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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102437
--- Citazione ---Una città bulgara è senz’acqua da tre mesi
Raffaele Mastrorocco 1 giorno ago
Il festival Surva è una famosissima ricorrenza che si tiene tutti gli anni a fine gennaio a Pernik, in Bulgaria, e che vede maschere del folklore bulgaro risalenti ai tempi pagani sfilare per le vie della cittadina. Di portata internazionale con visitatori da tutto il mondo, quest’anno il festival si sarebbe dovuto tenere tra il 24 e il 26 gennaio ma è stato cancellato a causa di una grave crisi idrica che ha colpito Pernik e i paesi vicini. Sono ormai tre mesi che i cittadini di Pernik sono sottoposti a restrizioni per l’utilizzo dell’acqua e la scarsità dell’approvvigionamento idrico nella zona ha costretto le autorità locali a cancellare, per la prima volta da quando fu istituito nel 1966, l’edizione annuale del festival.
Gravi pericoli per la salute, arrestato il Ministro dell’ambiente
A partire dal 18 novembre scorso, le autorità locali di Pernik hanno ridotto l’uso dell’acqua prima a 10 ore al giorno e poi a 8, per un periodo previsto inizialmente di 5 mesi e che interessa più 100.000 persone. La decisione è stata presa a causa del livello criticamente basso delle fonti idriche presente nella diga Studena, di proprietà statale e che quotidianamente rifornisce tutta l’area. A inizio gennaio il ministro della salute bulgaro ha visitato la città e analizzato a fondo il problema valutando che la mancanza d’acqua nella zona avrebbe potuto comportare gravi rischi per la salute dei cittadini e causare la diffusione di malattie. Da lì, l’annullamento del festival Surva ma anche l’arresto del ministro dell’ambiente e dell’acqua bulgaro, Nino Dimov. Inizialmente fermato per 24 ore, poi per 72 ma tuttora in arresto, Dimov è accusato di cattiva amministrazione delle risorse idriche cittadine e di aver violato deliberatamente le leggi sulla gestione dei rifiuti e sulla protezione ambientale. Secondo l’accusa, Dimov avrebbe permesso alle industrie della zona di utilizzare le scorte d’acqua del bacino di Studena, unica fonte d’approvvigionamento d’acqua di Pernik, nonostante fosse a conoscenza del suo stato critico. Per più di un anno e mezzo dall’inizio del 2018, il ministro veniva informato mensilmente dal capo della compagnia di fonti idriche e fognature sullo stato della diga, permettendo però l’utilizzo dell’acqua a scopi industriali. Ogni mese autorizzava la Stomana industry, acciaieria di notevoli dimensioni nei pressi di Pernik, e la compagnia distrettuale per il riscaldamento ad accedere alle risorse idriche della diga, in alcune mensilità addirittura in quantità maggiori del necessario.
L’ormai ex ministro si è dimesso il 10 gennaio, qualche giorno dopo l’arresto, e ora rischia tra i due e gli otto anni di carcere. Le indagini hanno coinvolto anche Irina Sokolova, già governatrice distrettuale a Pernik e affiliata al partito GERB del primo ministro bulgaro Boyko Borisov, Ivan Vitanov, l’ex direttore della compagnia che gestisce le fonti idriche e fognature della città, e Vera Tserovksa, ex sindaca di Pernik anche lei del partito di Borisov. Nonostante ciò, quest’ultimi sono stati coinvolti solamente come testimoni al momento e a loro carico non sarebbero presenti alcune accuse.
Da Sofia arriva una soluzione temporanea
Il 15 gennaio l’Assemblea Nazionale bulgara ha accettato le dimissioni di Neno Dimov e eletto il nuovo ministro dell’ambiente e dell’acqua, Emil Dimitrov, nomina che segna la nona modifica della composizione del gabinetto di Borisov dalle elezioni del 2017. Conosciuto per esser stato a capo dell’agenzia delle dogane bulgara tra il 2001 e il 2005 durante il governo di Simeon Sakskoburggotski, Dimitrov non ha alcuna esperienza in materia di protezione ambientale. Per questo è stato fortemente criticato dai partiti di opposizione ma è riuscito ugualmente a ottenere la nomina e il sostegno del governo; attualmente è membro della coalizione di estrema destra Patrioti Uniti, dal quale proveniva anche Dimov, che insieme a GERB governa il paese.
Nel frattempo, la crisi idrica sembrerebbe aver trovato una soluzione, almeno momentanea. Pernik tornerà presto ad essere rifornita d’acqua proveniente però dalla diga Belmeken, la cui acqua passerà attraverso la diga Beli Iskar per poi attraversare la rete idrica di Sofia e che infine porterà a Pernik 700.000 litri al mese. La decisione presa alla riunione del Consiglio dei ministri tenutasi il 18 gennaio non intaccherà in alcun modo gli abitanti della capitale, come ha affermato la sindaca di Sofia Yordanka Fandŭkova, ed è la scelta più conveniente in quanto dista solamente circa 30 km da Pernik. In ogni caso, l’acqua proveniente da Belmeken arriverà alle case di Pernik solamente per due mesi, periodo stimato per permettere a Studena di riempirsi di nuovo a sufficienza. Il collegamento della rete idrica tra le due città si stima che impiegherà tra i 35 e i 45 giorni per essere costruito, ma nel frattempo la Studena si stima che toccherà il punto più critico tra un mese scarso.
Mentre la corsa contro il tempo inizia per evitare che la situazione peggiori ulteriormente, il dibattito sulla questione viene politicizzato dall’opposizione incarnata dal partito socialista BSP e dalla sua veemente leader Kornelia Ninova. La Ninova non ha mancato l’occasione per accusare il governo di non essere in grado di gestire le risorse ambientali e idriche del paese e ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti del governo. La mozione, la quarta del terzo governo di Borisov, non riesce però a far virare il dibattito sulla necessità nazionale di proteggere l’ambiente dalla corruzione prorompente nel paese e dagli interessi economici. Piuttosto, sembrerebbe essere l’ennesimo tentativo della Ninova di portare Borisov alla sconfitta politica. In un paese in cui l’ambiente è la prima vittima di un sistema corrotto, molte sono le domande che non trovano risposta. La più importante è la seguente: perché la Stomana industry avrebbe avuto accesso a tutte quelle risorse idriche senza una necessità imperativa? Tuttavia, l’incapacità o la scarsa volontà politica non permettono al dibattito pubblico di alzare la testa e affrontare la questione. Quindi, nel frattempo, gli abitanti di Pernik aspettano l’acqua.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102100
--- Citazione ---CINEMA: Il backgammon come metafora della vita in Bulgaria
Giorgia Spadoni 24 ore ago
Per le vie di un paesino da qualche parte in Bulgaria, una lesta signora si aggira alla ricerca di zucchero. È una mattina di metà settembre del 1975. Dopo aver chiesto invano ad un paio di negozi, vuoti, salta impunemente la lunga fila davanti al terzo per accaparrarsi il prezioso ingrediente, arrivato direttamente da Cuba.
Il film del regista bulgaro Stephan Komandarev Il mondo è grande e la salvezza si nasconde dietro l’angolo (Svetăt e goljam i spasenie debne otvsjakăde) inizia con una delle immagini della realtà oltrecortina rimasta stampata nella memoria comune dei più, quella delle lunghe file davanti ai negozi di alimentari, in carenza cronica dei beni di consumo primari.
In Bulgaria lo zucchero spesso mancava dagli scaffali negli anni Settanta, soprattutto in autunno, quando la richiesta era maggiore, per preparare conserve e alcolici in vista della stagione fredda.
Non solo zucchero
Questo è appena uno dei tanti spaccati della Bulgaria dell’epoca che la pluripremiata pellicola di Komandarev offre allo spettatore.
Basato sull’omonimo romanzo dello scrittore bulgaro-tedesco Ilija Trojanow, il film racconta la storia di Aleksandăr Georgiev (Carlo Ljubek, attore tedesco-croato che se la cava con un bulgaro credibilissimo), figlio di bulgari emigrati in Germania negli anni Ottanta.
Unico superstite del violento incidente stradale in cui muoiono i genitori, è colpito da amnesia totale. Il nonno, Yordàn detto ‘Baj Dan’ (Miki Manojlović, poliedrico talento del cinema jugoslavo), raggiunto il nipote, decide di coinvolgerlo in un viaggio a ritroso, verso la Bulgaria, per aiutarlo a recuperare la memoria.
Da che parte stare
Alternando presente e analessi, il lungometraggio fornisce allo spettatore un’accurata e inedita prospettiva su tre generazioni di storia bulgara: da una parte la morsa pervasiva del governo totalitario, e dall’altra la controffensiva degli oppositori, tra cui il nonno e il padre di Aleksandăr, Vasko.
Il primo, richiamato in patria per aver preso parte alla rivoluzione ungherese, fa esplodere una statua di Stalin; graziato, passa 15 anni in carcere. Il secondo, dopo aver pestato un superiore durante la leva militare, viene recluso per sei mesi e cacciato dal Komsomol, la Gioventù comunista, ma riesce comunque ad ottenere un diploma e poi un impiego, presentando referenze false.
Il fragile equilibrio dei Georgievi crolla quando la finta facciata perbenista di Vasko viene smascherata, e un agente della DS (il Comitato per la sicurezza di stato) lo invita a collaborare con il governo per mantenere il posto, riportando per iscritto tutti i movimenti del suocero. Baj Dan, infatti, continua a farsi beffa del regime con i suoi coetanei, nel bar in cui passano le giornate a giocare a backgammon, attività proibita dal regime.
Il dilemma morale imposto al capofamiglia apre la strada ad un altro capitolo drammatico della storia assolutista, non solo bulgara: l’emigrazione, il mettere in gioco la propria dignità nella speranza di un futuro migliore in cambio. Rifiutandosi di diventare un delatore, Vasko decide di fuggire dal Paese con la moglie e il figlio, verso la Germania.
Dopo aver attraversato la frontiera con l’Italia, però, i tre rimangono bloccati nel Centro regionale profughi di Trieste, costretti a vivere in condizioni mediocri. Il backgammon diventa così l’unica via di uscita, la possibilità di racimolare la cospicua somma necessaria per farsi portare oltreconfine illegalmente dai corrieri clandestini.
Il Re del Backgammon
Il gioco del backgammon, illecito e originale fil rouge del film, unisce le tre generazioni ed appare nei momenti chiave della storia. Simbolo di dissenso e libertà, è metafora della vita umana, in cui sorte e intelligenza concorrono in egual misura a determinarne i risvolti.
Qualunque siano i presupposti iniziali, nessun destino è già scritto, nemmeno per chi, come Aleksandăr Georgiev, viene al mondo in un momento ostile, “da qualche parte nei Balcani, dove l’Europa finisce senza mai iniziare”, perché la salvezza può celarsi dietro ad ogni angolo.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102833
--- Citazione ---La Romania è nel caos…di nuovo
Francesco Magno 2 giorni ago
Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso
Lo scorso 5 febbraio il governo del partito nazional-liberale guidato da Ludovic Orban – entrato in carica lo scorso ottobre – è stato sfiduciato in Parlamento a seguito di un voto richiesto dal partito social-democratico (PSD), costringendo il presidente della Repubblica Klaus Iohannis ad avviare il necessario iter per la formazione di un nuovo esecutivo. Dopo un rapido giro di consultazioni, il capo dello Stato ha conferito l’incarico nuovamente ad Orban, che lunedì 10 febbraio ha presentato alle camere la lista dei nuovi ministri in attesa del voto di fiducia per il quale, tuttavia, sono necessari i voti del PSD, che detiene ancora la maggioranza relativa dei seggi. E’ difficile ipotizzare che i social-democratici possano dare il loro beneplacito ad un governo che hanno abbattuto meno di una settimana prima. Com’è probabile, Orban non riceverà la fiducia e la palla tornerà ancora a Iohannis che darà a Orban nuovamente l’incarico, sperando in un’ulteriore sfiducia. Al secondo tentativo fallito di dar vita ad un esecutivo, infatti, le camere devono essere sciolte e vengono indette elezioni anticipate, quello a cui Iohannis e tutto il PNL aspirano da settimane. Una matassa intricata, colma di bizantinismi e negoziazioni trasversali, che cerchiamo di dipanare nelle prossime righe. Quale sono le posizioni dei grandi attori in campo? Quali i loro obiettivi?
I liberali vogliono votare
Il PNL, al governo da ottobre, vuole capitalizzare il consenso di cui gode secondo tutti i sondaggi nazionali; Iohannis, il vero leader del partito, vuole andare a votare il prima possibile, per evitare che una permanenza troppo lunga al governo possa lentamente erodere il credito ottenuto. Anche per accelerare la sua stessa caduta l’esecutivo ha proposto una nuova legge sulle elezioni dei sindaci, eliminando l’attuale sistema a turno unico per introdurre un doppio turno con ballottaggio tra i due candidati più votati. Un cambiamento da sempre osteggiato dal PSD, che da anni ormai basa il suo successo alle consultazioni locali soprattutto sulle divisioni delle opposizioni. In uno spettro politico che si sta configurando in modo sempre più tripolare, con due forti partiti di centro-destra (PNL e USR-Plus) da una parte e i social-democratici dall’altra, un’elezione a doppio turno porterebbe indubbiamente le destre a coalizzarsi ai ballottaggi in funzione anti-PSD, distruggendo quel ramificato sistema di potere regionale e provinciale che da decenni costituisce la vera forza del partito. Orban era consapevole che la proposta di legge avrebbe portato il PSD a sfiduciarlo, e ha forzato la mano sperando proprio di creare una situazione di impasse, dalla quale uscire soltanto attraverso l’indizione delle elezioni anticipate.
E se ci fosse un’intesa segreta?
Gli osservatori più maliziosi sostengono che vi sia in realtà un’intesa di fondo tra PNL e PSD; quest’ultimo avrebbe accelerato la caduta del governo e la convocazione delle elezioni dopo aver ricevuto dai liberali la promessa di non introdurre l’elezione a doppio turno tramite decreto-legge. Secondo altri analisti, pur di scongiurare le anticipate, che lo vedrebbero quasi sicuramente sconfitto, il PSD potrebbe addirittura votare la fiducia a Orban quando questi si presenterà per la seconda volta in Parlamento, costringendolo così ad avviare l’attività di governo e ritardare le elezioni. Si tratterebbe di una situazione folle e paradossale, in virtù della quale un esecutivo liberale si ritroverebbe sostenuto dai social-democratici con l’unico scopo di non andare a votare.
Le aspirazioni di Iohannis
Nel caso in cui, come spera Iohannis, Orban non dovesse ricevere la fiducia, le date più probabili per le elezioni sarebbero il 14 o il 21 giugno. In realtà, la strada verso il voto anticipato è ancora tortuosa e dissestata, e non è detto che si possa giungervi. Sono giorni di negoziazioni e trattative serrate condotte nelle segrete stanze del potere bucarestine. Il perno rimane, di fatto, il presidente della Repubblica, l’uomo politico più forte del paese: Iohannis vuole avere un “suo” governo sorretto da una forte maggioranza parlamentare, così da poter implementare senza ostacoli nei prossimi cinque anni del suo mandato tutte le promesse fatte durante le presidenziali dello scorso novembre. E’ difficile dire, allo stato attuale, se ci riuscirà.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/102507
--- Citazione ---RUSSIAGATE: Le ombre di un oligarca dietro lo scandalo
Guglielmo Migliori 5 ore ago
Lo scorso 28 gennaio, il dipartimento del tesoro degli Stati Uniti ha deciso di revocare le sanzioni a tre società industriali russe. Nonostante l’opposizione della Camera, il pressing di Trump e della maggioranza repubblicana al senato è riuscito – non senza polemiche – a far passare la mozione e renderla effettiva. Le sanzioni americane, ben lungi dalla cessazione o da un eventuale ammorbidimento, hanno quindi graziato il gigante dell’alluminio RusAl, secondo produttore al mondo, e le compagnie energetiche EuroSibEnergo ed En+– tutte accomunate, sino al 2018, dal controllo diretto del magnate russo Oleg Deripaska, una figura in controluce che pare essere coinvolta nello scandalo del Russiagate.
Chi è Oleg Deripaska?
Arricchitosi a tempo di record negli anni ’90, nell’epoca sregolata delle privatizzazioni, grazie a incredibili movimenti speculativi nel mercato delle risorse minerali, Deripaska ha poi fondato il gruppo industriale Basic Element, instaurando rapporti preferenziali con l’establishment politico-industriale moscovita. Nel 2004, il magnate è stato cooptato all’interno del Consiglio consultivo per il business e la cooperazione economica Asia-Pacifico (ABAC) tramite nomina presidenziale. Dal 2007 è inoltre vicepresidente dell’Unione russa degli industriali e imprenditori – equivalente della nostra Confindustria – nonché presidente della Camera internazionale del commercio e di svariate altre agenzie governative.
Incredibilmente danneggiato dalla crisi del 2007-08 e dalle sanzioni americane del 2014, che hanno più che dimezzato il suo enorme patrimonio finanziario, l’oligarca russo-cipriota aveva già avuto problemi con le autorità statunitensi. Accusato di essere coinvolto nei traffici criminali delle “Guerre dell’Alluminio” negli Anni ’90, gli fu negato il visto statunitense già nel 1998. Nonostante le nette smentite da parte del suo entourage, Deripaska non fu in grado di recarsi regolarmente negli Stati Uniti fino al 2009, quando l’avvocato e lobbista statunitense Adam Waldman, pagato oltre 40mila dollari al mese dall’oligarca per assisterlo legalmente nella procedura di ottenimento di visti e permessi commerciali, riuscì a persuadere le autorità competenti.
Come se ciò non fosse bastato a gettare ombra sulla sua figura, nel 2016 l’oligarca è finito nell’occhio del ciclone. Tacciato da Aleksej Navalnyj di aver corrotto il vice-primo ministro russo Sergej Prichodko, paparazzato sullo yacht di Deripaska a discutere delle incombenti elezioni americane, il magnate è stato sottoposto al regime sanzionatorio di Washington. Secondo il rapporto Horowitz, l’oligarca sarebbe infatti uno dei principali indiziati nello scandalo Russiagate.
Le ombre dello scandalo Russiagate
Nello specifico, il nome di Oleg Deripaska è stato ripetutamente collegato a quello di Paul Manafort, responsabile della campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 e già collaboratore del tycoon in Ucraina tra il 2005 e il 2009. Secondo i documenti del dossier incriminato, Manafort, oggi in carcere per frode fiscale e intralcio all’inchiesta giudiziaria del procuratore generale Robert Mueller, avrebbe ricevuto 10 milioni di dollari da un fondo d’investimento dell’oligarca vicino al Cremlino.
A seguito di tutto ciò, Deripaska era infine stato “costretto”, lo scorso aprile, a dimettersi dal CdA di En+ e ridurre le sue quote di partecipazione azionaria in RusAl dal 70% a poco meno del 45%. Il temporaneo passo indietro del magnate della città di Dzeržinsk, almeno per il momento, ha permesso al colosso nato dall’entente con Roman Abrahamovič di sopravvivere a un periodo di gravi ristrettezze di bilancio.
A quanto pare, però, i capitali personali di Deripaska, ritenuto coinvolto “nelle attività nocive del Cremlino e nel tentativo di sovvertire la democrazia occidentale”, rimarranno tuttavia bersaglio delle sanzioni statunitensi, imposte lo scorso aprile a 23 imprenditori russi accusati di “minacciare la vita dei rivali in business, avere intercettato illegalmente un funzionario governativo, e aver partecipato in episodi di estorsione e racket”.
In aggiunta, i deputati democratici avversi all’iniziativa presidenziale hanno ritenuto insufficienti le misure imposte a Deripaska per aggirare le sanzioni, meri pro forma incapaci di modificare sostanzialmente gli assetti societari delle tre compagnie. Come sottolineato dai deputati dell’opposizione, infatti, il magnate russo sarebbe ancora in controllo indiretto della maggioranza assoluta degli stock azionari grazie alle quote affidate all’ex moglie Polina e all’ex suocero Valentin Jumašev, direttore dell’amministrazione presidenziale all’epoca di Boris Eltsin.
Un tentativo di aggirare le sanzioni?
La revoca delle sanzioni ai tre colossi industriali russi, pur non modificando sostanzialmente la linea d’azione statunitense verso la Russia, rinforza dunque i sospetti sul legame – più o meno evidente – instaurato dal Cremlino con numerose forze politiche, tra le quali figurano numerosi partiti europei e la cosiddetta “internazionale sovranista” di Donald Trump e Mike Pence.
Come affermato dal procuratore generale Rober Mueller, a capo dell’indagine speciale sullo scandalo Russia-Gate, gli esiti del rapporto finale “non concludono che il presidente abbia commesso un crimine, né, tuttavia, lo esonera”. Pertanto, la contro-inchiesta che prenderà piede nei prossimi mesi, insieme a quanto prospettato dallo stesso Mueller – ossia che Trump possa essere incriminato allo scadere del mandato – lascia intuire che in un futuro non troppo prossimo venga gettata nuova luce sulla vicenda.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Azerbaijan/Elezioni-in-Azerbaijan-trucchi-e-magie-del-regime-199570
--- Citazione ---Elezioni in Azerbaijan, trucchi e magie del regime
Le elezioni politiche tenutesi lo scorso 9 febbraio in Azerbaijan non possono che far pensare a trucchi e magie, purtroppo però non si è trattato né di un film fantasy né di uno spettacolo di prestidigitazione, bensì dell'ennesima dimostrazione di autoritarismo in stile Aliyev
12/02/2020 - Arzu Geybullayeva
La magia è ciò che viene in mente quando si cercano le parole giuste per descrivere le elezioni anticipate di domenica 9 febbraio in Azerbaijan. Immaginiamo un bambino che cerca di fare colpo sugli spettatori con un nuovo trucco. Ora pensiamo ad un'urna che viene svuotata sul tavolo di un seggio. Il bambino attira la tua attenzione mormorando le parole magiche, "Abracadabra", "Hocus Pocus" o "Bibbidi-bobbidi-bu!" e, all'improvviso, qualcosa appare in superficie. Ora torniamo a quel tavolo e alle schede che determineranno i 125 membri del prossimo parlamento. E lì, in pochi secondi, compaiono da sotto il tavolo nuove schede che si mescolano rapidamente alla pila appena uscita dall'urna. E questa volta, invece di battere le mani e fare una standing ovation per il piccolo trucco a cui abbiamo appena assistito, ci mettiamo le mani nei capelli, ci mangiamo le unghie e urliamo increduli perché proprio lì, davanti ai nostri occhi, è appena avvenuta una frode elettorale.
Questione di punti di vista
Così alcuni osservatori e candidati indipendenti in corsa per il Parlamento si sono sentiti mentre assistevano alle ennesime elezioni truccate. Così, il 9 febbraio, adulti che fanno gli insegnanti e i presidi hanno preso il posto dei bambini, fingendo di fare una magia, ma non era una magia.
Bisogna riconoscere l'intraprendenza delle autorità. Il presidente Aliyev e la Commissione elettorale centrale (CEC) hanno dimostrato di avere molti altri assi nella manica. Ambulanze che trasportavano elettori da un collegio all'altro, membri dei Comitati elettorali che tentano di soffocare un osservatore indipendente, balli nei seggi al suono di tamburi, funzionari elettorali scomparsi con le schede verso destinazioni ignote, elettori risorti che i familiari giuravano di aver seppellito personalmente mentre il personale del seggio si rifiutava di accettarne la perdita, schede depositate anche dopo la chiusura ufficiale delle votazioni, telecamere ai seggi coperte con documenti o nastro adesivo e via così.
Ma torniamo un attimo indietro.
Il 28 novembre, alcuni parlamentari azerbaijani avevano chiesto al presidente Aliyev di sciogliere le camere in quanto non in grado di attuare pienamente le riforme previste. Una settimana dopo il presidente, con la benedizione della Corte costituzionale, aveva firmato un decreto che liberava i legislatori dalle loro funzioni. Le elezioni, originariamente previste per novembre 2020, erano state anticipate al 9 febbraio.
I 125 parlamentari sono eletti da collegi elettorali a mandato unico per un periodo di cinque anni. Il 9 febbraio non è stato possibile organizzare le elezioni in un totale di 10 collegi elettorali, territori attualmente occupati a causa del conflitto in corso con l'Armenia. Circa 5,2 milioni di elettori sono stati registrati per votare (anche se i cittadini in età da voto secondo il Comitato statistico statale sono circa 2 milioni in più). Le elezioni sono gestite dalla Commissione elettorale centrale (CEC), 125 Commissioni elettorali locali (ConEC) e 5.573 Commissioni elettorali di seggio (PEC).
In totale, all'inizio della campagna sono stati registrati 1.637 candidati. Tuttavia, 313 si sono ritirati. Tra questi c'è chi ha giustificato la scelta affermndo di sostenere altri candidati, chi ha rifiutato di commentare e chi ha dichiarato di essere stati spinti dalle autorità locali a ritirarsi, il che è in contrasto con il paragrafo 7.7 del Documento OSCE di Copenaghen del 1990 e la giurisprudenza della Corte EDU.
L'ex parlamento era composto prevalentemente da membri del partito al potere (65 seggi), ma ciò non significa necessariamente che il resto dei parlamentari rappresentasse opinioni alternative. 12 membri dell'opposizione sostenevano il partito di maggioranza, mentre 38 parlamentari indipendenti in genere votavano in linea con il governo. 99 dei parlamentari uscenti hanno votato a favore della mozione di scioglimento delle camere. 80 ex parlamentari hanno chiesto la rielezione e, al 10 febbraio, la CEC ha confermato che 79, che avevano dichiarato di non essere in grado di attuare il pacchetto di riforme, sono tornati in parlamento.
Il rappresentante del partito di governo Mubariz Gurbanli ha affermato che si è trattato comunque di un restyling. "Fare elezioni parlamentari e rinnovare il parlamento non significa che tutti i parlamentari saranno sostituiti [da nuove persone]. Questo non può succedere. Il rinnovamento significa nuove persone, nuove forze. Sono fiducioso che il rinnovamento, il cambiamento delle persone, si farà vedere. E il parlamento lavorerà più velocemente ora per attuare le riforme”. Gurbanli non è riuscito a spiegare come questa velocizzazione si manifesterà esattamente, quando gli stessi parlamentari che hanno chiesto di essere licenziati sono tornati. Ha anche respinto le segnalazioni di violazioni e brogli elettorali definendole come nient'altro che un tentativo di offuscare l'immagine del paese.
Una delle prime violazioni del codice elettorale è stata segnalata da osservatori indipendenti che hanno riferito la mancanza di trasparenza delle urne. Il direttore della CEC Mazahir Panahov ha negato, affermando che le urne erano trasparenti come prescrive la legge e, se qualcuno ha visto diversamente, è a causa del suo punto di vista.
Osservatori internazionali
Nel frattempo, la missione di osservazione internazionale che ha coinvolto l'Ufficio OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR), l'Assemblea parlamentare dell'OSCE (OSCE PA) e l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE) ha espresso un'opinione diversa. Nel report preliminare, la missione ha concluso che:
la restrittività di legislazione e ambiente politico ha impedito un'autentica concorrenza;
la campagna è stata fondamentalmente inesistente a causa di un ambiente politicamente controllato;
agli elettori non è stata fornita una scelta significativa a causa della mancanza di una vera discussione politica;
i media mainstream non hanno informato correttamente gli elettori sui candidati e le loro piattaforme e non hanno coperto gli eventi della campagna, mentre il presidente ha ricevuto ampia copertura;
la copertura delle notizie relative alle elezioni è stata ridotta alle notizie sulle attività della CEC;
la campagna era priva di coinvolgimento politico, essenziale per una vera competizione;
il voto è stato valutato negativamente nel 7% dei seggi elettorali osservati, mentre il conteggio è stato valutato negativamente in 66 su 113 osservazioni;
l'inchiostrazione obbligatoria degli elettori è stata spesso omessa e gli osservatori hanno riferito casi di riempimento delle urne e votazione di gruppo;
le PEC spesso hanno omesso i controlli incrociati numerici, non contavano le firme negli elenchi degli elettori e non registravano i dati prima dell'apertura delle urne;
la tabulazione è stata valutata negativamente in 22 delle 109 ConEC osservate, principalmente a causa della scarsa organizzazione del processo e della mancanza di comprensione delle procedure da parte dei membri delle ConEC.
Durante una conferenza stampa del 10 febbraio, la missione di osservazione internazionale ha anche sottolineato che lo spazio per le donne era limitato, in quanto non solo sono sottorappresentate nella vita pubblica e politica, ma non esistevano requisiti legali per promuovere le donne candidate. Un giornalista di un quotidiano pro-governativo Xalq [Gente], apparentemente insoddisfatto della conclusione, ha ricordato che l'Azerbaijan è stato il primo paese a dare il diritto di voto alle donne. Questo è un dato di fatto, di cui le donne azere sono orgogliose, ma non spiega perché non vi siano condizioni giuridiche pertinenti che incoraggino una più attiva partecipazione politica o la bassa posizione dell'Azerbaijan quando si tratta di combattere la violenza domestica e promuovere la parità di genere.
Un altro giornalista della stessa testata ha contestato la valutazione della legge elettorale da parte della missione, rilevando che tutte le modifiche alla legge elettorale esistente sono state apportate in conformità con le raccomandazioni delle organizzazioni presenti in sala e della Commissione di Venezia. Pertanto, le loro critiche alla legge esistente dovrebbero essere auto-critiche, poiché il codice si basa sulle loro raccomandazioni. E ancora una volta, se è vero che la legge elettorale dell'Azerbaijan è stato rivisto, nessuna delle revisioni ha seguito le raccomandazioni di lunga data dell'ODIHR e della Commissione di Venezia relative alle libertà di riunione ed espressione, indipendenza e imparzialità dell'amministrazione elettorale, finanziamento della campagna, ambiente mediatico e registrazione dei candidati.
Gli indipendenti
Eppure, nonostante le violazioni ampiamente segnalate, alcuni candidati non rimpiangono di aver partecipato. Turgut Gambar, candidato indipendente del blocco politico "Movimento", ha affermato che, sebbene il voto e la tabulazione dimostrino che le autorità non avevano alcuna reale intenzione di cambiamento o riforma, partecipare era comunque la decisione giusta. “Come sempre hanno condotto un'elezione falsa. Hanno nominato più o meno le stesse persone [...] Sono certo che, piuttosto che non fare nulla, partecipare e usare questa piccola finestra di opportunità sia stata la decisione giusta”.
Allo stesso modo Samad Rahimli, avvocato per i diritti umani e candidato indipendente dello stesso blocco, ha dichiarato: “La decisione di candidarsi in queste elezioni è stata un passo giusto. Anche se sapevamo che sarebbe stata una frode. È stato importante partecipare e continueremo a partecipare anche alle prossime elezioni. Perché non tutti i cambiamenti politici avvengono dall'oggi al domani”.
Altri sono più pessimisti. Commentando le elezioni, il veterano osservatore politico Altay Goyushev el ha interpretate come il segno di una catastrofe. “Chi pagherà per questo? Coloro che hanno falsificato queste elezioni. Ho osservato un generale degrado intellettuale, culturale, estetico e di altro genere nella nostra comunità. Questo sistema di gestione individualistico, in stile KGB, non avrebbe mai portato illuminazione alle persone. Perché, in fondo, stava invece conducendo una politica di degenerazione collettiva. E i risultati sono davanti a noi. Persino gli insegnanti sono diventati una categoria degenerata”.
Per il presidente Ilham Aliyev, queste sono state elezioni di successo che hanno espresso la volontà della gente. Ma è piuttosto difficile capire a chi si riferisca il presidente quando la metà degli elettori non si è presentata alle urne, e anche laddove c'è stata affluenza c'era una discrepanza nel numero di elettori registrati. In oltre la metà dei collegi elettorali, tale indicatore si è discostato dalla media in misura maggiore a quella consentita dalla legge, minando concretamente la correttezza del voto. O forse il presidente alludeva agli abili addetti al riempimento delle urne e ai partecipanti al voto a carosello. Potrebbe anche aver fatto riferimento ai membri delle Commissioni elettorali locali, che si sono prodigati per impedire a osservatori e giornalisti di svolgere il proprio lavoro, a volte persino facendo pratica di wrestling. In tal caso, queste persone hanno certamente espresso la propria volontà. Per tutti gli altri, compresi molti candidati indipendenti e aspiranti a riforme democratiche, le elezioni del 9 febbraio hanno schiacciato l'ennesima speranza con quello che è sembrato un trucco di magia a buon mercato.
--- Termina citazione ---
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