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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Est-Europa-emigrazioni-e-pensioni-199853


--- Citazione ---Est Europa: emigrazioni e pensioni

I rapporti tra occupati e pensionati sono cambiati parecchio negli ultimi trenta anni. In Croazia per esempio da 4 a 1 si è passati a 1,25 occupato per 1 pensionato, con conseguenze drammatiche. A peggiorare il quadro contribuisce la massiccia emigrazione dai Balcani, soprattutto di giovani qualificati

04/03/2020 -  Anđelko Šubić
(Originariamente pubblicato da DWelle  il 20 febbraio 2020)

Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il sistema pensionistico croato godeva di ottima salute: all’epoca in Croazia si contavano oltre 2 milioni di occupati e poco più di 500mila pensionati. Quindi, il rapporto tra occupati e pensionati era di 4 a 1, mentre oggi – lo confermano anche le statistiche ufficiali – questo rapporto è di 1,25 a 1. La Croazia è tra i fanalini di coda nell’UE per quanto riguarda le pensioni, ma in altri paesi della regione la situazione è ancora peggiore: in Montenegro ad esempio – secondo quanto riportato dai media locali – il rapporto tra occupati e pensionati è quasi di 1 a 1.

Non ha senso discutere su quale sia il rapporto ottimale tra lavoratori e pensionati, ma una cosa è certa: quanto più alto è il numero di pensionati per ogni occupato tanto più basse sono le pensioni. Inoltre, nei paesi dove lo stipendio medio è molto basso, le persone anziane sono maggiormente esposte al rischio di povertà.

La solidarietà intergenerazionale, un valore che sta scomparendo
Nel XIX secolo molti paesi europei decisero di instaurare un sistema pensionistico pubblico proprio nel tentativo di arginare la povertà tra gli anziani  . I sistemi previdenziali rivolti agli anziani e alle categorie più deboli esistevano anche prima, ma erano perlopiù limitati ad alcune corporazioni artigianali. Anche oggi in Germania alcune categorie professionali hanno i propri fondi di previdenza complementare, ma è un fenomeno sempre più raro.

Oggi la maggior parte dei sistemi pensionistici pubblici si basa sul principio di solidarietà intergenerazionale. Durante la Grande depressione degli anni Venti, in molti paesi, compresa la Germania, i soldi pubblici “messi da parte” per le pensioni andarono in fumo. Gli Stati Uniti, sotto la guida di Roosevelt, furono il primo paese a riformare il sistema pensionistico pubblico, prevedendo che le risorse derivanti dall’occupazione venissero destinate alle pensioni.

L’idea di base era semplice: se cresce l’economia, aumenta anche la popolazione, così le future generazioni potranno garantire le pensioni a quelli che oggi versano contributi al fondo pensione.

Anche la riforma del sistema pensionistico tedesco del 1957 si basava su questo principio, poggiando, al contempo, su un “secondo pilastro”: aiuti dello stato. Questo sistema ha funzionato molto bene per decenni, finché le nascite non hanno iniziato a diminuire. Oltre che dal calo demografico – che in molti paesi sta mettendo a repentaglio i sistemi previdenziali basati sul principio di solidarietà intergenerazionale – , i paesi più poveri sono afflitti anche da una massiccia emigrazione di forza lavoro.

DOSSIER

Dai Balcani sono in tanti, soprattutto giovani e qualificati, a emigrare verso altri paesi europei. In tutti i paesi della regione lo spopolamento aumenta a ritmi allarmanti. Il nostro dossier "Via dai Balcani"

La situazione in Bosnia Erzegovina
Il presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) Suma Chakrabarti ha recentemente dichiarato  che circa 6 milioni di cittadini dei paesi dei Balcani – quasi un terzo della popolazione totale – attualmente vivono all’estero. Per alcuni paesi molto poveri, come la Moldavia, le rimesse degli emigrati rappresentano una delle principali fonti di reddito. Un dato poco consolante, perché la massiccia emigrazione, come quella con cui oggi devono fare i conti la Bosnia Erzegovina, il Kosovo e la Serbia, rappresenta un duro colpo all’economia nazionale. Secondo i dati di Eurostat, nel 2018 dalla Bosnia Erzegovina sono emigrate circa 53.500 persone, dal Kosovo 34.500 e dalla Serbia 51.000.

In un'intervista  rilasciata al quotidiano Dnevni avaz, il direttore dell’Istituto per l’assicurazione pensionistica e di invalidità della Federazione Bosnia Erzegovina Zijad Krnjić ha dichiarato che il sistema pensionistico bosniaco è “completamente stabile” e che non può “in alcun modo” essere messo a repentaglio, pur ammettendo che l’emigrazione dei giovani “potrebbe avere conseguenze a lungo termine”. Krnjić ha inoltre annunciato che nel 2020 in Bosnia Erzegovina ci sarà un aumento delle pensioni.

Tuttavia, l’emigrazione dei giovani ha almeno due effetti negativi sull’economia che si manifestano a breve termine. Il primo riguarda le risorse investite dallo stato nell’istruzione delle persone che poi decidono di emigrare: uno studente laureato costa allo stato fino a 50mila euro, anche di più se si tratta di laureati in medicina. Un investimento di cui alla fine traggono vantaggio i paesi in cui i giovani scelgono di emigrare, tanto che alcuni paesi ricchi non vogliono investire sulla formazione dei medici, contando sull’arrivo di medici da altri paesi.

L’emigrazione ha poi un altro effetto ancora peggiore: ad emigrare sono soprattutto persone giovani, istruite e propense all’imprenditorialità. Solo stimolando l’imprenditorialità dei giovani un paese povero, come la Bosnia Erzegovina, può evitare di trasformarsi in un paese di camerieri e addetti alle pulizie mal pagati che lavorano al servizio dei turisti. Abbandonare il proprio paese non è mai una decisione facile; i giovani decidono di emigrare quando si rendono conto che nel proprio paese non hanno alcuna possibilità di condurre una vita decente.

Nemmeno il calo del tasso di disoccupazione, che si è ultimamente registrato in tutti i paesi dei Balcani, può contribuire molto a migliorare la situazione. Questo calo è in gran parte dovuto proprio all’emigrazione, che inevitabilmente avrà conseguenze negative sia sul sistema pensionistico sia su quello di assistenza sanitaria.

Tuttavia, la massiccia emigrazione dai paesi dei Balcani è solo un tassello di un problema più ampio. Per quanto riguarda la disoccupazione dei giovani, i dati ufficiali non rispecchiano in pieno la realtà dei fatti. I giovani spesso lavorano “in nero”, e anche molte aziende che pagano regolarmente i propri dipendenti spesso “dimenticano” di versare i contributi, nonostante le leggi prevedano sanzioni draconiane per il mancato versamento dei contributi.

L’evasione fiscale
L’evasione fiscale non è un fenomeno raro nemmeno nei paesi più ordinati. Ma nei paesi dei Balcani, dove molti cittadini sono profondamente convinti che “quelli ai vertici” non utilizzeranno mai le risorse ottenute dalla tassazione per il bene comune, il lavoro nero e l’evasione fiscale sono diventati quasi uno sport nazionale.

Allora come aumentare le pensioni? In Croazia la pensione media ammonta a 2500 kune (circa 335 euro), mentre più di 160mila pensionati sono costretti ad affrontare quella che sembra una missione impossibile: sopravvivere con una pensione inferiore a 1000 kune (circa 134 euro). In altri paesi della regione la situazione è ancora peggiore, ed è difficile dire come potrebbe essere migliorata. Il cosiddetto “terzo pilastro” previdenziale – che in realtà consiste nell’investire in fondi pensione e in gran parte dipende dai dividendi – solo raramente può garantire un introito rilevante, soprattutto tenendo conto del fatto che ormai da qualche anno il tasso di interesse della Banca centrale europea è fermo a zero. Investire nella previdenza complementare può anche rivelarsi rischioso: negli Stati Uniti questo tipo di investimento è diventato prassi comune, ma oggi anche la più grande azienda statunitense che gestisce le prestazioni pensionistiche, California Public Employees’ Retirement System (CalPERS), sta attraversando una grave crisi finanziaria.

Capita troppo spesso che lo stato si trovi costretto ad attingere alle casse pubbliche per fornire un aiuto a quelli che, pur avendo lavorato tutta la vita, faticano a sopravvivere con la sola pensione. Ma non bisogna contare troppo sugli aiuti di stato, che inevitabilmente provocano un deficit di bilancio, soprattutto se si tratta di uno stato che si è impegnato a rispettare le disposizioni in materia finanziaria legate all’introduzione dell’euro.

Durante la crisi economica in Grecia, le prime misure di austerità introdotte dal governo hanno colpito il sistema di welfare pubblico. Uno scenario simile si è verificato anche in Spagna e in Portogallo. I pensionati greci hanno reagito con numerose e veementi proteste, il che non stupisce perché in Grecia molte famiglie – anche con bambini piccoli e giovani disoccupati – vivono di pensioni.

Allora come i paesi con un basso Pil pro capite possono garantire una pensione dignitosa ai giovani di oggi, ma anche alle generazioni future? Ci troviamo di fronte a una situazione assurda: a causa del calo delle nascite sempre più spesso si assiste al fenomeno della cosiddetta “piramide rovesciata” – in molte famiglie ci sono più anziani che bambini, bambini che un domani, con quello che riceveranno in eredità dai loro genitori, probabilmente non potranno nemmeno pagare le bollette e fare la spesa. Si tratta di un problema che deve essere affrontato seriamente.

--- Termina citazione ---

Vicus:

--- Citazione da: Frank - Agosto 02, 2020, 18:43:53 pm ---Sì, ma Putin si trova in Russia non in Italia o in qualche altro Paese dell' Europa dell' ovest, perciò intorno a lui ha un "terreno fertile" che gli permette di agire in un certo modo...
Nemmeno se si trovasse negli USA avrebbe il potere che ha ora in Russia.

--- Termina citazione ---
E' quel che dicevo, lo Stato Profondo in Russia non è così ostile a leader che perseguono l'interesse nazionale

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Balcani-il-difficile-ritorno-a-scuola-204404


--- Citazione ---Balcani: il difficile ritorno a scuola

Tutta l'Europa centrale e sudorientale si sta preparando al nuovo anno scolastico, ma i governi della regione sono ancora incerti su come riprendere l'insegnamento: in presenza, online o in entrambe le modalità

27/08/2020 -  Nedim Dervišbegović
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight  il 7 agosto 2020)

I paesi dell'Europa centrale e sudorientale si stanno preparando per il nuovo anno scolastico mentre sono alle prese con un picco di infezioni da coronavirus, e se alcuni dicono di essere (quasi) pronti, altri non hanno ancora deciso quale modalità di insegnamento impiegare e aspettano il parere degli epidemiologi.

Le opzioni comprendono lezioni più brevi, classi meno numerose, alternanza di lezioni in presenza e online o combinazioni di queste e altre soluzioni.

Balcani occidentali ancora indecisi
La Serbia non ha ancora deciso la modalità di insegnamento per il prossimo anno scolastico: il governo e il suo staff di crisi stanno valutando diversi modelli proposti dal ministero dell'Istruzione, ha dichiarato in conferenza stampa il primo ministro Ana Brnabić.

Brnabić ha detto che tutte le scuole opereranno allo stesso modo. "Vogliamo fornire criteri chiari in base ai quali le scuole decideranno come lavorare. Non le lasceremo decidere da sole", ha dichiarato.

Una proposta è quella di rimandare in classe gli alunni dalla prima alla quarta elementare in gruppi non più grandi di 15, con lezioni dai 30 ai 35 minuti e pause di 20 minuti per la disinfezione.

Il ministro dell'Istruzione Mladen Šarčević ha dichiarato al quotidiano Blic all'inizio di luglio che il ministero stava pensando ad un "modello combinato", ovvero "gli studenti farebbero lezione online, ma andranno anche a scuola ogni due settimane, per fare esercizi".

In Bosnia Erzegovina, le due entità (Republika Srpska e Federazione BiH) e i 10 cantoni presenteranno un piano dopo le consultazioni con epidemiologi, insegnanti, sindacati e genitori, visto l'aumento del numero di casi nelle ultime sei settimane.

Le tre opzioni sono ritorno a scuola, lezioni online e la combinazione delle due modalità.

"L'anno scolastico passato non si può assolutamente ripetere e lo sappiamo da molto tempo. Ora inizierà: in che modo e in che ambito lo definiremo”, ha dichiarato il direttore dell'Istituto di salute pubblica della RS Branislav Zeljković.

Merima Bećarevic, capo del consiglio dei genitori del cantone di Sarajevo, ha affermato che una proposta potrebbe essere quella di consentire ai genitori dei bambini dalla prima alla quarta elementare di rimanere a casa e aiutarli durante le settimane di lezione online. "Vedremo quanto ciò sia realistico, dato che i genitori sono impegnati a lavorare, sia nelle istituzioni private che in quelle pubbliche", ha detto.

Il ministero dell'Istruzione del Montenegro si è dichiarato pronto per il nuovo anno scolastico, ma previa consultazione con l'Istituto per la sanità pubblica. Nel frattempo, sta preparando lezioni in video nel caso in cui le scuole rimangano chiuse a causa dell'epidemia.

Il Kosovo sta valutando tre diversi scenari per il nuovo anno scolastico; riapertura parziale delle scuole a settembre, non riaprire affatto o posticipare la riapertura, ha spiegato il ministro dell'Istruzione Rame Lahaj. Il ministero ha "elaborato programmi per tutti i livelli di istruzione" e per tutti e tre gli scenari, compresi approcci diversi per comuni diversi in base al livello della pandemia.

Il ministero realizzerà video lezioni per la scuola dell'obbligo per l'intero anno. Le piattaforme di notizie locali Kallxo, BIRN Kosovo e Internews Kosovo sono state nuovamente invitate a far parte del progetto, come durante il lockdown.

In Albania, secondo le ultime informazioni le scuole riapriranno a settembre, ma questa decisione sarebbe stata presa all'inizio di giugno, quando il numero di contagi era sceso ad una cifra. Nel frattempo i numeri sono aumentati, con un record di 139 casi il 5 agosto e una media di 5 decessi correlati a COVID-19 al giorno nelle ultime settimane.

L'istruzione pubblica albanese era già stata colpita dal terremoto di novembre 2019 e attualmente circa 96 scuole sono chiuse o solo in parte operative a causa dei danni causati dal sisma, che secondo il ministero della Pubblica Istruzione ha colpito circa 40.000 alunni.

Ciò ha causato il trasferimento di circa 20.000 alunni nelle aree densamente popolate dell'Albania centrale nelle cosiddette "scuole ospitanti", già sovraffollate a causa dell'enorme spostamento della popolazione verso le aree urbane negli ultimi tre decenni.

La Macedonia del Nord non ha ancora deciso se aprire scuole e asili a settembre, ma il ministro della Sanità Venko Filipce ha dichiarato che "molto probabilmente" scuole e asili dovranno allineare tutti i protocolli prima della decisione finale.

Filipce ha dichiarato alla TV locale Kanal 5 che "fra le misure principali ci sono gruppi più piccoli, più turni e lezioni più brevi", aggiungendo che lo scopo è che i bambini rimangano in spazi chiusi il meno possibile e tutti con la mascherina.

Il ministero croato della Scienza e dell'Istruzione ha dichiarato a BIRN che "dal 7 settembre gli studenti frequenteranno le lezioni in aula nel rispetto di tutte le misure epidemiologiche", mentre le lezioni online saranno fornite in casi eccezionali agli studenti che non possono frequentare le aule per motivi di salute.

Zone semaforiche in Romania
In Romania, il presidente Klaus Iohannis ha annunciato che l'anno scolastico inizierà il 14 settembre e in presenza per la maggior parte dei bambini, ma saranno i comuni a decidere in base al numero di casi di COVID-19 individuati negli ultimi 14 giorni nella zona.

Le zone con meno di una infezione ogni mille residenti saranno considerate “verdi” e le scuole funzioneranno normalmente. I comuni fino a tre casi per mille saranno classificati “gialli” e i bambini frequenteranno le scuole solo per alcuni corsi. Nelle zone “rosse” con più di tre casi ogni mille abitanti tutte le lezioni si terranno online.

Secondo il presidente circa 50 comuni in Romania sarebbero probabilmente "zone rosse", centinaia di città sarebbero considerate gialle e la maggior parte dei comuni, compresa la capitale, sarebbe nella categoria verde.

La Moldavia aprirà le scuole il primo settembre con l'obbligo di mascherina per gli insegnanti, ma non per gli studenti, ha dichiarato il ministro dell'Istruzione Igor Sharov, aggiungendo che il piano è basato sulle proposte ricevute da parte di insegnanti, genitori, studenti e funzionari scolastici in diversi distretti.

Circa il 65% degli istituti scolastici si dichiara pronto a riprendere gli studi rispettando le norme di sicurezza, che comportano un solo bambino per banco e uno spazio di 1,5 metri tra i banchi.

In Turchia, il ministro dell'Istruzione Ziya Selçuk ha dichiarato che le scuole riapriranno come previsto il 31 agosto, nonostante le richieste di rinvio legate all'aumento dei casi di coronavirus.

"Tutti dovrebbero sentire sulle spalle il peso di 18 milioni di studenti", ha affermato Selçuk, invitando i cittadini ad essere più cauti e seguire tutte le misure di sicurezza del governo.

Tuttavia, la decisione del governo ha lasciato perplessi molti insegnanti. "Non sappiamo come procedere in questo ambiente rischioso. Il numero di nuovi casi aumenta ogni giorno e avere [gli alunni] che si riuniscono nelle scuole e nelle aule non sarà positivo in termini di diffusione del virus", ha fatto notare a BIRN un insegnante di Istanbul, chiedendo di non essere nominato.

L'Europa centrale spera nel ritorno alla "normalità"
La Polonia intende riaprire completamente le scuole dal primo settembre, ha detto il ministro dell'Istruzione Dariusz Piontkowski, nonostante una recrudescenza delle infezioni da coronavirus, che ha visto recentemente il paese registrare 680 nuovi casi in un giorno: il numero più alto dall'inizio della pandemia.

Il governo, osservano gli esperti, rischia di ripetere l'errore di allentare troppo presto le misure, che ha portato ai recenti picchi nei casi e alla diffusa negligenza.

La nazione di 38 milioni di persone ha registrato un totale di 48.789 casi e 1.756 decessi, il che è stato considerato un risultato positivo.

Piontkowski ha affermato che il ministero dell'Istruzione imporrà rigide norme di igiene e sicurezza per le scuole, ma non le mascherine, nonché criteri in base ai quali alcune scuole potrebbero passare all'istruzione online o ad un mix se le infezioni dovessero aumentare. I presidi avranno la facoltà di decidere per le proprie scuole.

Il governo intende obbligare i genitori a rimandare i figli a scuola anche se preoccupati, perché "un genitore non è un epidemiologo".

Anche in Ungheria il governo sta pianificando di avviare un normale anno scolastico, ma preparandosi a eventuali modifiche, ha dichiarato alla TV pubblica M1 Zoltán Maruzsa, Segretario di Stato all'Istruzione, aggiungendo che "l'anno scolastico inizierà in un modo tradizionale, aprirà a settembre, ma ove necessario verranno prese misure locali”.

Ciò è in linea con i suggerimenti degli esperti di istruzione e salute, che sostengono che dovrebbe essere evitata una chiusura universale delle scuole, poiché pone un enorme fardello sui genitori e contribuisce al ritardo degli studenti svantaggiati.

Se la pandemia dovesse ripresentarsi in autunno (attualmente l'Ungheria segnala un leggero aumento dei casi, ma ha ancora un basso numero di contagi), le scuole dove ricompare il virus dovrebbero essere chiuse, ma senza coinvolgere l'intero paese.

ELTE, la più grande università ungherese, sta optando per un "formato ibrido", in base al quale alcuni corsi minori avverranno in presenza, ma la maggior parte delle lezioni più frequentate verrà trasmessa in streaming. Le mascherine saranno obbligatorie negli edifici universitari.

Nella Repubblica Ceca, il 28 luglio il ministro dell'Istruzione Robert Plaga ha dichiarato che le scuole apriranno normalmente dal primo settembre, anche se nelle aule dovranno essere osservate norme sanitarie più severe.

Secondo il ministro, le scuole devono prestare maggiore attenzione alla disinfezione delle mani e, ad esempio, ad una migliore e più frequente ventilazione in classe. Se durante l'autunno il governo fosse costretto a imporre di nuovo le mascherine in tutta la società, le scuole non farebbero eccezione. In caso di contagio in una scuola, le autorità sanitarie regionali decideranno se chiudere la scuola, a seconda delle circostanze.


--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/109266


--- Citazione ---BIELORUSSIA: Il 66° compleanno del presidente, tra arresti e violenza
Claudia Bettiol 9 secondi ago

Grandi manifestazioni per contro Lukashenko

Fiori e regali fai-da-te per festeggiare il 66° compleanno del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko: ecco l’idea originale e provocatoria della folla in protesta che oggi, 30 agosto, sfila nuovamente per le strade di Minsk e di tutta la Bielorussia in una marcia di protesta per la pace e l’indipendenza. “Vi suggeriamo di portare dei fiori e/o dei regali creativi fatti a mano per Lukashenko. Che l’usurpatore possa così vedere cosa gli regaleranno i bielorussi per il suo compleanno”, si legge nell’annuncio della marcia.

Autobus con poliziotti antisommossa (OMON) e carri armati erano già allineati sin dal mattino lungo le strade principali della capitale, dove stanno sfilando decine di migliaia di manifestanti. Nonostante la marcia sia appena iniziata, le forze di sicurezza hanno già arrestato diverse dozzine di persone.

Putin riconosce valide le elezioni bielorusse

Nel frattempo, la notte scorsa, il presidente russo Vladimir Putin – che si è detto pronto a intervenire militarmente in aiuto del governo di Minsk se la situazione dovesse peggiorare – ha ufficialmente riconosciuto come valide le elezioni presidenziali in Bielorussia tenutesi lo scorso 9 agosto. Putin è stato uno degli unici a congratularsi con Lukashenko per la sua vittoria, sottolineando che le relazioni tra i due paesi non potranno che rafforzarsi.

I paesi occidentali, tra cui Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e la maggior parte dei paesi dell’Unione europea  (Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia incluse) rifiutano, invece, di considerare queste elezioni come valide: l’11 agosto, l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a nome dell’Unione europea, ha dichiarato che le elezioni in Bielorussia “non sono state né libere né eque” e che le autorità ne hanno approfittato per usare la violenza contro i manifestanti.

Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – che ha chiuso proprio in questi giorni le frontiere con la Bielorussia -, se Lukashenko avesse avuto fiducia in se stesso e fosse stato sicuro della sua vittoria, avrebbe tenuto nuove e democratiche elezioni, in presenza degli osservatori internazionali (che, ricordiamo, non sono stati i benvenuti).

I giornalisti stranieri (e non solo) non sono i benvenuti

In seguito ai controlli di documenti e accrediti avvenuti venerdì scorso, le autorità bielorusse hanno revocato l’accreditamento stampa ai giornalisti che hanno seguito le proteste post-elettorali per i media stranieri. Lo stesso vale per una ventina di giornalisti locali che lavoravano per BBC, Reuters, Radio Svaboda, AFP, New York Times, Wall Street Journal, Deutsche Welle e altri. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo che diversi giornalisti erano stati arrestati prima di una protesta pacifica a Minsk. Il ministero degli Esteri bielorusso non commenta la situazione.
--- Termina citazione ---

Frank:
"Solo in Italia succedono queste cose!"
Ah no, cazzo!, siamo in Serbia...

https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Serbia-sommersi-dai-rifiuti


--- Citazione ---Serbia: sommersi dai rifiuti
31/08/2020

In Serbia ogni cittadino produce mediamente un chilo di rifiuti al giorno. La maggior parte finisce in discariche abusive o fuori norma, con una produzione incontrollata di metano in atmosfera. Tutti devono, e possono, fare la loro parte. Un videoreportage

Questo video è tratto dal webdoc “Voices from the East  ”, realizzato da Marco Carlone, Francesco Rasero ed Eleonora Anello nell’ambito del progetto europeo “Frame, Voice, Report!  ”. Nei Balcani le tematiche legate ambientali sono rimaste in fondo alle agende pubbliche per lungo tempo, nonostante secondo l’IPCC l’Europa centro-orientale sia il primo grande “banco di prova” di fronte agli effetti della crisi climatica nel Vecchio Continente. Voices from the East vuole raccontare le cause e gli effetti dei cambiamenti climatici nei Balcani, nonché alcune strategie di contrasto e adattamento partite dal basso come i piccoli festival indipendenti di cinema ambientale di quest’area: veri e propri presidi eco-culturali nella sensibilizzazione locale di queste tematiche.
--- Termina citazione ---

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