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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:

--- Citazione da: Vicus - Novembre 03, 2019, 01:40:52 am ---C'è poco da fare, la gente dell'Est non rispetta gli italiani.

--- Termina citazione ---

Beh, parlando a titolo personale, nemmeno io rispetto loro.

Frank:
Dice l'italian medio:
"Solo in Italia accadono certe cose!"

Certo, come no.

https://www.eastjournal.net/archives/101054


--- Citazione ---SERBIA: Il ministro delle Finanze ha copiato la tesi di dottorato
Marco Siragusa 24 ore fa

Un nuovo, ennesimo, scandalo travolge il governo di Ana Brnabić. Questa volta a finire sotto l’occhio del ciclone è il ministro delle Finanze, ed ex sindaco di Belgrado, Siniša Mali. Già coinvolto in diverse inchieste riguardanti evasione fiscale, proprietà immobiliari nascoste, rapporti con la criminalità organizzata, nonché lo scandalo “Savamala”, il ministro deve ora fare i conti con la decisione finale sull’accusa di plagio della sua tesi di dottorato.

Il caso

Nel 2014 il sito Peščanik pubblicò un articolo di Raša Karapandža in cui si denunciava l’allora sindaco di Belgrado ed ex assistente del ministro della privatizzazione Siniša Mali di aver plagiato la sua tesi di dottorato. L’autore, professore di finanza all’European Business School (EBS) di Wiesbaden in Germania, sosteneva di non aver “mai incontrato così tante copiature come nella tesi di dottorato di Mali”. La tesi, intitolata “Creating Value Through the Process of Restructuring and Privatization – Theoretical Concepts and Experiences of Serbia” ricopiava fedelmente un’altra tesi del 2001 di Stifanos Hailemariam dell’Università di Groningen. Quest’ultima trattava lo stesso argomento ma prendeva come caso studio un paese effettivamente molto simile alla Serbia per storia, struttura economica, vicinanza geografica: l’Eritrea!

Il caso è stato riaperto due anni dopo quando nell’aprile 2016 un membro dell’Accademia serba delle scienze e delle arti (SANU), Dušan Teodorović, riferì di esser entrato in possesso della tesi e di considerarla “un terribile plagio”. Per ben due volte, nel 2017 e nel febbraio 2019, gli esiti delle inchieste condotte da due differenti Commissioni sono stati screditati: la prima volta dal Senato Accademico per vizi formali, la seconda dal Comitato etico professionale dell’Università di Belgrado per risultati “incompleti, poco chiari e contraddittori”.

Le proteste degli studenti

Il 13 settembre un gruppo di studenti appartenenti al movimento “1 od 5 miliona” ha occupato il rettorato dell’Università di Belgrado per chiedere le dimissioni di Mali, del ministro dell’Educazione Mladen Šarčević e del ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, anch’egli accusato di aver copiato la propria tesi di dottorato.
Durante i 12 giorni di occupazione non sono mancati momenti di tensione tra gli occupanti e i sostenitori del Partito Progressista Serbo (SNS) al governo. Il blocco si è poi concluso con la promessa da parte della rettrice Ivanka Popović di una nuova inchiesta e di una definitiva decisione sulla vicenda del dottorato di Mali entro il 4 novembre.

La decisione finale

In effetti una decisione è stata presa entro quella data ma rinviata di 15 giorni per garantire il diritto al ricorso. Il 21 novembre la svolta decisiva. Il Comitato etico ha stabilito all’unanimità che il ministro “ha letteralmente preso testi o interi passaggi dai testi di altri autori senza citarli” violando l’articolo 22 del Codice etico professionale. Mali ha commentato affermando di sapere di non aver copiato la propria tesi e che questo scandalo rappresenta solo un attacco politico nei suoi confronti.

La decisione è stata anche accompagnata da una manifestazione del movimento “1 od 5 miliona” per ribadire con forza la richiesta di dimissioni del ministro mentre il presidente Aleksandar Vučić, messo alle strette anche da altri scandali che riguardano i vertici del paese, ha dichiarato che “Mali deve pagare un prezzo politico”. Non è la prima volta che Mali si ritrova a dover “pagare”. Nel giugno 2016 il presidente Vučić, riferendosi alla demolizione illegale di due vecchi edifici avvenuta la notte tra il 24 e il 25 aprile 2017 nel quartiere Savamala, disse che dietro il caso “ci sono i più alti funzionari della città e pagheranno le conseguenze legali”. In quel momento Mali ricopriva la carica di sindaco della capitale. Due anni dopo, fu “costretto” ad abbandonare quel ruolo per essere promosso a ministro delle Finanze.

Questa storia mostra tutta l’ipocrisia di un sistema politico che si vuole presentare come credibile e soprattutto competente. Come può un ministro che ha imbrogliato sui suoi titoli essere garanzia del corretto utilizzo delle finanze statali? Qui non si vuole sostenere l’idea secondo cui solo chi possiede i “titoli” può guidare la macchina statale. Certo, sarebbe opportuno che un ministro delle Finanze fosse in grado di muoversi con disinvoltura tra bilanci, numeri, leggi finanziarie. E che soprattutto, nel caso specifico, fosse in grado di analizzare i risultati delle politiche pubbliche senza scopiazzare quelli di qualcun altro sull’Eritrea. Qui il problema è che il “titolo” viene, troppo spesso, equiparato immediatamente alla “competenza” e solo chi possiede un pezzo di carta può ambire a posizioni di comando. Poco importa se il titolo è stato acquistato o ottenuto copiando la propria tesi. In Serbia oggi, i titoli che garantiscono i posti migliori nell’apparato dello stato sono quelli di “stretto collaboratore” e “amico” del presidente-padrone, Aleksandar Vučić. E nel lungo curriculum di Siniša Mali sono presenti entrambi.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Femminicidio-in-Europa-due-anni-dopo


--- Citazione ---Femminicidio in Europa, due anni dopo
26 novembre 2019

Nel 2017 EDJNet faceva il punto  sulla violenza di genere in Europa, ricercando e soppesando vari indicatori. Il primo ostacolo contro cui si scontrò l’analisi fu l’assenza di dati: alcuni paesi membri dell’Unione Europea non riconoscono il femminicidio come categoria di reato e, per questo, non raccolgono dati a riguardo.

Dal 2017 Cipro, Grecia e Romania hanno cominciato a fornire statistiche relative alla “uccisione intenzionale di una donna per aver trasgredito al proprio ruolo di genere”. Ma in dieci paesi membri continuano a non esserci dati disponibili.


Stando agli ultimi dati disponibili su Eurostat, sono stati commessi 751 femminicidi nel 2017 in Europa. Questo significa che, in media, una donna ogni 250mila è stata uccisa dal proprio partner o da un familiare. L’incidenza di questo reato risulta essere calata del 18% rispetto al 2015, sebbene i reati siano cresciuti in numeri assoluti. A spingere verso il basso la media europea sono, in particolare, il Montenegro (-66%), l’Italia (-60%) e il Nord Macedonia (-54%) mentre, al contrario, Lettonia e Regno Unito registrano un aumento del 50%.

Prendendo in considerazione i casi di omicidio intenzionale, si conferma quanto emerso già nella precedente analisi: l’andamento è decrescente tra gli uomini (meno quattro punti percentuali tra il 2015 e il 2017) e crescente tra le donne (più 14 punti percentuali nello stesso periodo).

La Convenzione di Istanbul  , voluta dal Consiglio d’Europa e in vigore dal 2014, è il primo strumento legale che vincola gli stati europei all’attuazione di misure preventive e punitive contro la violenza di genere, incoraggiando anche al miglioramento della raccolta di dati utili al suo monitoraggio. Sette paesi membri dell’UE non hanno ancora ratificato l’accordo: Bulgaria, Lettonia, Lituania, Regno Unito, Repubblica Ceca e Ungheria

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network   ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-il-regime-vuole-mettere-a-tacere-ogni-voce-critica-198226


--- Citazione ---Serbia: il regime vuole mettere a tacere ogni voce critica

L'ennesimo caso in Serbia di gogna mediatica. Sotto il mirino dei tabloid belgradesi, legati agli appartati di governo, è finito il giornalista della Tv N1 Miodrag Sovilj. La sua "colpa"? Aver fatto domande pertinenti al presidente Vučić

29/11/2019 -  Saša Kosanović
(Originariamente pubblicato dal portale Novosti, il 24 novembre 2019)

Miodrag Sovilj, giornalista dell’emittente televisiva N1 Serbia, è recentemente finito nel mirino dei tabloid serbi dopo aver fatto una domanda al presidente Aleksandar Vučić sul presunto coinvolgimento di Branko Stefanović, padre del ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, nel traffico illecito di armi. Lo scandalo del traffico di armi è scoppiato quando si è saputo che l’azienda privata GIM, legata a Branko Stefanović, aveva acquistato armamenti a prezzi di favore dall’azienda statale Krušik, per poi venderli agli Emirati Arabi Uniti. I tabloid serbi, ma anche alcuni rappresentanti del potere, hanno insinuato che il presidente Vučić si sia sentito male, avvertendo un improvviso dolore al petto, propria a causa della domanda rivoltagli da Sovilj. Vučić è stato poi trasferito all’ospedale dove è stato trattenuto in osservazione per qualche giorno. La gogna mediatica contro Miodrag Sovilj è parte integrante di una campagna denigratoria che ormai da anni viene condotta contro l’emittente N1, uno dei pochi media serbi che non sono controllati dal partito di governo.

Come commenta le accuse secondo cui la sua domanda sul presunto coinvolgimento del padre del ministro dell’Interno nel traffico illecito di armi avrebbe portato il presidente Aleksandar Vučić sull’orlo dell’infarto?

Questa è probabilmente l’affermazione più bizzarra che io abbia mai sentito sui media di regime, e non è cosa da poco perché il mio lavoro consiste, tra l’altro, nel leggere i tabloid serbi, e devo ammettere che ho letto davvero tante interpretazioni diverse dell’accaduto. Le accuse che mi sono state rivolte sono completamente assurde - per usare un eufemismo - e sarebbe stato più appropriato se fossero state pubblicate su un portale satirico, ma purtroppo non è uno scherzo, bensì la realtà che dovranno essere pronti ad affrontare tutti quelli che intendono porre domande di interesse pubblico al presidente. Tuttavia, la manipolazione mediatica è un fenomeno complesso e, per quanto possa rappresentare un insulto all’intelligenza, in questo specifico caso ha raggiunto il suo obiettivo iniziale: distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle domande che avevo rivolto al presidente riguardanti il sospetto coinvolgimento del padre del ministro dell’Interno nel traffico di armi.

Quanto è pericoloso occuparsi di giornalismo oggi in Serbia per quei giornalisti che sono presi di mira dal regime? Lei teme per la propria incolumità?

Non è certo una sensazione piacevole, perché ormai da giorni, dalla mattina alla sera, ovunque mi giri sento citare il mio nome nei più vari contesti. In un paese come la Serbia, la cui storia è segnata da orribili omicidi di giornalisti, la prudenza non è mai troppa. Ciò a cui assistiamo qui è un classico attacco, questo è più che evidente. Tuttavia, a prescindere dal fatto che si tratti di una mia strategia anti-stress o meno, in questo momento non sono tanto intimorito quanto stupefatto nel constatare fin dove sono disposte a spingersi “le unità speciali” del regime.

Un database sulla libertà dei media
Di giornalisti minacciati, concentrazione dei media e quadro legislativo dei principali paesi dell'Europa e dei Balcani, si occupa il Media Freedom Resource Centre, un'attività di studio e analisi di Osservatorio nell'ambito di un progetto europeo in partnership con ECPMF

Oltre a questa gogna mediatica contro di lei, ormai da anni viene portata avanti una campagna denigratoria contro l’emittente N1 e altri media critici nei confronti del governo. Secondo lei, qual è l’obiettivo principale di questa offensiva mediatica intrapresa dal Partito progressista serbo (SNS)?

La gogna mediatica contro l’emittente N1 è iniziata subito dopo la sua fondazione cinque anni fa, ed è diventata una costante. Ma ciò non significa che ci siamo abituati a questa situazione, anzi è una fonte di frustrazioni quotidiane per me e i miei colleghi. Cerchiamo solo di svolgere il nostro lavoro rispettando le regole deontologiche della professione. L’obiettivo finale degli attacchi ai media non allineati è quello di sopprimere o almeno indebolire ogni voce critica nei confronti del partito di governo. Questo progetto viene portato avanti con successo ormai da molti anni e temo che i media che si rifiutano di piegarsi saranno sottoposti a pressioni sempre più forti.

Qualche tempo fa lei ha invitato il presidente Vučić a smettere di attaccare l’emittente N1 e di smettere di bollarla come “emittente di Đilas”. Pare che la sua richiesta non abbia sortito alcun effetto…

Tecnicamente sì, perché da allora il presidente, pur con qualche eccezione, generalmente si astiene dall’usare suddetta espressione. Nella sostanza, però, non è cambiato nulla perché Aleksandar Vučić e i suoi più stretti collaboratori hanno semplicemente trovato nuove espressioni per screditare l’emittente N1. Prima eravamo un’emittente “americana”, “della CIA”, “di Đilas”, ora ci chiamano un’emittente “lussemburghese”. Sui volantini che alcune persone che indossavano mascherine chirurgiche sul viso hanno recentemente lasciato nel cortile davanti alla sede dell’emittente N1 c’erano scritte alcune frasi che alludevano proprio agli epiteti che i più alti funzionari dello stato usano per screditare la nostra emittente.

È d’accordo con l’affermazione secondo cui i tabloid serbi come Informer, Kurir, Telegraf, fungerebbero da portavoce del regime, nonché da sorta di fanteria d’assalto che la leadership al potere usa per attaccare tutti gli oppositori politici?

È difficile non essere d’accordo con questa affermazione. Le campagne denigratorie lanciate da questi tabloid sono sempre sincronizzate, con contenuti quasi identici, con interviste agli stessi interlocutori, e persino con l’identica veste grafica, e vengono condotte esclusivamente contro gli individui, le organizzazioni e i media che hanno un atteggiamento critico nei confronti del partito al governo. Ma non si tratta solo di tabloid. Dopo il recente acquisto di diverse emittenti televisive a copertura nazionale da parte di alcune persone vicine all’SNS, i telegiornali di queste emittenti sono diventati quasi identici, con la stessa organizzazione del programma, e a volte persino con gli stessi servizi firmati da diversi giornalisti. Analizzando i programmi di approfondimento informativo di queste emittenti, sembra che tutti siano creati dalla stessa persona.

La Serbia ha lo status di paese candidato all’adesione all’UE. Vi siete rivolti alle organizzazioni internazionali per chiedere aiuto? Avete ricevuto l’appoggio da qualcuno?

N1 informa costantemente le associazioni internazionali delle minacce e pressioni ricevute e tutte le maggiori organizzazioni di tutela dei giornalisti ci hanno sempre fornito il loro sostegno, compresi Reporter senza frontiere, Freedom House, il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) e molti altri. Le parole di sostegno certamente contano, ma viene da chiedersi se possano produrre alcun effetto concreto perché gli attacchi alla nostra redazione non accennano a fermarsi.

 
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-l-elite-al-potere-travolta-dagli-scandali-198277


--- Citazione ---Serbia: l’élite al potere travolta dagli scandali

In quest’ultimo periodo in Serbia si affastellano scandali su scandali che vedono coinvolti ministri del governo in carica. Il potere però cerca di minimizzarne la portata e di mettere a tacere i media che non controlla

03/12/2019 -  Dragan Janjić Belgrado
La scorsa settimana, durante un dibattito in parlamento, la premier serba Ana Brnabić ha dichiarato che suggerirà ai ministri del suo governo di non rispondere alle domande sullo “scandalo Krušik”, definendolo uno scandalo “montato”, e di replicare a domande di questo tipo citando dati sui “risultati del governo”. Questa affermazione lascia intendere che la premier e il governo serbo siano disposti a fornire ai giornalisti (che sono anche rappresentanti dell’opinione pubblica) solo quelle informazioni che gettano una luce positiva sull’operato del governo, ignorando tutte le domande che potrebbero metterli in imbarazzo.

La tendenza del potere esecutivo a eludere domande scomode non è certo una novità, ed è presente anche nelle democrazie più consolidate, dove però i rappresentanti del potere non osano parlare pubblicamente della loro riluttanza a rispondere alle domande scomode. Secondo la premier serba, il ruolo dei media dovrebbe essere ridotto a quello di un semplice mezzo attraverso il quale il potere esecutivo comunica all’opinione pubblica solo ciò che vuole comunicare, e i giornalisti dovrebbero astenersi dal porre domande che potrebbero infastidire il governo. Il messaggio rivolto ai giornalisti è chiaro: chiedete pure, ma fatelo senza alzare troppo la voce ed evitando di sollevare questioni che potrebbero infastidire il potere.

Questa tendenza è, ovviamente, in netto contrasto con il ruolo che i mezzi di informazione dovrebbero rivestire nella società democratica, e potrebbe essere interpretata come un tentativo di ostacolare i media nello svolgere il loro ruolo di controllo nei confronti dell’operato del governo. Se i giornalisti dovessero stare attenti a cosa domandare ai politici il cui operato dovrebbero controllare (o se dovessero essere costretti a consultarsi con loro per concordare le domande), non sarebbero in grado di adempiere alla loro funzione di watchdog della democrazia né di servire l’interesse pubblico, e il loro unico compito sarebbe quello di esaudire i desideri e le esigenze del governo e di altri centri di potere.

Scandali
Lo scandalo Krušik – a cui la premier Brnabić ha fatto riferimento rendendo nota la sua intenzione, a dir poco insolita, di suggerire ai ministri di eludere domande scomode – è scoppiato dopo che alcuni media indipendenti hanno pubblicato una serie di documenti che dimostrano che negli ultimi anni l’azienda privata GIM che si occupa della vendita di armi, legata al padre del ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, ha registrato un forte incremento del giro d’affari (negli ultimi tre anni il fatturato dell’azienda è aumentato di circa 3500 volte), mentre nello stesso periodo il fatturato di alcune aziende statali che operano nel settore delle armi è rimasto sostanzialmente invariato. È inoltre emerso che la fabbrica statale di armi e munizioni Krušik vendeva armamenti a prezzi di favore ad alcune aziende private, tra cui anche l’azienda GIM, consentendo loro in tal modo di generare notevoli guadagni.

Tenendo conto del fatto che il ministero dell’Interno svolge un ruolo decisivo nel rilascio delle licenze per la vendita di armi, viene da chiedersi se nella compravendita di armi tra l’azienda statale Krušik e l’azienda privata GIM si sia verificato un conflitto di interessi e se esistano canali informali attraverso i quali vengono esercitate pressioni sulle aziende statali produttrici di armi affinché vendano i loro prodotti ad alcune aziende private a prezzi di favore.

Queste domande restano per ora senza risposta. Nel frattempo, la leadership al potere ha lanciato una dura campagna mediatica, accusando tutti quelli che indagano sugli affari legati all’export di armi serbe di agire contro la Serbia, senza però fornire alcuna spiegazione concreta in merito alle informazioni contenute nei documenti sullo scandalo Krušik pubblicati dai media.

Qualche settimana fa la procura speciale per il crimine organizzato di Belgrado ha ordinato alle autorità competenti di verificare la fondatezza delle rivelazioni sugli affari sospetti dell’azienda Krušik, ma resta da vedere quanto dureranno le indagini. Vi è inoltre da chiedersi perché le autorità non abbiano reagito prima, dal momento che questa vicenda si trascina ormai da anni.

La procura ha aperto un’indagine solo dopo che le informazioni sul sospetto traffico illecito di armi hanno iniziato a trapelare in pubblico ed è diventato impossibile ignorarle. Dall’altra parte, le autorità hanno reagito con la massima prontezza quando sono venute a conoscenza del fatto che un dipendente dell’azienda Krušik, Alekasandar Obradović, ha fatto trapelare alcuni documenti sugli affari poco trasparenti dell’azienda. Obradović è stato subito arrestato con l’accusa di aver rivelato segreti commerciali, ma dopo qualche settimana, sotto la pressione dell’opinione pubblica, è stato rilasciato dal carcere e il giudice gli ha concesso gli arresti domiciliari, a cui è tuttora sottoposto.

Pressioni
Lo scandalo Krušik è solo uno dei grossi scandali che nelle ultime settimane sono stati rivelati da alcuni media serbi che non sono sotto il controllo del governo, ma anche da alcuni esponenti dell’opposizione. La recente decisione del Comitato etico dell’Università di Belgrado, che ha stabilito che il ministro delle Finanze Siniša Mali ha plagiato la sua tesi di dottorato, violando in tal modo il codice etico della professione, ha suscitato un vero e proprio terremoto politico. Siniša Mali non deve necessariamente essere in possesso di un dottorato di ricerca per ricoprire l’incarico di ministro, ma il fatto che abbia usato idee altrui senza citare la fonte lo rende meno adatto a ricoprire questa posizione.

Anche il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, principale protagonista dello scandalo del traffico di armi, è sottoposto a forti pressioni a causa delle accuse di aver falsificato i suoi titoli di studio. Anche Stefanović ha conseguito un dottorato di ricerca (la cui autenticità è stata messa in dubbio da numerosi accademici serbi), ma non è nemmeno chiaro se e come abbia finito la scuola superiore, né presso quale università abbia studiato. Il governo ha reagito duramente alle accuse rivolte ai due ministri, lanciando un’ampia campagna denigratoria contro tutti quelli che indagano su questi e altri scandali, attaccando persino l’Università di Belgrado.

La coalizione di governo sostiene che la decisione dell’Università di Belgrado sull’accusa di plagio della tesi di dottorato del ministro Siniša Mali sia una decisione politica, e alcuni deputati del parlamento serbo hanno persino chiesto le dimissioni della rettrice Ivanka Popović. Dal momento che circa l’80% dei cittadini serbi si informa attraverso i media mainstream – che riproducono fedelmente la narrazione imposta dal regime – , la maggioranza della popolazione ha una percezione distorta di suddetti scandali e sono in molti a credere che dietro a questi scandali si celino intenzioni malvagie dell’opposizione e di alcuni media, che vengono bollati come “mercenari al soldo degli stranieri” e accusati di voler danneggiare la Serbia e il presidente Aleksandar Vučić.

Tutto questo accade in un momento in cui l’opposizione serba è sottoposta a pressioni sempre più forti – sia da parte del governo che della comunità internazionale – affinché rinunci all’intenzione di boicottare le prossime elezioni politiche previste per la primavera 2020 e si accontenti della promessa, fatta dal governo, che le prossime elezioni si svolgeranno in condizioni eque.

L’atteggiamento della premier Brnabić e di altri rappresentanti del potere nei confronti degli scandali di cui sopra, e la loro percezione del ruolo dei media hanno sicuramente un effetto scoraggiante sulle forze di opposizione. Se gli esponenti del governo sono capaci di dichiarare pubblicamente di non essere disposti a rispondere alle domande scomode e se un’istituzione come l’Università di Belgrado può finire così facilmente nel mirino della leadership al potere, che cosa si devono aspettare l’opposizione e altri oppositori del governo durante la campagna elettorale?
--- Termina citazione ---

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