Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 78204 volte)

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #450 il: Luglio 09, 2020, 01:47:35 am »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Dramma-Covid-19-in-Serbia-bugie-di-stato-203362

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Dramma Covid-19 in Serbia: bugie di stato

Nelle settimane che hanno preceduto le elezioni politiche la vita in Serbia andava avanti come se il coronavirus non ci fosse più. Ma non era così, ed ora si rischia il dramma. Politica, bugie e contagi in quest'analisi

07/07/2020 -  Antonela Riha Belgrado
A più di tre mesi dalla proclamazione dell’epidemia di coronavirus, in Serbia si registra un drammatico aumento di contagi e decessi da Covid 19. La brusca impennata di nuovi casi di coronavirus ha coinciso con la campagna elettorale per le elezioni politiche, tenutesi lo scorso 21 giugno, durante la quale sono state revocate quasi tutte le misure di contenimento del contagio.

Nel frattempo sono emersi nuovi dati sui pazienti contagiati e morti da Covid 19, che divergono da quelli diffusi dalle autorità. Pertanto, è lecito supporre che alla vigilia delle elezioni le autorità abbiano taciuto il vero numero di contagiati e morti.

In Serbia lo stato di emergenza a causa della pandemia di coronavirus è stato proclamato lo scorso 15 marzo ed è stato revocato lo scorso 6 maggio. Lo stato di emergenza è stato introdotto, tra l’altro, perché questo era l’unico modo legittimo per posticipare le elezioni politiche, inizialmente fissate per lo scorso 26 aprile. La revoca delle misure di contenimento più severe, motivata con un presunto calo dei contagi, ha consentito al presidente Aleksandar Vučić di organizzare le elezioni prima che emergessero tutte le conseguenze dell’epidemia di coronavirus, sia sanitarie che economiche.

E prima del trionfo del Partito progressista serbo (SNS) guidato da Vučić, che ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni politiche, in Serbia sono stati organizzati numerosi comizi elettorali e concerti. Inoltre, la Serbia è il primo paese dove, nel bel mezzo della pandemia, si è tenuta una partita di calcio con 16mila tifosi sugli spalti, senza alcuna misura di protezione. La vita andava avanti come se il coronavirus non ci fosse più, fino all’indomani del voto.

Cittadini e medici protestano
Nel sud-ovest della Serbia, nella regione del Sangiaccato, dove vivono molti bosgnacchi, di fede islamica, un primo aumento del numero di contagi si è verificato dopo la festa di fine Ramadan celebrata lo scorso 24 maggio. Successivamente nel Sangiaccato sono stati organizzati diversi comizi elettorali a cui hanno partecipato numerosi cittadini, senza alcun dispositivo di protezione. Subito dopo le elezioni è stato reso noto che 20 medici e 40 infermieri dell’Ospedale generale di Novi Pazar, la più grande città della regione, sono stati contagiati dal coronavirus e a quel punto è emerso che il numero di pazienti con sintomi gravi stava crescendo ormai da giorni.

Poco dopo da Novi Pazar, ma anche dalle città vicine di Tutin e Sjenica, sono giunte le testimonianze di alcuni medici e cittadini che, sui social network e sui media indipendenti, hanno parlato di come negli ospedali del Sangiaccato mancassero i più basilari dispositivi e farmaci, dalle mascherine ai guanti, dall’ossigeno ai respiratori, ma anche personale medico. All’inizio di aprile il presidente Vučić ha consegnato personalmente  13 respiratori all’ospedale di Novi Pazar, ma poi è emerso che alcuni di questi respiratori non erano funzionanti.

A destare ulteriore preoccupazione nei cittadini del Sangiaccato è stata la notizia secondo cui le autorità locali avrebbero indetto una gara d’appalto per l’acquisto di bare di metallo, il cui uso non è previsto dal rito funebre dei bosgnacchi, suggerendo che le autorità si stavano preparando al peggio. Le immagini dei pazienti sdraiati nei corridoi degli ospedali hanno ricordato le immagini che qualche mese fa ci giungevano dall’Italia e dalla Spagna. Mentre le autorità tacevano, i medici del Sangiaccato hanno chiesto aiuto pubblicamente, e l’aiuto è arrivato dai cittadini che hanno organizzato una raccolta fondi sui social.

Quando, lo scorso 30 giugno, la premier Ana Brnabić e il ministro della Salute Zlatibor Lončr si sono finalmente recati a Novi Pazar, i cittadini li hanno accolti con fischi e urla, gridando: “ladri” e “mafia”, mentre alcuni medici hanno voltato loro le spalle in segno di protesta. La premier ha commentato la reazione di cittadini e medici, definendola una politicizzazione e aggiungendo che non si lascerà intimidire.

Qualche giorno più tardi si è fatto sentire anche il presidente Vučić, affermando che l’ospedale di Novi Pazar è uno dei migliori ospedali in Serbia, che dispone di tutte le attrezzature necessarie e che la notizia secondo cui i respiratori che lui aveva consegnato all’ospedale di Novi Pazar non sarebbero funzionanti è una bugia. Le notizie che continuano ad arrivare dal Sangiaccato smentiscono quanto affermato da Vučić, mentre i medici e i familiari delle persone affette da Covid 19 testimoniano della grave situazione negli ospedali e ambulatori nella regione.

Dati divergenti
Il giorno dopo le elezioni, lo scorso 22 giugno, il portale di giornalismo investigativo BIRN, citando dati provenienti dal sistema nazionale di informazione sul Covid 19, ha riportato che in Serbia il numero di contagiati e morti da coronavirus è superiore a quello riferito dall’Unità di crisi per il contenimento della diffusione del virus istituita dal governo. Secondo un documento di cui BIRN è venuto in possesso, in Serbia nel periodo compreso tra il 19 marzo e l’1 giugno 2020 632 persone sono morte per Covid 19, una cifra superiore a quella ufficiale, pari a 244 unità. Nell’ultima settimana prima delle elezioni, il numero di nuovi contagi oscillava tra 300 e 340 al giorno, numeri molto superiori a quelli comunicati dalle autorità, che parlavano di 97 nuovi casi al giorno.

Secondo i dati comunicati dalle autorità, nei giorni immediatamente precedenti le elezioni ci sarebbe stato un solo decesso legato al Covid 19 al giorno. A suscitare dubbi sulla possibilità che il numero di decessi fosse superiore a quello dichiarato è il dato, riportato da BIRN, secondo cui lo scorso 12 aprile, giorno in cui è stato raggiunto il picco dei decessi, sono morte 23 persone, mentre le autorità hanno dichiarato 6 decessi. I medici dell’Unità di crisi, che prima delle elezioni ogni giorno hanno fornito all’opinione pubblica informazioni sull’andamento dell’epidemia, ora cercano di spiegare quella differenza tra decessi comunicati e quelli effettivi con il fatto che esistono vari sistemi di notifica di nuovi contagi e morti.

Tuttavia, questa spiegazione lascia aperta una domanda: com’è possibile che i dati di cui BIRN è venuto in possesso parlino di 77 morti da Covid 19 a Niš, nel sud della Serbia, mentre secondo i dati provenienti da un altro documento ufficiale a Niš nello stesso periodo i decessi per Covid 19 sarebbero stati 243. Resta ignoto chi e come abbia cambiato i dati che fin dall’inizio della pandemia venivano comunicati dagli esperti dell’Unità di crisi.

Il governo nega ogni responsabilità
La premier Ana Brnabić ha cercato di spiegare queste divergenze nei dati ufficiali in un modo del tutto particolare. “Diciamo che ho i sintomi, vado in un ambulatorio Covid, mi fanno il tampone e risulto positiva. […] Poi presento complicazioni, decido di andare alla Clinica di malattie infettive e vengo investita da un autobus […] Pensate che io debba essere registrata come morta per coronavirus? E di casi come questo chissà quanti ce ne sono…”, ha affermato la premier.

Non si sa quanti cittadini serbi siano stati investiti da un autobus durante la pandemia, ma è altrettanto difficile stabilire quante siano le persone contagiate dal coronavirus, e una parte dell’opinione pubblica dubita della veridicità delle informazioni ufficiali sul numero di decessi.

Entro la fine della scorsa settimana in dieci città serbe è stata dichiarata la cosiddetta situazione straordinaria, che comprende varie misure, tra cui il divieto di assembramenti e sanzioni per chi non rispetta l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi chiusi. Ma nonostante il peggioramento della situazione epidemiologica, le elezioni che, a causa di varie irregolarità, dovevano essere ripetute in 234 seggi elettorali si sono svolte lo scorso 1 luglio.

Il governo continua a ripetere che la situazione è sotto controllo, che le condizioni degli ospedali serbi sono “come in Germania” e incomparabilmente migliori rispetto ad altri paesi della regione. I funzionari statali negano che l’aumento di contagi e morti abbia a che fare con la campagna elettorale ed evitano di commentare certe notizie, come quella secondo cui almeno 11 funzionari dell’SNS e stretti collaboratori di Vučić, tra cui anche la presidente uscente del parlamento serbo Maja Gojković, avrebbero contratto il coronavirus durante una festa organizzata nella notte delle elezioni per celebrare la vittoria dell’SNS.

L’ennesima decisione irragionevole del governo, quella di chiudere le residenze universitarie a Belgrado, dove vivono gli studenti provenienti da tutta la Serbia, ha suscitato una rivolta degli studenti che sono scesi in strada per protestare. La decisione è poi stata revocata per evitare nuovi disordini e gli studenti sono rimasti a Belgrado. Così è stato evitato il rischio di un ulteriore diffusione del virus, dato che un focolaio di nuovi casi è stato registrato proprio tra gli studenti che hanno sostenuto gli esami all’Università di Belgrado nella sessione estiva.

Sui media indipendenti e sui social network continuano a circolare le immagini sconvolgenti di persone che aspettano davanti agli ambulatori di essere sottoposte a tampone, le testimonianze di persone che con febbre alta sono state rimandate a casa dall’ospedale, gli appelli dei medici che chiedono aiuto. All’inizio della pandemia, uno dei medici dell’Unità di crisi del governo serbo ha dichiarato che il coronavirus è “il virus più ridicolo al mondo”. Quattro mesi dopo, nessuno ci ride più sopra.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #451 il: Luglio 09, 2020, 12:54:18 pm »
Ogni commento è superfluo:

Codice: [Seleziona]
https://youtu.be/bMjeIhIPhkg?t=1114
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #452 il: Luglio 11, 2020, 14:27:31 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-acque-che-avvelenano-203276

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Romania: acque che avvelenano

In Romania l'acqua distribuita dalla rete pubblica è inidonea al consumo nei due terzi dei comuni rurali. È la drammatica conclusione di un'indagine di Recorder, che evidenzia la negligenza delle aziende che costruiscono la rete e delle istituzioni locali coinvolte in casi di corruzione

10/07/2020 -  Alex Nedea
(Pubblicato originariamente da Recorder  , selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans  e OBCT)

Secondo la legge sull'acqua potabile adottata nel 2002, lo stato romeno ha il dovere di controllare regolarmente la qualità della rete idrica pubblica. Questa legge stabilisce il livello massimo di sostanze presenti nell’acqua, il cui superamento mette in pericolo la salute dei consumatori. Tuttavia, nelle zone rurali, l'acqua viene testata con minore frequenza rispetto alle città e i risultati, anche quando rivelano livelli troppo elevati di sostanze pericolose, spesso non vengono comunicati ai consumatori. Recorder ha raccolto presso la Direzione della Salute Pubblica (DSP) i risultati delle analisi delle reti idriche di 1568 comuni rurali in Romania. In 892 di essi, i risultati mostrano che sono stati superati i livelli massimi di ammonio e nitrito, oltre a quelli dei batteri provenienti da feci umane e animali.

Quale la causa di queste contaminazioni su larga scala? Per capire meglio Recorder ha consultato ingegneri di perforazione, geotecnici, medici, rappresentanti della Direzione della Salute Pubblica e dipendenti delle aziende facenti parte delle reti di distribuzione. In generale, le acque sotterranee si trovano in tre diversi livelli acquiferi, isolati da strati impermeabili di argilla.

Pozzi poco profondi
La prima è la falda acquifera, di solito a 30 metri di profondità. Tra i 30 e i 100 metri si trova la falda media e a più di 100 metri la falda profonda. In Romania, la maggior parte dell'acqua proveniente dalle falde freatiche è contaminata da attività agricole, escrementi di animali e dai residui dei servizi igienici scavati nei cortili. Secondo l'idrogeologa Delia Sinescu, la raccolta di acque sotterranee nel sud del paese avrebbe dovuto essere vietata già 20 anni fa. "I consumatori ne muoiono", dice, "e i giardini non dovrebbero nemmeno essere innaffiati. Alcuni bambini si sono ammalati perché i loro genitori nelle zone rurali usavano quest'acqua per fare loro il bagno", avverte.

Gli idrogeologi quindi consigliano di trivellare almeno fino alla seconda o addirittura alla terza falda acquifera. Anche i pozzi che attraversano la prima falda devono essere completamente impermeabili, in modo che l'acqua contaminata non vi penetri. Eppure queste raccomandazioni scientifiche vengono ignorate in nome del profitto. Le aziende responsabili della rete non sempre seguono queste linee guida e talvolta non scavano abbastanza in profondità per raggiungere la seconda falda. Con 100 euro al metro di perforazione, questi sono piccoli risparmi che però hanno gravi conseguenze per la salute.

Queste aziende hanno spesso contatti politici che permettono loro di vincere le gare d'appalto e beneficiare della negligenza delle istituzioni. Per rendere l’amicizia tra politici e imprenditori il più proficua possibile, le leggi vengono calpestate o adattate agli interessi di entrambi. La promulgazione della legge sull'acqua nel 2002 è stata una delle condizioni imposte da Bruxelles per l'adesione della Romania all'UE. Ma le direttive europee e le leggi romene vengono semplicemente ignorate. Quando viene inaugurata una rete di distribuzione dell'acqua, questa deve essere controllata almeno un anno dopo la perforazione. La legge però non specifica chi deve effettuare questo controllo, né quanto devono pagare gli inadempienti. In pratica, le imprese di costruzione non si preoccupano di questo passo fondamentale, ma chiedono comunque alla DSP un permesso di esercizio sanitario. La negligenza delle istituzioni permette alle aziende incaricate dei lavori di non preoccuparsi della qualità dell'acqua.

Un esempio
Nel comune di Gângiova, dove poco dopo l'inaugurazione della rete idrica Recorder ha scoperto che l'acqua era contaminata, la società Condor Păduraru sostiene che l'acqua era potabile quando il progetto è stato completato. E infatti, secondo le analisi della DSP, era adatta al consumo. Tuttavia, i rappresentanti della DSP hanno poi dichiarato di aver effettuato queste analisi su campioni portati da rappresentanti dell'azienda e si è poi scoperto che l'acqua proveniva da Șimnic, un comune situato a 70 chilometri da Gângovia.

Falsificare le analisi fornendo campioni falsi è una pratica comune, dice un dipendente di una grande impresa di costruzioni nel sud del paese. "Tre volte ho visto persone versare acqua minerale in bottiglia in bottiglie campione", dice. I municipi firmano la conferma di ricezione dei lavori basandosi su queste analisi, le aziende si fanno pagare e gli abitanti consumano acqua contaminata.

Dopo la ricezione e prima della messa in funzione della rete di distribuzione, le autorità locali devono ottenere un'autorizzazione sanitaria dalla DSP. "Ma prima di richiedere questa autorizzazione, ci portano dei campioni per controllare la qualità dell'acqua. Ma anche se la qualità dell'acqua non è buona, nessuno torna a chiederci il permesso", spiega Ștefan Popescu, della sede dalla DSP di Dolj.

Quindi le reti di distribuzione dell'acqua sono state inaugurate senza l'autorizzazione della DSP. I municipi approfittano del fatto che le sanzioni pecuniarie sono basse, 4000 lei [circa 830 euro] se si scopre che l'acqua non è adatta al consumo. Per evitare questa multa basta indicare che l'acqua non è potabile, cosa che la maggior parte dei consigli comunali non si preoccupa nemmeno di specificare.

Frode ai fondi europei
Nel 2007, quando la Romania è entrata nell'UE, Bruxelles le ha imposto una serie di obiettivi per allinearla agli standard europei. Uno dei più importanti è stata la modernizzazione delle infrastrutture nelle zone rurali. All'epoca, metà della popolazione romena non era collegata alle fognature e un terzo sopravviveva ancora attingendo all’acqua dei pozzi. Per costruire queste nuove infrastrutture, l'UE ha stanziato 2 miliardi di euro.


Bucarest ha speso i soldi forniti dall'Unione Europea, ma i progetti sono stati realizzati in maniera molto scarsa: bandi di gara con vincitori predeterminati da tempo, aziende legate a partiti che gonfiano i prezzi, lavori eseguiti solo sulla carta e mai messi in atto, attrezzature ad alte prestazioni sostituite da impianti più economici, reti idriche che collassano poco dopo l'inaugurazione...


Dopo la prima parte di questa indagine, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha fatto il punto della situazione e avviato una valutazione delle informazioni presentate da Recorder. L'OLAF opera sotto l'egida della Commissione europea e indaga su casi di frode contro il bilancio dell'UE, corruzione e grave negligenza a livello delle istituzioni europee. In Romania, anche la Direzione nazionale anticorruzione (DNA) si è attivata dopo l'indagine di Recorder. Anche i ministeri dell'Ambiente e dell'Agricoltura romeni hanno effettuato indagini interne in tutto il paese. I risultati di queste indagini confermano le gravi irregolarità segnalate da Recorder.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #453 il: Luglio 11, 2020, 14:29:44 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Srebrenica-25-anni-203456

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Srebrenica, 25 anni

Alla commemorazione per i 25 anni dal genocidio di Srebrenica si attendevano centomila persone. Saranno, causa restrizioni Covid-19, molte meno. Le numerose iniziative artistiche e di memoria quest'anno, in assenza di un momento di conforto collettivo, acquisiscono ancora maggiore importanza

10/07/2020 -  Alfredo Sasso
I funerali delle vittime identificate negli ultimi dodici mesi – quest'anno in tutto otto - si terranno regolarmente, così come si svolgerà la tradizionale commemorazione dell’11 luglio. Ma il venticinquesimo anniversario del genocidio di Srebrenica si svolgerà in una cornice molto ridimensionata. L'incidenza del Covid, che in Bosnia Erzegovina era stata relativamente contenuta nei mesi primaverili, si è riacutizzata nelle ultime settimane, comportando nuove restrizioni sugli eventi pubblici e sugli arrivi dall'estero.

Prima della pandemia, gli organizzatori prevedevano circa centomila persone e di questi almeno diecimila, provenienti da tutto il mondo, sarebbero stati i partecipanti attesi alla Marcia della Pace. È il cammino di circa cento chilometri che riprende a ritroso quello compiuto da migliaia di bosniaci musulmani nel luglio 1995, che cercarono – solo una piccola parte vi riuscì - di mettersi in salvo dalle milizie serbo-bosniache che avevano appena occupato la cittadina di Srebrenica per poi operare l'eliminazione sistematica di tutti gli uomini adulti catturati, almeno 8.372 secondo l’elenco del Memoriale di Potočari.

In questa edizione della marcia, partita la mattina dell'8 luglio, i partecipanti ammessi al cammino sono stati solo un centinaio, tutti reduci della marcia di 25 anni fa. “Ogni notte sogno tutto questo“, racconta uno di loro, Nazif Krdžić, al portale Klix.ba  . "Allora affiorano i ricordi di quelli che si misero in marcia insieme a me e che però non sono arrivati vivi”. Un altro, Almedin Bećirović, è tornato dall’Olanda per ricordare i due fratelli e il papà, morti durante la marcia del 1995. "Mi sforzo al massimo di rendere omaggio, a prescindere dall’appartenenza religiosa. Ma chi nega il genocidio dovrebbe essere punito, è inaccettabile".

Dossier

L'11 luglio del 1995 prendeva avvio il genocidio di Srebrenica. Sono trascorsi 25 anni da allora ma di quei fatti, monito per l’intera umanità, non vi è ancora pieno riconoscimento. In un nostro dossier le commemorazioni delle vittime, la ricerca degli scomparsi, la riflessione sul presente

Sono numerose le diverse iniziative artistiche e di memoria, che quest’anno acquisiscono ancora maggiore importanza, nell’assenza del momento di conforto collettivo. I capannoni del villaggio di Potočari, ex-base del battaglione olandese dell’Onu - che nel 1995 doveva difendere la zona protetta di Srebrenica e abbandonò invece la popolazione civile al proprio destino – sono oggi lo spazio espositivo del Memoriale di Potočari che si trova davanti al cimitero delle vittime, alle porte della cittadina. È qui che il pittore Safet Zec esporrà fino al 7 ottobre la mostra “Exodus”, con alcuni dipinti che raffigurano scene tragicamente iconiche della popolazione in fuga da Srebrenica: una "risposta artistica e umana" all’orrore, ha spiegato Zec. Lo stesso Memoriale sta presentando sul proprio sito diversi progetti, da 12 dana sjećanja (“12 giorni di memoria”, versione in inglese qui  ) raccolta di testimonianze e storie di vita legate ai tragici eventi di Srebrenica con particolare attenzione alle donne e al loro ruolo di "vittime, testimoni, familiari ed attiviste per la verità", alle testimonianze di coloro che vissero il genocidio da bambini (video, sottotitolati in inglese, qui  ).

Sempre in questi giorni, l’artista bosniaca-americana Aida Sehović proporrà per la prima volta a Srebrenica la sua installazione  Što te nema (“Perché non ci sei”), che consiste nella disposizione di circa 8.000 tazzine di caffè bosniaco (i fildžani) raccolte nel corso degli anni da famiglie bosniache di tutto il mondo. È un “monumento nomade” che, secondo le parole dell’artista, intende rappresentare simbolicamente il numero delle vittime del genocidio di Srebrenica e uno spazio di “guarigione e conciliazione collettiva”.

Questi e tanti altri progetti servono non solo a tenere alta l’attenzione internazionale, ma anche a custodire la memoria dei fatti di Srebrenica come un processo vivo, partecipativo, ispirato a valori universali. Quanto mai necessario dato che nei dodici mesi dall’ultima commemorazione si segnalano mancati progressi e, al contrario, sono stati fatti veri passi indietro in molti aspetti decisivi per una elaborazione del trauma, premessa necessaria una riconciliazione sociale.

Processi incompleti
La sentenza definitiva della giustizia internazionale al generale Ratko Mladić, originariamente prevista per lo scorso marzo, avrebbe dovuto chiudere una volta per tutte il percorso giudiziario e completare quel senso di riparazione atteso da tanto, troppo tempo. Invece l’IRMCT (la Corte di secondo grado erede del Tribunale internazionale per l’ex-Jugoslavia) ha rinviato tutto al 2021, per l’emergenza-pandemia e per i problemi di salute dello stesso Mladić.

È vero che una conferma dell’ergastolo appare prevedibile, se non scontata, considerando i precedenti e la giurisprudenza consolidata. Ma l’indeterminatezza lasciata dal mancato punto finale ravviva la sensazione di ingiustizia. Qualcuno  , seguendo la analogia che viene spesso tracciata tra la corte dell'ex-Jugoslavia e quelle post-seconda guerra mondiale, segnala che è come se il Tribunale di Norimberga fosse stato ancora operativo nel 1971.

A tutto ciò si aggiunge la frustrazione per i tanti quadri medi e inferiori tra ufficiali militari e di polizia che non sono mai stati perseguiti dalla giustizia internazionale. La cooperazione tra le procure dei diversi paesi post-jugoslavi, che pure ha avuto momenti virtuosi in passato, oggi è ai livelli minimi e risente delle pressioni politiche – a Belgrado, ma anche a Zagabria e Sarajevo - per accelerare certi procedimenti e insabbiarne altri. "Tutti hanno le ‘nostre’ vittime e i ‘loro’ crimini di guerra", ha recentemente commentato  l’attivista serba per i diritti umani Natasa Kandić, osservando con amarezza che l’attuale clima per la giustizia sui crimini di guerra è il “peggiore di sempre”.

Un altro processo che non si completa, e che a questo punto potrebbe non completarsi mai, è quello della riesumazione dei corpi nelle fosse comuni primarie, secondarie o terziarie. Delle 8.372 vittime sono circa 1.700 quelle i cui resti non sono stati ancora ritrovati. Non è una questione che riguarda solo Srebrenica: secondo i dati dell'Istituto persone scomparse della Bosnia Erzegovina (MPI) sono circa 7.000 i dispersi delle guerre del 1991-95 in tutta la Bosnia Erzegovina e 12.000 in tutta la ex-Jugoslavia. Le riesumazioni sono calate drasticamente negli ultimi anni, per tante ragioni: ci sono sempre meno testimoni, i documenti sono stati occultati o distrutti, le frane e alluvioni che a più riprese colpiscono la regione stanno cambiando la conformazione dei terreni. Anche per questo le ferite della memoria restano aperte.

Revisionismo
L'aspetto più preoccupante è quello del revisionismo sui fatti di Srebrenica, sempre più diffuso e consolidato da parte degli ambienti istituzionali, culturali e educativi della Republika Srpska, e che riceve legittimazioni dal clima internazionale. Un rapporto del Memoriale di Srebrenica-Potočari, pubblicato lo scorso maggio, ha esaminato con cura le tecniche di costruzione del discorso revisionista, dal tentativo di minimizzare i numeri degli uccisi al ribaltamento della ricostruzione storica, ovvero il descrivere la presa di Srebrenica del luglio 1995 come un’operazione di autodifesa e liberazione invece che un crimine contro l’umanità. A seconda delle necessità, quindi, si nega la legittimità delle prove oppure le si rivendica come atti giusti e necessari. Radovan Karadžić – a cui resta intitolato, dal 2016, il dormitorio universitario di Pale -, Ratko Mladić e gli altri vengono sempre più glorificati nel discorso pubblico come padri fondatori ed eroi civili dell’entità serbo-bosniaca.

Le straordinarie raccolte di testimonianze, documenti e ricostruzioni fattuali compiute dai tribunali e dalla società civile sono necessarie e preziose, ma non sufficienti. Serve un lavoro paziente nell’educazione e nella comunicazione, dove le ricadute della segregazione identitaria e dei discorsi d’odio sono gravi e durature. Lo scorso gennaio ha creato grande sensazione nella comunità locale il caso di una fotografia di alunni della scuola elementare di Srebrenica travestiti da combattenti cetnici - le milizie ultranazionaliste serbe della Seconda guerra mondiale, la cui simbologia fu riadottata negli anni Novanta – a cui non è seguita alcuna riflessione pubblica né espressioni di condanna da parte delle autorità cittadine.

Diversi analisti ricordano, tra gli eventi che hanno contribuito a relativizzare il genocidio, la consegna del Premio Nobel per la letteratura 2019 a Peter Handke. Le posizioni dello scrittore austriaco su Srebrenica e sull’intero conflitto in Bosnia Erzegovina sono apertamente negazioniste rispetto ai crimini di guerra e costituiscono parte integrante della sua produzione letteraria. Ma l’impressione è che una parte consistente del mondo intellettuale mondiale – e quello italiano non ha fatto eccezioni – le abbia trattate come opinioni legittime, o comunque di poco conto di fronte alle capacità attribuite all’autore di “esplorare la specificità dell’esperienza umana”, nelle discusse parole dell’Accademia di Svezia che gli sono valse il premio.

Tanta leggerezza sarebbe stata probabilmente impensabile anche solo pochi anni fa, quando le guerre jugoslave erano ancora memoria viva per società civili europee e occidentali. E questo preoccupa molti bosniaci solidali con la causa di Srebrenica, che hanno percepito il caso Handke come un segnale di oblio, persino di doppio standard del mondo occidentale rispetto ad altri crimini ed oppressioni che continuano a muovere e polarizzare le coscienze. I negazionisti locali invece hanno approfittato dell’occasione di legittimità, idolatrando Handke al punto di sostenere l'erezione di una sua statua a Banja Luka o nella stessa Srebrenica.

Saltare muri
Nei media e nello spazio pubblico, i pochi personaggi pubblici che criticano la visione conformista della “propria” parte diventano immediatamente oggetto di campagne di discredito sui social, attacchi ad personam sui media, pesanti pressioni sul lavoro e sulla sfera privata. È un fenomeno consolidato nella Republika Srpska, ma che avviene anche a Sarajevo, a Mostar e in tutta la Bosnia Erzegovina, a prescindere dall’appartenenza nazionale.

Le memorie e le sofferenze si usano come un martello per conservare lo status quo e perpetuare sistemi di potere attraverso differenze sociali e paure esistenziali, invece che come punto di partenza inevitabile per ripensare un futuro comune. Servono tanti “traditori della compattezza etnica” disposti a esplorare frontiere, saltare muri e costruire ponti di dialogo (secondo la celebre definizione di Alexander Langer  rievocata in un recente dibattito  dall’ambasciatore italiano a Sarajevo Nicola Minasi) per guardare al futuro. Un futuro che per tante ragioni – desertificazione produttiva, azzeramento della forza lavoro, isolamento geografico, emigrazione, spopolamento – appare sempre più difficile in questo pezzo di Bosnia, di Balcani, di Europa.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #454 il: Luglio 11, 2020, 14:32:36 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/25-anni-alla-ricerca-di-Selma-202937

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25 anni alla ricerca di Selma

Selma Musić scomparve nel 1995 durante la presa di Srebrenica. Aveva 7 anni. Nel 2019 i genitori scoprirono in una foto che era arrivata sana e salva sul territorio della Federazione. Una speranza per continuare la loro ricerca

09/07/2020 -  Nicole Corritore
L’11 luglio del 1995 le truppe serbo-bosniache di Ratko Mladić entrarono a Srebrenica, cittadina decretata “Area protetta” dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel 1993 e posta sotto protezione dei Caschi blu, dove si erano rifugiati migliaia di bosniaci musulmani fuggiti dai villaggi della zona. In pochi giorni vennero deportate, uccise e occultate in fosse comuni più di 8mila persone, tutti bosgnacchi (bosniaco-musulmani). Centinaia di civili, tra bambini, donne e anziani, vennero sfollati con la violenza, altri tentarono la fuga percorrendo quella che fu per molti una marcia della morte.

Selma Musić aveva sette anni e dieci mesi. La madre Alija si trovava il 12 luglio a Potočari, pochi chilometri da Srebrenica, davanti alla base dei Caschi blu, in cerca di salvezza assieme a centinaia di altri civili. Con lei altri tre figli: Alen di 5 anni, Elvira di 2 e Sadik di sei mesi. Nella folla terrorizzata, spinta a forza dai soldati, Alija perse di vista la figlia Selma. Selma Musić è nata il 17 settembre 1987 a Bukovici, comune di Vlasenica. È scomparsa il 12 luglio 1995 a Potočari vicino a Srebrenica. È stata vista l'ultima volta il 13 luglio 1995 a Ravne, vicino a Kladanj, nel cosiddetto “territorio libero”. Da allora non se ha più traccia.

Informazioni su Selma
Selma Musić è nata il 17 settembre 1987 a Bukovici, comune di Vlasenica. Occhi nocciola, capelli biondo-castano, pelle chiara, presenta difficoltà motoria a braccio e gamba sinistra. E’ scomparsa il 12 luglio 1995 a Potočari vicino a Srebrenica. È stata vista l'ultima volta il 13 luglio 1995 a Ravne, vicino a Kladanj, nel cosiddetto “territorio libero”. Da allora non se ne ha più traccia. Quest'anno compirebbe 33 anni.

Se si dispone di informazioni, segnalarlo alla Croce Rossa del proprio paese o all'Interpol o alla polizia locale. Per ulteriori informazioni si veda la pagina Facebook: “Missing Selma Music since July 12 1995 in Srebrenica, Potocari  ”.

Ascolta l'appello audio di Elvira Musić

La famiglia di Selma ha continuato a cercarne le tracce sino ad oggi, senza risultato. In Bosnia è stata inserita nella lista degli scomparsi e negli anni si è cominciato a credere che fosse stata uccisa e il suo corpo occultato in una fossa comune. Ma nel 2019 è accaduto qualcosa.

La sorella Elvira, oggi ventisettenne, mi ha contattata: “Ciao, ho visto un video in cui hai tenuto un'intervista sui bambini scomparsi dalla Bosnia. I miei genitori e io stiamo cercando mia sorella scomparsa in quegli anni. Di recente è apparsa una sua foto che indicava che era viva...”. Elvira aveva letto l’inchiesta di OBCT e i servizi realizzati dalla Rai sulla storia dei “Bambini di Bjelave  ”, che da Sarajevo nel luglio del 1992 vennero portati in Italia con l’accordo di farli rientrare in Bosnia alla fine della guerra, ma finirono poi in adozione nonostante i genitori biologici fossero ancora in vita.

Grazie ad Elvira abbiamo ricostruito la vicenda della tragica scomparsa della sorella e ci ha inviato un appello audio, nella speranza che quante più persone lo condividano per aiutare la sua famiglia in questa estenuante ricerca: “Sono Elvira, sorella di Selma Musić che è sparita a Srebrenica nei giorni della caduta della città e che tutta la mia famiglia sta cercando da 24 anni. Quando è scomparsa io avevo solo due anni, per cui purtroppo non mi ricordo di lei. Ciò che mi porto dentro da tutta la vita sono i racconti su di lei che mi hanno riportato i nostri genitori, oltre a una grande sofferenza e un grande vuoto.”

Siamo entrati in contatto con il padre, Salim, che ha raccontato quell’11 luglio: “Ho dovuto prendere la via dei boschi, assieme a tanti altri ragazzi e uomini. Solo io so cosa ho passato e quanto quel cammino sia stato duro. È difficile da raccontare e mai lo dimenticherò. Il momento più duro è stato però quando ho dovuto dividermi dalla mia famiglia, ma ancora peggio quando ho saputo che Selma era scomparsa”.

Selma Musić in Kladanj, July 1995
Photo Ahmet Bajrić Blicko

“Srebrenica era caduta. Mentre gli uomini tentavano la fuga attraverso i boschi, donne, bambini e vecchi si sono incamminati verso la base ONU - ha raccontato invece nel marzo del 2019  la moglie Alija - A Potočari c’era il caos, una folla enorme, la paura si respirava ad ogni passo. Portavo in braccio Sadik, il più piccolo, gli altri tre mi camminavano davanti. Ad un certo punto Selma è sparita dalla mia vista, è stata questione di un secondo.” Alija ha cominciato a cercarla per ore in mezzo a quella massa umana, rivolgendosi anche a Ratko Mladić: “Gli ho tirato la manica della camicia dicendogli che avevo perso mia figlia, ma mi ha spinta via. Poi ci hanno stipati sugli autobus...”. Assieme a centinaia di sfollati verranno mandati verso il cosiddetto “territorio libero” controllato dall’Armija BiH.

Il marito Salim invece ha percorso più di 100 km a piedi lungo quella che è stata chiamata la “Marcia della morte” e - a differenza di molti altri morti di stenti, per le ferite o uccisi lungo il tragitto - è riuscito ad arrivare in territorio libero: “Ho ritrovato mia moglie e i miei tre figli il 20 luglio, a Lukavac [a nord-ovest della città di Tuzla]”. Segnalarono subito alla Croce Rossa e all’Unhcr (Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati) la sparizione di Selma.

Nei sette anni in cui vissero da sfollati in un villaggio nei pressi Lukavac [nel Cantone di Tuzla], non ebbero alcuna informazione su Selma e nel 2002 tutta la famiglia ha ottenuto i visti per gli Stati Uniti. Oggi Salim, con la moglie Alija e i due figli Alen e Sadik, vivono a Saint Louis nel Missouri, mentre Elvira vive con il marito e due figli nell’Iowa.

Ma l’anno scorso è accaduto un fatto inaspettato, come ci ha raccontato Elvira: “A marzo 2019, solo per caso, mia mamma ha visto una foto apparsa su una pagina Facebook e ha riconosciuto subito i vestiti che Selma portava quel giorno... ci ha chiamati tutti per dircelo”. “I miei genitori fin dalla sua scomparsa hanno continuato a cercare tracce di mia sorella nei modi più disparati ma senza alcun risultato per 24 anni e questo evento ci ha dato nuove speranze”, ha proseguito Elvira. Hanno poi proseguito la ricerca attraverso il profilo Facebook aperto dal fratello di Elvira nel 2011 “Missing Selma Music since July 12 1995 in Srebrenica, Potocari  ”.

La foto a cui si riferisce Elvira è del fotoreporter Ahmet Bajrić (Blicko), scattata a Ravne nei pressi di Kladanj, dove arrivarono decine e decine di donne, bambini e vecchi deportati da Potočari tra il 12 e il 14 luglio. “Ravne era uno dei primi punti di accoglienza di civili in arrivo da Srebrenica. Non ricordo esattamente quando ho scattato quella foto, credo il 13 luglio”, ha dichiarato il fotoreporter a Dnevni Avaz  il 21 maggio dell’anno scorso.

Selma Musić as she would be as an adult
(Age progression elaboration)

Ahmet Bajrić assieme ai colleghi di Radio Zvornik, era tra i pochi giornalisti presenti in quei giorni di luglio a Ravne, vicino a Kladanj, al confine con il territorio controllato dall’esercito serbo-bosniaco. Ha raccontato a OBCT che la foto, come tante altre che aveva scattato in quei giorni tra gli sfollati che arrivavano da Srebrenica, sono state pubblicate su internet e che i genitori di Selma l’hanno contatto dichiarando di aver riconosciuto Selma in uno scatto: “Per loro, questa foto è la dimostrazione che Selma è arrivata salva sul territorio della Federazione”, ha aggiunto Ahmet Bajrić. Il fotografo ha autorizzato OBCT alla pubblicazione  auspicando il ritrovamento di Selma.

Il fotoreporter ha in seguito incontrato i genitori di Selma. Dopo aver visto quella foto hanno deciso infatti di partire per la Bosnia, come racconta il padre di Selma: “In aprile [2019] appena arrivati abbiamo consegnato la foto alla Croce Rossa e alla polizia. Poi abbiamo cominciato a visitare tutte le case di accoglienza di minori della zona di Kladanj. Ci avevano promesso che avrebbero cercato informazioni, ma fino ad oggi non abbiamo ricevuto nulla. Non ci diamo per vinti e torneremo in Bosnia per proseguire le ricerche”.

Hanno poi denunciato la scomparsa anche all’FBI il quale, in base alla foto della bambina, ha realizzato una ricostruzione - attraverso un processo di “age progression” - su come potrebbe apparire oggi, da adulta.

Durante le ricerche, si è sparsa la voce, ma senza alcuna prova finora, che potrebbe essere stata portata fuori dalla Bosnia Erzegovina. “Mi chiedo se ci sia la possibilità che sia stata portata in Italia e se comunque potreste aiutarci in qualsiasi modo”, ha proseguito Elvira. “Il nostro più grande desiderio è trovarla. Per questo spero tanto che questo articolo e questo mio appello arrivino lontano e che chiunque abbia informazioni di qualsiasi tipo su Selma, ce le faccia avere e ci restituisca la pace. Almeno per dirci che sta bene, ovunque lei sia oggi.”

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #455 il: Luglio 11, 2020, 14:37:59 pm »
Chissà se Fusaro il complottista ha visto questo video...

https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Belgrado-i-video-shock-della-violenza-della-polizia

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Belgrado: i video shock della violenza della polizia

Sui social media sono stati pubblicati vari video che documentano la brutalità della polizia contro i manifestanti riunitisi martedì sera a Belgrado per condannare la gestione ufficiale della crisi del coronavirus e la reimposizione di un coprifuoco nel fine settimana. Qui raccolti da Balkan Insight



Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #456 il: Luglio 13, 2020, 20:05:21 pm »
Perché cosa ha detto Fusaro?
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #457 il: Luglio 13, 2020, 21:21:31 pm »
Perché cosa ha detto Fusaro?

Beh, negli ultimi mesi non ha fatto altro che parlare di "rischio dittatura in Italia", "stato di polizia", ecc, perciò mi chiedevo (retoricamente...) se il succitato prof avesse visto cosa accade altrove... ovvero in paesi dove la polizia mena per davvero, anche perché in quei luoghi "può farlo"...

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #458 il: Luglio 13, 2020, 23:13:50 pm »
Sicuramente non intende dire che all'estero va meglio; del resto ha ragione
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #459 il: Luglio 14, 2020, 00:10:38 am »
Sicuramente non intende dire che all'estero va meglio; del resto ha ragione

Non proprio, altrimenti che italiano medio sarebbe ?
Poi, il fatto che sia un prof di filosofia non significa nulla, perché l'esterofilia è una malattia che colpisce sia il laureato che il connazionale con la terza media.


Offline Malpais

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #460 il: Luglio 14, 2020, 14:20:56 pm »
A mio parere Fusaro parla della realtà italiana semplicemente perchè vive in Italia, ma non ritiene che la prassi italiana di gestione dell'emergenza sia sostanzialmente diversa rispetto agli altri Paesi (e se anche lo credesse, l'accusa non sarebbe al proprio Paese, ma all'autorità politica che su di esso comanda). In realtà, Fusaro è stato tra i primi a scagliarsi contro il governo e la polizia francesi, e in favore dei gilet gialli; ha detto di tutto e di più contro le democrazie occidentali, mentre loda abitualmente il nostro Paese, per la sua cultura e le sue tradizioni. Ricordo, ad esempio, la polemica contro l'apertura di Starbucks a Milano e, d'altra parte, l'elogio del tradizionale caffè italiano; e così numerose difese delle tipicità italiane (luoghi turistici, aziende, cucina, arte...). Tra l'altro il nostro filosofo ha dichiarato guerra agli anglicismi e difende a spada tratta l'utilizzo della lingua italiana, cosa non proprio da esterofilo. Talvolta può apparire grottesco, ma è indubbio che abbandonare la propria lingua in favore dell'inglese significa rinunciare alla propria identità in favore del progetto cosmopolita; peraltro, rispolverando spesso termini italiani arcaici, Fusaro porta gli italiani che lo ascoltano a pensare all'antichità della propria lingua, delle proprie radici, del proprio passato. In definitiva, a me Fusaro sembra, nel suo campo, un patriota dei nostri tempi, sebbene non raramente dissenta dal suo pensiero.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #461 il: Luglio 14, 2020, 19:58:33 pm »
Malpais

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A mio parere Fusaro parla della realtà italiana semplicemente perchè vive in Italia

Il problema degli intellettuali italiani (e non solo) come Fusaro è quello di non parlare mai della realtà di altri Paesi.
Il che significa che i suddetti, in buona compagnia dei media, contribuiscono ad alimentare fortissimamente la mentalità anti-italiana fortemente radicata nell' italiano medio.
Anch'io vivo in Italia, ma nonostante ciò mi interesso della realtà degli altri Paesi da quando ero ragazzo.
E se lo faccio io che sono un signor nessuno, che nella vita si occupa di tutt' altro, perché non lo fa un laureato con 110 e lode, nonché docente presso l'Istituto alti studi strategici e politici di Milano ?
https://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Fusaro
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Studi e insegnamento
Diplomato al Liceo classico statale Vittorio Alfieri di Torino (100/100 con menzione), Fusaro ha conseguito la laurea in Filosofia della storia (110 e lode) e successivamente la laurea magistrale con una tesi in Storia della filosofia moderna su Karl Marx presso l'Università degli Studi di Torino.[1][2] Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in Filosofia della storia, è stato ricercatore a tempo determinato di tipo A in Storia della filosofia presso la stessa università dal 2011 al 2016.[3] Nel febbraio del 2016, ha tenuto un seminario sulla figura di Antonio Gramsci presso l'Università di Harvard[4]. È attualmente docente presso l'Istituto alti studi strategici e politici di Milano.




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; ha detto di tutto e di più contro le democrazie occidentali

Altra contraddizione di Fusaro: critica le democrazie occidentali ma si guarda bene dal fare altrettanto nei confronti delle pseudo "democrazie" orientali.
Ad esempio: nei mesi scorsi, durante la pandemia, Fusaro ha fatto riferimento più volte al rischio che nel nostro Paese vi fosse una deriva autoritaria, in sostanza si arrivasse a uno stato di polizia, quindi a una dittatura (per non parlare di tutte le sue scemenze sul covid-19 "fabbricato" in laboratorio, ecc...), poi il tipo che ti fa ?
Loda Orban e Xi Jinping che con la democrazia c'entrano come i cavoli a merenda.

https://www.lastampa.it/esteri/2020/03/30/news/in-ungheria-il-parlamento-da-i-pieni-poteri-a-orban-per-combattere-il-coronavirus-per-l-opposizione-e-dittatura-1.38657562

https://it.wikipedia.org/wiki/Xi_Jinping

Ridicolo.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #462 il: Luglio 14, 2020, 21:17:06 pm »
A mio parere Fusaro parla della realtà italiana semplicemente perchè vive in Italia, ma non ritiene che la prassi italiana di gestione dell'emergenza sia sostanzialmente diversa rispetto agli altri Paesi (e se anche lo credesse, l'accusa non sarebbe al proprio Paese, ma all'autorità politica che su di esso comanda). In realtà, Fusaro è stato tra i primi a scagliarsi contro il governo e la polizia francesi, e in favore dei gilet gialli; ha detto di tutto e di più contro le democrazie occidentali, mentre loda abitualmente il nostro Paese, per la sua cultura e le sue tradizioni. Ricordo, ad esempio, la polemica contro l'apertura di Starbucks a Milano e, d'altra parte, l'elogio del tradizionale caffè italiano; e così numerose difese delle tipicità italiane (luoghi turistici, aziende, cucina, arte...). Tra l'altro il nostro filosofo ha dichiarato guerra agli anglicismi e difende a spada tratta l'utilizzo della lingua italiana, cosa non proprio da esterofilo. Talvolta può apparire grottesco, ma è indubbio che abbandonare la propria lingua in favore dell'inglese significa rinunciare alla propria identità in favore del progetto cosmopolita; peraltro, rispolverando spesso termini italiani arcaici, Fusaro porta gli italiani che lo ascoltano a pensare all'antichità della propria lingua, delle proprie radici, del proprio passato. In definitiva, a me Fusaro sembra, nel suo campo, un patriota dei nostri tempi, sebbene non raramente dissenta dal suo pensiero.
C'è poco da aggiungere, se non che sarebbe fuori contesto fare paragoni con la Nigeria.
Citazione
Altra contraddizione di Fusaro: critica le democrazie occidentali ma si guarda bene dal fare altrettanto nei confronti delle pseudo "democrazie" orientali.
Qui però hai centrato un problema, la Cina è una dittatura che si è apparentemente occidentalizzata, nella misura in cui l'Occidente somiglia sempre più a un regime maoista.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #463 il: Luglio 16, 2020, 00:50:42 am »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Slovenia-legge-sui-media-se-ne-discutera-fino-a-fine-agosto-203612

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Slovenia: legge sui media, se ne discuterà fino a fine agosto

Il portale di RTVSLO

Il governo sloveno ha proposto una riforma dei media che prevede un calo drastico delle risorse per il settore radiotelevisivo pubblico. Al seguito delle proteste, anche internazionali, il dibattito sulla proposta è stato prorogato sino a fine agosto

15/07/2020 -  Redazione
Ad inizio luglio si è acceso il dibattito in Slovenia su tre proposte di legge volte a riformare il settore dei media. Queste ultime – messe a punto dal ministero della Cultura e i cui contenuti sono emersi in questi giorni - riguardano la radiotelevisione pubblica, l'agenzia di stampa slovena STA e infine i media in generale.

Tra le modifiche previste vi sarebbero anche tagli alla Radiotelevisione di Slovenia, con l'8% del canone che andrebbe a finanziare il settore dei media privati. RTV Slovenia perderebbe inoltre la rete di trasmettitori, trasferita ad una società economica di proprietà statale.

Inizialmente il tempo previsto per il dibattito pubblico era stato limitato a pochi giorni ma è stato poi prorogato – come richiesto sia a livello locale che internazionale - fino alla fine di agosto.

Sulla questione è intervenuto immediatamente il direttore generale di RTV Slovenia, Igor Kadunc, affermando che la perdita di fondi annunciata rischia di portare alla fine di RTV Slovenia. Dei tagli rischiano di farne le spese in particolare i programmi regionali e delle minoranze. In questo caso, ha sottolineato Kadunc, è evidente che si tratta di una decisione politica.

La lettera del consorzio MFRR
Anche il consorzio Media Freedom Rapid Response, di cui OBCT fa parte, ha inviato alle autorità slovene un appello: si chiede che il processo di consultazione sia approfondito ed attento a coinvolgere tutte le voci, visto che il pacchetto di emendamenti rischia di indebolire l'emittente pubblica e l'informazione in Slovenia

In questi giorni hanno fatto sentire la loro voce anche la Federazione europea dei giornalisti (EFJ), l'Unione europea delle radiotelevisioni pubbliche EBU e SEEMO  , organizzazione che tutela la libertà di stampa nel sud-est Europa. Le tre organizzazioni si sono dette preoccupate sia dai contenuti delle riforme previste che dai pochi giorni inizialmente garantiti al dibattito pubblico.

“Senza emendamenti alle proposte di legge RTVSLO vede profondamente a rischio la propria indipendenza”, ha dichiarato la direttrice di EFJ Renate Schroeder.

Tra chi ha scritto al governo sloveno chiedendo la proroga dei termini per il dibattito pubblico vi è stata anche la EBU il cui direttore, Noel Curran, ha sottolineato – soffermandosi in particolare sui tagli previsti - che RTVSLO è un'istituzione democratica fondamentale alla quale vanno garantiti fondi adeguati, stabili e prevedibili per permetterle di adempiere il suo importante ruolo nella società.

"In questi tempi difficili abbiamo bisogno più che mai di un servizio di radiodiffusione pubblica ben finanziato, indipendente e forte in Slovenia. Abbiamo bisogno di una discussione pubblica secondo gli standard internazionali, aperta a tutti coloro che sono interessati al cambiamento e che dovrebbero dire la loro nel processo”, ha specificato poi Oliver Vujović, segretario generale di SEEMO.

L'Unione slovena dei giornalisti ha denunciato che la riforma mette a rischio nel medio-termine 650 posti di lavoro e che essa “è realizzata contro la pluralità e la natura democratica del panorama dei media in Slovenia”.

Critiche fatte proprie anche da varie confederazioni sindacali tra cui la KSJS il cui segretario, Branimir Štrukelj, ha invitato a chiamare le cose per il loro nome: “Questo è un tentativo di introdurre il controllo su due media fondamentali nel paese: RTVSLO e l'agenzia stampa STA che dovrebbero invece promuovere una pluralità di punti di vista ed interessi”.

Offline fritz

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #464 il: Luglio 31, 2020, 19:05:29 pm »
Frank, ti volevo chiedere un parere su questi tre posti: Germania Est, R. Ceca e Ungheria.

Secondo te com'e' vivere li' per un paio di mesi? In R. Ceca e Ungheria come sono messi con l'inglese?

Edit

E a nazifemminismo come son messi?