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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Vicus:
Il rumeno che mi ha rifatto le tubature (è un artista, devo riconoscerlo) ha anche lui decantato il comunismo in Romania: nel frattempo ha cambiato due macchine (senza contare i furgoni) e si è comprato una casa faraonica da cui è scappata anche la 2° moglie (rumena anche lei). Mica male per un comunista...
Se penso ai milioni di aborti (sei milioni di italiani sterminati), oggi praticati anche al 9° mese o addirittura dopo la nascita (tralascio i particolari agghiaccianti), Ceausescu ci fa la figura di un paladino dei diritti umani.
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/107982
--- Citazione ---SERBIA: Proteste e scontri dopo l’annuncio di nuove restrizioni
Milena Nuferosic 9 ore ago
È stata una notte di proteste e scontri a Belgrado, dopo che circa 5mila cittadini si sono riuniti spontaneamente davanti al parlamento in seguito all’annuncio del presidente serbo Aleksandar Vucic di introdurre nuove restrizioni contro la pandemia. La tensione è salita dopo che alcuni manifestanti hanno provato a irrompere nel parlamento. La polizia ha risposto con cariche e fumogeni, provocando ulteriormente l’ira dei tanti giovani che hanno occupato l’intera zona intorno all’assemblea, dove sono stati dati alle fiamme diversi veicoli della polizia ed è continuato un fitto lancio d’oggetti fino a tarda notte. Sono stati riportati diversi casi di azioni violente e brutali da parte delle forze armate, anche se al momento non si hanno stime su arresti e feriti. A riportare tutta la notte in collegamento in diretta un’equipe della tv indipendente N1, prima a giungere sul posto, mentre i 3 canali di RTS – la TV di stato – trasmettevano programmi di intrattenimento.
Restrizioni contro gli assembramenti, sia all’aperto che al chiuso, e un coprifuoco a partire dalle 18 di venerdì fino alle 5 di lunedì prossimo. Sono queste le principali misure annunciate martedì alle 18 dal presidente Vucic in una conferenza stampa in cui ha condannato il senso di irresponsabilità delle persone per l’emergenza sanitaria. La conferenza stampa – in cui il presidente è sembrato visibilmente provato – ha scatenato l’insoddisfazione di migliaia di cittadini. I numeri del contagio da COVID-19, infatti, sono ripresi a salire nelle ultime due settimane, in particolare nella regione meridionale del Sangiaccato, dove si concentrano i peggiori focolai e dove gli ospedali sono ormai al collasso.
Lo scarso equipaggiamento delle strutture sanitarie e la manipolazione delle informazioni relativamente al numero di contagiati, così come sul numero di respiratori a disposizione, avrebbero contribuito alla rabbia dei cittadini. Il lockdown in Serbia, con lunghissimi coprifuoco e rigorose limitazioni alla libertà di movimento, era durato da metà marzo fino a inizio maggio. Il governo aveva quindi rimosso le misure di contenimento fino al ripristino totale della normalità, con tanto di stadio pieno per il derby di Belgrado, a cui hanno assistito oltre 25mila persone, risultando il più grande assembramento in Europa dalla fine del lockdown. In molti accusano Vucic di aver voluto dare un’apparenza di normalità in vista delle parlamentari del 21 giugno, quando ha trionfato con oltre il 63% dei voti il suo Partito Progressista Serbo. L’indomani delle elezioni – in cui hanno superato lo sbarramento del 3% solo altri 2 partiti (uno di questi sono i socialisti alleati di governo) – il portale BIRN ha pubblicato un’inchiesta secondo cui le autorità hanno mentito sui dati dell’epidemia, nascondendo i numeri dei morti, che sarebbero tre volte più alti di quelli dichiarati.
La conferenza di Vucic di ieri è stata quindi la goccia che ha scatenato l’insoddisfazione. I cittadini non accettano di essere ritenuti responsabili da un governo accusato di aver manipolato l’informazione e di aver voluto solo portare gli elettori ai seggi (sfidando anche il boicottaggio delle opposizioni). Alcuni ritengono che gli stessi festeggiamenti nella sede di SNS nella notte elettorale del 21 giugno, con tanto di balli tradizionali e nessun distanziamento sociale, siano la dimostrazione delle gravi responsabilità di Vucic e di tutta la classe dirigente nella gestione della pandemia. Anche il ministro della Difesa, Aleksandar Vulin, il capo dell’ufficio per il Kosovo, Marko Djuric, e la presidente del parlamento, Maja Gojkovic, sono risultati positivi al coronavirus successivamente alla festa alla sede del partito.
Mentre la premier Ana Brnabic a notte inoltrata ha dichiarato che lo stato difenderà la legalità, tutto lascia credere che le proteste continueranno nei prossimi giorni e che in molti non vorranno rispettare il coprifuoco imposto per il fine settimana. Al 7 luglio la Serbia registra oltre 16mila casi di contagio e 330 morti.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/107502
--- Citazione ---SERBIA: Nuova alluvione, nuove polemiche?
Pietro Aleotti 2 settimane ago
La Serbia è stata flagellata, martedì scorso, da piogge torrenziali che hanno coinvolto soprattutto la parte centro-occidentale del paese, al confine con la Bosnia Erzegovina che, pure, lamenta numerosi allagamenti. Le piogge hanno provocato lo straripamento dei corsi d’acqua e il conseguente alluvionamento di vaste aree del settore interessato: una decina di municipalità in Serbia, due in Bosnia. Particolarmente colpite sono state Zvornik, in Bosnia, Ivanjica, Ljubovija, Loznica, Krupanj, Osecina, Lucani, Kraljevo e Guca, in Serbia.
Non si contano, ad oggi, vittime tra gli abitanti (solo un ferito grave a Kraljevo), ma è già possibile stimare che i danni siano molto ingenti: l’interruzione di strade e ferrovie ha provocato l’isolamento di molti centri, a Ljubovija sono crollati tre ponti mentre sono centinaia le case sommerse. A Kraljevo, dove ad esondare è stato il fiume Ibar, due ristoranti sono stati trascinati dalla forza della corrente. Vista la situazione le autorità locali hanno proclamato lo stato di emergenza e messo sotto osservazione speciale anche il Danubio e la Sava.
La polemica dietro l’angolo…
Ancora in piena emergenza si intravedono già le argomentazioni polemiche che accenderanno la discussione politica delle prossime settimane: dopo la devastante alluvione che coinvolse la Serbia (e non solo) nel 2014, le autorità hanno speso quasi 80 milioni di euro nella realizzazione e nella manutenzione delle opere di difesa, inclusa la costruzione di diverse protezioni fluviali.
Di questi, nel quinquennio tra il 2014 e il 2019, ben 4,4 milioni di euro sono stati destinati proprio ai comuni finiti sott’acqua in questi giorni. In particolare, Ljubovija e Osecina hanno ricevuto, ciascuna, una cifra vicina al milione di euro per la ristrutturazione di ponti, argini e dighe.
Se siano tanti o pochi e, soprattutto, se siano stati spesi bene è difficile dirlo. Da una parte, infatti, resta l’osservazione inconfutabile che, secondo quanto dichiarato dal primo cittadino, Milovan Kovacevic, a Ljubovija alcuni argini avrebbero ceduto sotto la pressione delle acque del torrente Ljubovida, lasciando intendere che qualcosa sia “andato storto”. D’altra, va detto che i 210 millimetri di pioggia che secondo il primo ministro serbo, Ana Brnabic, sarebbero stati segnali in alcune zone del paese rappresentano, da soli, quasi un terzo delle precipitazioni mediamente registrate in Serbia nell’arco di un anno. E che i 60 millimetri, circa, misurati lo scorso martedì nei dintorni di Ljubovida sono, secondo i dati del Servizio Idrometereologico Nazionale, le piogge normalmente attese per tutto il mese di giugno, storicamente il più piovoso dell’anno.
Il territorio fragile
La Serbia e più in generale l’intera regione si conferma un’area fortemente predisposta a questi accadimenti e, soprattutto, un’area dal tessuto urbano e infrastrutturale assai fragile e, conseguentemente, ad alto rischio. Un anno fa, a inizio giugno 2019, un evento simile riguardò un’area per larga parte sovrapponibile a quella coinvolta oggi con un bilancio molto pesante in termini di danni: decine di strade danneggiate, cinquanta ponti crollati o danneggiati, migliaia di ettari di terreni agricoli inondati e nove comuni posti in stato d’emergenza.
Nella memoria collettiva, tuttavia, è l’alluvione del maggio del 2014 a rimanere maggiormente impressa, per estensione (quasi tutti i Balcani coinvolti) e danni. In quei giorni le piogge più intense degli ultimi 120 anni lasciarono uno strascico a dir poco drammatico: oltre 60 morti – la Bosnia a pagare lo scotto più caro, con 30 vittime – 30 mila evacuati e danni stimati per 3,5 miliardi di euro, congiuntamente tra Serbia e Bosnia. Un episodio talmente violento, esteso e trasversale da far dimenticare, una volta tanto, le ataviche rivalità regionali, facendo prevale la cooperazione e la solidarietà transnazionale anche tra Croazia, Serbia e Bosnia.
Fortunatamente le inondazioni di martedì scorso non hanno avuto né quella magnitudo né quelle conseguenze. Solo a bocce ferme, tuttavia, si potrà fare una stima più precisa e mettere mano ai necessari interventi di ripristino della normalità. Dovendo, tra l’altro, fare i conti con la crisi pandemica in atto che ha visto, proprio nell’ultimo periodo, una nuova recrudescenza in tutta la Serbia.
--- Termina citazione ---
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--- Citazione ---a Ljubovija sono crollati tre ponti
--- Termina citazione ---
--- Citazione ---Un anno fa, a inizio giugno 2019, un evento simile riguardò un’area per larga parte sovrapponibile a quella coinvolta oggi con un bilancio molto pesante in termini di danni: decine di strade danneggiate, cinquanta ponti crollati o danneggiati,
--- Termina citazione ---
Ma i ponti non crollavano "solo in Italia" ?
(Italiano medio docet)
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/107933
--- Citazione ---RUSSIA: Una nube radioattiva solca i cieli del nord Europa
Gianmarco Riva 5 ore ago
Qualche giorno fa, una misteriosa nube radioattiva è stata scoperta solcare i cieli della penisola scandinava e dell’Artico europeo. Secondo quanto messo in evidenza dagli esperti, l’origine di tale fenomeno potrebbe trovarsi in Russia.
L’origine del problema…
Tutto ha inizio tra il 2 e l’8 giugno, quando il DSA (l’organo norvegese per il controllo delle radiazioni nucleari) avverte che insolite quantità di iodio radioattivo sono state rilevate dalle due stazioni meteorologiche di Svanhovd e Viksjøfjel, a poca distanza dal confine che separa la Norvegia dalla penisola di Kola, in Russia. Circa una decina di giorni dopo, tra il 16 e il 17 giugno, le autorità svedesi comunicano la scoperta di altri isotopi, simili ai primi. Questa volta la segnalazione proviene dalle due stazioni CTBTO – la rete globale di monitoraggio radiologico e sistemico – delle isole Svalbard e dell’area di Kirkness. La CTBTO non è stata l’unica stazione di monitoraggio ad aver registrato livelli anomali di materiale nucleare nell’aria. Nello stesso periodo di giugno, anche le autorità di radioprotezione e sicurezza nucleare di Svezia, Finlandia e Paesi Bassi hanno riscontrato la stessa anomala presenza.
…probabilmente un reattore in Russia
Gli isotopi rilevati indicano che il loro rilascio proviene probabilmente da un reattore nucleare. Questa ipotesi viene avvallata anche da Rashid Alimov, noto attivista di Greenpeace Russia. In una comunicazione al Barents Observer, Alimov ha sottolineato come la composizione di questi isotopi sia indicativa della loro possibile sorgente, ovvero un elemento di combustibile esaurito da un reattore. Alcuni ritengono che possa trattarsi di un incidente avvenuto all’interno di una centrale nucleare. Nonostante le diffuse preoccupazioni, l’agenzia governativa svedese ha rassicurato l’opinione pubblica sottolineando che il livello delle emissioni radioattive non costituisce un pericolo, né per la salute dell’uomo né per quella ambientale.
L’Istituto nazionale olandese per la sanità pubblica e l’ambiente (RIVM) ha analizzato i dati forniti dalle autorità scandinave, concludendo che i radionuclidi rilevati potrebbero provenire dalla Russia occidentale: un’area in cui, di fatto, si trovano diversi impianti nucleari, tutti attualmente attivi. Tra questi, si ricorda quello di Leningrad, situato nei pressi di San Pietroburgo, sulla sponda meridionale del Golfo di Finlandia. A porre l’attenzione su questa centrale sono i quattro reattori di cui è composta: tutti di stampo sovietico e simili a quelli della famosa centrale di Chernobyl. Inoltre, vi sono centrali civili operative anche in prossimità delle città di Smolensk, di Tver e di Murmansk.
Un’ipotesi da confermare
Citando un portavoce di Rosenergoatom (la filiale della centrale elettrica del gruppo nucleare statale Rosatom), l’agenzia di stampa russa TASS ha riferito che le due centrali situate nella regione nord-occidentale del paese non avevano segnalato alcun problema; non erano quindi responsabili delle radiazioni rilevate la settimana precedente. Sia lo stabilimento di Leningrad che quello di Kola vicino a Murmansk “funzionano normalmente, con livelli di radiazione all’interno della norma”. Rospotrebnadzor (il servizio federale russo per la sorveglianza e la protezione dei diritti dei consumatori) ha dichiarato di aver misurato i livelli di radiazione in seguito al rapporto della CTBTO e che tutte le misurazioni indicavano stabilità. Anche il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, ha affermato che il “moderno sistema di monitoraggio della sicurezza delle radiazioni” della Russia non ha registrato “situazioni o emergenze minacciose”.
Stando a quanto riportato dal RIVM, si ritiene che le due centrali di Leningrad e Kola possano essere coinvolte nell’incidente poiché situate nell’area interessata. Al momento, però, non vi sono prove certe che possano determinare l’origine esatta della nube radioattiva, e quindi che la colpa sia da attribuirsi alle centrali elettriche russe. Tuttavia, la Russia ha una lunga storia di verità nascoste quando si tratta di questioni nucleari.
Nel 2017, una misteriosa nube radioattiva attraversò i cieli dell’Eurasia. Anche in quel caso molte agenzie avevano concluso che si potesse trattare di un incidente nucleare, o quantomeno di un malfunzionamento di qualche centrale, avvenuto in Russia. Al tempo Mosca negò dapprima l’esistenza della nube, per poi cambiare posizione e prendere atto del problema, senza però rendersene responsabile. Un altro esempio è quello dell’agosto dell’anno scorso, quando un incidente nucleare in una struttura missilistica aveva ucciso sette persone e rilasciato nell’aria materiale radioattivo. Anche in quel contesto, Mosca non aveva riconosciuto pubblicamente l’incidente per due giorni. Forse, anche quest’ultimo sarà l’ennesimo evento di cui non sapremo mai la vera causa.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Metodo-Srebrenica-203344
--- Citazione ---Metodo Srebrenica è uno sconvolgente romanzo documentario edito da Bottega Errante in cui il suo autore, Ivica Đikić, non intende spiegare perché è successo il genocidio di Srebrenica ma come è successo. Recensione
08/07/2020 - Veronica Tosetti
Come ogni anniversario segna il progressivo allontanamento da quanto accaduto, così contribuisce alla formazione della distanza prospettica della storia. Ivica Đikić, giornalista e scrittore croato nato a Tomislavgrad, non ha preso in considerazione l’idea di scrivere di Srebrenica fino al 2005, dopo il decimo anniversario del massacro di Srebrenica, avvenuto tra l’11 e il 17 luglio 1995 in Bosnia Erzegovina. Prima per lui Srebrenica era solo “uno dei toponimi dei misfatti balcanici, di quei toponimi che si ricordano spesso, perché sono diventati luoghi comuni”.
E' servito l’incontro con il giornalista sarajevese Emir Suljagić ad avvicinarlo alle vicende di quell’indicibile orrore e soprattutto alla figura di Ljubiša Beara, il colonnello condannato nel 2002 dal Tribunale dell’Aja in quanto diretto responsabile e artefice dell’intera operazione. Đikić ha poi impiegato circa 10 anni per portare a compimento il suo libro su Srebrenica, partendo dalla convinzione di realizzare un romanzo e poi allontanandosi da quell’idea sempre di più.
Copertina
La copertina di Metodo Srebrenica
Come si fa ad organizzare l'uccisione di 8.000 uomini? Questo romanzo documentario non ci illustra il perché è successo, ma il come è successo. Proprio attraverso il racconto delle modalità pratiche ci fa entrare nelle pieghe umane e mostruose di questo tragico episodio della storia recente europea. Il genocidio di Srebrenica è stata un'operazione razionale e pianificata, coordinata e organizzata dal colonnello Beara. In questo libro Đikić, oltre a seguire ogni movimento di Beara durante quei tre giorni e tre notti del luglio 1995, narra la sua vita prima e durante la guerra, con elementi che collocano la storia principale nel più ampio contesto delle circostanze politiche e sociali dell'epoca.
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"Sapevo di dover tentare di capire, benché si trattasse di cose incomprensibili, di dover cercare di penetrare nel cuore del misfatto, fino alle motivazioni di coloro che avevano ordinato ed eseguito le uccisioni: questo era il presupposto per poter scrivere qualcosa di minimamente credibile e autentico”, si legge nel lungo e importante prologo che apre il libro. Per rispetto di quanto è accaduto dunque - e per il principio per cui è impossibile parlare di ciò che non si conosce -, l’unica soluzione possibile è stata abbracciare il rigore della ricostruzione storica, delle voci, dei nomi, dei fatti: Đikić dà alle stampe Beara nel 2016, a poca distanza dal ventesimo anniversario del genocidio e nel 2020 arriva finalmente in Italia con il titolo Metodo Srebrenica (grazie alla traduzione di Silvio Ferrari e a Bottega Errante Edizioni). Come suggerisce il titolo originale dell’opera, l’autore decide di concentrarsi sulla figura del colonnello, incaricato formalmente dal generale Ratko Mladić di eliminare tutti i civili maschi e adulti (ma non soltanto) di religione musulmana nella zona circostante l’enclave formalmente protetta dall’ONU di Srebrenica.
Di Beara, il lettore scopre ogni dettaglio: nato a Sarajevo e poi cresciuto a Spalato, fa carriera nella Marina dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA) fino a diventare capo di vascello; nel 1991, quando la JNA comincia ad assolvere gli interessi dei serbi e non più dell’intera popolazione jugoslava, Beara farà trasferire la famiglia a Belgrado per poter affiancare il generale Aleksandar Vasiljević, assumendo il ruolo di colonnello. Al colonnello Beara viene dunque affidato il compito finale, risolutivo, all’interno del contesto di una guerra di sfinimento che i serbi stavano infliggendo ai bosgnacchi, i “turchi” sul territorio della valle della Drina. Srebrenica, Bratunac e Kravica, sono le località più importanti teatro di questi giochi strategici, luoghi entro i confini della Bosnia in cui resistono numerosissimi musulmani. Il compito è di effettuare una vera e propria pulizia etnica. E quello che accade non sarà reso noto agli occhi del resto del mondo fino a una settimana dopo, a genocidio ultimato. Sono oltre 8mila i civili uccisi. Al lettore non viene tralasciato nessun dettaglio, nessun nome. Si scopre che quello che accadde a Srebrenica è lasciato esclusivamente nelle mani di quest’uomo che con perizia e freddezza riesce a portare a compimento praticamente da solo un’operazione che non era nemmeno stata pianificata dalle alte sfere del corpo militare.
Il Beara raccontato da Đikić non può essere un Limonov, se si volesse tracciare un parallelismo con un altro grande romanzo di non-fiction, perché è un personaggio senza volto e senza corpo. Più che una persona appare come un’intenzione. Ogni tanto emergono dei dettagli che lo contestualizzano nello spazio: quando affronta Miroslav Deronjić, il sindaco di Bratunac su uno dei ponti cittadini dove scorre la Drina, per negoziare l’uccisione di migliaia di uomini presso l’ex mattonificio, o quando esausto si lascia andare all’alcool. Si scopre poi un fatale errore militare che rischia di offuscare la sua carriera e il suo più grande desiderio, ovvero di compiacere il generale Ratko Mladić.
Ma Metodo Srebrenica non corrisponde nemmeno a La banalità del male della soluzione definitiva jugoslava. Non c'è la pretesa di arrivare alle origini del male o di capirlo, ma piuttosto di destrutturarlo ai suoi minimi termini, fin nella più esile delle sue azioni. La dichiarazione di intenti di Đikić è chiara: “Un procedimento del genere – cioè lo smontaggio e la riduzione ai fattori elementari, con la confusa speranza di riuscire ad avvicinarci alle motivazioni del misfatto – può essere vissuto e qualificato come una razionalizzazione del delitto – in questo caso del genocidio – o addirittura come qualcosa di più maligno della razionalizzazione?”
Inquadrare questo libro non è semplice: saggio, romanzo documentario, non-fiction? Pur sviscerando gli eventi con precisione scientifica, la definizione romanzo non può che essere comunque quella più corretta. La struttura rimane un elemento essenziale: non solo nella parte centrale dove avviene la ricostruzione di quei giorni e di alcuni episodi delle guerre della ex-Jugoslavia cruciali per questo avvenimento, ma anche le parti di prologo, post-scriptum ed epilogo. Senza la voce di Đikić che accompagna il lettore nel difficile processo di scrittura, nei dilemmi di forma che hanno accompagnato il suo intento, questo romanzo non sarebbe tale. Pur esponendo con grande onestà i suoi obiettivi e i limiti incontrati, durante la ricostruzione il narratore rimane completamente esterno, mostrando la quasi onniscienza della materia trattata. La voce di Đikić interviene in pochi, essenziali passaggi quando è inevitabile farlo. Anche per questo siamo lontani dallo stile di Limonov di Carrère, il ritratto di un personaggio “plus grand que la vie”, nel bene e nel male, reso tale anche dallo sfoggio di talento del suo autore.
Solo alla fine, con il post-scriptum, il lettore è in grado di liberarsi di tutta la tensione, abilmente costruita dall’autore in un’escalation di orrore, regalando un racconto in coda all’impietoso resoconto, millimetrico, chirurgico, senza scampo. La chiosa narrativa mette in scena alcuni personaggi che ricordano chiaramente quelli di Cirkus Columbia, (dello stesso autore e sempre edito da Bottega Errante Edizioni), un testo intenso e doloroso. Anche in quest'ultimo Đikić offre una storia senza assoluzione: due bosniaci emigrati in Canada come tanti altri, appartenenti alla diaspora jugoslava, in un ipotetico presente post-Srebrenica.
--- Termina citazione ---
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