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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est

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Vicus:

--- Citazione da: Duca - Dicembre 17, 2020, 07:50:25 am --- :lol:
Peggio ancora gli albanesi, che da quel che dicono sembra che la civiltà planetaria sia sorta tra Durazzo e Tirana.
Ora io non dico di denigrare la patria come fanno i sinistrati nostrani, però insomma c'è un limite a tutto...

--- Termina citazione ---
Meno male che non ne ho mai conosciuti

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/113869


--- Citazione ---Orban alla conquista dei media in Slovenia e Macedonia del Nord
Andrea Zambelli 2 giorni ago

Lo scorso ottobre, investitori ungheresi hanno ottenuto il controllo del canale sloveno Planet TV per quasi 5 milioni di euro. Si è trattato dell’ultimo episodio in una serie di acquisizioni mediatiche in Slovenia e Macedonia del Nord da parte di uomini d’affari vicini a Viktor Orbán, come nota un’inchiesta di BIRN.

Gli uomini di Orbán acquistano media di destra in Slovenia e Macedonia del Nord

L’espansione ungherese nei media dei Balcani ha preso il via nel 2017 con l’acquisto della slovena Nova24TV, di co-proprietà di membri del Partito democratico sloveno (SDS) dell’attuale premier Janez Jansa. Vi ha fatto seguito il controllo di Nova obzorja, editore di Demokracija, settimanale politico di proprietà SDS.

Ugualmente, in Macedonia del Nord, gli investimenti ungheresi si sono concentrati sui media vicini all’ex premier Nikola Gruevski, un altro alleato politico di Orbán, prendendo il controllo dei siti web kurir.mk, denesen.mk e vistina.mk; di republika.mk e netpress.com.mk; e del canale AlfaTV. Una rete mediatica transnazionale che è stata accusata di favorire la diffusione di disinformazione e fake news contro il governo macedone di Zoran Zaev.

Le reazioni in Europa

Le mosse di questi investitori ungheresi vicini al partito Fidesz, che è ostile ai media indipendenti e ha già messo sotto controllo la stampa critica in patria, ha inevitabilmente causato preoccupazione.

Quattro eurodeputati – Kati Piri, Tanja Fajon, Tonino Picula e Andreas Schieder – hanno presentato varie domande alla Commissione europea, chiedendo se tali investimenti ungheresi nei media rappresentino un’interferenza nel processo democratico nei Balcani. Il 25 novembre il tema è stato discusso al Parlamento europeo, e la Commissaria europea alla giustizia Vera Jourova ha confermato che “è necessaria una maggiore trasparenza sulla proprietà dei media e una possibile concentrazione illegale dei media”.

Secondo Kati Piri, eurodeputata liberale olandese di origini ungheresi, “sappiamo tutti molto bene che gli oltraggiosi sforzi di propaganda di Orbán nella Macedonia del Nord e in Slovenia sono solo la punta dell’iceberg. Che sia a Bruxelles, Lubiana o Skopje, Orbán ha un solo obiettivo: minare l’Unione europea per il proprio guadagno personale”. Sempre secondo Kati Piri, Orbán “Ha cercato di rovesciare il governo del primo ministro Zoran Zaev, ha concesso asilo a Gruevski, sta cercando di impedire l’integrazione della Macedonia del Nord nell’UE”.

“Se è vero che aziende ungheresi vicine alla cerchia ristretta del premier Viktor Orbán in almeno un’operazione – parliamo di almeno 4 milioni di euro – hanno finanziato acquisti di media in Macedonia del Nord in vista delle elezioni per aiutare l’ex premier macedone Nikola Gruevski, si tratta di una grave interferenza nel processo democratico”, ha detto l’eurodeputata socialdemocratica slovena Tanja Fajon.

L’europarlamentare liberale slovena Irena Joveva ha sottolineato che il governo sloveno, senza sostegno pubblico, cerca di trasformare la Slovenia in una società illiberale, mette in pericolo i media e forma strutture parallele finanziate da Orbán per minare i valori fondamentali dell’UE.

D’altra parte Balazs Hidveghi, eurodeputato ungherese del partito Fidesz, ha affermato che tali società abbiano investito capitali nei media di altri stati membri esclusivamente a scopo di lucro, in linea con il principio di libera circolazione dei capitali, e che “non hanno nulla a che fare con la politica”.

Una situazione finanziaria stabile – ma cosa ci sta dietro?

I dati raccolti da BIRN confermano che i media di proprietà ungherese se la passano meglio dei concorrenti, a livello finanziario: il loro fatturato nel 2018 è stato di oltre 10 milioni di euro. I ricavi di AlfaTV in Slovenia sono esplosi da 27.400 euro nel 2017 a 640.000 euro nel 2019 (quelli del canale Sitel, il più seguito nel paese, sono scesi da 770.000 a 460.000 nello stesso periodo). Anche i ricavi del gruppo macedone sono triplicati.

Ma da dove arrivino i fondi che tengono a galla questi media non è chiaro. In Macedonia del Nord, i principali inserzionisti pubblicitari dei media orbaniani sono piccole aziende ungheresi che non esportano nemmeno nel paese balcanico. L’investitore ungherese Peter Schatz è finito sotto inchiesta per evasione fiscale in Macedonia del Nord per l’acquisto di AlfaTV. In Slovenia, la polizia ha confermato di avere aperto un’indagine.

Il precedente governo sloveno aveva nominato una commissione parlamentare d’inchiesta sul  sospetto finanziamento estero illegale della campagna elettorale dell’SDS nel 2018. Ma il nuovo governo sloveno in carica da Marzo 2020, guidato proprio dall’SDS di Janez Jansa, ne ha sostituito il presidente; i lavori da allora si sono arenati.

Un’impatto ancora limitato sulle società di Slovenia e Nord Macedonia

Dall’altra parte, tali investimenti non stanno ancora avendo un grande impatto. Secondo un’analisi della società Bakamo, commissionata da BIRN, i media di proprietà ungherese generano meno coinvolgimento rispetto alle loro controparti locali su argomenti come l’UE, la Russia, la Cina e lo stesso Orbán. Gli unici due argomenti in cui il pubblico si è coinvolto di più con i media collegati all’Ungheria riguardavano storie relative alla migrazione e alle comunità LGBT.

I media orbaniani tentano di farsi spazio nella sfera pubblica con una produzione di contenuti molto spinta, al limite dello spam, nel tentativo di aumentare la propria visibilità. E, almeno in Slovenia, sono riusciti a generare conversazioni più accese, con contenuti emotivamente più carichi, sempre secondo Bakamo.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.eastjournal.net/archives/114147


--- Citazione ---Natale 1979: Quando la Russia invase l’Afghanistan
Gianmarco Riva 2 giorni ago

La vigilia di Natale a Kabul è un evento speciale. Ogni inverno, da 41 anni a questa parte, la giornata viene ricordata come l’incipit di uno dei capitoli più bui della storia afghana. Fu infatti in quell’occasione che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ordinò al suo esercito di invadere il paese asiatico, dove sarebbe rimasto per quasi un decennio. Contrariamente alle aspettative, tale atto di veemenza si rivelò ben presto essere un’inane tragedia (raccontata anche dalla scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievič nel suo Ragazzi di zinco), uno sventurato “Vietnam russo”, a suo modo preludio della definitiva caduta dell’URSS.

L’antefatto

Prima che l’armata rossa fece incursione, la stabilità della vita politica afghana era garantita da un’armoniosa convivenza tra società civile e religione. Tuttavia, dal 1964 al 1978, tale equilibro fu rotto da una seria di colpi di stato che destrutturarono profondamente il tessuto sociale del paese. Il terzo di questi, noto con il nome di Rivoluzione di Saur, vide l’assassinio dell’allora presidente in carica Mohammed Daoud Khan e l’ascesa al potere del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA), d’ispirazione sovietica. Con esso nacque la Repubblica Democratica d’Afghanistan: una nuova forma di governo socialista presieduta da Nur Mohammad Taraki, un uomo la cui politica di stampo marxista fu poco gradita alle autorità religiose.

Presi i poteri, il nuovo PDPA avviò un’importante campagna di secolarizzazione della società, mettendo fin da subito in atto un programma di riforme socialiste. All’interno di questo erano previste una politica agraria e significative innovazioni di matrice laica, tra le quali il riconoscimento del diritto di voto alle donne e il divieto dell’uso del burqa afgano. Tutto ciò si tradusse in un sentimento di generale malcontento da parte delle gerarchie ecclesiastiche, le quali non esitarono a organizzare un’opposizione armata contro il regime di Taraki. Il nuovo anno si aprì con ripetuti conflitti tra l’esercito e la resistenza dei mujaheddin – i cosiddetti “combattenti per la fede” – organizzata dagli islamisti afghani e supportata da Islamabad e Teheran.

Taraki venne destituito nel settembre dell’anno seguente con un golpe ordito dal suo rivale e primo ministro, Hafizullah Amin, il quale diede inizio a uno dei regimi più sanguinari nella storia del paese. Durante i primi mesi della sua presidenza, furono infatti eliminati quasi 10 mila oppositori politici, tra i quali numerosi esponenti di spicco della classe media borghese.

Mosca, l’invasone della vigilia di Natale

Le vicende interne afgane, così come i rapidi cambiamenti in corso nella regione – da un lato l’Iran, che in seguito a sconvolgimenti sociopolitici interni, si era da poco trasformato da monarchia a repubblica islamica sciita; dall’altro lato il Pakistan di Zia ul-Haq, filoamericano e intento ad abbracciare un processo di crescente islamizzazione – erano guardate con molta apprensione da Mosca. L’allora presidente del Comitato per la Sicurezza dello Stato (KGB) e i vertici militari iniziarono così a comprendere che un regime sanguinario come quello di Amin non poteva beneficiare del supporto sovietico.

A questo si aggiunsero i tentativi di modernizzare il paese adottati dal PDPA, i quali non fecero altro che approfondire le disuguaglianze fra la capitale e le aree rurali circostanti, alimentando ulteriormente i duri conflitti intestini in corso. Con l’approssimarsi della fine dell’anno la situazione degenerò e per non perdere il controllo del paese, la sera del 24 dicembre 1979, il Cremlino decise di intervenire direttamente nel conflitto. Ebbe così avvio l’Operazione Štorm 333, la quale segnerà l’inizio di una guerra decennale. Amin venne ucciso e giustiziato insieme alla sua famiglia e ai suoi ufficiali.

Conquistata Kabul, i sovietici posero Babrak Karmal a capo dello stato. Successivamente, nel 1986, egli verrà sostituto da Mohammad Najbullah, più vicino alle posizioni russe. L’azione di Mosca venne ampiamente criticata da molti paesi arabi ed europei, Stati Uniti in primis, i quali decisero infine di boicottare le olimpiadi russe del 1980 come gesto simbolico. Allo stesso tempo, tuttavia, essi erano consapevoli che da quel momento in poi l’opposizione islamica avrebbe avuto piede libero nel paese.

La sconfitta e il ritiro

Con l’intervento sovietico in Afghanistan iniziò una nuova fase del conflitto civile. Da un lato, il Cremlino auspicava che il regime mettesse sotto scacco i ribelli islamisti, i quali, a loro volta, erano sostenuti dagli Stati Uniti e dai paesi arabi del Golfo. Fu proprio per merito dell’aiuto delle forze internazionali che i gruppi di mujaheddin riuscirono di fatto a contrastare ogni tipo di offensiva da parte di Mosca. Alle difficoltà sul campo, quest’ultima dovette inoltre fare i conti con l’instabilità domestica di quel periodo: la fine dell’era Breznev, unitamente all’avvento del riformismo rampante di Michail Gorbačëv, furono infatti tra le principali cause del crollo dell’Urss.

Per quest’ultima, che contò circa 15 mila caduti, giungeva così al termine l’ultima prova di forza della sua storia. Per l’Afghanistan, invece, il cui bilancio ammontò a quasi due milioni di morti e a oltre 5 milioni di profughi, iniziava un periodo di profonda instabilità politica e di nuovi drammi. La decisione di Mosca di disimpiegarsi dal conflitto a partire dal 1987 non lasciò infatti alcuna prospettiva di crescita per il paese asiatico, creando le premesse per l’ascesa dei talebani nel 1996, i quali colmarono il vuoto politico che le truppe sovietiche avevano creato. A distanza di tre decenni, l’Afghanistan reca ancora su di sé i segni di una tragedia fra le più crudeli della seconda metà del XX Secolo.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Kosovo-governo-illegittimo-nuove-elezioni-anticipate


--- Citazione ---Kosovo: governo illegittimo, nuove elezioni anticipate

Il Kosovo andrà alle ennesime elezioni anticipate dopo una sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato decaduto l'attuale governo. Una decisione che conferma il clima di forte confusione politica nel paese. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [24 dicembre 2020]

L'attuale governo kosovaro è illegittimo, ed entro quaranta giorni il paese deve andare a nuove elezioni anticipate. Con questa decisione, resa pubblica lunedì scorso, la Corte costituzionale di Pristina ha messo fine al travagliato esecutivo di Avdullah Hoti, in carica dallo scorso giugno.

L'attuale governo era nato col voltafaccia della Lega democratica del Kosovo, partito del premier, che aveva abbandonato l'alleanza col movimento Vetëvendosje per creare una nuova maggioranza, più incline ad approvare un accordo con la Serbiafortemente sponsorizzato dall'amministrazione Trump e firmato poi a Washington a settembre.

La fiducia al governo Hoti, dopo roventi polemiche, era infine passata in parlamento per un solo voto. Dopo un ricorso di Vetëvendosje, però, la Corte ha stabilito che uno dei parlamentari ad appoggiare la nuova maggioranza, Etem Arifi, non aveva diritto al voto, essendo stato condannato in via definitiva per truffa a quindici mesi di reclusione.

Con la caduta del governo la situazione politica in Kosovo si fa ancora più ingarbugliata, dopo che a inizio novembre il presidente Hashim Thaçi ha rassegnato le proprie dimissioni, dopo essere stato accusato di crimini di guerra dalla Corte Speciale sui crimini dell'UÇK.

La parola viene quindi data ancora una volta agli elettori, che si erano recati alle urne appena diciotto mesi fa. Allora la vittoria era andata a Vetëvendosje, che aveva promesso lotta alla corruzione e riforme. Oggi, dopo le complesse e controverse manovre politiche degli ultimi mesi, è però davvero difficile fare qualsiasi previsione su strategie e parole d'ordine della prossima campagna elettorale.
--- Termina citazione ---

Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Europarlamentari-in-difesa-delle-foreste-rumene-207367

Dice il solito italiano medio:
"Solo in Italia succedono certe cose!"
Ah no, cazzo!, siamo in Romania...


--- Citazione ---Europarlamentari in difesa delle foreste rumene

Su iniziativa della tedesca Viola von Cramon, 83 membri dell'Europarlamento chiedono alla Commissione europea di agire perché si metta un freno al disboscamento illegale in Romania

21/12/2020 -  Paola Rosà
A qualche mese dall'avvio della procedura di infrazione del 12 febbraio scorso, nulla pare cambiato: il disboscamento illegale continua a deforestare vaste aree della Romania, anche zone protette dalla rete Natura 2000 e patrimonio UNESCO, mentre gli attivisti vengono intimiditi, denigrati e intimiditi. A denunciare la situazione, insieme a Greenpeace e a una ventina di associazioni raggruppate nella Federația Coaliţia Natura 2000 România, sono 83 europarlamentari che su iniziativa di Viola von Cramon hanno inviato una lettera ai commissari ad agricoltura, e ambiente, oceani e pesca.

Una lettera la cui pubblicazione sul sito dell'eurodeputata ha sollecitato una piccata replica dell'associazione dei taglialegna rumeni  , che scrivendo anche a tutti i firmatari accusano la von Cramon di aver manipolato un'ottantina di colleghi e di essere lei stessa vittima di una campagna di disinformazione orchestrata da un oligarca rumeno a capo di un'associazione ambientalista.

Ma gli interessi in gioco sono altri.

“Secondo stime di esperti, non meno di due terzi delle foreste primarie d'Europa sono in Romania. Ampie zone intatte nei Carpazi e sui monti Făgăraș sono sopravvissute finora, un patrimonio europeo, se non globale, di valore ambientale inestimabile”, scrivono gli europarlamentari, tra cui solo 4 sono i rumeni. Tra i firmatari, 17 sono i conterranei di Viola von Cramon, tutti del partito dei Verdi, così come dei Verdi sono i 3 italiani Ignazio Corrao, Rosa D’Amato ed Eleonora Evi, ma non mancano iscritti ad altri gruppi, dai popolari ai socialisti, di quasi tutti i paesi membri, dalla Polonia alla Francia, dall'Ungheria a Slovenia e Finlandia.

“Un'avidità senza scrupoli e una corruzione su larga scala hanno seriamente compromesso questi tesori europei ed abbiamo ormai poco tempo per adottare misure di tutela – prosegue la lettera – se non si agisce subito, le foreste sopravvissute saranno perdute per sempre. Dall'avvio della procedura di infrazione  il 12 febbraio 2020 sono stati devastati migliaia di altri ettari, che si aggiungono alle decine di migliaia di ettari già disboscati illegalmente negli anni precedenti. Si stima che almeno 80 milioni di metri cubi di legname siano andati perduti”.

Gli eurodeputati condividono la preoccupazione delle associazioni ambientaliste rumene che in un documento ricordano come in Romania il settore del taglio del legname non sia incluso nelle attività potenzialmente impattanti per l'ambiente, “per cui non servono permessi, tranne poche eccezioni nelle aree protette”. Aree protette dalla cui gestione, nel 2018, sono state escluse le organizzazioni ambientaliste. “Ci sono forti pressioni, e si delegittimano quelli che si oppongono”, riferisce anche Greenpeace.

Dal 2014, come si ricorda anche nella lettera inviata ai commissari europei, sono state uccise 6 guardie forestali e sono stati denunciati centinaia di casi di violenza ai danni anche di associazioni, ambientalisti e civili. La Romania è l'unico paese della UE dove vengono uccisi i difensori dell'ambiente.

“Mi preoccupano molto anche i sempre più numerosi attacchi alla società civile e a organizzazioni attive nella tutela delle foreste – riferisce Viola von Cramon in un comunicato – campagne di disinformazione e denigrazione, intimidazioni e minacce sono purtroppo pane quotidiano per gli attivisti in Romania. Questo deve finire”.

Molte delle aree in cui continuano le attività di disboscamento illegali si trovano in zone protette dalla rete Natura 2000 o sono patrimonio UNESCO, per cui a febbraio la Commissione aveva avviato una procedura di infrazione contro la Romania; ma la lampante inerzia del governo di Bucarest in questi mesi fa tornare la questione urgente.

“Il sistematico disboscamento illegale in Romania delle ultime foreste originarie sta causando enormi danni a questi ecosistemi, particolarmente importanti per la lotta al riscaldamento climatico. Incombe la minaccia di una distruzione irreversibile di un patrimonio naturale particolarmente prezioso, con un danno enorme alla biodiversità”, continua l'eurodeputata.

I paradossi in Romania non mancano: il budget dell'agenzia statale che si occupa della gestione delle foreste, la Regia Nationala a Padurilor, ad esempio, dipende dalla produzione di legname, il che costituisce un disincentivo a tutelare la biodiversità mentre si è portati a massimizzare la produzione di legname per finanziare l'apparato burocratico. Ma la devastazione e gli intrecci con la criminalità organizzata sono assodati, come emergeva da un video dello scorso aprile  in cui EuroNatur, Agent Green e ClientEarth fornivano alla Commissione elementi concreti di denuncia dell'inerzia – se non complicità – del governo di Bucarest. Governo che già a febbraio era stato chiamato a rapporto dalla Commissione Europea tramite la procedura di infrazione.
--- Termina citazione ---

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