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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/106748


--- Citazione ---RUSSIA: Nuove leggi durante la pandemia
Martina Urbinati 1 giorno ago

La pandemia da Covid-19 ha inflitto un colpo durissimo alle democrazie europee. In Russia, la dubbia veridicità dei dati ufficiali sull’andamento dei contagi e sul numero di decessi è stato un tema ampiamente discusso dai media di tutto il mondo. Non migliore si può definire la gestione dell’emergenza: fin dall’inizio, la strategia anti-coronavirus adottata dal Cremlino è stata quella di scaricare scomode responsabilità su governatori regionali, mettendo in risalto le radicate fragilità della politica interna russa. Nonostante la crisi economica all’orizzonte e il tracollo dell’indice di gradimento personale del presidente russo Vladimir Putin, la Duma di Stato ha adottato nuove leggi che fanno discutere.

Una legge sulla cittadinanza per far fronte alla crisi demografica

Per anni, la presenza di norme estremamente restrittive in materia di naturalizzazione di cittadini stranieri non ha fatto altro che acutizzare il tracollo demografico in Russia. Dati alla mano, la popolazione attuale è rimasta sostanzialmente invariata rispetto a trent’anni fa, complici il basso tasso di natalità e il boom di emigrati russi verso i paesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti.

Lo scorso aprile sia la Duma che il Consiglio Federale hanno approvato all’unanimità gli emendamenti apportati alla legge sulla cittadinanza: dal momento dell’entrata in vigore della stessa, a determinate categorie di cittadini stranieri sarà concessa la possibilità di ottenere la doppia cittadinanza senza più l’obbligo di risiedere sul territorio della Federazione Russa da almeno 5 anni o di aver lavorato in Russia per almeno tre anni. Queste nuove disposizioni vanno ad aggiungersi alle misure per la liberalizzazione delle politiche di cittadinanza introdotte lo scorso anno a favore dei residenti delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, nell’Ucraina orientale.

Ampliamento dei poteri delle forze dell’ordine

In un momento storico in cui le libertà personali sono state notevolmente ridotte per via della crisi epidemiologica, il governo russo ha presentato in parlamento un disegno di legge che amplierebbe i poteri delle forze dell’ordine. Tra le varie specifiche, la misura più controversa prevede che un agente di polizia non venga ritenuto perseguibile per atti compiuti durante l’esercizio delle sue funzioni. Memori delle proteste elettorali violentemente soppresse con percosse e arresti lo scorso anno a Mosca, c’è il rischio che, se approvato, questo provvedimento possa incentivare reati di abuso d’ufficio e che, allo stesso tempo, i colpevoli degli stessi rimangano impuniti.

Un unico database contenente le informazioni dei cittadini

Lo scorso 2 giugno il Consiglio Federale ha approvato la legge sulla creazione di un registro elettronico che permetterà di condensare in un unico luogo i dati anagrafici di tutti i cittadini della Federazione Russa. Per mezzo di questo strumento verranno ridotti i tempi per richiedere servizi pubblici, ha dichiarato Andrei Epišin, vicepresidente del comitato per i bilanci e i mercati finanziari. Una volta ultimato e perfezionato, autorità municipali, agenzie di stato e i cittadini stessi potranno usufruire di questo servizio.

Motivo di maggior preoccupazione è senza dubbio la protezione della privacy e dei dati sensibili dei cittadini russi, come sottolinea l’analista Karina Gorbačëva. Ancora prima che il disegno di legge venisse approvato dalla Duma di stato, alcuni giuristi e persino la Chiesa russa ortodossa si sono detti scettici riguardo a questo provvedimento, citando l’articolo 24 della Costituzione russa che proibisce la trasmissione di dati personali senza il consenso del soggetto stesso.

La riforma costituzionale si voterà a distanza

Costretto a posticipare il referendum costituzionale inizialmente previsto per lo scorso 22 aprile, Putin ha apportato un emendamento alla legge elettorale al fine di garantire il voto “a distanza” per posta o online. Il sistema di voto elettronico è già stato sperimentato in alcuni seggi in occasione delle scorse elezioni municipali di Mosca, non senza riportare difficoltà. Pertanto, la commissione elettorale ha ricordato la necessità di perfezionare il sistema di voto elettronico affinché possano essere scongiurati eventuali brogli elettorali e attacchi informatici.

L’attesa durerà dunque fino al prossimo 1 luglio, data in cui i cittadini dovranno esprimersi in merito agli emendamenti costituzionali approvati dalla Duma e precedentemente criticati in quanto “incostituzionali”. Il provvedimento più controverso riguarda l’azzeramento dei mandati presidenziali con cui l’attuale capo di stato russo potrebbe restare al potere fino al 2036. Per Putin, la partita finale contro il coronavirus si giocherà alle urne “in sicurezza”: è infatti molto probabile che le sorti dell’inquilino del Cremlino vengano decretate sulla base del suo operato durante questi ultimi mesi.

--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-l-informazione-in-quarantena-202724


--- Citazione ---Albania: l'informazione in quarantena

Il COVID-19 ha messo in luce la debolezza dell'informazione in Albania. Il monopolio governativo della comunicazione sul coronavirus ha sollevato preoccupazioni sulla trasparenza nella gestione della pandemia e sulla libertà dei media

11/06/2020 -  Gentiola Madhi
La pandemia ha raggiunto ufficialmente l'Albania il 9 marzo, immediatamente seguita da due mesi di lockdown con severe misure restrittive, dichiarazione dello stato di emergenza (in vigore fino al 23 giugno) e sospensione parziale della Convenzione per la protezione dei diritti umani. Il governo ha adottato una pesante retorica bellica sul virus, con veicoli corazzati per le strade e pesanti multe, che ha destato un senso di paura nella popolazione.

All'inizio di maggio, le misure sono state allentate e la vita è quasi tornata alla normalità. Il tasso di infezione è stato inferiore a 20 persone al giorno, mentre il numero di test eseguiti rimane relativamente basso.

In generale, c'è una certa confusione tra la popolazione riguardo alle misure adottate, insieme a sfiducia e percezioni negative della capacità dell'Albania di affrontare adeguatamente la situazione, specialmente alla luce del numero di operatori sanitari recentemente emigrati in Germania. Si teme che il tasso di infezione possa tornare a salire.

Il primo ministro al timone
Un aspetto chiave nella gestione della pandemia sta nella comunicazione efficace e coerente. Come altri paesi, l'Albania ha istituito un comitato tecnico di esperti incaricato di prendere decisioni per contenere l'epidemia. Tuttavia, il lavoro del Comitato è stato caratterizzato da poca trasparenza sulle sue competenze e sulla misura in cui le sue raccomandazioni sono state convertite in decisioni politiche. Fino ai primi di maggio, non si sapeva nemmeno il nome del presidente del Comitato.

La pandemia ha offerto un'opportunità al primo ministro Edi Rama, che ha preso il timone della comunicazione con una presenza costante sui social media e sull'emittente online ERTV. Solo nel primo mese di lockdown, Rama ha pubblicato 407 post su Facebook (13 al giorno) e 47 ore di video  , dando così vita alla prima esperienza di governance tramite i social media in Albania.

"Fondamentalmente, il primo ministro ha monopolizzato non solo il contenuto (ciò che apprendiamo e pensiamo sulla crisi), ma anche la cornice (in che modo pensiamo alla crisi) e i mezzi (come riceviamo le informazioni)", spiega Blerjana Bino, co-fondatrice di Science and Innovation for Development (SCiDEV).

La maggior parte delle decisioni è stata pubblicata per la prima volta sull'account Facebook di Rama e successivamente nella Gazzetta ufficiale, mentre le "conferenze stampa" erano in realtà chiuse ai giornalisti.

La centralizzazione dell'informazione è stata motivata con la necessità di combattere disinformazione e "infodemia" sul coronavirus. Tuttavia, "la narrazione bellica del governo minaccia i diritti umani e le libertà, nonché la libertà dei media, in modo sproporzionato rispetto alla situazione", sostiene Bino.

Media sotto attacco
La "messa in quarantena" dell'informazione ha portato ad una generale mancanza di trasparenza e responsabilità sulla gestione della pandemia da parte del governo, confermando ancora una volta il disprezzo di quest'ultimo nei confronti dei media. I media nazionali hanno avuto scarse opportunità di informare il pubblico e contrastare la narrazione del governo.

L'ostilità nei confronti dei media è diventata evidente alla fine di marzo, quando il primo ministro ha inviato un messaggio vocale ai telefoni cellulari dei cittadini, avvisandoli di rimanere al sicuro e di "proteggersi dai media". Non è la prima volta che il governo mostra una posizione così drastica contro la libertà dei media: all'inizio di quest'anno ha adottato un controverso pacchetto "anti-diffamazione", attualmente in fase di revisione da parte della Commissione di Venezia.

“Viviamo una pericolosa crisi di comunicazione. Secondo me, il governo albanese è uno di quei regimi che usano il coronavirus per interessi particolari e a breve termine”, afferma Lorin Kadiu, direttore esecutivo dell'organizzazione Citizens Channel. "Abbiamo sollevato preoccupazioni sul monopolio dell'informazione e la volontà di silenziare le voci critiche", aggiunge.

Durante la pandemia, un precedente è stato creato dall'Ispettorato nazionale della sanità, che ha multato la TV privata Ora News per presunta violazione delle regole di distanziamento sociale durante due programmi in prima serata. Inoltre, l'Ispettorato ha raccomandato la sospensione delle trasmissioni. La decisione è stata dichiarata sproporzionata e politicamente motivata dalle organizzazioni dei media. La pressione dell'opinione pubblica ha portato al ritiro di tutte le misure da parte dell'Ispettorato una settimana dopo.

Nonostante le restrizioni, i media hanno cercato di dare spazio a valutazioni alternative da parte degli esperti, in particolare coinvolgendo le competenze mediche della diaspora. "Esperti di alto livello sono stati presenti sui media e hanno risposto alle preoccupazioni dei cittadini, ma hanno ripetutamente taciuto su importanti questioni relative alla trasparenza e al diritto dei cittadini di sapere”, afferma Kadiu. Tuttavia, "rispetto allo spazio in prima serata dedicato ai soliti analisti e opinionisti, direi che le analisi degli esperti rimangono in una certa misura emarginate nella sfera pubblica", conclude Bino.

--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sud-est-Europa-violazioni-dei-diritti-digitali-durante-la-pandemia-da-Covid-19-202654


--- Citazione ---Sud-est Europa: violazioni dei diritti digitali durante la pandemia da Covid 19

Una recente ricerca condotta da BIRN e Share Foundation ha messo in luce una serie di casi di violazione dei diritti digitali in Serbia, Bosnia Erzegovina, Ungheria, Croazia, Romania e Macedonia del Nord

12/06/2020 -  Media Centar Sarajevo
(Originariamente pubblicato da Mediacentar Sarajevo, il 4 giugno 2020)

Nell’ambito di un monitoraggio effettuato dal Balkan Investigative Reporting Network  (BIRN) e dalla Fondazione SHARE  durante la pandemia di coronavirus (dal 26 gennaio al 26 maggio 2020) sono stati registrati 163 casi di violazione dei diritti digitali in Bosnia Erzegovina, Ungheria, Croazia, Serbia, Romania e Macedonia del Nord. Come riporta il portale Detektor, in più della metà dei casi registrati si è trattato di propaganda, disinformazione, diffusione di notizie false e di informazioni non verificate. Quasi l’80% delle vittime è rappresentato da semplici cittadini.

Dei 163 casi di violazioni registrati, in 68 casi si è trattato di manipolazioni digitali, mentre 25 casi hanno riguardato la diffusione di notizie false e informazioni non verificate, allo scopo di danneggiare la reputazione della vittima.

Per quanto riguarda i casi registrati in Bosnia Erzegovina, su una pagina Facebook sono stati pubblicati alcuni post che invitavano a distruggere le antenne 5G a Tuzla, mentre sul portale Buka sono state pubblicate informazioni false sui gruppi sanguigni che sarebbero più esposti al rischio di Covid 19.

In quasi il 25% dei casi, sono i funzionari statali, oppure lo stato, ad essere ritenuti responsabili delle violazioni dei diritti e delle libertà digitali.

Nel periodo preso in considerazione, molti governi hanno adottato regole e misure straordinarie per contrastare la diffusione del coronavirus, la cui implementazione si è rivelata inadeguata rispetto agli obiettivi prefissati. Così ad esempio, i governi di Serbia, Ungheria e Romania hanno approvato alcuni provvedimenti che hanno limitato la libertà dei media.

Tra le misure applicate per contrastare la circolazione di notizie false e la diffusione del panico sui social network, le autorità hanno più spesso optato per l’arresto o per una sanzione amministrativa pecuniaria. In Serbia si sono verificati numerosi casi di arresto e fermo, tra cui il caso della giornalista Ana Lalić, che è stata sottoposta al fermo di 48 ore per aver denunciato, in un suo articolo, la mancanza di dispositivi di protezione nel Centro clinico della Vojvodina a Novi Sad.

Per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina, a Sarajevo una persona è stata arrestata per aver minacciato la polizia nei commenti scritti sul portale Klix, mentre una persona di Bijeljina è stata arrestata per aver pubblicato sul suo profilo Facebook alcuni messaggi contenenti minacce rivolte alla polizia. Alcune persone sono state sanzionate con una pena pecuniaria per aver pubblicato notizie false e per aver diffuso il panico sui social network, tra cui una persona di Bosanska Gradiška alla quale è stata inflitta una multa di 1000 euro.

Durante la pandemia di coronavirus sono stati registrati anche 18 casi di violazione del diritto alla protezione dei dati personali. Uno di questi casi si è verificato in Republika Srpska dove il governo ha lanciato un sito web  dedicato al coronavirus su cui è stata pubblicata una lista delle persone che avevano violato l’obbligo di auto-isolamento.

Anche i cyber criminali hanno approfittato della pandemia di coronavirus. Sono stati infatti registrati 11 casi di frode informatica, di cui 3 casi di distruzione e furto di dati e di programmi.

In questo periodo di emergenza, alcune categorie di persone sono state particolarmente esposte a minacce, discriminazioni e messaggi d’odio, tra cui giornalisti, operatori medici, cittadini in quarantena, donne, migranti, cinesi, rom ed ebrei.

I dati aggiornati sui casi di violazione dei diritti e delle libertà digitali sono disponibili online, nelle lingue locali, per Bosnia Erzegovina  , Croazia  , Ungheria  , Macedonia del Nord  , Romania  e Serbia  . È disponibile anche un database regionale  .

Le informazioni sui casi di violazione dei diritti digitali registrati durante la pandemia di coronavirus sono disponibili anche sul portale BIRN Investigative Resource Desk  (BIRD). La versione integrale del rapporto, in lingua inglese, è disponibile a questo indirizzo  .

--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-e-Bosnia-Erzegovina-tra-robot-e-zombie-203056


--- Citazione ---Serbia e Bosnia Erzegovina: tra robot e zombie

No, non è un racconto horror e nemmeno un fantasy. In questo commento robot e zombie diventano metafore - drammatiche - della conduzione politica di due paesi, Serbia e Bosnia Erzegovina

19/06/2020 -  Ahmed Burić Sarajevo
Il video  di una recente visita del presidente serbo Aleksandar Vučić allo spazio espositivo del Centro per la robotica e l’intelligenza artificiale presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Belgrado è diventato virale in tutta la regione. Durante la visita, ideata dal team di pubbliche relazioni del presidente come parte integrante della sua campagna elettorale, Vučić ha parlato con un robot intelligente (o forse, nello spirito di rispetto della parità di genere, sarebbe più corretto dire una robot?) di nome Ema progettato dall’azienda cinese NetDragon Websoft.

Dopo una presentazione iniziale, alla domanda del presidente Vučić sul perché sia venuta in Serbia, Ema, che sta imparando a relazionarsi con gli esseri umani, ha risposto: “Amo la Serbia. Visto che sono una forma di tecnologia intelligente, è ovvio che ho scelto di stare in Serbia. Non solo per la sua gente straordinaria, la sua ricca tradizione e la natura, ma anche perché questo paese ha davanti a sé un futuro luminoso. Sono venuta a causa delle menti straordinarie di questo paese, per migliorare l’educazione dei giovani in Serbia, con l’aiuto delle moderne tecnologie educative provenienti dalla Cina, lo studio delle lingue e lo sviluppo delle discipline scientifiche. Il Centro per la robotica e l’intelligenza artificiale dove lavoro garantirà ai giovani la migliore educazione, rendendo orgogliosi tutti i genitori, e la Serbia diventerà uno dei paesi più avanzati, esattamente come dovrebbe essere”.

Dopo che Ema ha concluso il suo breve discorso, il presidente Vučić ha rivolto uno sguardo all’ambasciatrice cinese a Belgrado, Chen Bo, e a quel punto nel video si sente una risata di sollievo e di gioia.

Anche Ema è probabilmente uno degli assi nella manica del presidente serbo, grazie ai quali Vučić sicuramente riuscirà a sconfiggere tutte le altre forze politiche alle imminenti elezioni parlamentari.

L’epoca del declino globale del pensiero politico giova perfettamente ai dittatori locali: gli elettori fedeli di Janša in Slovenia, quelli di Orbán in Ungheria e l’onnipotente Putin che dalla Russia porta vento in poppa ai leader balcanici, ci fanno pensare che l’attuale situazione persisterà ancora per molto tempo.

Praticamente intere generazioni se ne sono andate dai Balcani, lasciando i propri paesi nelle mani di criminali emotivamente deprivati e narcisisti, che hanno privatizzato i beni pubblici, approfittandone per gettare le basi della propria ricchezza. I popoli balcanici, snervati dalle guerre e dalla retorica nazionalista, hanno accettato tutto, “pur di non sparare di nuovo”, e ciò ha portato alla situazione attuale in cui le vecchie forze nazionaliste si mantengono al potere con varie manovre, anche comprando voti e assumendo i propri elettori nel settore pubblico.

Date queste premesse, risulta ovvio che, qualunque sia l’esito delle imminenti elezioni parlamentari in Serbia, questa tornata elettorale non cambierà molto la situazione politica nel paese.

Ad ogni modo, la robot Ema – a giudicare dai risultati di una ricerca sugli atteggiamenti valoriali degli studenti serbi, condotta dall’Istituto per la ricerca sociale della Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, insieme al Comitato di Helsinki per i diritti umani in Serbia – avrà molto da fare per migliorare l’educazione serba.

La ricerca in questione  , i cui risultati sono stati pubblicati qualche settimana fa, è stata condotta nel 2019 nelle scuole superiori in cinque città serbe: Belgrado, Novi Pazar, Niš, Kragujevac e Novi Sad. I dati non vanno mai commentati senza essere contestualizzati, ma alcuni dei risultati emersi dalla ricerca sono piuttosto sconfortanti: stereotipi negativi sulle persone LGBT, aborto considerato come peccato, e persino l’idea secondo cui la donna a volte dovrebbe essere “sollecitata”, ricorrendo alla violenza, ad adempiere ai propri doveri coniugali.

Per quanto riguarda l’atteggiamento degli studenti serbi nei confronti dei loro vicini, la situazione è la seguente: più della metà degli intervistati (la ricerca è stata effettuata su un campione di circa 900 studenti) ritiene che il Kosovo sia il cuore della Serbia e che la Serbia non ci rinuncerà mai.

Tenendo conto di questo dato, il numero degli studenti che non credono che i serbi non abbiano commesso alcun crimine durante le ultime guerre combattute sul territorio dell’ex Jugoslavia è più alto di quanto ci si aspetterebbe, il 32%. La percentuale di coloro che riconoscono il genocidio di Srebrenica sale addirittura al 38,2%, un dato che lascia sperare che gli studenti intervistati possano costituire una solida base partendo dalla quale la donna robot Ema potrebbe raggiungere risultati notevoli nel campo dell’educazione, contribuendo a una migliore comprensione del ruolo dello stato e del popolo serbo nella recente storia del sud-est Europa.

Immaginate inoltre che Ema trovi un impiego in una scuola a Šabac, dove dovrà spiegare ai ragazzi chi sono (stati) Ratko Mladić e Radovan Karadžic, che il 31,2% degli intervistati considera criminali di guerra. Quindi, la classe sarebbe divisa, ma prevarrebbero quelli che ritengono che il duetto Mladić-Karadžić condannato all’Aja non sia colpevole di nulla, così come più della metà degli intervistati pensa che i serbi non siano responsabili dei crimini commessi in Kosovo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. In tale atmosfera, per Ema non sarebbe facile tenere lezioni.

Vi è però anche l’altro lato della storia. Il 43% degli intervistati crede che sia possibile una riconciliazione tra serbi e croati, il 53% crede in una riconciliazione tra serbi e bosgnacchi e il 23% in una riconciliazione tra serbi e albanesi. Inoltre, più della metà degli intervistati ritiene che la responsabilità delle guerre degli anni Novanta ricada sulle élite politiche e non sui popoli ex jugoslavi.

Per quanto riguarda invece la Bosnia Erzegovina, ovvero il suo popolo più numeroso, quello bosgnacco, il principale leader politico bosgnacco, Bakir Izetbegović, non socializza con i robot – anche perché in Bosnia Erzegovina, a dire il vero, di robot non ce ne sono affatto – ma si può tranquillamente affermare che si comporta come se fosse uno zombie. Nell’ultima intervista di circa un mese fa – che Izetbegović ha scelto di rilasciare, dopo mesi di silenzio, non a uno dei media pubblici e nemmeno a uno dei rispettabili media privati, bensì a un’emittente piuttosto oscura, la Televisione musulmana Igman - il leader bosgnacco ha evitato di affrontare quasi tutte le questioni di rilievo. Questa intervista è l’esempio della spudoratezza dei media, un’agiografia assurda di un uomo assurdo che, grazie alle circostanze storiche, si è trovato a guidare l’unico popolo europeo vittima di un genocidio dopo la Seconda guerra mondiale.

In questi giorni, forse più che mai, sta emergendo il carattere paradossale delle elezioni nei Balcani. Le forze politiche che hanno deciso di boicottare le elezioni in Serbia si sono semplicemente rese conto di non essere sufficientemente forti da far vacillare il regime di Vučić e del suo partito progressista serbo (SNS), al potere ormai da otto anni.

Quanto alle prossime elezioni in Bosnia Erzegovina, forse l’opzione migliore sarebbe quella di organizzare il boicottaggio delle elezioni, come un atto di disobbedienza civile. Ma tale opzione porterebbe alla conferma dello status quo, ed è proprio quello che auspicano il Partito di azione democratica (SDA) di Izetbegović e l’Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH).

Qualche giorno fa, i leader dei due partiti hanno finalmente raggiunto un’intesa sullo svolgimento delle elezioni amministrative a Mostar, che non si tengono da oltre dieci anni. Ma non lo hanno fatto perché ci tengono a migliorare la vita della popolazione locale, bensì perché vogliono rimanere al potere. E per far sì che l’attuale brutta situazione si protragga all’infinito.
--- Termina citazione ---

Vicus:

--- Citazione ---Praticamente intere generazioni se ne sono andate dai Balcani, lasciando i propri paesi nelle mani di criminali emotivamente deprivati e narcisisti,
--- Termina citazione ---
E' anche vero che in Italia clan malavitosi hanno il controllo del territorio anche al Nord, in stretta sinergia con le amministrazioni locali. Tutto il mondo è Paese.

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