Off Topic > Off Topic

La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

<< < (8/117) > >>

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Romania-situazione-politica-e-sociale-preoccupante


--- Citazione ---Romania: situazione politica e sociale preoccupante

Mihaela Iordache, corrispondente di OBCT, analizza la situazione in Romania dove, nonostante la crescita economica record, vi è povertà diffusa, corruzione, disparità sociali e forte instabilità politica (28 gennaio 2018)

Vai al sito di Radio Radicale
--- Termina citazione ---

Vicus:
Confermato da conoscente rumeno.

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/88167


--- Citazione ---STORIA: Le divisioni sindacali nell’Ungheria post-socialista

Stefano Cacciotti 8 giorni fa   

Il movimento sindacale ungherese vive oggi una crisi profonda, sia in termini di “efficacia” dell’azione negoziale sia in termini di unità del movimento. Questa crisi è dovuta in parte alle politiche del lavoro attuate da Orbán tra il 2010 ed il 2012. Tra queste, è opportuno ricordare gli emendamenti del 2010 sulle leggi che regolano il diritto di sciopero, l’abolizione della Legge sulle associazioni del 1990 (che regolava la formazione dei sindacati indipendenti) e l’introduzione di un nuovo Codice del lavoro nel 2012. Queste modifiche hanno ulteriormente liberalizzato il mercato del lavoro magiaro, oltre che minato alcuni dei diritti sindacali di base.

Tuttavia, per comprendere l’attuale crisi delle organizzazioni del lavoro ungheresi non ci si può limitare all’analisi delle politiche anti-sindacali portate avanti da FIDESZ nell’ultimo decennio. Infatti, nell’opera di logoramento dei diritti dei lavoratori, Orbán è stato facilitato dalle divisioni interne presenti nel movimento sindacale ungherese, incapace di organizzare un fronte unitario a livello nazionale sin dai primi anni 90 (Neumann, 2012).

1990. La nascita del Forum tripartito

Il passaggio da un’economia pianificata ad un’economia di mercato ha causato una profonda ristrutturazione del modello di relazioni industriali, fino ad allora caratterizzato da un sostanziale allineamento tra gli interessi dei sindacati ufficiali, rappresentati del Consiglio nazionale dei sindacati SZOT (Szakszervezetek Orszagos Tanacsa) e quelli dello Stato.

Con la fine dell’economia pianificata e l’innesto del libero mercato, questo modello viene progressivamente sostituito da un sistema ispirato al modello di contrattazione triangolare tipico delle società capitalistiche. Le prime modifiche in tal senso sono apportate nel 1990 da József Antall, leader del Forum democratico ungherese (Magyar Demokrata Fórum) e capo del primo governo eletto dopo la fine del regime, il quale avvia un processo di occidentalizzazione del modello di negoziazione sindacale che vede il suo fine principale nella nascita del Forum Tripartito. L’avvio di questa trasformazione, fortemente supportata dell’International Labour Organization (ILO), verrà successivamente accolta in modo favorevole anche dell’Unione Europea (Neumann, 2012).

Due “blocchi” sindacali

Nella nuova struttura tripartita le organizzazioni dei lavoratori si dividono principalmente in due blocchi: i sindacati riformati e i sindacati indipendenti. I primi sono gli eredi dei sindacati SZOT, e rappresentano le continuità con il passato socialista. I secondi, nati dopo il crollo del regime, rivendicano invece la distanza ideologica dall’ormai disciolto Partito Socialista Operaio Ungherese (Magyar Szocialista Munkáspárt).

Sebbene l’intenzione del governo Antall è quella di unificare la lotta sindacale in un unico canale istituzionale, la contrapposizione ideologica tra i due blocchi (riformati vs indipendenti) rende questo progetto difficile da realizzare. Tra le organizzazioni indipendenti, la Lega democratica dei sindacati (LIGA), fondata nel 1989 e guidata da pochi sindacalisti e molti accademici (perlopiù provenienti dalle Università di Budapest) si presenta come la formazione più agguerrita nel denunciare i privilegi dei sindacati riformati (Hughes, 2001).

Indipendenti vs riformati

In particolare, gli attacchi della LIGA si indirizzano contro il MSzOSz (Magyar Szakszervezetek Országos Szövetsége), “colpevole” di aver ereditato le proprietà e il capitale finanziario del vecchio sindacato di regime SZOS. Ad incrementare i malumori delle LIGA c’è anche la questione legata al numero di iscritti. Se infatti il MSzOSz supera i 2 milioni di membri, la lega democratica dei sindacati non raggiunge i 200 mila affiliati (Hughes, 2001).

Agli occhi del sindacato indipendente, le proprietà e i capitali accumulati dal MSzOSz, insieme all’alto numero dei lavoratori affiliati, sono il frutto del rapporto subalterno avuto da quest’ultimo con il regime socialista, e quindi considerate illegali nel nuovo contesto politico-economico. La LIGA rivendica quindi la necessità di spezzare tutte le connessioni con il vecchio regime, in modo tale da avviare un modello di attività sindacale democratica e libera a tutti gli effetti (Hughes, 2001).

L’assenza di un’azione sindacale unitaria

Se, da una parte, le denunce dei sindacati indipendenti nei confronti dei loro “cugini” riformati possono essere considerate legittime e coerenti con il cambiamento storico in atto in Ungheria, è altrettanto vero che la frammentazione che ne conseguì influì drammaticamente sulla forza contrattuale di tutto il movimento sindacale ungherese durante gli anni 90. Lo sviluppo di due blocchi contrapposti allontanò progressivamente i lavoratori ungheresi dall’attività sindacale, già pesantemente messa in crisi dall’emergere di valori individualisti e da una latente sfiducia verso le azioni collettive propria della società civile ungherese. Tutto questo è dimostrato dal crollo dell’affiliazione sindacale tra i lavoratori: nel giro di 5 anni (1991-1996) il maggiore sindacato magiaro, il MSzOSz, perde 2 milioni di iscritti (Frege, 2001).

Sulla base di questi presupposti FIDESZ è stato in grado, dal 2010 in poi, di sviluppare un dialogo selettivo con la LIGA e il sindacato di ispirazione cattolica MOSZ (Munkástanácsok Országos Szövetsége), escludendo progressivamente i “sindacati riformati” dal confronto istituzionale (Neumann, 2012). Appoggiandosi a frammentazioni che hanno radici nel periodo di transizione degli anni 90, Orbán ha quindi applicato una politica del divide et impera, approfittando dell’incapacità cronica del movimento sindacale ungherese di essere unito. In questo senso, la fusione avvenuta nel 2013 tra i sindacati riformati rappresenta una speranza per un futuro miglioramento della forza contrattuale sindacale nel paese, sebbene la strada verso un’azione comune con le organizzazioni di lavoro indipendenti resti ancora tutta in salita.
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/88216


--- Citazione ---UNGHERIA: Il sistema sanitario arrugginisce ma il problema sono i rifugiati

Gian Marco Moisé 23 ore fa   

Per il secondo anno consecutivo, l’Ungheria si colloca in fondo alla classifica dell’Indice Sanitario Europeo del Consumatore (ECHI), a pari merito con Polonia, ma dietro ad Albania e Montenegro, stati che nonostante gli sforzi per entrare a farne parte, non sono ancora membri dell’Unione Europea.

L’Indice Sanitario Europeo del Consumatore (ECHI)

L’Indice Sanitario Europeo del Consumatore è un’analisi comparativa dei sistemi sanitari dei vari paesi europei dal punto di vista del consumatore, considerando tempi di attesa, accesso e qualità alle medicine e alle informazioni. La Centrale del Consumatore della Sanità (Health Consumer Powerhouse) è un think tank di origine svedese specializzato nel paragone delle prestazioni sanitarie dei diversi paesi. Visto dalla Commissione europea come il principale strumento di misurazione delle prestazioni sanitarie nazionali, ma inviso dal British Medical Journal che l’ha criticato per l’assegnazione eccessivamente arbitraria dei punteggi.

L’indice attribuisce un punteggio complessivo a ciascun paese in cui il minimo sono 333 punti e il massimo sono 1.000. Nel 2006, l’Ungheria aveva conseguito un punteggio di 600 punti, ma da quell’anno le prestazioni sono calate costantemente. L’anno scorso il paese aveva ottenuto 575 punti, undici in più rispetto a quelli assegnati alla Polonia.

L’Ungheria ha uno dei peggiori tassi di sopravvivenza di persone con tumore in tutta Europa, con un tasso di sopravvivenza per 5 anni poco al di sopra del 40% contro i 70% di Norvegia, Svizzera e Islanda. Lunghissimi i tempi di attesa per le TAC, il paese era in fondo alla classifica anche per la contrazione di infezioni in ospedale. Solo l’Albania ha superato l’Ungheria in fatto di “piccole donazioni” fatte a medici per l’ottenimento di cure più attente. Il paese però, eccelleva per una copertura quasi totale di bambini vaccinati contro le otto malattie più diffuse, e per il numero di ore di educazione fisica richieste a scuola.

Il risultato di quest’anno

Così come l’anno scorso, l’Ungheria si è collocata 30esima su 35 paesi esaminati (29esima su 31 se si considerano i paesi con lo stesso punteggio). Stupisce in particolar modo come nonostante le riforme restrittive volute dalla Polonia in ambito contraccettivo, i paesi siano arrivati a pari merito. La spiegazione che ne è stata data dagli autori è che: “Non c’è alcun tipo di correlazione tra accessibilità alla sanità e denaro pubblico speso.” Anzi, è persino meno costoso avere un sistema senza liste d’attesa perché: “Il sistema sanitario è fondamentalmente un processo industriale. Come ogni manager professionale di questo sistema certamente saprà, procedure lisce con un minimo di pausa o interruzione sono la chiave per tenere i costi bassi.”

Il problema sembra essere di natura culturale rispetto alla capacità di concepire il sistema sanitario. Infatti, Viktor Orbán già quand’era all’opposizione aveva dichiarato che: “Il sistema sanitario non è un business.” Lo stesso presidente dell’Associazione Medica Ungherese, István Éger ha chiarito che: “Non ci si occupa di consumatori, ma di pazienti.”

Il problema è generazionale

Mi permetterete il gioco di parole nella misura in cui si faccia notare che essendo pazienti, gli si richieda che aspettino pazientemente in fila il loro turno, per ore, settimane e mesi. In linea di principio è giusta la distinzione tra sistema sanitario e business, ma se si andasse al di là della strumentalizzazione delle parole e si guardasse alla realtà dei fatti, forse si potrebbe notare che un sistema ibrido che favorisca l’ingresso dei privati in ambito sanitario potrebbe rendere più soddisfatti i pazienti, e allo stesso tempo alleggerire il bilancio statale. Prova ne è il fatto che il Montenegro in un anno è passato dal 34esimo al 25esimo posto, e la Slovacchia è migliorata di 71 punti dal 2016.

Quello che urta di più della linea politica di Orbán è che è fatta di vecchie inefficaci soluzioni per problemi nuovi e complessi. Montesquieu scriveva che: “Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente.” Orbán è stato corrotto, anzi corroso fino all’osso da anni al potere. È invecchiato, e nonostante abbia anagraficamente solo 54 anni, si comporta come un leader sovietico. In gioventù si opponeva a un regime illiberale, oggi parla dei benefici della “democrazia illiberale”, vede nemici ovunque e focalizza l’attenzione pubblica sui rifugiati invece che concentrarsi sul migliorare il sistema sanitario del paese.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Dieci-anni-di-storie-dal-Kosovo-186140


--- Citazione ---Dieci anni di storie dal Kosovo

Il Kosovo festeggia dieci anni di indipendenza. Anni segnati da successi simbolici, ma senza vere risposte a questioni come disoccupazione, convivenza, corruzione e mancanza di una strategia di sviluppo
16/02/2018 -  Veton Kasapolli   Pristina

Il decimo anniversario della dichiarazione di indipendenza del Kosovo coincide con il primo schieramento di una squadra nazionale alle Olimpiadi invernali a Pyongchang, in Corea del Sud. L'unico membro della squadra, lo sciatore Albin Tahiri, ha però ben poche possibilità di vincere una medaglia. La prima pagina della storia olimpica del Kosovo è stata scritta solo due anni fa, a Rio de Janeiro. Lì, grazie alla campionessa di judo Majlinda Kelmendi, il Kosovo ha vinto la sua prima medaglia d'oro: il suo più grande successo nello sport globale.

Questi momenti olimpici non sarebbero stati possibili senza la cruciale decisione del CIO di ammettere il Kosovo tra i suoi membri nel 2014. I politici del Kosovo esaltano come storici questi risultati ed esortano tutti i kosovari a cercare il successo e il riconoscimento internazionale individuale attraverso il duro lavoro, nello sport come in altri campi.

Sfortunatamente, un percorso così ambizioso è alla portata di pochissimi giovani. Albin Tahiri ha potuto permettersi allenamenti sulle piste da sci in vari paesi dell'UE facendo affidamento a risorse economiche personali, mentre in patria la squadra di Majlinda Kelmendi continua ad allenarsi in sale non riscaldate a causa dei continui tagli all'elettricità. Anche la nazionale di calcio, recentemente ammessa dalla FIFA, continua a giocare le partite casalinghe in Albania, in assenza di uno stadio con gli standard richiesti.

Agli altri non restano che strade più tortuose per raggiungere l'altro lato dei confini del Kosovo. Il più giovane paese in Europa è anche il più isolato del Vecchio continente: i suoi cittadini sono gli ultimi dei Balcani occidentali a non poter viaggiare senza visto nell'area Schengen. Questo non ha impedito a quasi il 10% degli 1,8 milioni di abitanti di entrare irregolarmente nell'UE da quando il Kosovo ha dichiarato l'indipendenza, il 17 febbraio 2008. Molti hanno addirittura rischiato la vita sulle montagne in inverno o nascondendosi in condizioni disumane all'interno dei camion. Alcuni sono morti attraversando dei fiumi nel tentativo di raggiungere l'Ungheria.

Una fuga così sistematica dal Kosovo libero e indipendente non era prevista dieci anni fa. All'epoca della dichiarazione di indipendenza, la società del Kosovo desiderava staccarsi da una debole amministrazione internazionale e autogestirsi, sognando di diventare presto un prospero nuovo paese nel mezzo dell'Europa.
Un'economia al palo

Nonostante una crescita costante del PIL del 3-4% l'anno dal 2008, tuttavia, l'economia non è mai decollata. Ciò ha portato i tassi ufficiali di disoccupazione al 27% (in realtà molto più alti, specialmente tra i giovani). I laureati che escono ogni anno dalle università pubbliche e private appena fondate a Pristina e nelle altre principali città kosovare lottano per un numero estremamente limitato di posti di lavoro. Anche le opportunità di ottenere un impiego presso il più grande datore di lavoro – il settore pubblico – rimangono scoraggianti. È proprio la mancanza di opportunità di lavoro che rimane oggi il più grande problema percepito dal cittadino kosovaro medio.

Mentre molti hanno cercato di emigrare, l'élite del Kosovo ha sviluppato un ambiente economico senza un chiaro modello di sviluppo: dieci anni di autogoverno si sono concretizzati in una serie di autostrade moderne, ma costose. Tale determinazione per investimenti pubblici ad effetto accomuna tutti i governi che si sono succeduti dall'indipendenza.

L'unica altra strategia di sviluppo messa in campo è stata la privatizzazione delle imprese pubbliche e di proprietà statale. Sfortunatamente sono stati creati ben pochi nuovi posti di lavoro nella produzione o nelle industrie: nel frattempo, però è esploso il settore della piccola e media distribuzione, dove però si vendono quasi esclusivamente merci importate. La sproporzione fra importazioni ed esportazioni (nove a uno in favore delle prime) riassume il dato più caratteristico della società consumistica del Kosovo indipendente.

Nel corso degli anni ci sono stati miglioramenti nel contesto degli investimenti, confermati dai World Bank Doing Business Reports, ma la realtà è che solo pochi vogliono investire il proprio capitale in un paese in difficoltà segnato dal conflitto. Il Kosovo continua a non convincere di avere un ambiente politico normale, un sistema giudiziario equo e indipendente e una fornitura stabile di energia elettrica, fondamentale per qualsiasi industria.

A proposito, recentemente lo stato ha annunciato di voler investire nell'utilizzo delle sue riserve di lignite, fra le più grandi in Europa. Alla fine del 2017, il governo ha firmato un contratto con una società con sede negli Stati Uniti per sviluppare una nuova centrale a carbone lignite da 600 MW, ma le prime forniture non saranno disponibili prima del 2023. Fino ad allora, i livelli di importazione di energia elettrica continueranno a salire, come per tutto il resto.
Stato di diritto, i problemi restano

Per quanto riguarda lo stato di diritto, il Kosovo non ha mostrato segni significativi di miglioramento durante questo decennio. Centinaia di migliaia di casi arretrati continuano a perseguitare i tribunali. Quando l'inefficienza si combina con l'incapacità di affrontare casi sensibili come la corruzione, il pubblico smette di credere nel sistema giudiziario stesso, e lo stesso vale per i partner del Kosovo, ovvero l'Unione europea e gli Stati Uniti. La prima continua a finanziare EULEX, la sua più grande missione all'estero, dal 2008, per trattare casi che i tribunali kosovari non riescono a gestire per una ragione o per l'altra. L'anno del decennale dovrebbe essere segnato anche dall'apertura della nuova Corte speciale per i supposti crimini di guerra commessi dal 1998 al 2000 da parte di membri dell'Esercito per la liberazione del Kosovo (UCK) che opererà dai Paesi Bassi.

L'esordio della Corte però appare estremamente problematico: prima ancora che l'istituzione abbia fatto partire i primi processi, che con tutta probabilità coinvolgeranno politici di primo piano, il parlamento di Pristina ha effettuato vari tentativi di bloccarne l'attività. Un comportamento che ha scatenato la dura reazione di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Dopo le critiche internazionali, il Kosovo sembra aver fatto però marcia indietro e potrebbe diventare l'unica entità dell'ex Jugoslavia ad avere un tribunale ad hoc per gestire in modo indipendente il proprio recente passato, impegno che può essere utilizzato per ottenere più credibilità e sostegno internazionale.
Riconoscimenti internazionali

Finora il Kosovo ha ottenuto 116 riconoscimenti a livello globale : ancora troppo poco per aspirare ad entrare nelle Nazioni Unite e nelle sue organizzazioni. Allo stesso modo, non sono stati registrati progressi nel convincere ad un atteggiamento diverso i cinque paesi UE che non riconoscono la dichiarazione di indipendenza di dieci anni fa. Nonostante le divisioni, l'UE ha dimostrato la volontà di impegnarsi nelle relazioni con il Kosovo, firmando l'accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 che prevede un chiaro programma di riforme negli anni a venire. Tuttavia, la più recente Strategia per i Balcani occidentali conferma che il Kosovo può aspirare ad intraprendere il percorso di integrazione europea solo a passi molto piccoli.

Lento è anche il processo di riconciliazione tra la maggioranza albanese e le altre comunità del paesi. La minoranza serba continua a vivere una vita parallela gestendo i propri settori educativo, medico e culturale. Il paese non è affatto vicino a colmare questa divisione, soprattutto nelle municipalità del nord, scosso nelle ultime settimane dall'omicidio del leader politico Oliver Ivanović.

Ma le divisioni possono essere notate solo da chi le vive in prima persona, così come la corruzione, la disuguaglianza o la disoccupazione. Sulla carta, il Kosovo è un paese multietnico in cui l'albanese e il serbo sono lingue garantite dalla Costituzione. La sua legislazione è tra le più moderne, ma in pratica rimane largamente inattuata. In teoria, l'ambiente per gli investimenti esteri ha registrato progressi sorprendenti, ma non vi sono ancora investitori reali disposti a scommettere sul paese. Al loro posto, centinaia di milioni di euro in rimesse affluiscono dalla diaspora per sfamare grandi famiglie disoccupate.

Fino a quando tutto questo non migliorerà, al kosovaro medio rimangono poche speranze di cambiamento ed opportunità: per non cadere nella tentazione di fuggire lontano, non resta che gioire delle storie di giovani talenti arrivati a successi incredibili, ma individuali, nello sport, nel cinema o nella musica.
--- Termina citazione ---

Navigazione

[0] Indice dei post

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente

Vai alla versione completa