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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Vicus:
C'è anche un po' di uranio impoverito? I Balcani sono la porta d'Europa...

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102206


--- Citazione ---BULGARIA: A Sofia non ci sono ambulanze
Giorgia Spadoni 3 giorni ago

Tra il 2010 e il 2012 a Sofia si registra un’impennata di chiamate al 112, il numero unico per le emergenze in Bulgaria, che passano da 11.016 a 12.930 nel solo mese di gennaio. Una media di 431 al giorno.
Nel 2012 la città conta oltre 1,2 milioni di abitanti, ma le ambulanze a disposizione dell’intera capitale sono solo 13. Il numero medio di équipe mediche d’urgenza attive è 20, il che significa circa 22 casi al giorno per ogni squadra.
Il regista bulgaro Ilian Metev decide di seguire una delle ambulanze sofiote proprio in questi due anni per il suo esordio dietro la cinepresa. Dopo aver aspettato a lungo l’autorizzazione per la distribuzione, il suo documentario L’ultima ambulanza di Sofia (Poslednata linejka na Sofija) viene finalmente presentato in anteprima alla 65ª edizione del Festival di Cannes.

Una metamorfosi a metà

L’inadeguatezza del servizio sanitario di emergenza bulgaro è legata all’irregolare transizione del Paese, costellata da riforme fiacche alternate a periodi di crisi.
La ristrutturazione finanziaria del sistema sanitario viene ufficialmente approvata e applicata solo negli anni Duemila; essa prevede l’istituzione di una Cassa nazionale di assicurazione sanitaria e un sistema di assicurazioni mediche.
Quattro anni dopo, un quarto dei bulgari non paga regolarmente le quote assicurative, e fino al 2005 non esiste uno strumento che verifichi lo stato di assicurazione dei pazienti. Nel 2009 la quota di stipendio da destinare all’assicurazione sanitaria passa dal 6 all’8%. Nello stesso anno, pur avendo subito un aumento, il salario bulgaro mensile medio ammonta a 555 leva, meno di 300 euro. Nel 2018 il 12% dei bulgari è ancora senza assicurazione sanitaria, la maggior parte perché non può permetterselo.
La Cassa nazionale di assicurazione sanitaria bulgara dipende tuttora in larga parte dai magri finanziamenti statali, meno del 3% del PIL nazionale.

Condizioni avverse

La medicina d’urgenza in Bulgaria è finanziata interamente dallo stato. I primi specialisti iniziano ad essere formati nel 1996, ma dieci anni dopo i reparti di pronto soccorso sono scarsi, circoscritti agli ospedali specializzati e cliniche universitarie.
Nel 2014 sono solo 63 i medici impiegati nel settore in tutta la Bulgaria. La causa si cela nelle limitate possibilità di carriera, condizioni di lavoro sfavorevoli e stipendi bassi che caratterizzano quest’ambito. Il compenso mensile di un medico non supera i 400 euro, e quello delle infermiere è di circa 200 euro, di poco superiore a quello degli autisti.
Tutto ciò riduce drasticamente il numero di squadre e ambulanze disponibili, oltretutto distribuite nel Paese in maniera non proporzionale al numero di abitanti né all’estensione dell’area in questione.

L’ultima ambulanza di Sofia

Quando Ilian Metev gira il suo documentario, ci sono 200 posti vacanti al centro di medicina d’urgenza di Sofia. Il rapporto di ambulanze per numero di abitanti è il più basso rispetto alle altre maggiori città bulgare: due unità per 100.000 residenti.
Metev racconta la realtà della squadra formata dal medico Krassimir Yordanov, l’infermiera Mila Mihaylova e l’autista Plamen Slavkov, che lottano “contro un sistema sanitario fatiscente, pazienti ubriachi e drogati e le loro famiglie nel panico, automobilisti indifferenti e buche che crivellano tutte le strade dell’animata città di Sofia”. La loro è anche e soprattutto una corsa contro il tempo, che molto spesso non lascia scampo.
Attraverso un approccio osservativo, lo spettatore è solo con l’équipe e i pazienti, i quali non sempre chiamano il 112 per reale necessità. L’assistenza sanitaria d’urgenza è gratuita, e quindi preziosa occasione di trasporto all’ospedale, ricovero o visita specialistica per un paziente non assicurato.

Reazioni e promesse

Premiato con il France 4 Visionary Award a Cannes, il film di Metev suscita grande scalpore e trambusto in patria e all’estero. Nel 2014 il Ministero della salute stila un progetto per lo sviluppo del sistema sanitario di emergenza, e nel 2015 promette un aumento dei salari del 20%. Nel 2018 viene annunciato un investimento di 163 milioni di leva nel settore, per l’acquisto di nuove e più moderne ambulanze. Riusciranno ad arrivare in tempo?

--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Dragan-Bursac-Non-denuncio-piu-le-minacce-ricevute-199130


--- Citazione ---Dragan Bursać: “Non denuncio più le minacce ricevute”

Il giornalista bosniaco Dragan Bursać si è arreso: ha deciso di non sporgere più denuncia per le minacce di morte ricevute. Ne ha già sporte una quindicina e non è cambiato nulla. La vita difficile di un giornalista nel mirino

28/01/2020 -  Elvira Jukić - Mujkić Sarajevo
(Originariamente pubblicato da Mediacentar Sarajevo  )

Nonostante sia ancora bersaglio di minacce di morte, il giornalista Dragan Bursać non sporge più denunce alla polizia né agli organi giudiziari. Bursać ha deciso di non denunciare più le minacce ricevute dopo che un uomo – che in passato lo aveva minacciato e la cui identità è nota alla polizia – gli ha mandato un messaggio in cui diceva che le sue denunce erano inutili.

“Dopo un anno dalla [mia] denuncia, mi ha mandato il seguente messaggio: ‘Bursać, ecco, vedi che non è servito a niente’”, ricorda il giornalista. “Mi sono arreso. Non voglio più farlo. Non ho più sporto alcuna denuncia dall’aprile 2018. Mi chiamano [dalla polizia] per chiedermi se voglio sporgere denuncia. La polizia mi ha detto di aver scoperto alcune cose e di averne informato la procura, e poi niente, non ho ricevuto nessun feedback. Penso di aver sporto una quindicina di denunce per le minacce di morte ricevute”, spiega Dragan Bursać.

Bursać è spesso bersaglio di critiche, insulti e minacce di morte a causa dei suoi articoli fortemente critici nei confronti della politica perseguita dalla leadership della Republika Srpska, ma anche nei confronti delle narrazioni dominanti, soprattutto quelle sulla guerra in Bosnia Erzegovina del 1992-1995. Bursać, così come altri membri della sua famiglia, spesso riceve commenti negativi, insulti e minacce anche sui social network – dove ha circa 10mila follower – e più volte gli è stato suggerito di andarsene da Banja Luka.

Il giornalista ricorda la prima volta che ha ricevuto un’esplicita minaccia di morte. All’epoca lavorava per il portale informativo Buka di Banja Luka. Un giorno, all’indirizzo della redazione del portale, è arrivato un messaggio destinato a Bursać, che diceva: “Ti troveremo, ti uccideremo”.

Bursać ha scelto consapevolmente di indagare su temi delicati, di cui in Bosnia Erzegovina non si parla affatto, e di interrogarsi sul passato, mettendo in discussione le identità nazionali ed etniche dei tre popoli costituenti della Bosnia Erzegovina. A causa di questa scelta Bursać è sottoposto, tra l’altro, a frequenti atti intimidatori, che vanno dagli insulti alle minacce di morte.

Interrogare il passato bellico
Dragan Bursać, classe 1975, è cresciuto a Bosanski Petrovac. Nel 1989 si trasferisce a Banja Luka, dove per due anni frequenta il liceo. Allo scoppio della guerra in Bosnia Erzegovina si trasferisce in Serbia. Terminata la scuola superiore a Sremska Mitovica, si iscrive alla Facoltà di Filosofia di Novi Sad. Nel 1995 viene mobilitato dall’Esercito della Republika Srpska. Dopo la fine della guerra torna a Novi Sad, per completare gli studi. Qualche anno più tardi decide di tornare a Banja Luka e nel 2002 inizia a lavorare come giornalista per una radio locale. Nei tre anni della sua permanenza alla radio, Bursać si è occupato di vicende legate ai progetti infrastrutturali realizzati a Banja Luka, di problematiche locali e fatti di cronaca. Tuttavia, ci sono stati dei disaccordi tra Bursać e altri membri della redazione riguardo ad alcuni temi cui Bursać voleva affrontare.

“C’erano vari argomenti che risultavano incompatibili con le linee editoriali dominanti. Una delle prime storie di cui mi sono occupato è stata quella dei 12 neonati morti in ospedale  ”, ricorda Bursać, precisando di aver seguito questa storia per circa 15 anni. Nel 1992, all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, 12 neonati sono morti al reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Banja Luka per mancanza di ossigeno necessario per garantire un’adeguata assistenza respiratoria neonatale.

“Questo evento è stato sfruttato per avviare l’operazione militare ‘Koridor’ [Corridoio] che mirava a collegare la parte occidentale della Republika Srpska con quella orientale. Ma nessuno ha spiegato i motivi per cui mancava l’ossigeno. Allora ho deciso di indagare un po’ e ho scoperto che l’ossigeno era arrivato all’ospedale, da tre fonti diverse. Ma poi è scomparso”, spiega Bursać. Aggiunge inoltre che la radio di Banja Luka per la quale lavorava all’epoca non era disposta a dare spazio a storie come questa, per cui ha deciso di collaborare con il portale Buka  , oggi uno dei principali portali informativi in Bosnia Erzegovina.

Guardando allo sviluppo del giornalismo in Republika Srpska negli ultimi vent’anni, Bursać evidenzia alcuni temi dominanti, spiegando che nel periodo tra il 2002 e il 2006 i media in Republika Srpska hanno parlato soprattutto di sviluppo economico, poi dal 2006 al 2010 si sono focalizzati sul tema della ri-egemonizzazione nazionale, e a partire dal 2010 hanno parlato perlopiù di nuove guerre, ma anche del passato.

“Non so se si tratti di un progresso o regresso. Abbiamo dovuto occuparci di sviluppo [economico] nel periodo tra il 1996 e il 2002, così come abbiamo dovuto occuparci anche di fosse comuni e crimini di guerra”, afferma Bursać, aggiungendo: “La storia dei 12 neonati mi ha fatto tornare al 1992, e da allora ho cominciato ad occuparmi sempre di più del passato”.

Dragan Bursać si occupa di temi legati al confronto con il passato, ai traumi di guerra, crimini di guerra e (presunti) eroi di guerra. Per il suo impegno professionale ha vinto lo European Press Prize 2018  . Ha scritto diversi articoli sulla fossa comune di Tomašica, sul genocidio di Srebrenica, sul massacro di Markale, mettendo in discussione le narrazioni dominanti in Republika Srpska che negano i crimini di guerra commessi contro la popolazione non serba.

“Più mi interessavo a queste tematiche, più mi imbattevo in persone che fungevano da guardiani del silenzio”, ricorda Bursać. “Quella era una narrazione nascosta che nessuno ha mai voluto affrontare. Da lì è iniziato tutto. Diverse idee, persone, minacce”.

Nonostante ricevesse spesso minacce di morte, Bursać ha denunciato per la prima volta le minacce ricevute nel 2017 dopo la pubblicazione di un suo articolo intitolato "Slavi li Banja Luka srebrenički genocid?"  [Banja Luka festeggia il genocidio di Srebrenica?]. Prima di allora non prendeva sul serio i rischi connessi al suo lavoro. Poi ha fatto una ricerca su Internet e ha scoperto alcuni forum in cui si discuteva ormai da anni – più precisamente da quando Dragan ha iniziato ad occuparsi di giornalismo – di “come uccidere Dragan Bursać e cosa fare se lo si incontra in piena notte: picchiarlo con una mazza o qualcosa di più creativo”.

“Mi è capitato più volte che in un luogo pubblico mi si avvicinasse un uomo ubriaco dicendomi: ‘Traditore!’ Mi è capitato anche che i proprietari di alcuni ristoranti non volessero farmi entrare. Ma non ci davo troppa importanza… finché non ho cominciato a ricevere serie minacce di morte sui social network”, spiega Bursać.

“Nel momento in cui ho deciso di indagare e di portare alla luce quanto accaduto durante la guerra e nell’immediato dopoguerra – era forse il 2012 – ho iniziato a ricevere vere e proprie minacce, anche da parte delle persone che fino a quel momento mi applaudivano. A loro avviso, se io attacco il governo della Republika Srpska, cioè l’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), allora vuol dire che appoggio il Partito democratico serbo (SDS). In realtà, SNSD e SDS condividono la stessa ideologia neo-cetnica. Quando ho cominciato a mettere a nudo pubblicamente questa ideologia e il loro atteggiamento nei confronti del passato e delle vittime [di guerra], soprattutto quelle appartenenti alla popolazione non serba, tutte le maschere sono cadute. Mi sono reso conto che sotto un primo esiguo strato di pudore si nasconde un male ideologico che non accetta assolutamente alcuna opinione diversa. Questo fenomeno va dall’ignoranza alle minacce”, spiega Bursać, che oggi lavora come editorialista per Al Jazeera Balkans e per il portale di Radio Sarajevo.

“I miei tentativi di svelare alcune mancanze nell’operato dell’amministrazione comunale e le frodi nelle forniture pubbliche non davano fastidio a nessuno, all’epoca non avevo mai ricevuto alcuna minaccia. I problemi sono sorti quando ho cominciato ad occuparmi dei crimini di guerra, del genocidio e delle ideologie che portarono alla guerra e che continuano ad alimentare l’ansia sociale”, spiega Bursać.

Trattato come se fosse un imputato
Dragan Bursać ricorda come funziona e quanto dura la procedura di presentazione di una denuncia per minacce. Cita l’esempio delle minacce ricevute qualche anno fa sul web da parte di una persona che si era collegata alla rete da Banja Luka tramite un server in Danimarca, e poi è stata rintracciata grazie all’indirizzo IP.

“Mi telefonano dicendomi di venire al ministero dell’Interno. Una volta arrivato mi informano di aver trovato quella persona, e uno [dei poliziotti] mi dice: ‘è un bravo ragazzo’ e mi chiede se voglio firmare la dichiarazione di rinuncia alla querela. Mi dicono nome e cognome dell’uomo [che mi ha minacciato], suggerendomi di non denunciarlo. Cercano di convincermi di perdonarlo. Poi ho cercato un po’ su Google, ho visto che era coinvolto in una vicenda serbo-russa, ho visto una foto di Putin, non ho capito molto. Nome e cognome non mi dicevano nulla. E allora ho firmato… i poliziotti mi hanno convinto”, racconta il giornalista.

Tenendo conto del fatto che all’ultimo censimento della popolazione effettuato in Bosnia Erzegovina la maggior parte degli abitanti di Banja Luka si sono dichiarati serbi, e che la stragrande maggioranza dei politici di Banja Luka e dei media mainstream continua a difendere quanto fatto dall’Esercito della Republika Srpska durante la guerra, compresi i crimini condannati dal Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, risulta chiaro perché le questioni, per nulla semplici, sollevate da Dragan Bursać nei suoi articoli provocano reazioni furiose da parte di molti.

“Stavo rilasciando una dichiarazione alla polizia, dovevo dire se pensavo davvero che Banja Luka avesse festeggiato il genocidio di Srebrenica, e nel loro ufficio c’era una foto di Mladić”, ricorda Bursać.

“Ogni volta che mi sono recato lì [i poliziotti] mi hanno trattato come se fossi il principale imputato, come se io avessi fatto qualcosa… come se volessero dirmi: ‘Perché sei venuto?’ Erano già stufi di dover occuparsi (per dovere d’ufficio) della mia denuncia, ci mancavo solo io”, racconta Bursać.

“È uno spazio aperto, come un ufficio postale, la gente passa in continuazione. E allora dovevo parlare più forte. I poliziotti mi chiedono: ‘Cosa ha detto? Chi è Mladić?’. E io rispondo: ‘Un criminale’. Poi ancora: ‘Cosa ha scritto?’. Io ripeto: ‘Un criminale’. ‘Ah, sì, un criminale’, dicono i poliziotti. Allora la metà dei presenti gira lo sguardo verso di noi… Poi la gente mi dice: nessuno ti ha costretto a infastidire i cittadini onesti, a provocare”.

Dragan Bursać continua a ricevere minacce, ma non le denuncia più. Dice che la polizia fa quello che deve fare ma tutto quello che scoprono se lo passano alla procura, lì rimane

Per Bursać la protezione migliore è quella fornita dall’opinione pubblica, motivo per cui parla sempre pubblicamente delle minacce ricevute. Tuttavia, sostiene di essere lasciato alla mercé della folla che vorrebbe linciarlo.

“Non è mai stato avviato alcun procedimento penale, nessuno mi ha mai chiamato. Non c’è stata alcuna sentenza, come se nessuno mi avesse mai minacciato”, afferma Bursać, e aggiunge: “Penso che quelle persone aspettino che mi succeda qualcosa di brutto, per poi dire che sapevano qualcosa”.

L'articolo originale è frutto di una collaborazione all'interno della rete giornalistica delle organizzazioni SNEEPM e IFEX, di cui Mediacentar Sarajevo fa parte
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102255


--- Citazione ---Bielorussia e Russia stanno litigando per il petrolio
Gianmarco Riva 4 ore ago

Nell’ultimo decennio i rapporti tra Russia e Bielorussia sono stati contraddistinti da numerose dispute energetiche, petrolio e gas in primis, in quella che è stata descritta come una relazione d’amore e odio tra i presidenti Vladimir Putin e Aleksander Lukašenko.

Nell’ultimo anno la Russia, che da tempo rappresenta un’importante fonte di sostentamento per l’economia e il mercato energetico bielorusso, ha costantemente cercato di incoraggiare una maggiore integrazione economica tra Mosca e Minsk al fine di mantenere quest’ultima nella sua orbita politica. In questo contesto, le crescenti pressioni esercitate da Mosca si sono recentemente tradotte in un aumento dei prezzi del petrolio e in una parallela riduzione di sussidi finanziari. Secondo i portavoce del Cremlino, il consolidamento dei legami economici è imprescendibile se Minsk desidera continuare a ricevere approvvigionamenti energetici a prezzi competitivi. L’atteggiamento proattivo russo, tuttavia, ha riscontrato una considerevole resistenza dalla controparte bielorussa, che ha dimostrato riluttanza ad accettare un consolidamento delle relazioni economiche fino a quando i problemi relativi ai prezzi delle forniture per l’anno 2020 non verranno risolti.

La posta in gioco

Le discussioni sono sorte a fine 2019, nel corso delle trattative sul consolidamento dei legami economici bilaterali, la cui attuazione è prevista da un trattato che i due paesi hanno firmato nel 1999. L’accordo, rimasto finora essenzialmente solo su carta, impegna i due ex stati sovietici a fondersi in uno stato confederale: una sorta di Unione Statale di Russia e Bielorussia da realizzarsi attraverso l’integrazione dei sistemi legislativi, valutari e giuridici. In un clima di speculazioni sul fatto che Putin stia puntando all’unione per diventare il capo del nuovo stato unitario dopo la scadenza del suo attuale mandato presidenziale prevista per il 2024, Lukašenko, che inizialmente aveva accolto con favore il trattato vedendoci la possibilità per i due paesi di rafforzare la loro posizione nei confronti dell’Occidente, si è in seguito dimostrato renitente a cedere l’autorità al suo vicino, accendendo così un confronto geopolitico con Mosca.

Se da un lato gli osservatori bielorussi si aspettano che l’integrazione economica perduri, essendo la Russia il più importante partner commerciale del paese, dall’altro lato rimangono scettici in merito alle prospettive di una vera e propria unione politica, che significherebbe l’erosione dell’indipendenza post-sovietica e, come riportato da Aleksandr Feduta (ex consigliere di Lukashenko) al Financial Time, una perdita di potere del presidente.

Alla ricerca di un accordo

Lo scorso dicembre Putin e Lukašenko hanno tenuto due round di colloqui in merito al consolidamento dei legami economici. Nonostante le divergenze sul processo di integrazione siano state superate, il ministro dello sviluppo economico russo ha dichiarato che i negoziati non hanno tuttavia portato ad alcun accordo sul petrolio. Uno stallo negoziale a cui Mosca ha riposto interrompendo i rifornimenti di petrolio. La sospensione delle forniture energetiche non ha influito sui flussi diretti ai paesi europei (di fatto solo il 10% del greggio russo verso l’Europa transita per la Bielorussia), ma ha avuto conseguenze importanti per Minsk, che si affida a Mosca per oltre l’80% del suo fabbisogno energetico complessivo e per metà dei suoi volumi commerciali.

Dopo una sospensione di cinque giorni, all’inizio di questo mese le due parti hanno raggiunto un compromesso per scorte limitate di petrolio e la Bielorussia ha quindi ricominciato la lavorazione del greggio proveniente dai giacimenti russi.

L’operatore russo Transneft, gestore del gasdotto dell’Amicizia (Družba), ha confermato il trasferimento di 133.000 tonnellate di petrolio in Bielorussia. Nondimeno, Belneftechim, compagnia petrolifera bielorussa, sostiene che il primo lotto di petrolio greggio proveniente dalla Russia sarà sufficiente per garantire un funzionamento non-stop delle raffinerie del paese solo per il mese di gennaio. Motivo che ha spinto Belneftechim a fare affidamento su fonti di sostentamento alternative come il giacimento norvegese di Johan Sverdrup, da cui il 22 gennaio è previsto l’arrivo di 88.000 tonnellate di petrolio.

Stando alle dichiarazioni di Anatolij Golomolzin, vicedirettore del Servizio federale antimonopolio della Federazione Russa (FAS) all’agenzia stampa Ria Novosti, le decisioni finali sulle tariffe di transito e il ripristino delle importazioni regolari verranno prese entro la fine di questo mese. Ad oggi, tuttavia, non è ancora stato raggiunto un accordo.

Divorzio diplomatico o Unione Statale?

La perpetrata disputa tra Russia e Bielorussia sembra stia portando i due paesi verso un divorzio, o almeno verso una grave contrazione della loro alleanza. Se da un lato Mosca pare essersi stancata del vecchio sistema, dall’altro le sue proposte di cambiamento non riescono a soddisfare gli interessi di Lukašenko, il quale potrebbe trovarsi costretto ad adattarsi a una futura vita senza il partner di lunga data. In tal caso, gli shock economici derivanti da un’improvvisa rottura col Cremlino sarebbero insostenibili per il leader bielorusso. Fino a che punto Minsk si impegnerà a rallentare il processo e a salvaguardarsi da eventuali rischi senza rinunciare alla sua sovranità rimane incerto.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102307


--- Citazione ---RUSSIA: Le riforme costituzionali di Putin non piacciono a tutti
Martina Napolitano 24 ore ago

Il pacchetto di riforme costituzionali annunciate dal presidente Vladimir Putin il 15 gennaio è stato approvato in prima lettura senza voti contrari alla Duma il 23 gennaio. L’11 febbraio è previsto il voto in seconda lettura. Questi i punti in cui si articola il pacchetto e sul quale probabilmente saranno chiamati a esprimersi i cittadini russi con un voto referendario:

Limitazione della preminenza del diritto internazionale su quello interno russo
Modifica della procedura di nomina del governo. Passa dal Presidente alla Duma il diritto di nominare ministri, premier e vice-premier
Modifica della procedura di nomina dei siloviki (i capi dei cosiddetti ministeri “forti” e dei servizi federali, delle forze armate e di sicurezza). Il Presidente li potrà nominare dopo essersi confrontato con il Consiglio federale (la camera alta)
Modifica del divieto di ricoprire la carica di Presidente oltre i due mandati consecutivi
Innalzamento dell’obbligo di residenza sul territorio della Federazione russa da 10 a 25 anni per chi ricopre la carica di Presidente
Divieto di cittadinanza straniera e permesso di soggiorno all’estero per giudici, capi dei soggetti federali, deputati, senatori, premier e ministri. Il Presidente non potrà aver avuto cittadinanza straniera, né permesso di soggiorno all’estero nemmeno in tempi precedenti alla sua nomina
Trasformazione del Consiglio di Stato da organo consultivo a organo costituzionale
Introduzione del diritto per il Consiglio federale di concerto con il Presidente di rimuovere dalla loro funzione i membri della Corte costituzionale e della Corte suprema
Introduzione del diritto per la Corte costituzionale, su volontà del Presidente, di verificare la costituzionalità delle leggi federali prima della firma del Presidente
Introduzione nel testo della Costituzione della perequazione delle pensioni e di una norma sul salario minimo
Benchè tutti i gruppi parlamentari presenti alla camera bassa del Parlamento si siano espressi a favore di queste modifiche alla Legge fondamentale dello stato russo, più voci critiche si sono alzate in seno alla società civile nelle ultime settimane – politici di opposizione, attivisti, giornalisti, politologi. Novaja gazeta ha pubblicato il 23 gennaio una lettera aperta/manifesto, già sottoscritto da oltre 14.000 persone, in cui gli autori criticano aspramente il pacchetto, sottolineandone i limiti e definendolo un vero e proprio “golpe costituzionale”, e invitano i cittadini a non sostenerlo. Ne riportiamo di seguito il testo tradotto (qui l’originale).

Manifesto dei cittadini russi contro il golpe costituzionale e l’usurpazione di potere

Oggi, noi cittadini della Federazione russa affermiamo che nel paese sotto i nostri occhi è in corso un golpe costituzionale, il cui obiettivo, siamo convinti, è per Vladimir Putin e per il suo regime corrotto quello di rimanere al potere a vita.

A questo fine è pensata l’attuale riscrittura speciale e illegale della Costituzione, annunciata da Putin il 15 gennaio come fosse una decisione già presa. Un annuncio che in appena 17 minuti ha sancito il destino della Russia. Le modifiche sono state preparate in cinque giorni.

Molti di noi hanno motivo di criticare l’attuale Costituzione. Tuttavia, modifiche al testo della Legge fondamentale dettate da interessi politici del momento vanno a demolire l’ultimo istituto chiamato a difendere la Russia da una totale usurpazione di potere. Uno stato stabile, democratico e sviluppato si basa su un principio del tutto opposto: la Costituzione va modificata in rari casi e dopo attenta disamina, mentre è l’entourage politico a cambiare con regolarità.

Oggi assistiamo a un attentato ai principi fondamentali dell’ordinamento statale, ai diritti costituzionali dei cittadini russi. E sebbene gli articoli della Costituzione dove sono sanciti tali principi e diritti non paiono interessati dalle modifiche annunciate, esse non soltanto li interessano, ma li contraddicono. Gli autori cancellano la priorità degli obblighi internazionali della Russia, eliminano l’autonomia della giurisdizione locale, limitano la suddivisione dei poteri, in primo luogo l’autonomia dei giudici, rinforzando all’interno della Legge fondamentale una pratica anticostituzionale di potere. Inoltre, sanciscono la nascita di un nuovo organo amministrativo statale non soggetto al controllo dei cittadini: il Consiglio di Stato.

È importante sottolineare che nel testo della Legge fondamentale vengono inserite intenzionalmente delle contraddizioni che conducono al caos legislativo e calpestano le basi dell’ordinamento statale. Inoltre, un tale cambiamento arbitrario, voluto in tutta fretta e furia, priva la Costituzione della sua caratteristica fondante: l’inalterabilità. Ciò solleva gli ostacoli per ulteriori modifiche dettate in base alla congiuntura politica del momento.

Noi riteniamo che, sotto forma di modifiche, ci sia presentato un golpe costituzionale. Proprio per questo motivo la modifica costituzionale avviene in tal fretta, su spinta di manipolazioni retoriche e giuridiche, senza una reale discussione con la società civile. Al posto di un’Assemblea costituente ci viene presentato un gruppo di lavoro similare formato da non specialisti. Al posto di un referendum ci propongono una “votazione federale” illegittima. Il fatto che si voti “a pacchetto” evidenzia che gli autori del golpe sono consapevoli che non tutte le modifiche da loro proposte piaceranno ai cittadini.

I cittadini si renderanno conto che la modifica illegittima della Costituzione andrà a peggiorare in maniera inevitabile e radicale la vita non solo della società presa come un tutto, ma anche quella del singolo, anche quella di chi si sente totalmente estraneo alla politica.

Alla società sono necessari:

– un reale avvicendamento politico, e non una redistribuzione apparente di poteri che garantisce il governo a vita di un unico individuo;

– il potere di influenzare le decisioni governative, e non di assistere soltanto a procedure poco trasparenti e incomprensibili;

– leggi non contraddittorie e uguali per tutti, che difendano i diritti dell’uomo e che aiutino ognuno a realizzarsi in accordo alle proprie possibilità, e non modifiche che vadano a limitare questi diritti e possibilità.

Proprio per questo noi, cittadini russi che sottoscriviamo questo manifesto, invitiamo tutti coloro che non sono pronti ad accettare l’usurpazione di potere da parte di Vladimir Putin, a unirsi alla nostra dichiarazione e a partecipare alla campagna sociale.

A nostro modo di vedere la procedura di votazione che viene prevista per queste modifiche costituzionali non è aperta e onesta. E il silenzio varrà come assenso. Se verremo chiamati a una tale votazione invitiamo tutti a dire NO a questo golpe costituzionale e all’usurpazione di potere.

Alla Russia servono reali cambiamenti, non la distruzione della statualità.
--- Termina citazione ---

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