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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Vicus:

--- Citazione da: TheDarkSider - Dicembre 17, 2019, 13:53:56 pm ---Mi autocito perche' ho trovato un grafico che dimostra in modo esemplare che i cechi, in generale, non c'entrano niente con il resto dell'Europa dell'Est (e d'altronde Praga e' piu' a ovest di Vienna, per dire).

Il grafico indica la percentuale di giovani fino ai 34 anni che si oppone ai matrimoni gay:


--- Termina citazione ---
A spanne queste percentuali riflettono esattamente la programmazione dei media (v. specialmente Russia e Spagna).

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Georgia/Georgia-le-regole-del-gioco-198588


--- Citazione ---Georgia: le regole del gioco

È crisi in Georgia, dal giugno scorso le proteste di piazza si scagliano contro il governo a guida Sogno Georgiano, reo secondo i manifestanti di alterare le regole del gioco democratico

19/12/2019 -  Marilisa Lorusso
Una catena quasi ininterrotta di proteste anti-governative: Sogno Georgiano, partito guidato da Bidzina Ivanishvili, è sempre più esposto e sfrangiato davanti alle critiche di quella società civile che due legislature fa lo aveva scelto in massa. Le manifestazioni contro delle scelte – grottesche, contraddittorie, pericolose, sempre e comunque potenzialmente molto impopolari – proseguono da giugno. E alcune riguardano misure atte a cambiare le regole del gioco.

Da una piazza all’altra
A giugno ha dato il via alle danze l’affare Gavrilov, i cui strascichi pesano ancora sulle tasche dei georgiani. La crisi aperta allora non si è più sanata. Non sono più stati ripristinati i voli diretti con la Russia. A novembre le compagnie aeree russe hanno reso noto che le loro perdite dovute al divieto di voli diretti tra Russia e Georgia ammonterebbero a circa 3,2 miliardi di RUB /45,2 milioni di euro. Il 13 dicembre Koba Gvenetadze, governatore della Banca nazionale della Georgia, ha dichiarato che il bilancio del paese ha subito perdite per circa 300 milioni di dollari per la stessa causa. Le tensioni nei rapporti con Mosca - con la sospensione dei voli nel luglio 2019 e le informazioni su altre possibili sanzioni economiche contro la Georgia - avrebbero anche contribuito al deprezzamento della valuta  della Georgia, il lari (GEL).

Ancora si doveva chiudere questo scenario, che già lo stesso Ivanishvili creava il casus belli per altre due proteste, una legata ad un nome, l’altra alle regole del gioco con la mancata riforma della legge elettorale.

A settembre è stato nominato nuovo Primo ministro Giorgi Gakharia, ministro degli Interni uscente e assai contestato per la gestione delle proteste durante l’affare Gavrilov.

Ma se questa è stata una protesta legata a una persona, il primo ministro, la questione della legge elettorale scava nella fiducia del processo democratico. È dal 2007 che la fiamma di una legge elettorale percepita come troppo distorsiva incendia le piazze georgiane. Il tarlo nella fiducia è per molti l’assegnazione di seggi con la quota maggioritaria. Il sistema del “più votato che si prende tutto”, metodo maggioritario secondo il quale chi ha il 50%+1 dei voti viene eletto, ha il pregio di ridurre la frammentazione del quadro politico, ma il difetto di ignorare il 50%-1 delle preferenze, che rimangono quindi non rappresentate. Vice versa per il proporzionale, che rende il rapporto votati/votanti più fedele alle preferenze espresse, ma che spesso ha come effetto collaterale la frammentazione del quadro politico.

Attualmente in Georgia il sistema elettorale è misto, ma sulla quota maggioritaria grava discredito e i sondaggi dicono  che l’elettorato è a favore del passaggio al proporzionale pieno. Ivanishvili per venire incontro alle richieste della piazza in estate aveva promesso la riforma della legge elettorale.

A novembre quindi, quando finalmente la promessa si sarebbe dovuta concretizzare, il forfait di alcuni parlamentari del Sogno che non ha fatto passare la legge promessa ha scatenato la piazza.

Il 26 novembre sui manifestanti sono stati usati gli idranti e poi, per impedire l’occupazione dello spazio adiacente al parlamento è stata eretta una barriera.

A far dialogare le parti, e a cercare di raggiungere un compromesso accettabile, è intervenuta la comunità internazionale. Il 30 novembre a un tavolo si sono riuniti gli ambasciatori di diversi paesi con lo scopo di facilitare una soluzione. L’8 dicembre ne è avvenuto un secondo, un terzo il 15 dicembre. Tutti conclusi con un nulla di fatto  .

La Corte Suprema
L’ultima crisi in ordine cronologico è quella causata dalla nomina dei giudici della Corte Suprema. Il 12 dicembre scorso il parlamento, boicottato dalle opposizioni e in una sessione assai concitata con proteste e arresti fuori, ne ha nominati 14.

La questione è spinosa. Dopo la riforma costituzionale, secondo l’Articolo 61.2 la Corte Suprema deve essere composta da 28 giudici. Da luglio ne sono rimasti in servizio solo 8. La procedura per la nomina dei giudici della Corte Suprema si è rivelata difficile. L’Alto Consiglio di Giustizia ha presentato un primo elenco che doveva essere votato dal Parlamento ma che è stato poi ritirato a causa di controversie e critiche da parte della popolazione, della società civile e da alcuni membri dell'Alto Consiglio di Giustizia stesso. Le critiche sono mosse dal fatto che la procedura di selezione manca di criteri chiari e obiettivi, nonché di trasparenza. A questo proposito, le ONG hanno affermato che il processo di nomina è controllato da una rete politica di giudici influenti, che non godono della migliore reputazione a causa di decisioni passate.

Dopo la riforma costituzionale  i giudici avranno un incarico a vita, e un numero così incidente di nomine in contemporanea, 20 su 28, consegna di fatto la Corte Suprema all’attuale governo per decadi. E la Corte Suprema ha un ruolo fondamentale: si pensi che il recente intricato e combattuto caso sulla proprietà di Rustavi 2, rete da sempre schierata non a favore del Sogno Georgiano [Partito di governo], è stato alla fine deciso dalla Corte Suprema. Il potere della Corte come ago della bilancia politico è grande, e la sua imparzialità è un principio cardine della divisione dei poteri, pilastro di una democrazia funzionante.

Sale la tensione
In questa protratta fase di polarizzazione politica Transparency International, come tra l'altro anche alcune Ong georgiane, hanno registrato episodi allarmanti. Affiliati al Sogno georgiano, anche con incarichi pubblici, si sono resi protagonisti di una serie di interventi anche violenti contro membri e sedi dell’opposizione in varie città del paese. La polizia si è dimostrata incapace o non interessata a impedire gli scontri fisici, che hanno portato anche a ricoveri. Gli episodi non stanno avendo un seguito legale come dovrebbero, nonostante la presenza di pubblici ufficiali del ministero degli Interni. Transparency denuncia il rischio di una escalation  di violenza estrema a fronte della continua mobilitazione del proprio elettorato da parte del Sogno e dell’inattività preventiva degli organi di sicurezza.

Nel suo discorso di conclusione di mandato davanti al Parlamento Europeo, Federica Mogherini, alta rappresentante per la politica estera Ue,  ha unito la sua voce  a quanti lamentano un’involuzione della democrazia in Georgia, fatta non solo di episodi singoli, ma di misure che alterano le regole del gioco.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/101497


--- Citazione ---REP.CECA: Dopo la strage di Ostrava, tempo per una riflessione sulle armi?
Andrea Zambelli 1 giorno fa

Lo scorso 10 dicembre un uomo ha ucciso 6 persone prima di suicidarsi presso l’ospedale universitario di Ostrava, nell’est della Repubblica Ceca. Il serial killer, un operaio 42nne, era convinto di essere malato e di non essere preso sul serio dal personale medico. Una strage che mette l’accento sulla libertà di procurarsi armi nel paese centroeuropeo.

La strage di Ostrava è la peggiore in Repubblica Ceca dal 2015, quando Zdeněk Kovář uccise otto persone in un ristorante di Uhersky Brod. L’assassino, nonostante i disturbi mentali, aveva una regolare licenza per detenere armi.

Come ricorda Giorgio Beretta di Rete Disarmo, la Repubblica Ceca è uno dei paesi UE dove vige una sorta di “diritto a detenere armi” come negli Stati Uniti, e dove è più facile procurarsi un’arma. Da cui, le stragi.

Eppure, proprio il governo di Praga l’anno scorso si era opposto alla Direttiva UE che pone limiti sul possesso di armi: “Lede i diritti dei cittadini cechi” disse il Ministro degli Interni Milan Chovanec, evocando la “libera circolazione” delle armi. La Corte UE aveva poi respinto il ricorso ceco. La direttiva, modificata dopo gli attentati di Parigi e Copenhagen, non viola la libera circolazione delle merci, secondo i giudici di Lussemburgo, perché la pubblica sicurezza prevede anche misure di natura eccezionale.

I cittadini cechi hanno il diritto di portare un’arma, incluse semi-automatiche, purché abbiano la fedina penale pulita, siano considerati di “carattere affidabile”, in buona salute, e abbiano passato un test teorico e pratico. La legge permette inoltre ai 240.000 detentori di armi di portarle con sè, purché nascoste e a scopo difesivo.

Nel 2017, su impulso del ministro Chovanec, la Repubblica Ceca ha incluso nella sua costituzione il diritto per i detentori d’armi di farne uso in caso di attacco terroristico.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/101645


--- Citazione ---ALBANIA: Approvate leggi-bavaglio contro i media
Tommaso Meo 2 giorni fa

Per combattere le notizie false e la diffamazione, il 19 novembre il parlamento di Tirana ha approvato una controversa serie di norme che dovrebbero regolamentare soprattutto le notizie pubblicate dai siti online e contrastare fake news e accuse infondate.

Il pacchetto di leggi, chiamato «anti-diffamazione», è stato voluto dal premier socialista Edi Rama e prevede la creazione di un’inedita Autorità dei media audiovisivi (Ama) i cui membri dovranno giudicare le notizie prodotte dagli organi di informazione albanesi. La decisione su una presunta notizia diffamatoria sarà presa in tempi molto brevi, entro 72 ore. L’autorità potrà anche comminare multe a giornalisti e testate ritenuti colpevoli, fino a 4.000 euro. Le norme contenute nel pacchetto danno all’Ama la possibilità di imporre rimozioni forzate dei contenuti ai provider, fino al blocco dell’accesso a Internet nei casi di gravi violazioni da parte dei media, come aver favorito il terrorismo, la pedopornografia o minato la sicurezza nazionale.

I media temono però che questa riforma sia solamente un modo per la classe politica di mettere il bavaglio a giornalisti e testate scomode. L’Ama è di fatto un organo i cui rappresentanti vengono nominati in maggioranza dai partiti politici e le sanzioni economiche che può disporre peserebbero sulle aziende editoriali, costringendo i giornalisti all’auto-censura. Questi ultimi potrebbero portare i loro casi davanti a un tribunale, ma solo dopo avere pagato le multe.

Per questi motivi il «pacchetto anti-diffamazione» è stato duramente criticato, oltre che da associazioni di categorie e da gruppi in difesa dei diritti umani, anche da diversi attori internazionali, tra cui l’Unione europea, l’Osce, il Consiglio d’Europa e il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite. In particolare, un gruppo di 15 associazioni albanesi per i diritti hanno sottolineato come il reato di diffamazione a mezzo stampa debba essere giudicato solo da una corte.

Le norme per riformare i media erano state annunciate da Rama lo scorso ottobre e presentate in un’altra versione a luglio. Mercoledì scorso, infine, il pacchetto è passato con 82 voti favorevoli, 13 contrari e 5 astenuti. L’unico membro del partito di Rama ad astenersi è stato Ditmir Bushati, che guida la delegazione albanese all’assemblea Osce.

Il pacchetto di leggi contribuisce a surriscaldare ulteriormente il clima politico albanese, ormai da mesi contrassegnato da un violento scontro tra la maggioranza di Rama e l’opposizione di centrodestra.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/101627


--- Citazione ---La Rivoluzione romena, patata o testicolo? Dopo trent’anni restano solo i morti senza motivo
Francesco Magno 1 minuto fa

La patata (o il testicolo?) della Rivoluzione

Piazza della Rivoluzione si trova al centro di Bucarest. Chi scrive l’ha attraversata quotidianamente mesi e mesi, per recarsi alla francesizzante biblioteca universitaria dedicata a Carlo I, il primo sovrano di questo disgraziato, ma meraviglioso, paese. Nel centro della piazza si erge un insolito monumento, che severamente troneggia sugli skaters che si dilettano a saltare sulle panchine circostanti; una sorta di obelisco trafigge una non meglio identificato oggetto ovale, per alcuni un’oliva, per altri una patata. Dal peculiare ovaloide, una vernice rossastra sgorga sul bordo dell’obelisco. I goliardici abitanti della capitale hanno apostrofato l’opera nei modi più pittoreschi: la patata impalata, il tubo e il testicolo, l’oliva nello stuzzicadenti, circoncisione fallita, la patata della rivoluzione, un cervello su un bastone.

Il monumento tanto sbeffeggiato, in realtà, commemora l’evento più drammatico della storia romena recente, la rivoluzione del 1989. Non a caso, è stato posto proprio di fronte all’ex sede del comitato centrale del partito comunista (oggi il ministero degli interni), proprio dove scoppiarono i disordini che portarono alla fuga dei coniugi Ceausescu e, successivamente, alla loro condanna a morte.

Possibile che un momento così drammatico e, da un certo punto di vista, epico, debba essere ricordato da un tubo e da un testicolo? Possibile che in trent’anni nessuno sia stato in grado di produrre qualcosa migliore della “patata impalata”?

Il monumento, tuttavia, rappresenta al meglio quella che è oggi la Rivoluzione nella memoria dei romeni: un’entità amorfa, interpretabile, sulla quale ognuno può dire la sua, per alcuni una patata, per altri un testicolo.

La grande domanda è sempre la stessa, ancora oggi, la stessa che ha dato il titolo ad un film dal discreto successo anche ad ovest: c’è stata o non c’è stata una rivoluzione (a fost sau n-a fost)? Fu una rivolta popolare, o fu un colpo di stato?

Fu una Rivoluzione o un colpo di Stato?

Chi scrive queste righe ha cercato in anni di frequentazioni della Romania e dei romeni di dare una risposta a questa domanda; grandi eroi rivoluzionari si sono rivelati agenti della Securitate, insospettabili democratici nascondevano scheletri nel loro personale armadio della vergogna. In Romania, niente è come sembra, nessuno è quel che sembra. Le inchieste si sono susseguite, molte sono ancora in corso, ma quelle giornate di dicembre restano nebulose, ambigue. Chi ha dato ordine di continuare a sparare sulla folla dopo la fuga di Ceausescu? Chi ha davvero ordinato la sua esecuzione? Quanti sovietici arrivarono a Bucarest prima che la situazione degenerasse?

Fiumi e fiumi di inchiostro sono stati scritti su quel dicembre 1989; storie, analisi, congetture. Ion Iliescu, nel 1989 eroe rivoluzionario, è oggi accusato di crimini contro l’umanità per i fatti di quelle giornate: da patata a testicolo, come il monumento.

Secondo la procura militare che sta indagando sugli avvenimenti, Iliescu e le alte gerarchie militari avrebbero messo in atto una spaventosa opera di diversione e inganno, inventando la presenza di fedelissimi del vecchio Conducator, i famigerati “terroristi”, pronti a riportare lo status quo e a catturare i rivoluzionari. Con il pretesto di neutralizzare i terroristi, si continuò a sparare per le strade, in modo indiscriminato, uccidendo giovani innocenti che erano scesi in piazza per invocare un futuro migliore.

In realtà, i terroristi non esistevano, e quando ancora a Bucarest si sparava nel mucchio, Ceausescu e sua moglie erano già nelle mani dell’esercito, abbandonati sia dai militari, sia dalla Securitate. A Bucarest si sparava per difendersi da un dittatore ormai in arresto e da suoi inesistenti difensori. Ma il caos e le morti erano quello che serviva a Iliescu per ottenere la patente di rivoluzionario, di eroe, di dissidente finalmente vittorioso, per non passare alla storia come semplice golpista, per ottenere futuro credito politico.

Una Rivoluzione al condizionale

Nessuna condanna definitiva è stata ancora pronunciata, e pertanto ogni ricostruzione deve essere accompagnata dal condizionale. In Romania c’è ancora chi crede fermamente nell’esistenza dei terroristi fedeli a Ceausescu, e fino a una sentenza contraria, la loro idea vale quanto quella di chi sostiene la colpevolezza di Iliescu.

Solo un dato è avulso dalle opposte dialettiche: le migliaia di morti innocenti. E allora, forse, è nel ricordo di quei visi, di quei giovani corpi, che va cercato il monumento della rivoluzione, quello che Pierre Nora definirebbe “il luogo della memoria”.

La memoria dei morti senza motivo

Il cuore pulsante del ricordo rivoluzionario non è nella patata impalata; lo si trova lontano dal centro di Bucarest, dalle luci sfavillanti e dalle targhe. Esso giace nel piccolo cimitero dedicato ai “martiri della rivoluzione”, il vero grande monumento commemorativo del dicembre ’89. Lì, tra i sepolcri marmorei e anziane signore che sostituiscono fiori freschi a quelli appassiti, si coglie il dramma dell’evento, la tragedia di giovani morti senza un apparente motivo. Ragazzi come Mihai Gîtlan, ucciso da un proiettile che gli ha trafitto il petto, trascinato morente per i capelli e abbandonato sotto un albero nel centro di Bucarest. Oggi quell’albero non esiste più. O Alexandra Diana Donea, uccisa il 21 dicembre a piazza dell’Università, vittima degli spari incrociati. Il padre ha ritrovato il cadavere una settimana dopo. Alexandra e Mihai, e come loro tanti altri, vittime di un carnefice ignoto, gioventù perduta di una Romania rivoluzionaria e, forse, democratica.

A trent’anni da quei giorni, la commemorazione è dedicata a loro.

Questo articolo è frutto della collaborazione tra East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso
--- Termina citazione ---

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