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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-attacco-alla-procura-anti-corruzione-186319


--- Citazione ---Romania: attacco alla procura anti-corruzione

Il governo romeno prosegue senza indugio nella propria riforma della giustizia. Ed ora mette nel mirino la procuratrice anti-corruzione Laura Codruța Kövesi
23/02/2018 -  Mihaela Iordache   

Nonostante le critiche, gli avvertimenti europei e le proteste di strada, il principale partito della Romania, il PSD (partito Socialdemocratico), va avanti con il proprio progetto di riforma della giustizia, fatta su misura – secondo l'opposizione – per i suoi membri indagati per corruzione.

Ieri il ministro della Giustizia romeno Tudorel Toader ha chiesto la revoca dell'incarico alla procuratrice Laura Codruța Kövesi, a capo della procura anti-corruzione (Dna).

Della lotta alla corruzione, la Kövesi è diventata un simbolo nel paese. Ma per il PSD il Dipartimento Nazionale Anti-corruzione da lei guidato da tre anni non farebbe altro che fabbricare dossier contro i socialdemocratici.

In realtà, negli ultimi anni, la Romania ha fatto passi notevoli nella lotta alla corruzione, risultati apprezzati anche da Bruxelles che ora guarda con preoccupazione l'assalto del PSD alla giustizia, attraverso modifiche di legge e il tentativo di sottometterla al controllo politico.

La quarantaquattrenne Laura Codruța Kövesi però intende continuare il proprio lavoro sino alla fine del suo mandato, cioè tra un anno. Il leader del PSD Liviu Dragnea – indagato e condannato per corruzione – non sembra però intenzionato a permetterglielo, convinto dell'esistenza di uno “stato parallelo” costituito da magistrati e uomini dei servizi segreti che darebbero la caccia a politici innocenti.
Esecuzione pubblica

Il discorso di ieri del guardasigilli è stato articolato in venti punti ed alcuni commentatori politici lo hanno definito “un'esecuzione pubblica” ed hanno evocato i tempi di Ceaușescu, dove c'era solo “chi era con noi e chi era contro di noi”, e i metodi operativi della Securitate, i famigerati servizi segreti del regime.

Tra le varie cose di cui il ministro ha accusato la Kövesi anche quella di danneggiare l'immagine del paese: cosa possono pensare gli altri paesi vedendo che in Romania un così alto numero di politici è corrotto? Cosa possono pensare – verrebbe da aggiungere – di un politico come Liviu Dragnea che ha cambiato tre primi ministri in un anno e che dopo molti anni di governo della contea di Teleorman non è riuscito a ridurvi la povertà dilagante, utile solo a raccogliere voti quando i socialdemocraici promettono aumenti di stipendi e di assistenza sociale?
Per strada

A qualche ora dal discorso del ministro della Giustizia che ha chiesto la revoca della procuratrice Laura Codruța Kövesi, circa 1000 persone sono scese in strada a Bucarest a suo sostegno e altre centinaia nelle altre grandi città del paese. Si prevedono altre manifestazioni nei prossimi giorni, nonostante la neve che sta ricoprendo in queste ore la capitale romena.

Da quando ha vinto le elezioni, nel dicembre del 2016, il PSD ha “il merito” di aver fatto scendere la gente per strada. “Giustizia non corruzione”, ”Uscite fuori di casa, se v’importa”, ”Tudorel, dimissioni”, ”Che la DNA venga e vi porti via”, ”Il PSD, la peste rossa”, questi gli slogan delle proteste. Dall’inizio del gennaio del 2017, queste ultime sono state organizzate soprattutto attraverso Facebook.

Il ministro della Giustizia si recherà prossimamente anche in Parlamento per sostenere la propria richiesta di revoca dell'incarico alla procuratrice della DNA. La parola finale toccherà però al presidente della Romania, Klaus Iohannis, che si è sempre detto contrario alle modalità con cui i socialdemocratici stanno cambiando la legislazione nell’ambito giudiziario. Ma non mancano neppure analisi secondo le quali presto lo stesso presidente potrebbe finire nel mirino del PSD attraverso un'ipotetica sospensione dal suo incarico attraverso un voto del parlamento. Tra l'altro l'anno prossimo sono previste le elezioni presidenziali.

Di fatto il PSD sta tenendo impegnato il paese in situazioni fortemente conflittuali che occupano tutti i dibattiti televisivi schierati pro o contro il governo di Bucarest.
E ora?

Dopo la richiesta di revoca fatta dal ministro della Giustizia, il presidente romeno Klaus Iohannis ha intanto preso tempo, dichiarando che a causa della mancanza di chiarezza nei contenuti del rapporto presentato e tenendo conto che la valutazione dell’attività della DNA e del suo management da parte del presidente della Romania diverge da quella presentata dal ministro „si impone un’analisi approfondita di questo documento”.

Nei giorni precedenti alla richiesta di revoca il capo della procura anti-corruzione romena Laura Codruța Kövesi aveva tenuto una conferenza stampa nella quale aveva denunciato “l’attacco” contro la giustizia e il tentativo di screditare il Dipartimento anti-corruzione che “non falsifica prove come sostengono i politici”. Tutti gli attacchi che arrivano della sfera politica rappresentano per la Kövesi un tentativo di mettere in ginocchio lo stato romeno e umiliare la società.

Negli ultimi anni in seguito al lavoro anti-corruzione svolto dalla DNA oltre 70 politici tra cui ministri e parlamentari sono stati rinviati a giudizio.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Catalin-Prisacariu-le-sfumature-della-censura-185908


--- Citazione ---Cătălin Prisacariu: le sfumature della censura

Durante la sua brillante carriera ha inanellato numerose dimissioni, conseguenza del non voler scendere ai compromessi che gli venivano richiesti. Uno sguardo sulla stampa rumena da parte del giornalista investigativo Cătălin Prisacariu
22/02/2018 -  Stela Giurgeanu   

(Pubblicato originariamente da Dilema Veche nell'ambito del programma ECPMF, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)

Cătălin Prisacariu è membro del comitato rumeno per il giornalismo investigativo ed ha, al suo attivo, una lunga lista di dimissioni. Agli esordi della carriera è stato giornalista nella stampa regionale a Iași, è poi divenuto giornalista investigativo per Evenimentul Zilei, poi capo del dipartimento investigativo di Academia Cațavencu e redattore capo a Kamikaze. Ha anche animato due talk show su TVR Info e B1TV. Infine, fino a poco tempo fa, è stato giornalista per România liberă che ha lasciato nel novembre scorso.

Lei lavora in questo campo da più di vent'anni ed ha attraversato i più grandi gruppi editoriali del paese, sia nella carta stampata che nell'audiovisivo. Ma alla fine ha sempre dato le dimissioni. Perché?

Per ragioni politico-economiche, alle quali si aggiungeva la censura, più o meno importante, più o meno sorniona. Non riesco a mentire e non sono mai riuscito a restare quando una cosa mi veniva imposta o quando le mie inchieste non venivano pubblicate. Il problema è che, dopo vent'anni di carriera, mi rendo conto di avere fatto il giro di quasi tutti i media del paese.
La libertà dei media in Romania

Per una panoramica esaustiva sul paese, visita il Resource Centre sulla libertà dei media curato da OBCTranseuropa. Tutte le risorse sulla Romania a partire da qui .

Che si tratti della stampa o della televisione, arriva il momento in cui il direttore ha bisogno di un “servizio” da parte di un rappresentante del partito al potere. A farne le spese in primo luogo sono i giornalisti di inchiesta i cui articoli vengono commissionati, ma poi non vengono pubblicati, per utilizzarli come merce di scambio con il protagonisti dell'inchiesta. Si pone allora il problema se accettare o meno, sapendo che se si alzano le mani una volta, vi è il rischio di doverlo rifare e si rischia di non sapere più chi si è e quale sia il senso del nostro mestiere. Ogni volta ho dato le dimissioni.

In alcuni media ho avuto fortuna, sono rimasto più a lungo. Ad Academia Cațavencu, dove dirigevo il dipartimento di investigazione, non ho avuto alcun contatto con il direttore sino al 2009. Supervisionavo tutte le inchieste ed ero garante dell'onestà del contenuto. Ma quando la lotta politica si è fatta rude, e il direttore ha voluto prendervi parte, me ne sono dovuto andare. In Romania rimanere integri è una questione di fortuna, tutto può andar bene per qualche anno e da un giorno all'altro ci si ritrova davanti ad una scelta.

Quando un giornalista lascia una redazione a causa della censura o di pressioni editoriali subite, non è accolto a braccia aperte dagli altri?

Al contrario! Quando nel 2015 sono stato licenziato da B1 TV, ufficialmente per ragioni economiche, ho cercato lavoro per un anno e mezzo. È stato il periodo peggiore che ho mai attraversato, senza prospettive e perché ho capito che la solidarietà, in questo ambiente, non esiste.

Anche se si è un giornalista della sua reputazione? Con una tale carriera alle spalle?

È una carriera che soprattutto penalizza. In Romania si è mal visti se si abbandonano più posti di lavoro. Chi vuole assumere un giornalista il cui precedente datore di lavoro dice che non ha accettato di fare quello che gli si chiedeva?

È impossibile in Romania per un giornalista onesto fare carriera?

È difficile. In questo mestiere è inevitabile entrare in contatto con qualcuno di importante e subirne le pressioni. Si può fare carriera lavorando da indipendenti ma vi è in questo caso la difficoltà della precarietà, o si può lavorare per delle Ong, ma i questo caso non si tratta veramente di giornalismo. Si può anche pubblicare su di un sito personale, ma il rischio è che i propri scritti vengano riutilizzati da altri, senza ricevere un centesimo, come mi è già accaduto.

Le pubblicazioni da indipendente hanno la stessa ricaduta sul grande pubblico dei media?

In Romania non è possibile vivere da giornalista investigativo indipendente. Una soluzione è quella di lavorare per la stampa estera. Con un po' di fortuna si potrebbe sopravvivere dal punto di vista finanziario. Il retro della medaglia è che spesso i soggetti vengono trattati per essere proposti ad un pubblico straniero. È raro il caso in cui vengano pubblicati in Romania e che abbiano un'incidenza. Durante una collaborazione con Der Spiegel, ho scritto di un rumeno coinvolto in un caso di corruzione che riguardava airbus. Nessuno ne ha parlato in Romania.

In alcuni paesi i giornalisti vengono minacciati di morte, subiscono aggressioni fisiche, vengono a volte uccisi... quale la situazione in Romania?

È una questione di contesto culturale, credo semplicemente che in Romania questa aggressioni fisiche non funzionino. Un clima simile forse vi è stato solo tra le due guerre mondiali, quando era chiaro che i legionari non avrebbero avuto alcuno scrupolo ad assassinare anche i giornalisti. Ma ora non vi sono reazioni così relativamente a quanto fatto emergere dalla stampa. Ma avviene anche perché in Romania i politici non si sentono minacciati dai giornalisti dato che nella maggior parte dei casi avviene un controllo editoriale preventivo al livello della direzione dei grandi gruppi mediatici.

Quale il ruolo del pubblico?

Affinché la società cambi vi sono due strade: un movimento dal basso verso l'alto, o dall'alto verso il basso. Io ritengo che attualmente le cose in Romania non possano essere cambiate dal basso verso l'alto, perché non vedo chi sia in grado di dare l'impulso per farlo. Se si guarda alla demografia ed alle disparità di reddito si capisce che, di fatto, questo paese non può coagulare attorno ad idee che coinvolgano un numero di persone sufficiente a provocare del vero cambiamento. La stampa può educare il pubblico, ma solo se più giornalisti accetteranno di subire ostracismo, fame e disperazione e inizieranno a non rispondere alle richieste dei loro superiori.

Quale la possibilità, un giorno, di avere in Romania una stampa sana?

All'inizio delle inchieste su Adrian Năstase, nel 2005, i giornalisti scoprirono documenti ai quali non avevano avuto accesso quando era primo ministro. Tutto l'ambiente era in fibrillazione e vi era vera concorrenza, e questo era un buon segno. Poi è arrivata la crisi finanziaria e il contesto politico è divenuto più teso. I grandi magnati hanno preso il controllo della stampa e si sono coalizzati. La crisi ha portato alla chiusura di numerose testate giornalistiche. I salari si sono abbassati, si doveva difendere il proprio posto di lavoro, veloci ad accettare compromessi. la concorrenza è di fatto sparita ed assieme a quest'ultima la buona salute della stampa. Quindi, vi è ancora molto da fare.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
--- Termina citazione ---

Frank:
http://www.eastjournal.net/archives/88521


--- Citazione ---MONTENEGRO: Lanciate granate contro l’ambasciata statunitense

Gian Marco Moisé 3 giorni fa   

A Podgorica, intorno a mezzanotte un assalitore ha fatto esplodere due granate vicino al complesso dell’ambasciata statunitense. Secondo le testimonianze l’uomo sarebbe stato fermato dalle guardie di sicurezza all’ingresso dell’ambasciata e dopo aver lanciato una granata contro il muro di cinta dell’edificio si sarebbe ucciso con uno degli esplosivi rimasti attaccati alla sua cintura.

Secondo quanto appena riportato dal quotidiano Vijesti, la polizia montenegrina sospetta che l’attentatore potesse essere il quarantatreenne Dalibor Jauković, residente a Podgorica ma originario di Kraljevo, in Serbia.

Steve Goldstein, del dipartimento di stato, ha dichiarato che il movente dell’assalitore resta ignoto e non è chiaro se l’attentato intendesse essere suicida o no. Poco dopo le esplosioni la polizia ha chiuso l’accesso alla strada. L’ambasciata ha sospeso le regolari attività e dichiarato stato di allerta attiva.

Da quel che è emerso nelle prime ore, nessun membro dello staff dell’ambasciata è rimasto ferito nell’attentato. Il portavoce del dipartimento di stato Heather Nauert ha confermato che: “In questo momento lo staff dell’ambasciata sta lavorando con la polizia per identificare l’assalitore. L’ambasciata sta conducendo un’indagine interna per assicurarsi che tutto lo staff sia al sicuro.”

L’anno scorso, il Montenegro è stato il ventinovesimo paese a fare il suo ingresso nella NATO. Gli Stati Uniti hanno hanno legami diplomatici col Montenegro dal 2006, quando il paese ha dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia.
--- Termina citazione ---

Frank:
Tirana 1994-1995


//www.youtube.com/watch?v=HQrw3pDj2ws

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Cittadini-italo-albanesi-la-carica-dei-200-mila-185685


--- Citazione ---Cittadini italo-albanesi: la carica dei 200 mila
Sono sempre di più le persone appartenenti alla comunità albanese in Italia che stanno ottenendo la cittadinanza
26/02/2018 -  Keti Biçoku   

(Pubblicato originariamente su Shqiptariiitalise.com il 26 gennaio 2018, tit.orig. "Mbi 200 mijë shqiptarë kanë pasaportë italiane")

Se, da una parte, la crisi economica e la mancanza di veri e propri decreti flussi di lavoratori dall’estero ha causato il calo degli arrivi di nuovi immigrati albanesi in Italia, dall’altra, sempre più albanesi stanno diventando italiani. In molti hanno completato ormai il ciclo: lasciare il loro paese d'origine, immigrare, integrarsi e diventare pienamente parte della società, mettendo in tasca il passaporto italiano.

Tutto questo ha portato alla diminuzione del numero degli albanesi con un documento di soggiorno al di sotto delle 450 mila unità. Più precisamente, la comunità degli albanesi in Italia – quelli che si contano come permessi di soggiorno - è cresciuta di anno in anno fino all’inizio del 2013, quando superò il mezzo milione (502.546); da allora si è notato un continuo ridimensionamento per arrivare a 441.838 persone al 1° gennaio 2017.

Nello stesso periodo della riduzione della comunità degli albanesi con un documento di soggiorno, però, siamo testimoni dell’aumento rilevante di quanti diventano cittadini italiani.

I dati Istat parlano chiaro. Solo durante il 2016 hanno giurato fedeltà alla Costituzione italiana 36.920 cittadini albanesi. Sempre secondo l'Istat, sono donne e uomini, quasi in egual misura; diventano italiani più per ragioni di lunga residenza che di matrimonio con un italiano; e ottengono automaticamente la cittadinanza per trasmissione sempre più minori.

Le cifre del 2016 quasi quadruplicano rispetto a quelle del 2012, quando diventarono italiani solo 9.493 albanesi. Di anno in anno la crescita è stata inarrestabile: si è passati a 13.671 acquisizioni nel 2013, a 21.148 nel 2014 ed a 35.134 riconoscimenti di cittadinanza nel 2015.

Inoltre, solo nel 2016 hanno ottenuto la cittadinanza italiana più albanesi di quanti l’avevano acquisita fino al 2011. Lo dice il censimento del 2011. Infatti, un interessante dato raccolto in quell'occasione, fu quello della cittadinanza avuta prima di quella italiana. 33.699 persone dichiararono di avere la cittadinanza albanese prima di diventare italiani.

Una semplice addizione dei dati e i conti sono presto fatti: alla fine del 2016, gli albanesi diventati italiani superano i 150 mila.

Non sono ancora disponibili i dati del 2017, ma l’andamento attuale delle acquisizioni di cittadinanza, l’anzianità e la stabilità della comunità albanese in Italia fanno pensare che venga mantenuta la tendenza degli ultimi anni. Quindi è ragionevole stimare che oltre 35 mila altri albanesi abbiano giurato fedeltà al tricolore anche durante l’anno scorso.

Forse, qualcuno di tutti questi ha lasciato l’Italia, forse qualcun altro ha cambiato vita. Senza dubbio, però, siamo attorno a quest'ordine di grandezza.

E non è tutto: ai dati sfuggono tutti quelli di seconda generazione che in oltre un quarto di secolo, dal 1990 a questa parte, sono nati da coppie di albanesi, di cui almeno uno aveva già ottenuto la cittadinanza italiana, oppure nati da coppie miste italo-albanesi. Tutti questi bambini, non considerati mai stranieri dall’Italia, nascono italiani (almeno loro, visto l’affossamento al Senato della riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati), quindi non risultano nelle statistiche degli stranieri diventati italiani. Quanti sono? Difficile dirlo con esattezza, ma alcuni analisti parlano di 25-30 mila.

Per i nati da genitori albanesi, ma tutti e due con passaporto italiano, non esistono statistiche. Troviamo dati solo per i nati delle coppie miste. Nei rapporti annuali Istat sulla natalità risulta che solo nell’anno 2016 sono nati oltre 2.600 bimbi da tali coppie: 2.300 nel 2015, 2.150 nel 2014, 1.800 nel 2013, 1.850 nel 2012, 1.750 nel 2011, 1.500 del 2010, … oltre 1.400 nel 2008, …, circa 1.350 nel 2006 e così via.

Quindi, affermare che ci sono oltre 200 mila italiani odierni "di sangue albanese" – senza considerare gli arbëreshë - non è sbagliato. Almeno per le leggi in vigore, perché nessuno può sapere poi cosa, nell'intimo, si senta ognuno di noi.

Fanno comunque tutti parte di quella grande comunità di albanesi all’estero sui quali l’Albania non sa tanto. Né quanti sono di preciso e tanto meno dove vivono. L’ultimo governo ha dedicato loro un ministero, progettando la loro registrazione per dare loro la possibilità di partecipare alle elezioni albanesi votando da dove vivono. Forse è troppo tardi ormai e non si sa quanto possa essere ancora confortante il detto "Meglio tardi che mai".
--- Termina citazione ---

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