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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102241


--- Citazione ---Diritti umani in Russia, Ucraina e Bielorussia: questi sconosciuti
Claudia Bettiol 1 giorno ago

L’organizzazione internazionale non governativa Human Rights Watch (HRW) ha recentemente pubblicato il suo rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani in quasi 100 paesi del mondo. Tra questi figurano anche Bielorussia, Russia e Ucraina, regioni alle porte d’Europa di cui ci occupiamo e dove i diritti umani rimangono ancora ben lontani dall’essere tutelati e difesi. Eppure, anche di fronte alle politiche repressive e agli scarsi risultati ottenuti, sono cresciuti attivismo e proteste, un coro di voci che si batte per chiedere giustizia e uguaglianza.

Bielorussia: tra pena di morte, repressioni e discriminazioni

Il capitolo dedicato alla Bielorussia di HRW si apre con la pena di morte. La patria di Aljaksandr Lukašenka è l’unico paese europeo a non aver ancora abolito questa pratica, nonostante le autorità bielorusse e il Consiglio d’Europa abbiano annunciato lo scorso agosto l’intenzione di sviluppare una tabella di marcia verso una moratoria sulla pena capitale. Tre sono le condanne a morte che sono state registrate nel 2019, a cui se ne è aggiunta una quarta lo scorso 10 gennaio con l’esecuzione dei due fratelli Ilja e Stanislav Kostev. Il verdetto, come sottolineano gli attivisti per i diritti umani, viene eseguito da un boia con un colpo alla nuca del condannato; la famiglia non viene informata né del luogo dell’esecuzione, né di quello di sepoltura.

HRW parla anche della mancata libertà di espressione, di informazione e di manifestazione nel paese, citando i ricorrenti attacchi ai giornalisti e le numerose discriminazioni nei confronti della popolazione rom e dei disabili. Il rapporto non fa alcun riferimento a repressioni specifiche nei riguardi della comunità LGBT, ma un recente articolo sul sito dell’organizzazione riporta il brutale attacco omofobico nei confronti del regista Nikolaj Kuprič (che ha prodotto un film su pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle persone LGBT dal titolo “Pussy Boys”), che gli ha provocato gravi perdite di memoria.

I diritti umani in Russia: cambiamenti insperati

La situazione dei diritti umani in Russia continua a mantenersi negativa e la lunghezza del capitolo dedicato da HRW lo dimostra. L’aumento dell’attivismo civile e delle proteste ha solo provocato l’ennesima ondata di repressioni, divieti e un inasprimento delle leggi e dei relativi procedimenti amministrativi e penali per motivi politici. L’esempio più recente è quello delle proteste di massa di Mosca della scorsa estate per le “elezioni pulite” alla Duma della città di Mosca. Ma il mancato rispetto dei diritti umani si spinge oltre la sfera prettamente politica e abbraccia anche la vita sociale: dall’ambiente alla vita domestica, dalla libertà di parola alle più diffuse discriminazioni xenofobe e omofobiche.

Le autorità russe hanno continuato a introdurre nuove restrizioni alla libertà di parola, anche online, adottando una legge sul controllo di Internet e una sugli “agenti stranieri“. Anche le persecuzioni religiose dei testimoni di Geova e l’oppressione ai tatari di Crimea (con più di 63 sentenze per atti terroristici) continuano senza sosta nelle repubbliche federali russe e nell’annessa penisola di Crimea.

L’unico raggio di luce nella questione dei diritti umani sembra esser stato rappresentato dai due scambi di prigionieri tra Russia e Ucraina avvenuti rispettivamente a settembre e dicembre 2019. Ma ciò non ha portato, comunque, alla fine del conflitto armato nell’est dell’Ucraina, né a un miglioramento delle condizioni dei rimanenti prigionieri politici rinchiusi nelle carceri russe.

Il focolaio ucraino

Sebbene ci sia stata una diminuzione delle vittime civili, la guerra in corso da 6 anni nei territori a est del paese rappresenta un rischio continuo per la popolazione civile. Un problema sottovalutato e che si aggiunge oggi a violenze e violazioni dei diritti di altra natura.

I media indipendenti continuano a subire pressioni. Da gennaio a luglio 2019 l’Istituto dei mass media (Institut Masovoi informacii) ha documentato almeno 12 casi di attacchi a giornalisti, di cui uno fatale; ha inoltre registrato decine di casi di minacce che ostacolano le attività professionali dei giornalisti. Intimidazioni e casi di violenza si sono verificati anche nei confronti del clero e dei credenti, soprattutto in seguito alla scissione delle due chiese ortodosse ucraine.

Le repressioni persistono anche nei confronti delle minoranze. La violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, sull’appartenenza etnica, linguistica e religiosa, sono tematiche che hanno attirato l’attenzione di moltissime associazioni e organizzazioni locali e internazionali, tra cui OSCE e ONU.

Diritti umani: parlarne per poterli tutelare

Questo trentesimo rapporto mondiale annuale di Human Rights Watch riflette il vasto lavoro investigativo che l’organizzazione indipendente, nata nel 1978, ha condotto durante l’anno in stretta collaborazione con attivisti locali e internazionali al fine di poter riassume le condizioni dei diritti umani nei diversi paesi. Rappresenta solo uno dei tanti modi che ci fanno aprire gli occhi nei confronti dei nostri vicini e capire quanto ancora c’è da lottare per i nostri diritti di base.

Le violazioni della libertà di parola e di movimento, le discriminazioni e i pregiudizi, le misure di sicurezza antiterrorismo e la pena di morte in Bielorussia, ai confini d’Europa, ci rivelano la faglia esistente tra la retorica dei diritti umani e la difficile realtà della loro applicazione.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-le-elezioni-si-avvicinano-cresce-la-pressione-sui-media-199409


--- Citazione ---Serbia: le elezioni si avvicinano, cresce la pressione sui media

La compagnia Telekom, di cui lo stato è proprietario di maggioranza, ha tolto dalla sua offerta via cavo TV N1, l’unica rete televisiva rivolta al grande pubblico che presenta anche posizioni critiche rispetto all'attuale maggioranza

31/01/2020 -  Dragan Janjić
La leadership al potere in Serbia, guidata dal presidente Aleksandar Vučić, esercita una pressione sempre maggiore sulle forze di opposizione che hanno annunciato di voler boicottare le prossime elezioni politiche e sui media che non sono controllati dalla coalizione di governo; Washington e Bruxelles sono fermamente contrarie all’idea del boicottaggio e hanno più volte invitato l’opposizione a rinunciare all’intenzione di non presentarsi alle prossime elezioni; le relazioni tra Serbia e Montenegro hanno toccato il punto più basso degli ultimi anni; l’opposizione serba continua a ripetere che in Serbia mancano le condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni eque e democratiche e non sembra disposta a riconsiderare la propria decisione di boicottare le prossime elezioni.

Così potrebbe essere descritta l’attuale situazione in Serbia, dove tra pochi mesi, probabilmente ad aprile, dovrebbero tenersi le prossime elezioni politiche.

L’opposizione serba ha ragione quando sostiene che fino ad oggi il governo non ha fatto praticamente nulla per garantire le condizioni per lo svolgimento di elezioni democratiche e che ormai non c’è più tempo per intraprendere alcuna seria azione in tale direzione, visto che mancano solo tre mesi al voto. Il problema principale, per quanto riguarda le elezioni, resta comunque quello di garantire la libertà di espressione e la parità di accesso ai mezzi di informazione durante la campagna elettorale.

Il governo a breve dovrebbe adottare una nuova strategia per i media, annunciata da quasi un anno, e probabilmente cercherà di presentare l’approvazione di questo documento come un’importante concessione nei confronti dell’opposizione. Tuttavia, un’eventuale decisione di approvare la nuova strategia per i media non può portare ad alcun cambiamento immediato, perché non si tratta di una legge bensì di un atto sulla base del quale verranno elaborate nuove leggi, che poi dovranno essere implementate.

Inoltre, la leadership al potere ha intrapreso una serie di azioni allo scopo di limitare ulteriormente la già scarsa possibilità dell'opposizione di raggiungere ampie fasce della popolazione. La società di telecomunicazioni Telekom Srbija – di cui lo stato è proprietario di maggioranza – ha recentemente eliminato dalla sua offerta di canali via cavo l‘emittente televisiva N1, che è praticamente l’unica grande emittente che dà spazio alle opinioni degli esponenti dell’opposizione e di altri oppositori del governo. Telekom ha motivato la sua decisione citando ragioni economiche e presunte incomprensioni con la società United Group, proprietaria dell’emittente N1, ma United Group ha smentito che ci siano state delle incomprensioni. Resta comunque il fatto che alla vigilia dell’avvio della campagna elettorale si cerca di limitare fortemente – strumentalizzando un’azienda pubblica – la visibilità di un importante mezzo di informazione, uno dei pochi non allineati al regime.

La direzione di N1 sostiene che, a causa della decisione di Telekom Srbija di rimuovere dalla sua offerta l’emittente N1, molte famiglie in Serbia sono state private del diritto a ricevere un’informazione obiettiva e che, per volere del partito di governo, in questo momento circa un milione di cittadini serbi abbonati ai provider di servizi via cavo gestiti da Telekom non hanno la possibilità di seguire il canale N1. Inoltre, il portale web dell’emittente N1, che rappresenta un’importante fonte di informazione indipendente, ormai da qualche giorno è bersaglio di ripetuti attacchi DDos ed è stato più volte oscurato.

Che l’intera vicenda abbia connotazioni politiche lo ha confermato implicitamente anche la premier serba Ana Brnabić, affermando che N1 si comporta come se fosse “un partito politico”, lasciando così intendere che al governo non piace il modo in cui l’emittente N1 fa informazione, e per questo sta cercando di metterla a tacere.

Kosovo
La questione del Kosovo attualmente non è al centro dell’attenzione pubblica in Serbia per il semplice fatto che non è ancora chiaro come evolverà la situazione, ovvero se e quando sarà formato un nuovo governo, oppure se dovranno essere indette nuove elezioni. La crisi kosovara – benché al momento meno presente nel dibattito politico (una situazione che giova alla coalizione di governo perché le permetterà di focalizzare la sua campagna elettorale su altri temi) – resta il fulcro della maggior parte dei problemi con cui si confronta la Serbia.

Appena sarà formato un nuovo governo kosovaro, Belgrado dovrà impegnarsi per accelerare i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, e questo implicherà anche la necessità di fare certe concessioni nei confronti di Pristina. Ed è per questo che l’attuale leadership serba auspica che la formazione del nuovo governo kosovaro venga rinviata ancora di qualche mese, cioè fino alle elezioni politiche in Serbia.

La maggior parte degli analisti di Belgrado ritiene che le aspettative di una normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, nutrite dalla comunità internazionale, siano il principale motivo per cui Vučić e la coalizione di governo godono ancora del sostegno dell’Occidente. A dire il vero, il governo serbo è stato spesso criticato dalla comunità internazionale per il deterioramento dello stato di diritto e per le pressioni esercitate sui media, ma le potenze occidentali non hanno mai posto alcun preciso ultimatum alla leadership di Belgrado e continuano a dirsi contrarie all’idea del boicottaggio delle prossime elezioni parlamentari da parte dell’opposizione serba.

L’ambasciatore statunitense a Belgrado Anthony Godfrey ha recentemente dichiarato che gli Stati uniti sono “preoccupati per il clima in cui si svolgeranno le elezioni in Serbia” e che l’attuale governo serbo, se vuole essere considerato un governo legittimo, deve garantire elezioni eque. L’ambasciatore Godfrey si è rivolto anche all’opposizione serba affermando: “A mio avviso, il boicottaggio delle elezioni priverebbe molti elettori della possibilità di far sentire la propria voce. Penso che ciò non sia giusto né produttivo”.

Questa affermazione dimostra che Washington (e sicuramente anche Bruxelles) ci tiene molto affinché il prossimo governo serbo sia non solo legale ma anche legittimo e che sia in grado di prendere decisioni importanti e serie e, al contempo, di attenuare eventuali tensioni che tali decisioni potrebbero innescare sulla scena politica serba. L’opposizione serba si sente schiacciata tra le richieste delle potenze occidentali e l’impossibilità di partecipare alle elezioni alle condizioni attuali, che ritiene completamente inaccettabili e inique, motivo per cui continua ad insistere sulla necessità di boicottarle.

Opposizione
Nelle loro reazioni alla netta presa di posizione dell’ambasciatore statunitense rispetto all’idea del boicottaggio, gli esponenti dell’Alleanza per la Serbia (SZS, la più grande coalizione dei partiti di opposizione in Serbia) hanno assunto atteggiamenti variegati, che vanno da una parziale comprensione a una rabbia esplicita. Nebojša Zelenović, leader del partito Insieme per la Serbia (ZZS) e sindaco di Šabac, ha interpretato la presa di posizione dell'ambasciatore statunitense come un segnale di preoccupazione perché nel caso in cui l’opposizione dovesse boicottare le prossime elezioni, il nuovo governo e il nuovo parlamento serbo non sarebbero in qualche modo legittimati a prendere decisioni di peso. “Capiamo completamente la dichiarazione del signor ambasciatore, capiamo anche la sua preoccupazione”, ha dichiarato Zelenović.

Dragan Đilas, leader del Partito della libertà e giustizia (SSP), ha reagito in modo molto più duro, affermando che a Godfrey “non importa” nulla del fatto che in Serbia le persone vengano picchiate e cacciate dal loro posto di lavoro e che i giornalisti vengano perseguitati. “L’importante è che colui che gode del vostro sostegno riconosca l’indipendenza del Kosovo e che concluda con le aziende provenienti dal vostro paese affari per svariati miliardi di euro senza alcuna gara d’appalto. Ed è per questo che tollerate tutto quello che fa, lo state lodando e ammirando, mentre centinaia di migliaia di persone se ne vanno dal paese”, ha scritto Đilas in una lettera aperta indirizzata all’ambasciatore Godfrey. A spingere Đilas a scrivere questa lettera è stata la decisione dell’ambasciatore Godfrey di partecipare a una trasmissione alla tv Pink che ormai da anni sta conducendo una dura campagna denigratoria contro l’opposizione.

La lettera di Đilas lascia intendere che una parte dell’opposizione serba vorrebbe che Bruxelles e Washington – a causa delle costanti violazioni dei principi democratici, il progressivo smantellamento dello stato di diritto e le limitazioni imposte alla libertà di espressione da parte del regime di Vučić – mettessero da parte la questione del Kosovo, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla maggior parte dei paesi occidentali. Questo, ovviamente, non accadrà e non può accadere e proprio la sopracitata frase della lettera di Đilas rivela uno dei principali motivi per cui l’opposizione serba non gode di grande sostegno da parte dell’Occidente. Perché se le potenze occidentali hanno già ricevuto da Vučić una promessa in merito alla soluzione della questione del Kosovo – una soluzione che sia in linea con gli interessi e con la politica dell’Occidente – , allora non hanno alcun motivo di appoggiare l’opposizione serba, che non ha mai assunto un chiaro atteggiamento nei confronti della questione del Kosovo.

L’opposizione serba capisce perfettamente che per l’elettorato serbo quella del Kosovo è ancora una questione molto delicata e sta cercando di sfruttare tale situazione per indebolire la posizione di Vučić, che si trova costretto a rispondere alle richieste di ulteriori concessioni nei confronti di Pristina. Tale strategia dell’opposizione potrebbe rivelarsi utile a breve termine, ma è difficilmente compatibile con una prospettiva più ampia, ovvero con i rapporti di forza nella regione e con gli interessi dei principali attori internazionali. L’opposizione serba è sicuramente consapevole del fatto che difficilmente potrà incidere sulla risoluzione della questione del Kosovo, ma non sembra disposta di ammetterlo pubblicamente né di definire una piattaforma comune allo scopo di avvicinare la propria posizione a quella di Bruxelles e Washington.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-curarsi-missione-impossibile-176359


--- Citazione ---Bosnia Erzegovina: curarsi, missione impossibile

Non è un segreto, in Bosnia servono regali o bisogna conoscere qualcuno per ricevere cure adeguate. E a volte non basta. Reportage nei meandri di un sistema sanitario al collasso

28/12/2016 -  Mersiha Nezić
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 14 dicembre 2016)

“Se non avessi dato del contante a medici e infermiere, non avrebbero neppure dato uno sguardo a mio padre quando era in ospedale”, afferma desolata Edina. Quest'insegnate di quarant'anni è categorica: per ricevere cure occorre distribuire bustarelle, pratica ereditata dal periodo comunista. “Tutte le volte che ho avuto a che fare con medici ho dovuto far loro dei regali, portare del cioccolato o bottiglie di liquore”, conferma, seduto ad un caffé Emir, pensionato di Sarajevo.

Secondo la classifica redatta da Transparency International  , la Bosnia Erzegovina ha uno dei tassi di corruzione più elevati d'Europa e la sanità è uno dei settori più colpiti da questo flagello. “I pazienti sono talmente abituati alle bustarelle quando vanno dal medico o in ospedale, che si presentano spontaneamente dal personale curante con soldi o regali”, s'indigna Ivana Korajlić, responsabile dell'organizzazione internazionale a Banja Luka.

I medici bosniaci - dal canto loro sono - molto sensibili a queste “offerte”, dato che guadagnano tra i 550 e i 750 euro al mese. Salari bassi che provocano, da dopo la guerra, la fuga dal paese dei professionisti del settore medico. Nel 2015 360 medici generici hanno abbandonato la sola Federazione di Bosnia Erzegovina (una delle due entità che costituiscono il paese, ndr).

Ma tutti i bosniaci sanno ormai bene che le mance non bastano più a farsi curare dignitosamente. “Sono riuscito a farmi operare rapidamente perché avevo i contatti giusti”, racconta Emir. Avere una “talpa” diviene necessario per ottenere un appuntamento con uno specialista in tempi ragionevoli. Esma, ingegnere di Sarajevo di 36 anni, ne ha fatto amara esperienza: è solo grazie a buoni contatti che ha ottenuto il ricovero in ospedale di sua madre. All'inizio le era stato risposto. “Perché ricoverarla? E' vecchia e noi abbiamo bisogno di letti”.

Odissee nel sistema sanitario
Anche Esma è stata vittima delle carenze del sistema sanitario bosniaco, piombato nella paralisi amministrativa. Qualche anno fa una violenta emicrania la colpì. Prima tappa: l'ambulatorio, passaggio obbligato per tutti i bosniaci, altra eredità della Jugoslavia socialista. Lì per prima cosa dovette convincere un'infermiera a fare in modo che un medico la visitasse, dalla diagnosi di quest'ultimo però non emerse nulla di grave. Esma rimase però preoccupata e insistette sino ad ottenere una visita specialistica. Esami, radiografie, analisi del sangue durarono settimane. Infine le venne diagnosticato un aneurisma celebrale. Ma alla ragazza venne detto che il suo caso non aveva priorità e che avrebbe dovuto pazientare sei mesi prima di poter essere operata. Esma decise allora di andare all'estero. Lo specialista sloveno che la visitò la fece operare d'urgenza. “Mi spiegò che se avessi aspettato qualche giorno in più sarei morta”, racconta.

Dopo aver raccolto 10mila euro per l'operazione e a sole 48 ore da quest'ultima, la giovane donna ha dovuto affrontare un'ulteriore difficoltà: l'impossibilità di effettuare un bonifico su un conto estero senza un'autorizzazione del ministero delle Finanze bosniaco. “Si possono fare bonifici per un massimo di 2500 euro, ho dovuto coinvolgere amici, cugini, vicini di casa... e ho impiegato un anno per riprendermi da questa vicenda”.

Esma, funzionaria di alto livello di un'organizzazione internazionale, fa parte di una classe privilegiata. Guadagna molto più del salario medio bosniaco, che si aggira poco sopra i 300 euro al mese, in una paese dove metà della popolazione è senza lavoro. Secondo un recente studio, un terzo dei bosniaci vive al di sotto della soglia di assoluta povertà. E chi si ammala si ritrova all'inferno. “Se vostro figlio viene ricoverato, dovete portarvi tutto da casa, dalla carta igienica ai medicinali, passando per i condimenti per il cibo. Nei nostri ospedali non c'è nulla. Nemmeno dei fazzoletti”, s'indigna Nina. Proprietaria di un bar “che funziona bene”, questa trentenne aiuta altre persone che non hanno risorse per ottenere delle cure. Gestisce una pagina su Facebook, “Pretty Women”, alla quale sono iscritte migliaia di donne bosniache che si sono coalizzate per venire in aiuto a propri familiari per sostenere le spese ospedaliere o per acquistare dei medicinali. “Attualmente stiamo aiutando la madre di un bambino che soffre di epilessia. Il trattamento costa 150 euro al mese, somma che lei non può avere guadagnando 250 euro come cassiera di un supermercato”.

Sui social media le richieste di aiuto pullulano. I bosniaci si vengono in aiuto anche per permettere a pazienti colpiti da patologie gravi, come ad esempio alcuni tumori che non possono essere curati nel paese, di farsi curare all'estero. Austria, Germania e Turchia sono le destinazioni più frequenti. “La sicurezza sociale rimborsa molto poco, solitamente meno di un quarto di operazioni assai complesse”, sottolinea Nina.

La media delle pensioni è di soli 170 euro e quindi gli anziani hanno grandi difficoltà nel procurarsi i medicinali di cui hanno bisogno. Hatidja, 75 anni, dipende ad esempio dall'aiuto di sua figlia, emigrata in Austria. “Mi invia 50 euro ogni mese. Compero i medicinali in una farmacia di Istočno Sarajevo, nell'entità serba: è un po' meno cara”.

"Oltre ogni immaginazione"
I prezzi dei medicinali in effetti non sono gli stessi nelle due entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina. Ciascuna ha un proprio ministero della Salute e a loro volta i dieci cantoni di cui è costituita una di queste entità, la Federazione, hanno a loro volta propri ministeri della Salute. Esiste un elenco federale dei farmaci che dovrebbero essere rimborsati, ma non tutti i cantoni hanno budget a sufficienza per rispettarla. Gli abitanti di Sarajevo sono quelli più fortunati, perché si tratta del cantone più ricco della Federazione. “I miei genitori abitano a Livno, devono pagare di tasca propria medicinali che invece a Sarajevo sono gratuiti”, spiega Fatima Insanić-Jusufović, una farmacista di Sarajevo. “Solo un terzo dei farmaci che a Sarajevo sono gratuiti lo sono anche a Livno”.

Qualsiasi sia il cantone o l'entità, i bosniaci devono in ogni caso pagare i medicinali di più di quanto non avvenga nei paesi vicini. I prezzi dovrebbero abbassarsi almeno di un 10%, secondo quanto sta cercando di ottenere la Banca Mondiale condizionando un proprio prestito all'armonizzazione dei prezzi con quelli del resto della regione.

Altra assurdità: i bosniaci che desiderano o devono farsi curare in un cantone o entità diverso da quello di residenza devono espletare un lungo iter burocratico. “All'epoca della Jugoslavia può darsi si offrissero regali ai medici, ma se si voleva si poteva anche ottenere cure gratuite e dove si desiderava, dalla Slovenia alla Macedonia, con libretto sanitario rosso” sospira Hatidja. “Il sistema attuale è oltre ogni immaginazione”.
--- Termina citazione ---

Vicus:
Però in Croazia si è sviluppato un turismo medico low cost

Duca:
Anche in Slovenia, ma ricordo già dai tempi della Jugo.

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