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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/113666
--- Citazione ---ALBANIA: La polizia uccide un ragazzo, proteste e scontri a Tirana
Marco Siragusa 5 giorni ago
Un nuovo problema travolge il governo albanese guidato da Edi Rama, leader del Partito Socialista (PS), già alle prese con la complicata gestione della pandemia, la ricostruzione post terremoto e l’avvio dei negoziati d’adesione con l’Unione europea. L’uccisione di un ragazzo da parte della polizia ha provocato dure proteste e rischia di alimentare le già tante tensioni nel paese. E il prossimo 25 aprile sono in programma le elezioni parlamentari.
I fatti
Era da poco passata la mezzanotte di martedì 8 dicembre quando Klodian Rasha, 25 anni, stava tornando a casa sua nel quartiere di Lapraka, a circa 4 km dal centro della capitale Tirana. Da due ore era scattato il coprifuoco imposto dal governo, tra le 22:00 e le 5:00, per limitare la diffusione del coronavirus. Non si sa ancora perché Klodian si trovasse in strada in quel momento, quello che è certo è che nel suo percorso verso casa ha incontrato una pattuglia della polizia che gli ha intimato di fermarsi. Klodian ha provato a scappare e, secondo le prime ricostruzioni, è stato raggiunto alle spalle da due proiettili, che lo hanno ucciso.
Secondo il padre, Qazim Rasha, il figlio era uscito per comprare le sigarette e non aveva con sé la mascherina. Il padre ha inoltre parlato di “testimoni che hanno visto la polizia picchiare Klodian”. Per la polizia, il ragazzo era invece armato e pericoloso. La magistratura ha già aperto le indagini contro l’agente coinvolto.
Proteste e scontri
La vicenda ha scatenato immediatamente le proteste dei cittadini che, sin dal mattino di mercoledì, sono scesi in strada. La giornata è proseguita tranquilla almeno fino alla prima serata, quando centinaia di persone, dopo un passaparola sui social, si sono ritrovate davanti al ministero degli Interni per chiedere verità e giustizia. Nei cartelli si leggevano frasi come “Giustizia per Klodian”, “Dimissioni” rivolto al ministro degli Interni Sandër Lleshaj, ma anche messaggi più duri come “E’ un buon giorno per una rivoluzione”.
La situazione è presto degenerata e sono scoppiati violenti scontri tra polizia e manifestanti che hanno prima incendiato l’albero di Natale posto in Piazza Skanderbeg, poi hanno travolto gli agenti con pietre e fumogeni. La protesta si è quindi spostata davanti al palazzo del primo ministro Edi Rama, in visita a Washington per incontrare i vertici della multinazionale farmaceutica Pfizer e ottenere le dosi del vaccino contro il virus. La polizia, cui si sono aggiunti uomini dei reparti speciali, ha risposto con idranti e lacrimogeni.
Le proteste sono continuate in maniera ancora più violenta nella serata di giovedì, con i manifestanti che hanno dato fuoco a cassonetti, tentato l’assalto al ministero delle Finanze e rotto i vetri di entrata della sede del Partito Socialista a Tirana. Le manifestazioni hanno coinvolto anche Durazzo, Valona, Scutari e altri piccoli centri del paese. Decine le persone arrestate dalla polizia, che ha già fatto sapere che altri partecipanti agli scontri verranno ricercati e fermati per non aver rispettato il coprifuoco e per aver provocato disordini.
Le reazioni politiche
Non sono mancate le immediate reazioni politiche. In Albania, difatti, lo scontro tra maggioranza e opposizione è già da tempo piuttosto acceso. Giovedì sera il ministro degli Interni Sandër Lleshaj ha rassegnato le dimissioni ammettendo che il ragazzo è stato “ucciso ingiustamente” ma anche accusando gli oppositori di “lanciare un nuovo attacco al Paese”. Il primo ministro Rama, tornato dagli USA, si è ufficialmente scusato con la famiglia e ha chiesto l’avvio di un’indagine completa per un “evento senza precedenti”.
Le opposizioni stanno cercando di utilizzare l’accaduto per attaccare il governo in quella che sembra una prova generale della prossima campagna elettorale. L’ex primo ministro Sali Berisha, già leader del Partito Democratico albanese (PD) di centrodestra, ha parlato di “omicidio di stato premeditato” legato a un regolamento di conti tra narcotrafficanti vicini al governo. Il Presidente della Repubblica Ilir Meta, del Movimento Socialista per l’Integrazione e da tempo forte oppositore di Rama, ha posto l’accento sull’eccessiva violenza utilizzata negli ultimi anni dalla polizia accusando direttamente “alti funzionari e dirigenti della polizia di Stato, nonché del ministero degli Interni”.
Altrettanto dura la presa di posizione della sezione albanese del partito kosovaro di sinistra Vetëvendosje! che unendosi alle richieste di dimissioni del ministro e del capo della polizia Ardi Veliu ha denunciato lo “stato di polizia”, descrivendo la rabbia della piazza come una “chiara espressione della rivolta dovuta a una profonda ingiustizia”. L’Ambasciata statunitense a Tirana ha rilasciato una nota dove mette in guardia i propri cittadini presenti in Albania dalla possibilità che le violenze si estendano in altre aree del paese.
Anche se le elezioni del 25 aprile sono ancora lontane, il rischio è che il paese scivoli in una spirale di contrapposizioni e in un clima di tensione crescente. Proprio mentre l’Albania si appresta ad avviare i negoziati con l’Unione europea. Non proprio un buon biglietto da visita.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Venticinque-anni-dopo-Dayton-c-e-ben-poco-da-gioire-207284
--- Citazione ---Venticinque anni dopo Dayton, c’è ben poco da gioire
Ad un quarto di secolo dalla fine della guerra in Bosnia Erzegovina, il paese è ancora ostaggio di élite politiche nazionaliste. Ora spetta ai cittadini ridiventare protagonisti. Il commento della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa
16/12/2020 - Dunja Mijatović
(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle , il 14 dicembre 2020)
Quando, venticinque anni fa, fu firmato l’Accordo di Dayton, in Bosnia Erzegovina si avvertì un grande sollievo. L’accordo di pace mise fine a uno dei capitoli più sanguinosi e bui della storia dell’Europa contemporanea. Grazie a quell’accordo, un’intera generazione è cresciuta senza dover nascondersi nei rifugi o temere di essere uccisi aspettando in fila per prendere l’acqua. Ma a parte questo, c’è ben poco di cui gioire.
Ancora oggi, a venticinque anni di distanza, la Bosnia Erzegovina è impantanata in seri problemi strutturali e funzionali. La Costituzione della Bosnia Erzegovina prevede un sistema politico e amministrativo complesso e costoso, il cui funzionamento è ostacolato da un’eccessiva tutela degli interessi etnici e da vari meccanismi che hanno permesso ai politici nazionalisti di porre il veto su alcune decisioni importanti che avrebbero potuto spingere il paese verso il progresso.
Tuttavia, la tendenza a scaricare tutte le colpe sull’Accordo di Dayton è solo una foglia di fico per nascondere problemi molto più gravi.
È vero che l’Accordo di Dayton ha creato un sistema complesso che deve essere riformato, ma la Bosnia Erzegovina non è l’unico paese ad avere una struttura istituzionale complessa. Il problema è che varie agende politiche tendono ad abusare del vero spirito della democrazia consociativa – caratterizzata da una condivisione del potere basata sulla collaborazione – introdotta dall’Accordo di Dayton, per trarne vantaggi politici.
Combattere la discriminazione
L’Accordo di Dayton ha fornito alcuni elementi chiave per costruire una società fondata sul rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, compresa la diretta applicabilità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la sua prevalenza su tutte le leggi [nazionali], la tutela costituzionale dei diritti umani e la nascita delle istituzioni per i diritti umani che hanno adottato alcune decisioni cruciali in materia di tutela dei diritti dei ritornanti e delle minoranze.
A impedire al paese di progredire è stata una visione politica profondamente radicata che continua a capitalizzare le persistenti tensioni etniche allo scopo di mantenere il potere e lo status quo discriminatorio.
Un esempio emblematico è quello del sistema elettorale. Con la sentenza Sejdić-Finci del 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il sistema elettorale della Bosnia Erzegovina è discriminatorio perché prevede che chi non appartiene a uno dei popoli costituenti, ovvero non soddisfa certi requisiti relativi all’appartenenza etnica e al luogo di residenza, non possa essere eletto alla Presidenza [tripartita della Bosnia Erzegovina] e alla Camera dei popoli. Undici anni dopo, quella sentenza, così come altre sentenze della Corte di Strasburgo sulla stessa questione, rimane lettera morta, principalmente a causa della mancanza di volontà politica.
Confrontarsi col passato
Ed è sempre la mancanza di volontà politica ad ostacolare il processo di confronto con il passato e di guarigione delle ferite ancora fresche. Persiste l’impunità per i crimini di guerra, migliaia di persone scomparse durante la guerra non sono ancora state ritrovate e i progressi nel garantire riparazione alla vittime civili della guerra sono ancora lenti.
L’attuale discorso politico è caratterizzato dal revisionismo, dalla negazione del genocidio e dalla glorificazione dei criminali di guerra, nonché dai tentativi di minare la legittimità del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Persistono anche le divisioni etniche nell’istruzione, con un sistema scolastico basato sulla segregazione dove i ragazzi frequentano le cosiddette due scuole sotto lo stesso tetto o le scuole monoetniche.
Questi problemi allarmanti richiedono una svolta radicale nel modo di fare politica in Bosnia Erzegovina. Invece di usare le loro funzioni istituzionali per consolidare gli interessi privati, i politici dovrebbero affrontare la sfida di costruire una società più coesa e prospera. La risposta del sistema giudiziario al dilagare della corruzione è debole, portando all’aumento della sfiducia dei cittadini nella magistratura e rendendo loro incapaci di abituarsi all’idea di una società basata sullo stato di diritto, sul principio del giusto processo e sull’uguaglianza davanti alla legge. Inoltre, i cittadini sono preoccupati per la grave situazione economica, caratterizzata da un livello di qualità della vita e dei servizi pubblici estremamente basso.
I cittadini bosniaco-erzegovesi dovrebbero ispirarsi ai giovani. Gli studenti di Jajce lottano contro la segregazione nell’istruzione, mentre altri giovani stanno conseguendo risultati impressionanti nello sport, nella scienza e nell’ambito dell’impegno umanitario. Diverse organizzazioni non governative e singoli cittadini continuano a costruire ponti tra le comunità e a impegnarsi per superare le divisioni e l’odio che la guerra ha lasciato dietro di sé.
Queste iniziative devono essere sostenute. La comunità internazionale, in particolare l’Unione europea e il Consiglio d’Europa, devono sostenere pienamente le riforme istituzionali ed economiche in Bosnia Erzegovina. Devono sostenere le aziende e le iniziative dal basso che promuovono l’inclusione e appoggiare i difensori dei diritti umani nella loro tenace ricerca della giustizia e delle riparazioni.
Tuttavia, i principali protagonisti del futuro della Bosnia Erzegovina sono i cittadini e le istituzioni bosniaco-erzegovesi. Sono loro a dover impegnarsi con maggiore tenacia per contrastare le recrudescenze nazionaliste, per rafforzare le relazioni interetniche e la cooperazione, e per combattere la corruzione e il nepotismo.
L’Accordo di Dayton ha fornito la chiave per un futuro più luminoso. Ora spetta ai cittadini bosniaco-erzegovesi prendere il timone e portare avanti il paese.
--- Termina citazione ---
Vicus:
Tutte cose che la gente dell'Est si guarda bene dal dirci. Anzi, persino quando dicono "vado a Natale in Romania" usano un un tono, come se fosse il posto migliore del mondo.
Duca:
--- Citazione da: Vicus - Dicembre 17, 2020, 01:59:42 am ---Tutte cose che la gente dell'Est si guarda bene dal dirci. Anzi, persino quando dicono "vado a Natale in Romania" usano un un tono, come se fosse il posto migliore del mondo.
--- Termina citazione ---
:lol:
Peggio ancora gli albanesi, che da quel che dicono sembra che la civiltà planetaria sia sorta tra Durazzo e Tirana.
Ora io non dico di denigrare la patria come fanno i sinistrati nostrani, però insomma c'è un limite a tutto...
Frank:
Beh, non a caso in quasi sette anni di partecipazione in questo forum ho scritto spesso roba come questa.
https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/topic,12074.15.html
--- Citazione ---December 16, 2016, 20:39:07 PM »
--- Citazione ---from: Sardus_Pater on December 16, 2016, 11:05:38 AM
Ora cosa diranno i soliti italodisfattisti :lol: ?
--- Termina citazione ---
Gli italiani popolo esterofilo erano, popolo esterofilo sono e popolo esterofilo resteranno. :sleep:
In tal senso c'è ben poco da fare.
Una esterofilia, unita ad una abissale ignoranza - per quanto riguarda la realtà di altri paesi di questo disgraziato pianeta -, che li porta ad autoflagellarsi continuamente e a considerarsi, sostanzialmente, il peggior popolo del mondo.
Ad esempio: nella vita di tutti i giorni, quante volte ti capita di incontrare qualcuno che, spontaneamente, ti parla delle magagne e dei difetti di altri paesi?
Sbaglio se affermo che non ti capita mai ? *
Con questo non sto certamente asserendo che in Italia funziona tutto a meraviglia e che gli italiani son degli autentici campioni di lealtà, onestà, affidabilità, etc (magari fosse così).
No, affatto, poiché conoscono bene i miei connazionali e i loro inestirpabili difetti.
Ma da qui a credere che il resto del mondo, sia una sorta di eden, ce ne passa.
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* Io conosco personalmente solo due uomini che ragionano come me.
Per il resto, buio assoluto.
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Per inciso: nonostante provengano da paesi che in quanto a corruzione non hanno proprio nulla da invidiare all'Italia (anzi), stai pur sicuro che non sentirai mai un albanese, un romeno o un bulgaro, fare dei discorsi disfattisti ed esterofili nei confronti della propria patria e dei propri connazionali.
Di certo non li ascolterai mai in pubblico, e in particolar modo se si tratta di albanesi.
--- Termina citazione ---
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