mare di casa”, carico di ricordi ed emozioni. Con la facilità di spostamento oltreconfine e la concorrenza di destinazioni alternative a portata di mano, però, la loro presenza non può più essere data per scontata. E se le località sulla costa bulgara non riusciranno a fare il salto di qualità, le code per il mare della Grecia continueranno ad allungarsi nelle prossime estati.
--- Termina citazione ---
Vicus:
Quasi sono contento che siamo pieni di rumeni, almeno sono molto più simili a noi a partire dalla lingua. Quando noi italiani non esisteremo più o quasi, pochi noteranno la differenza tra i pochi bianchi* rimasti.
Futuro del turismo in Bulgaria? Per me non c'è neanche un passato :cool:
* Ops non dovevo dirlo. Rinforzo lo stereotipo di un forum "covo di violenza" per suprematisti-stragisti bianchi.
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