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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Vicus:
Ecco un tipico esame all'università (cambiano le parole ma il resto è uguale):

//www.youtube.com/watch?v=FhwlhjD1eR4

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/100353


--- Citazione ---90 A EST: L’Albania e la nave Vlora, simbolo della fine del comunismo
Pietro Aleotti 2 giorni fa

Una delle fotografie che meglio racconta l’Albania del primo scorcio degli anni ’90 non è stata scattata in Albania.

Ma in Italia, a Bari per la precisione, un braccio di mare più in là dalla costa albanese: da Durazzo fanno sette ore di navigazione, il tragitto più breve, un requisito non secondario quando quello che si sta per intraprendere non è esattamente un viaggio di piacere, né una crociera.

La foto è quella della nave Vlora, un mercantile battente bandiera albanese, un portarinfuse per la precisione, fatta per trasportare container e pallets. Solo che, al posto di merce, questa volta la nave è riempita all’inverosimile di persone: quelle che l’hanno presa d’assalto mentre, a Durazzo, sta sbarcando il suo carico di canna da zucchero, proveniente da Cuba. Sono ventimila in tutto, stipate in ogni dove, da prua a poppa e persino sulle gru di bordo. E’ l’8 agosto del 1991 e quello della Vlora è, ancora adesso, il più grande sbarco di migranti mai verificatosi in Italia su una sola imbarcazione.

Ma come si è arrivati a scattare quella fotografia e che cos’era successo? Era successo che il muro di Berlino era caduto anche a Tirana, un paio d’anni prima, tirandosi dietro, come negli altri paesi in orbita sovietica, gli ultimi brandelli del regime comunista. Quello albanese si era insediato nel 1944 con la cacciata delle truppe d’occupazione naziste e, da allora, era stato guidato da colui che sarebbe stato, per quarant’anni, il padre-padrone albanese, Enver Hoxha, segretario del Partito del Lavoro Albanese (PLA). Non è su di lui, però, che cadono le macerie del muro perché nel 1985, alla sua morte, a succedergli è il suo più fidato delfino, Ramiz Alia. Sebbene avesse introdotto qualche vaga apertura diplomatica verso occidente, Alia aveva comunque mantenuto l’Albania in uno stato di isolamento tale che, nel paese, non tutti seppero subito che il muro di Berlino non c’era più.

I primi scricchiolii del regime si avvertono nel gennaio del 1990 con le proteste che infiammarono Scutari, una delle città più popolose, nel nord dell’Albania: è qui che centinaia di persone si riversano in piazza per protestare contro la mancanza di cibo e nel tentativo di abbattere una statua di Stalin, un atto simbolico ripetuto decine di volte in più parti del mondo, quasi un must di ogni rivoluzione che si rispetti. Da Scutari, che comunque rimarrà uno dei centri nevralgici di tutti i moti di ribellione al potere di Alia, la protesta si allarga a macchia d’olio.

Alia è costretto a qualche timida concessione ma deve anche guardarsi le spalle dall’anima ultraconservatrice del partito, capeggiata dalla vedova di Hoxha: a maggio il Comitato Centrale del PLA accorda ai cittadini la possibilità di espatriare e di possedere un passaporto. Non basta: le proteste che comunque non si placano, unite alle fortissime pressioni internazionali (Stati Uniti su tutti) in richiesta del superamento del “modello hoxhista” facendo leva sulla disastrosa condizione economica del paese, inducono Alia ad ulteriori e ancor più significative aperture. A dicembre 1990 i partiti politici vengono legalizzati, e Sali Berisha, emanazione egli stesso del PLA, si impone come leader del neonato Partito Democratico (PD): è il gennaio del 1991 e quello che nei piani di Alia doveva essere un cavallo di troia messo a bella posta in campo “avverso” diventerà, al contrario, il protagonista assoluto degli anni a venire.

Sono addirittura indette libere elezioni per la fine di marzo, sono solo le terze nell’intera storia albanese, ma il paese ci arriva in un clima di fuggi fuggi generale e in uno stato di caos totale: moti di piazza, scioperi della fame (famoso quello degli studenti universitari di Tirana) e, ancora, statue che saltano come birilli; a farne le spese, questa volta, sono le effigi dello stesso Hoxha. La vittoria di misura del PLA serve ad Alia per diventare il primo presidente della Repubblica albanese ma non a dare un governo stabile alla nazione. Il PD decide addirittura di rimanere fuori dall’Assemblea Popolare, il governo di Fatos Nano dura meno di un mese, sostituito da quello di Ylli Bufi, membro del neonato Partito Socialista (PS), sorto dalle ceneri del defunto PLA.

Ad agosto si rinvigoriscono le tensioni mai veramente sopite che attraversano l’intera nazione in ragione di una situazione economica sempre più ingestibile e di un’inflazione al 270%. La disoccupazione è al 70%, la gente non ha futuro e, soprattutto, non ha di che mangiare: riprendono le “fughe”.

E così che si arriva ad agosto ed è così che il Vlora arriva in Italia. Di lì a poco in Albania inizierà una nuova era, quella del PD al governo (che stravincerà le elezioni anticipate dell’aprile del 1992), quella di Sali Berisha (che subentrerà ad Alia, dimissionario) e, soprattutto, quella del primo governo senza comunisti. Ma questa è un’altra storia ed è una storia tutt’altro che priva di colpi di scena e di spigoli.

Nell’Italia agostana di quei giorni si cercherà di gestire quella marea umana inaspettata, nell’assenza delle istituzioni di primo livello; non c’è traccia, ad esempio, del ministro degli interni e del capo della protezione civile, entrambi in vacanza. Diventa famosissimo, per questa ragione, il j’accuse di Don Tonino Bello che dalle colonne dell’Avvenire parlerà di “persone trattate come bestie allo zoo” e di un paese che “non sa ancora dare quelle accoglienze che hanno sapore di umanità”. Parole che, a distanza di trent’anni, suonano ancora terribilmente attuali.

Intanto sulle spiagge italiane in quei giorni impazza il Cocciante del melenso “Se stiamo insieme”, quasi beffardo pensando ad un popolo, quello albanese, che contemporaneamente aveva iniziato a sparpagliarsi per ogni dove e che, da allora, non avrebbe più smesso.
--- Termina citazione ---



--- Citazione ---Ad agosto si rinvigoriscono le tensioni mai veramente sopite che attraversano l’intera nazione in ragione di una situazione economica sempre più ingestibile e di un’inflazione al 270%. La disoccupazione è al 70%, la gente non ha futuro e, soprattutto, non ha di che mangiare: riprendono le “fughe”.
--- Termina citazione ---

Questo è il motivo principale per cui ho più volte scritto in questo forum che tanta gente dell' Europa dell'est (ma non solo) che sputa nel piatto in cui mangia, fingendo di non ricordare da quale merda provengono - e soprattutto provenivano -, l'avrei rispedita (e la rispedirei) nei rispettivi paesi d' origine.
Ma, purtroppo, non ho questo potere, altrimenti ci sarebbe stato da ridere.

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-come-la-mafia-dei-boschi-devasta-la-Bucovina-197501


--- Citazione ---Romania: come la mafia dei boschi devasta la Bucovina

La Romania ospita metà delle foreste vergini d'Europa. Ora minacciate. Recorder si è recato in Bucovina sulle tracce della mafia del legname, tracce che portano ad un sistema corruttivo legato al Partito nazional-liberale

31/10/2019 -  Alex Nedea,  David Muntean
(Pubblicato originariamente da Recorder, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e Obct)

È da trent'anni, a prescindere da chi stia governando il paese, che sia una fase in crescita o recessione, che i boschi della Romania vengono sistematicamente saccheggiati. In questi tre decenni si stima siano stati tagliati illegalmente 270 milioni di metri cubi di legname. 2 milioni all'anno. Ogni due alberi tagliati legalmente, uno lo è illegalmente.

In questi ultimi anni, a seguito di modifiche normative, volte a porre termine al fenomeno e alla messa in pratica di progetti di ispezione forestale, si sarebbe potuto credere che finalmente si iniziasse a proteggere le foreste romene. In teoria lo stato traccia tutti i camion che trasportano legname e i cittadini possono verificare in tempo reale sul loro cellulare se un camion che incrociano ha o meno l'autorizzazione per trasportare legname. In realtà la situazione rimane drammatica: si continua a disboscare illegalmente con la complicità passiva o attiva della autorità forestali, dalla base sino ai più alti livelli dello stato.

Il metodo dell'addizione
A fine agosto ci siamo recati nel villaggio di Moldovița, sede di una delle foreste secolari della Bucovina. Avevamo ricevuto informazione che in quest'area si facessero attività di deforestazione illegale. In quel periodo dell'anno non possono essere tagliati che alberi già a terra, sradicati, malati o secchi, quelli insomma “incidentati”. La vendita di tale legname avviene attraverso specifici bandi e il loro prelievo deve seguire regole ferree. Innanzitutto le autorità forestali pubblicano un inventario dei lotti di alberi messi in vendita, le guardie forestali marcano poi questi alberi con un martello speciale, con una numerazione identificativa univoca. Teoricamente le guardie forestali dovrebbero segnare solo gli alberi incidentati prima dell'avvio del bando. In realtà non segnano che una parte degli alberi e poi attendono di sapere chi ha vinto il bando. Si mettono poi d'accordo con l'azienda che ha ottenuto il lotto e, per gli alberi rimasti da segnare, non ne individuano di incidentati ma di sani, dal valore più alto sul mercato. Questo metodo viene chiamato “dell'addizione”. Il suo funzionamento ci è stato descritto sia dalle guardie forestali che da alcune aziende che lo praticano.

Un sabato pomeriggio, lungo una strada forestale di Moldovița, incontriamo Vasile Florescu, titolare dell’azienda Turculeț SRL. Ha appena finito di caricare un camion con 35 metri cubi di legname fresco, perfettamente integro, in una zona dove è permesso esclusivamente tagliare legname incidentato. “Non mi fate domande, tutto è a posto”, dice lui.

- Cos’è che non va con questo legname? Nessuno di questi alberi sembra danneggiato...

- Anche il legname fresco può essere danneggiato. È legname che ho acquistato.

- È segnato? Ce lo potete mostrare?

- Sì, sì è segnato, ma non ho tempo per mostrarvelo.

Qualche giorno più tardi: “Guardate che disastro hanno lasciato dietro di loro”. Gheorghe Oblezniuc è uno degli abitanti di Moldovița ed un ex guardia forestale che, in passato, è stato anche lui accusato di taglio illegale. Conosce tutti i metodi utilizzati dai ladri di legname. È attualmente in conflitto aperto con la cosiddetta “mafia del legname” e ci mostra alcuni alberi tagliati recentemente secondo il “Metodo dell’addizione”. Punta il dito verso un albero spezzato in due: “Questo sarebbe stato da tagliare, sicuramente era inserito nell’inventario. E guardate invece cosa hanno preso al suo posto”. Due metri più in là un ceppo. “Un albero perfettamente sano, segnato di recente. Un albero così fa tre metri cubi di legname, vale 250 euro”. Un po’ sotto è stato tagliato recentemente un altro albero. “Era in piena forma. Guardate come piange per essere stato tagliato”, dice Gheorghe mostrando la resina che traspira da ciò che rimane del tronco. “Il cuore è bianco, quest’albero era in buona salute”.

Visti i ceppi che all’evidenza corrispondono ad alberi che erano in piena salute ed il legname verde visto sul camion di Vasile Florescu chiamiamo il 112, servizio nazionale di emergenza. Forniamo la targa di immatricolazione del camion ed il funzionario al telefono ci assicura che tutto è in regola e che il trasporto era registrato. Il metodo dell’addizione permette a determinati trasportatori di saccheggiare il bosco sotto la copertura della legalità. Al telefono insistiamo, sottolineando che il legname non pareva essere schiantato. Il funzionario trasferisce la chiamata alla polizia. “Siete andati sul posto per verificare?”, chiede il poliziotto esasperato. Rispieghiamo tutto. “Mio Dio… allora verificheremo. Se non è vero ne subirete le conseguenze”. Questo modo di reagire ad una segnalazione di cittadini, che la polizia dovrebbe tutelare, ha l’apparenza di una intimidazione.

Il sistema nazionale di verifica dei trasporti di legname mostra così tutti i suoi limiti. I ladri hanno metodi così raffinati che i semplici cittadini non possono fare niente. Grazie al metodo dell’addizione il trasporto di Vasile Florescu e della sua azienda Turculeț SRL risulta nei registri legali quando tutte le prove suggeriscono invece che ha tagliato alberi che non dovevano essere tagliati.

Il giorno dopo ritorniamo in zona con due guardie forestali. Effettuano dei prelievi sul legno di uno degli alberi tagliati e apparentemente sani, per analisi in laboratorio. Ma l’indagine non preoccupa Vasile Florescu. In una registrazione audio realizzata a sua insaputa in un bar da un abitante di Moldovița, sembra convinto del fatto che l’indagine non porterà a nulla e che la collaborazione con le guardie forestali continuerà come prima: “Pago per ricevere il legname […] Sono loro che ne pagheranno le conseguenze, non io”. Vasile Florescu conversa assieme ad un’altra persona coinvolta nel taglio e quest’ultimo replica a Vasile Florescu: “Hanno preso dei campioni, li invieranno a Bucarest, ma le autorità non indagheranno, sanno che ne nascerebbero troppi problemi”.

Un capo forestale incardinato nel PNL
Questo dà un’idea della dimensione reale del sistema, che non è semplicemente questione di una complicità locale tra un imprenditore ed una guardia forestale ma piuttosto un sistema piramidale nel quale i ladri sono protetti dalle più alte sfere dello stato. Alla base della piramide vi è una guardia forestale che non può segnare il legname senza il via libera del proprio superiore, il responsabile del distretto forestale della regione, che conserva i martelli per la marcatura sottochiave, nel proprio ufficio. Per il distretto forestale di Moldovița, uno dei più ricchi della Bucovina, a ricoprire il ruolo è Georgel Zlei. Era infastidito del fatto che abbiamo chiamato il 112 e gli ispettori forestali, invece di chiedere direttamente di lui.

Due settimane dopo, è esattamente quello che abbiamo fatto. L’abbiamo avvisato dopo aver trovato delle prove che un’area era stata saccheggiata secondo il metodo dell’addizione. Vi siamo recati insieme a lui. Ha giustificato il taglio di alberi apparentemente sani per “fattori naturali destabilizzanti” come il vento e la neve. Abbiamo condiviso con lui informazioni che arrivavano direttamente da guardie forestali coinvolte nei tagli illegali. Le ha definite “accuse tendenziose e non provate”.

Georgel Zlei non è uno qualunque. Il suo passato è macchiato di accuse di furto di legname in tutte le foreste che ha amministrato. Numerose di queste accuse sono documentate anche dalla stampa nazionale. Nel 2001 Georgel Zlei è stato obbligato alle dimissioni da responsabile del distretto forestale di Tomnatic, nei pressi di Moldovița, dopo che centiania di alberi erano stati saccheggiati dai boschi che doveva proteggere. Al posto di essere avviata un’inchiesta, è stato promosso: quattro anni più tardi è stato nominato a capo del distretto forestale di Cârlibaba, una foresta ancora più ricca, sempre in Bucovina. Ed è stato un record: sono stati saccheggiati 50.000 m³ di legname, equivalenti a 30.000 alberi. Se ne è poi andato per essere nominato a capo del distretto forestale di Moldovița, che dirige ormai da dieci anni. Quando gli si ricorda di queste accuse replica: “I giornalisti, sapete come sono... La storia deve essere spettacolare per il pubblico”.

Georgel Zlei ha sempre mantenuto il posto nonostante le accuse di saccheggio. Chi conosce le dinamiche del sistema forestale della contea di Suceava sostiene che è avvenuto grazie alle sue connessioni politiche. Georgel Zlei è membro del Partito nazional-liberale (PNL, a cui appartiene il presidente romeno Klaus Iohannis e Ludovic Orban, che si prepara a diventare primo ministro). È stato a scuola e all’università assieme a Gheorghe Flutur, presidente del consiglio generale di Suceava e vice-presidente del PNL.

Questo metodo dell’addizione, grazie alla sua apparente legalità, è praticato in tutta la Bucovina, anche da aziende che appartengono direttamente a politici locali. Per esempio il sindaco di Moldovița, Traian Ilie, detiene un’azienda registrata a nome della moglie e del figlio. Dall’anno scorso quest’azienda è stata indagata per il furto di 500 m³ di legname.

Un cittadino contro il sistema
Tiberiu Boșutar dirige una piccola associazione civica, Asociația Moldovița, il cui scopo è proteggere le foreste della regione. Tiberiu ha ideato una tecnica ingegnosa per verificare i saccheggi: ha installato alla finestra di casa sua delle telecamere di sorveglianza. “Da tre anni osservo da casa mia i trasportatori di legname che entrano ed escono dal comune e tento di identificarli. All’inizio la situazione era drammatica. I primi mesi erano centinaia i camion che trasportavano legname sano uscendo da Moldovița e senza essere registrati o autorizzati”. Dal 2016 ad oggi ha segnato su un foglio di calcolo più di 8000 trasporti. Tra loro anche i camion del sindaco Traian Ilie. “Il sindaco mi ha denunciato, sono stato oggetto di indagine penale per installazione illegale di materiale di videosorveglianza”.

La denuncia non ha portato a nulla e il sindaco non è riuscito ad obbligare Tiberiu a disinstallare la sua attrezzatura. È grazie a lui che abbiamo ora tutte le immagini dei trasporti di legname che escono da Moldovița. Tiberiu verifica poi se i trasporti corrispondono alle autorizzazioni. Ha inoltre evidenziato le tecniche utilizzate dai trasportatori per far uscire molteplici trasporti di legname pur avendo un’unica autorizzazione. Ma lo stato romeno non vuole utilizzare la stessa tecnica di Tiberiu per verificare la legalità dei trasporti, anche se tecniche radar vengono utilizzate su grande scala per monitorare infrazioni stradali. “La polizia mi ha chiesto una cinquantina di volte le registrazioni per indagini in loro inchieste. In quel caso i video erano prove utilizzabili. Ma, apparentemente, non per il furto di legname… “, denuncia.

Un giorno Tiberiu Boșutar ha tentato un esperimento. Ha acquistato 100 m³ di legname fresco seguendo la via legale (90 euro al metro cubo per un totale di 9000 euro). Di questi 100 m³ ha ricavato 55 m³ di tavolato, venduto poi a 150 euro al m³ (8250 euro in tutto). “Non c’è bisogno di essere geni in matematica per capire che, anche con economie di scala, ma tenendo conto del costo dei dipendenti, degli affitti, dell’elettricità, se si seguono le vie legali è un’attività a perdere. Ai giorni nostri, a Moldovița, non è possibile lavorare legalmente”.

È per questo che gli imprenditori si ritrovano a dover acquistare ufficialmente legname danneggiato e poi, tramite mazzette, ad acquistare anche legname fresco a 45 euro il m³, cioè la metà del prezzo di mercato. Un circolo vizioso confermato dal titolare di una delle aziende che sfruttano il bosco a Moldovița: “Se si fanno le cose in modo legale non si ha alcuna possibilità di sopravvivere, occorre chiudere l'azienda”. La diffusione di questo sistema parallelo ha infatti condizionato il prezzo del legname fresco sul mercato ufficiale. Il prezzo di mercato non è quindi un prezzo “reale”, economicamente sostenibile per gli attori coinvolti, ma un prezzo influenzato dal mercato parallelo delle mazzette. Due anni fa Tiberiu Boșutar ha riunito tutti coloro che si occupano di risorse boschive della regione per tentare di convincerli a rompere insieme questo circolo vizioso. Senza successo. I titolari di queste aziende non intendevano o non potevano uscire dal sistema della corruzione ed hanno continuato ad acquistare legno illegalmente.

Quando un estraneo entra nel bosco, tutti i suoi movimenti vengono controllati. Durante la nostra inchiesta siamo stati sorvegliati. Un giorno, l'intimidazione è arrivata diretta. Un 4x4 ha tamponato intenzionalmente la nostra macchina. Un uomo è uscito chiedendo: “Perché filmate il bosco?”, “Siamo giornalisti, siamo in un luogo pubblico, abbiamo il diritto di filmare”. Gli abbiamo chiesto il nome, non ci ha risposto. Abbiamo poi indagato. Si trattava di Simion Chiruț. È il titolare di un'azienda forestale e noi stavamo filmando un suo deposito. Ma è anche consigliere comunale nel municipio di Frumosu, confinante con Moldovița, e membro del PNL.

Anche a Frumosu sono in atto deforestazioni illegali e chi prova ad allertare le autorità riceve minacce. “Lui [Simion Chiruț] è arrivato qui con alcuni uomini e ha detto che stavamo terrorizzando Suceava con i nostri controlli, le nostre denunce e le foto che facevamo nel bosco... e ci hanno presi a bastonate”. I fratelli Dumitru e Ilie Bucșă sono stati aggrediti nel bosco dopo aver denunciato l'inquinamento di un fiume della zona causato dalla deforestazione illegale.

[...]

Quando si tratta però del business del legname il colore politico sembra contare poco e la competizione tra partiti appare sospesa. A livello locale, è però il PNL che domina il paesaggio politico in Transilvania dove si trovano la maggior parte dei boschi in Romania.

Molti sindaci dei comuni della zona possiedono, tramite l'intermediazione di un membro della loro famiglia, un'azienda coinvolta nello sfruttamento del legname. Oltre al sindaco di Moldovița, Traian Ilie, è il caso ad esempio dei sindaci di Vatra Moldoviței (Virgil Saghin, PNL) e di Sadova (Mihai Constantinescu, PNL).

In questa regione sono i “forestali” a tenere alta la bandiera del partito. Gheorghe Flutur, presidente del Consiglio generale di Suceava e vice-presidente del PNL ha cominciato la sua carriera politica mentre dirigeva il distretto forestale di Suceava. Non è certo una coincidenza. Nei comuni che hanno sui loro territori ricche foreste i “forestali” vivono ascese politiche molto rapide. La loro influenza non è però utilizzata per la protezione del patrimonio naturale comune ma nell'arricchimento in affari privati che iniettano denaro anche nelle casse dei partiti politici. “E questi soldi non vanno certo alla gente dei villaggi”, assicurano dei boscaioli, a condizione di anonimato.

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Dopo l'inchiesta: dimissioni, un omicidio e pestaggi

La pubblicazione dell'inchiesta ha avuto varie conseguenze. Georgel Zlei ha dato le dimissioni. Romsilva e il suo direttore Gheorghe Mihăilescu, si sono impegnati per bloccare il “metodo dell'addizione”. La guardia forestale di Suceava ha annunciato controlli nei magazzini delle aziende nominate dall'inchiesta di Recorder.

Il ministero dell'Acqua e delle Foreste ha aperto una propria inchiesta. L'Asociația Moldovița di Tiberiu Boșutar ha ricevuto l’autorizzazione d'installare camere di videosorveglianza lungo i sentieri forestali. Per quanto riguarda l'aggressione e le minacce di morte alla guardia forestale Răzvan Cenușă quest'ultimo l'ha così spiegato: “Sono stato picchiato perché è a causa mia che Georgel Zlei se ne è dovuto andare e ora vi sono controlli nei boschi”. Tiberiu Boșutar analizza: “La partenza di Georgel Zlei non va giù al clan del comune e vi sono dunque ripercussioni. Perché chiunque apre la bocca subisce delle conseguenze a Moldovița”.

Le 16 ottobre scorso, dopo la pubblicazione di questa inchiesta di Recorder, Liviu Pop, una guardia forestale del Maramureș, è stato ucciso a colpi di fucile da caccia essendo intervenuto durante un taglio illegale di legname. È la seconda guardia forestale uccisa nel mese di ottobre. Il giorno dopo dell'omicidio è toccato a Răzvan Cenușă, guardia forestale che viene nominata nell'inchiesta di Recorder, essere picchiato e minacciato di morte da una famiglia che sfrutta il bosco a Moldovița.
--- Termina citazione ---


https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-la-corsa-all-oro-verde-26214

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-Russia-esercitazioni-militari-e-dilemmi-politici-197663


--- Citazione ---Serbia-Russia, esercitazioni militari e dilemmi politici

Una recente esercitazione militare tra Belgrado e Mosca ha portato in Serbia il sistema missilistico russo S-400, una mossa che ha destato una certa preoccupazione nei paesi della regione. Che intenzioni ha il presidente Vučić?

31/10/2019 -  Dragan Janjić Belgrado
La scorsa settimana la Russia ha inviato il suo sistema missilistico S-400 in Serbia ed è stata la prima volta che questo sistema è stato impiegato in un’esercitazione militare all’estero. Il sistema è stato trasferito in Serbia per partecipare ad un’esercitazione militare congiunta russo-serba intitolata “Slavic Shield 2019”. All’esercitazione ha partecipato anche il sistema missilistico Pantsir S-1, che la Serbia ha già acquistato dalla Russia, ma questo sistema non ha attirato particolare attenzione perché ha un raggio d’azione inferiore rispetto a quello del sistema S-400. L’arrivo del sistema S-400 in Serbia ha destato preoccupazione nell’intera regione, nonostante in questo momento sia poco probabile che la Serbia acquisti questo sistema.

Un battaglione di S-400 costa circa 600 milioni di euro, cifra che corrisponde all’intera somma che negli ultimi anni la Serbia ha speso per l’acquisto di armamenti di produzione nazionale ed estera. Anche se la Russia decidesse di regalare alla Serbia il sistema S-400, è difficilmente immaginabile che l’Occidente permetta che questo sistema venga definitivamente trasferito in Serbia. Il sistema S-400 ha un raggio d’azione di circa 400 chilometri, quindi se dovesse essere dispiegato in Serbia potrebbe penetrare profondamente nello spazio aereo dei paesi vicini, e la NATO sicuramente non resterebbe indifferente di fronte a una sfida di questo tipo.

La divisione del sistema S-400 che è stata trasferita in Serbia per le esercitazioni verrà riportata in Russia, ma la preoccupazione e gli interrogativi che questa operazione ha suscitato nella regione resteranno. L’esercitazione russo-serba si è svolta alcuni giorni dopo che il Consiglio europeo ha deciso di rinviare ancora una volta l’avvio dei negoziati di adesione con la Macedonia del Nord e l’Albania, una decisione che ha suscitato preoccupazione anche nei paesi dei Balcani occidentali che ormai da tempo hanno aperto i negoziati con l’UE. In tale atmosfera si specula con sempre maggiore insistenza su un possibile rafforzamento dei rapporti tra Belgrado e Mosca, ovvero sulla possibilità che la Russia aumenti la sua influenza nella regione.

Dilemmi
Secondo alcuni analisti, il presidente serbo Aleksandar Vučić si trova di fronte ad un dilemma: proseguire sulla strada dell’integrazione europea o cercare un’altra via? La prima alternativa sarebbe sicuramente quella di rafforzare i rapporti con Mosca, soprattutto tenendo conto del fatto che molti cittadini serbi provano affetto per la Russia e che l’80% di loro è contrario all’ingresso della Serbia nella NATO. Quindi, ci sono i presupposti per un’eventuale virata di Belgrado verso Mosca che sarebbe appoggiata da una parte dell’elettorato serbo.

Nell’ottica della NATO, la summenzionata esercitazione militare durante la quale è stato usato il sistema S-400 è finora la più chiara dimostrazione della volontà di Belgrado di avvicinarsi ulteriormente a Mosca, dopo vent’anni di insistenza sulla neutralità militare e su una politica di equidistanza tra l’Occidente e la Russia. Se in passato la comunità internazionale aveva creduto che la Serbia perseguisse davvero una politica di neutralità militare, ora sarà difficile per la Serbia dare prova di questa neutralità. Tuttavia non vi è alcun chiaro indizio che Vučić sia davvero disposto a compiere una virata verso Mosca e a rinunciare all’obiettivo dichiarato di proseguire sulla strada dell’integrazione europea.

Nella peggiore delle ipotesi, Vučić potrebbe cercare di sfruttare la recente esercitazione militare russo-serba per inviare un messaggio alle potenze occidentali e per dimostrare di essere disposto a cambiare la sua politica nel caso in cui l’Occidente dovesse continuare a fare pressione sulla Serbia in merito alla risoluzione della questione del Kosovo. In realtà, l’economia serba, compresa l’industria delle armi, dipende in larga parte dall’UE e da altri paesi occidentali, per cui un’eventuale rottura dei rapporti tra la Serbia e l’Occidente provocherebbe forti turbolenze nel paese, sia economiche che politiche.

Se questo scenario dovesse verificarsi, la Russia sarebbe costretta a impiegare ingenti risorse per garantire la stabilità della Serbia, che Mosca considera come il suo principale alleato nei Balcani. La maggior parte degli analisti di Belgrado ritiene che Mosca non sia disposta ad assumersi un tale impegno, soprattutto se dovesse prolungarsi nel tempo, e che le autorità di Belgrado ne siano perfettamente consapevoli. Quindi, Vučić e la coalizione di governo devono fare molta attenzione a non compiere mosse rischiose che potrebbero mettere a repentaglio l’attuale equilibrio di potere nella regione. In parole povere, l’arrivo del sistema S-400 in Serbia è stato ben sfruttato dalla leadership al potere per i propri interessi politici, ma potrebbe inficiare la posizione della Serbia a livello internazionale.

Conquista dei consensi
Tutto sommato, le principali motivazioni alla base della decisione di Vučić di organizzare la summenzionata esercitazione militare sono di carattere politico, ma non riguardano la politica estera della Serbia, bensì quella interna. Vučić sta cercando di accattivarsi le simpatie di quella parte dell’elettorato serbo (e dell’opinione pubblica in generale) che nutre forti sentimenti filorussi e che ha interpretato la recente esercitazione militare russo-serba come un tentativo da parte di Mosca di rimediare al mancato appoggio e aiuto militare che la Serbia si aspettava di ottenere dalla Russia durante i bombardamenti della NATO del 1999. Si cerca di fare credere all’opinione pubblica serba che oggi la posizione della Serbia a livello internazionale sia molto migliore rispetto a vent’anni fa e che Vučić sia in grado di mantenere buoni rapporti sia con l’Occidente che con la Russia e di tenere sotto controllo la situazione nel paese.

Sta di fatto che la coalizione di governo, guidata da Vučić e dal suo Partito progressista serbo (SNS), conta sull’appoggio di quella parte della popolazione che nutre tradizionalmente sentimenti filorussi e non vede di buon occhio l’Occidente, soprattutto dopo i bombardamenti del 1999. La leadership al potere alimenta in continuazione questi sentimenti attraverso una campagna mediatica in cui si insiste sul fatto che alcune potenze occidentali vogliono rovesciare Vučić o che persino stanno organizzando il suo omicidio, mentre Mosca e il presidente russo Vladimir Putin sarebbero pronti a difendere la Serbia. Anche l’arrivo del sistema S-400 in Serbia è stato sfruttato ai fini di questa campagna mediatica, non solo da parte dei tabloid, ma anche da parte di molti esponenti della coalizione al governo.

Vučić ha bisogno di campagne mediatiche di questo tipo perché rappresentano un potente strumento per mantenere il consenso degli elettori di orientamento nazionalista in un momento in cui si parla con sempre maggiore insistenza delle imminenti concessioni che Belgrado dovrà fare nei confronti di Pristina, compreso un eventuale riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. L’obiettivo della leadership al potere è quello di convincere l’elettorato di orientamento nazionalista che non cederà alle pressioni dell’Occidente e ai suoi tentativi di “sottrarre il Kosovo” alla Serbia. Questa strategia del governo di Belgrado va a vantaggio di Mosca perché le consente di aumentare la propria influenza in Serbia, senza dover impiegare grandi risorse finanziarie né di altro tipo.
--- Termina citazione ---

Vicus:
C'è poco da fare, la gente dell'Est non rispetta gli italiani.

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