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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Ilya-stanco-di-guerra-223765
--- Citazione ---Ilya, stanco di guerra
Ilya, studente all’Università federale di Kazan (Russia), dopo aver manifestato più volte contro la guerra in Ucraina per non essere di nuovo arrestato fugge e arriva in Serbia, dove ha proseguito a manifestare contro la guerra. La testimonianza, raccolta a Belgrado da Chicco Elia
Proteste a Belgrado dell'Associazione dei Russi, ucraini, bielorussi e serbi contro la guerra (O.Hoffman/Shutterstock)
17/03/2023 - Ilya Zernov
(Originariamente pubblicato da Q Code Magazine il 24 febbraio 2023)
Il 24 febbraio 2022 il mio compagno di stanza all’Università federale di Kazan, in Russia, dove studiavo, mi ha svegliato con le parole: “La guerra è iniziata”. Allora avevo 18 anni.
Ero sopraffatto dalle emozioni: orrore, rabbia, collera. Naturalmente ho iniziato a pensare a come affrontare la guerra e Putin. Sono corso al negozio più vicino e ho comprato carta e colori. Tornato al dormitorio studentesco, ho disegnato tre manifesti contro la guerra e li ho affissi sui balconi dell’edificio, in modo che le persone che arrivavano dalla strada potessero vederli.
Ho scritto della mia azione sui blog degli studenti, poi sono andato nel centro di Kazan, con il manifesto “No alla guerra”. Mentre me ne stavo lì a congelare per strada, il mio compagno di stanza mi ha chiamato e mi ha detto che la polizia e l’amministrazione universitaria mi avevano individuato con le loro telecamere.
È successo tutto in fretta, a quanto pare l’amministrazione non ha gradito il fatto che io abbia realizzato la mia azione contro la guerra nel dormitorio studentesco e ne abbia anche scritto. In quel momento non mi preoccupavo molto dei problemi futuri, nella consapevolezza che la guerra, molto reale, era iniziata. La sera dello stesso giorno c'è stata una manifestazione contro l’invasione dell’Ucraina. Un gran numero di poliziotti ha respinto i manifestanti. Il mio amico è stato arrestato. La manifestazione è stata spontanea, l’ho scoperta per caso, pur partecipando alla vita politica del mio paese. A causa della cattiva organizzazione, dello choc e della paura, non c’erano molti manifestanti in strada, solo poche centinaia.
Sono tornato al dormitorio a notte fonda. I miei vicini erano depressi, alcuni esprimevano apertamente il loro sostegno alla mia azione contro la guerra. Sono passati due giorni di interminabile visione di filmati di guerra. Ricordo molto vagamente di aver frequentato l’università in quei giorni, la mia testa era altrove.
Il 27 febbraio ho partecipato nuovamente ad azioni contro la guerra. In primo luogo ho partecipato a un evento in memoria di Boris Nemtsov, il politico russo dell’opposizione assassinato che aveva organizzato manifestazioni contro la guerra con l’Ucraina nel 2014. A questo evento ho deposto dei fiori presso il monumento alla repressione politica di Kazan. Sono stato fermato dalla polizia, ma dopo aver preso nota dei dati del mio passaporto, mi hanno lasciato andare.
Sono andato alla manifestazione contro la guerra. Quando sono arrivato nella piazza dove avrebbe dovuto svolgersi la manifestazione, la polizia ha fermato gli ultimi partecipanti che erano rimasti. Sono uscito con una bandiera e un cartello davanti alla folla di poliziotti. Sono stato immediatamente arrestato e portato in un furgone della polizia.
Mi sono sentito a mio agio nel furgone: c’era un’atmosfera amichevole tra i manifestanti, tutti cercavano di sostenersi a vicenda.
Siamo stati portati alla stazione di polizia. Ho aspettato nel furgone per 6 ore, finché non mi hanno portato in una cella. Mi hanno preso le impronte digitali e mi hanno fotografato a tutto tondo e di profilo: mi sono sentito come un gangster di un telefilm.
Sono stato interrogato da un poliziotto, ma non mi hanno fatto del male.
Dopo l’interrogatorio mi hanno riportato in cella, ma non mi hanno lasciato solo a lungo. Mi hanno fatto uscire dalla cella, mi hanno ammanettato e mi hanno portato in un’altra stazione di polizia in un furgone con le luci lampeggianti. Nella stazione di polizia iniziale non c’era posto per dormire.
Non c’era abbastanza spazio per tutti, così ho passato la notte nella cella per i detenuti amministrativi su una stretta panca di legno senza lenzuola. Non ho dormito molto: i poliziotti erano sempre in giro, sentivo le notizie dalla televisione.
La mattina dopo mi hanno portato in tribunale. Mi hanno ammanettato di nuovo, come gli altri detenuti. Il tribunale era pieno di gente – tutti i manifestanti sono stati processati nello stesso momento e per questo ho aspettato 8 ore per avere l’ordine del tribunale. Mi è stata inflitta una multa di 5.000 rubli e sono stato rilasciato.
Mi hanno restituito il telefono, lo zaino e i lacci delle scarpe – tolgono i lacci ai prigionieri per evitare che si impicchino.
Con i miei compagni di classe si discuteva animatamente della mia detenzione, della guerra e di Putin: sembrava che tutti mi sostenessero e fossero solidali. Nei giorni successivi ho distribuito volantini contro la guerra, invitando a manifestare contro la guerra.
Il 6 marzo, al mattino, hanno bussato alla porta della mia stanza. Un vicino ha aperto la porta. La polizia ha fatto irruzione e sono venuti a cercarmi. Hanno iniziato a insultarmi, a un certo punto mi hanno preso per i capelli e hanno minacciato di picchiarmi. Mi hanno sequestrato tutte le mie cose. Mi hanno detto di fare le valigie per andare in prigione. Quando ho provato a chiamare un’organizzazione per i diritti umani, un poliziotto mi ha strappato il telefono dalle mani e ha iniziato a guardare tra le applicazioni, le chat, i messaggi.
Mi hanno portato via il telefono, il computer portatile, le carte bancarie, i manifesti e i volantini. Mi hanno portato alla stazione di polizia e mi hanno detto di scrivere una spiegazione sui miei interventi contro la guerra. Anche alla stazione di polizia sono stato minacciato, ma in modo gentile. Mi hanno detto di non parlare contro la guerra, altrimenti sarebbero venuti dai miei genitori e mi avrebbero espulso dall’università e sarei finito in prigione. Poi mi hanno lasciato andare, naturalmente senza i miei effetti personali.
C’era ancora il rischio di essere arrestato, così ho deciso di lasciare la Russia. Sono arrivato in Serbia. Qui ho lavorato in nero in una fabbrica e come lavapiatti. Ho partecipato a riunioni e raduni contro la guerra. Ora sto cercando di ottenere un visto per la Germania, ma finora non ho avuto molto successo. Quello che so, con certezza, è che non tornerò mai in un paese che ha scelto la guerra e l’isolamento: voglio vivere, studiare, lavorare, viaggiare, farmi una famiglia. Esattamente come i miei coetanei ucraini e qui a Belgrado ne ho conosciuti molti. Non è molto, ma è quello che so.
Se parliamo di ciò che volevo veramente era vivere fino al punto in cui le guerre sarebbero diventate inaccettabili e si sarebbero annullate, vorrei vivere in una Russia pacifica e libera.
Se parliamo di desideri più concreti, voglio continuare i miei studi all’università, cosa che ora sembra molto difficile – non posso farlo in Russia. Ora sto cercando di ottenere un visto umanitario per la Germania (Visum nach 22.2 AufengenthG); è da agosto che cerco di ottenere questo visto, ma il processo sembra fermo. E non so cosa fare.
Perché la Russia cambi in meglio, prima di tutto deve cambiare il presidente. Ora, oltre al fatto che un vero criminale che ha iniziato la guerra è salito al potere, ha anche un’enorme quantità di potere nelle sue mani, decide quasi tutto – non dovrebbe essere così. Una sola persona non può decidere per tutti gli abitanti del paese come vivere. In secondo luogo, dobbiamo smettere di mentire a noi stessi e iniziare a chiamare le cose con il loro nome, dobbiamo indagare sui crimini di guerra in Ucraina e consegnare i responsabili alla giustizia, dobbiamo indagare sui numerosi crimini di abuso di potere, sull’ingiusta persecuzione dei cittadini, liberare tutti i prigionieri politici.
E naturalmente, non ci può essere alcun miglioramento in Russia senza fermare la guerra e restituire i territori dell’Ucraina.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Georgia/Georgia-non-e-una-rivoluzione-colorata-224134
--- Citazione ---Georgia, non è una rivoluzione colorata
Tbilisi, Georgia. Durante le proteste di marzo 2023
La Georgia ha già vissuto la sua rivoluzione "colorata" e fu venti anni fa. Fu chiamata "rivoluzione delle Rose" quella che portò al potere Mikhail "Misha" Saakashvili. Un commento
17/03/2023 - Paolo Bergamaschi
Sgombriamo il campo da equivoci: quello che sta avvenendo in Georgia in questi giorni non è la ripetizione di un altro Majdan, cioè della rivoluzione pacifica che nel novembre del 2013 ha occupato la piazza centrale della capitale ucraina.
Non può esserlo per il semplice fatto che la prima delle rivoluzioni "colorate", come vengono definite in gergo le mobilitazioni di massa che hanno portato a cambi di regime nei paesi dello spazio post-sovietico, si è verificata proprio in Georgia alla fine del 2003. Allora a cadere fu il regime di Eduard Shevardnadze, l'ultimo ministro degli Esteri dell'Unione sovietica salito ai vertici dello stato dopo la guerra civile che aveva insanguinato il paese all'indomani dall'indipendenza da Mosca.
Fu chiamata "rivoluzione delle Rose" quella che portò al potere Mikhail "Misha" Saakashvili come presidente e Zurab Zhvania come primo ministro, un caro amico prematuramente scomparso in circostanze ancora da chiarire.
Mi trovavo anch'io tra la folla che assediava il parlamento in quei giorni lungo il corso Rustaveli, l'arteria principale di Tbilisi. La gente reclamava democrazia e trasparenza ma soprattutto la fine di un regime corrotto che stava trascinando la Georgia nel baratro. Dopo settimane di manifestazioni di massa il vecchio Shevardnadze, per certi versi incolpevole e inconsapevole di quello che stava accadendo, fu detronizzato e si inaugurò una stagione di rinnovamento che guardava all'Europa per uscire dall'orbita russa.
I georgiani non hanno mai amato i russi. È il classico stato d'animo di chi vive a ridosso di un vicino ingombrante che nutre ambizioni coloniali. Davanti al parlamento di Tbilisi risalta il monumento che ricorda la strage del 9 aprile 1989 quando i manifestanti pro-indipendenza vennero attaccati dai militari sovietici. Il venti per cento del territorio georgiano è di fatto occupato dalla Russia che controlla le due provincie di Abkhazia e Ossezia meridionale.
Proprio in Ossezia si è consumata l'ultima tragedia della Georgia con la guerra che nell'agosto del 2008 ha visto l'esercito russo avanzare fino alle porte di Tbilisi per ritirarsi, poi, grazie alla mediazione europea.
La guerra di Ossezia è ancora una ferita aperta nella società georgiana, specialmente in quella parte che si riconosce nell'ex presidente Saakashvili attualmente in carcere, in gravi condizioni di salute per i ripetuti scioperi della fame, dove è accusato di abuso d'ufficio e malversazione.
La voglia di rivincita non si è mai sopita anche se al potere oggi c'è una forza politica, il Sogno Georgiano, che ha cercato di trovare un modus vivendi con la Russia pur mantenendo saldo l'orientamento occidentale del paese.
Il 3 marzo dello scorso anno la Georgia ha presentato domanda di adesione all'Ue che a giugno ha risposto garantendo una prospettiva europea subordinata al rispetto di dodici priorità che riguardano anche la giustizia e lo stato di diritto.
Il progetto di legge sugli agenti stranieri votato in prima lettura e poi rigettato dal parlamento di Tbilisi dopo le imponenti manifestazioni di piazza complica il cammino della Georgia verso l'Unione. Polonia e Repubbliche Baltiche, inoltre, lamentano un atteggiamento troppo morbido di Tbilisi verso Mosca dopo l'aggressione all'Ucraina. C'è chi si spinge fino ad auspicare l'apertura di un fronte meridionale per circondare ed indebolire l'azione russa nel Donbass.
In questi mesi di guerra quasi 60.000 russi in dissenso con il Cremlino hanno trovato rifugio in Georgia trasferendo anche le attività di impresa e i conti correnti che hanno generato un piccolo boom economico.
I paesi europei che hanno adottato le sanzioni nei confronti di Mosca accusano, dietro le quinte, la Georgia, che non l'ha fatto, di arricchirsi sulla pelle degli ucraini. C'è una pratica costante nelle giovani democrazie dove chi vince le elezioni pensa di avere il diritto di occupare in toto le istituzioni dello stato appropriandosi anche dei suoi beni. Era accaduto nel 2004 con l'ascesa al potere di Saakashvili e succede oggi con il Sogno Georgiano al governo.
Democrazia, però, non vuol dire dittatura della maggioranza. La società georgiana, sia politica che civile, è spaccata, vittima di una polarizzazione lacerante che rischia di pregiudicare il percorso verso l'Ue. C'è bisogno di una mediazione esterna che solo l'Europa può offrire. Attendiamo le prossime mosse.
--- Termina citazione ---
Frank:
Dice l'italiano medio, notoriamente affetto e afflitto da esterofilia cronica:
"Certe cose succedono SOLO in Italia!"
Ah no, cazzo, siamo in Kosovo...
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-caos-politico-dopo-l-arresto-del-direttore-dell-Azienda-energetica-225026
--- Citazione ---Kosovo, caos politico dopo l'arresto del direttore dell’Azienda energetica
L'arresto del direttore dell'Azienda energetica del Kosovo (KEK) ha scatenato uno scontro tra partiti di opposizione e di governo - mentre una centrale elettrica a carbone è rimasta fuori uso e i dipendenti della KEK aspettano aumenti salariali
12/05/2023 - Xhorxhina Bami , Egzon Dahsyla
(Originariamente pubblicato da Balkan Insight il 1 maggio 2023)
Venerdì 28 aprile i dipendenti della Azienda energetica de Kosovo (KEK) hanno protestato chiedendo un aumento del salario e dei contributi per i pasti, sostenendo che la dirigenza sta ignorando i lavoratori che rischiano la vita quasi ogni giorno per fornire elettricità in tutto il paese.
Selatin Sadiku, dell'Unione dei Sindacati Indipendenti del Kosovo, ha dichiarato che solo quest'anno sono morti 12 dipendenti della KEK. Riferendosi all'arresto del direttore della KEK Nagip Krasniqi con l'accusa di corruzione, Sadiku ha affermato ironicamente che Krasniqi è riuscito a "unire tutti i dipendenti del sindacato", aggiungendo che i dipendenti della KEK sono "non solo stati ingannati ma anche derubati".
Dopo aver affermato che KEK da sola ha un budget più alto dell'intero Kosovo, Sadiku ha definito vergognoso che "i nostri soldi rimangano nei registri di cassa mentre la dirigenza viene indagata e imprigionata".
L'arresto di Krasniqi il 19 aprile ha causato agitazione all’interno della politica del Kosovo. I partiti di opposizione lo hanno definito come la prova dell'abuso del governo nel settore dell'energia mentre i membri del governo lo hanno definito un atto di "vendetta". Krasniqi è stato arrestato con l'accusa di abuso della propria posizione e conflitto di interessi.
"Siamo qui oggi perché abbiamo richiesto un aumento salariale un anno fa", ha affermato il capo del sindacato dei lavoratori della KEK, Nexhat Llumnica, sostenendo che Krasniqi stesso nel settembre 2022 aveva promesso un aumento dei contributi per i pasti giornalieri, attualmente fissato solo a 1,75 euro.
Il 22 dicembre Krasniqi aveva affermato: "Ora non possiamo [pagare l’aumento] perché potrebbe esserci un ritardo nei salari, perciò pagheremo a gennaio". Su questo Llumnica ha dichiarato: “Ancora una volta abbiamo avuto fiducia in lui, ma non è successo nulla. I dipendenti della KEK hanno un lavoro pesante ma un pasto leggero"
Llumnica definisce l’aumento salariale “meritato” perché i lavoratori sono riusciti a produrre così tanta energia da lasciare che solo il 10% dell'elettricità del Kosovo venisse importata. "Siamo riusciti a portare la luce in Kosovo; i dipendenti hanno raggiunto questo obiettivo, ma la direzione li sta ignorando", ha aggiunto.
L'arresto del direttore, Krasniqi, ha ulteriormente compromesso la situazione attuale della KEK. Venerdì 28 aprile i manifestanti hanno urlato "Fuori i ladri!". Nel frattempo, Krasniqi, che è stato sospeso come direttore dal consiglio di amministrazione della KEK il 25 aprile, rimane in custodia.
Amici che ottengono gli appalti
Krasniqi è stato arrestato con l'accusa di abuso d'ufficio o di autorità, esercizio di influenza e conflitto di interessi, principalmente riguardante degli appalti dal valore di circa 70 milioni di euro.
Uno dei capi di imputazione è legato ai contratti per la riparazione della caldaia del blocco A5 della centrale termoelettrica a carbone Kosovo A.
Il 13 giugno 2022, KEK aveva aperto un'asta per la riparazione della turbina e della caldaia del blocco A5 per 6 milioni di euro.
Durante il programma televisivo Kallxo Pernime di BIRN Krasniqi aveva dichiarato di aver chiesto che l'intera riparazione fosse parte di un'unica asta al fine di evitare problemi; infatti nel 2021 la caldaia era stata riparata in tre mesi, ma la riparazione della turbina era stata ritardata.
"Una società ha fatto il suo lavoro, ma l'altra no", aveva affermato Krasniqi, sostenendo che prolungare i lavori di riparazione si sarebbe rivelato costoso. Tuttavia, l'asta di giugno 2022 si era conclusa con un insuccesso. È stata chiusa l'11 luglio 2022 a causa della mancanza di offerte.
Successivamente è stata aperta un'altra asta, nella quale KEK aveva invitato 19 società a presentare offerte, divisa in due parti: una per la riparazione della turbina, la seconda per la riparazione della caldaia del blocco A5.
Il 21 novembre 2022 è stata cancellata la seconda parte dell'asta. KEK ha dichiarato che la società aveva affermato di non essere in grado di eseguire il contratto entro il periodo specificato, perciò solo la prima parte - la riparazione della turbina - era stata offerta ad una società con sede in Macedonia del Nord, Monting Energetike Doo. Il contratto per 5,136 milioni di euro è stato firmato il 5 dicembre 2022.
A gennaio 2023, KEK ha aperto una terza asta, questa volta solo per la riparazione della caldaia del blocco A5, per 3,6 milioni di euro. Le procedure si sono chiuse senza la pubblicazione di un contratto. Il lavoro quindi è stato affidato al consorzio Litwin SA per 3,4 milioni di euro per la "riparazione straordinaria d’emergenza della caldaia del blocco A5". Ora quel contratto fa parte del fascicolo dell'accusa contro Krasniqi.
Parte del consorzio Litwin SA appartiene alla società kosovara Limi-Plast, di proprietà di Bujar Shala, fratello di Naser Shala, ex direttore della Kosovo Property Comparison and Verification Agency,(KPCVA) conosciuto anche come Comandante "Ftyra" .
Bujar Shala ha dichiarato a BIRN che questo era il primo tipo di contratto che la sua azienda aveva con un'istituzione pubblica, spiegando che essa era diventata parte del consorzio "per adempiere agli obblighi legali". Shala ha anche aggiunto che "non importa di chi sia fratello".
Secondo la dichiarazione dei beni di Naser Shala del 2021, egli è stato co-proprietario di Limi-Plast con suo fratello fino al 2006. Shala si è dimesso dalla direzione del KPCVA nel febbraio 2022, a causa della mancata approvazione del suo rapporto di lavoro 2022 da parte del Parlamento del Kosovo
Il Comandante "Ftyra", era ritornato alla ribalta nel 2019 quando il parlamento del Kosovo lo aveva eletto direttore del KPCVA, nonostante gli osservatori dell'ambasciata britannica avessero valutato che non fosse adatto per la posizione.
A seguito della sua nomina, BIRN aveva riportato che nel gennaio del 2022 diverse famiglie del Kosovo temevano di perdere la propria casa dopo che l'agenzia aveva inviato loro avvisi di sfratto, sostenendo che non avevano acquistato le loro proprietà dal legittimo proprietario.
Oltre all’assegnazione di un appalto a una società di proprietà del fratello di una figura influente in Kosovo, un altro appalto, per cui Krasniqi è sotto indagine, è stato assegnato alla società legale Rexhepi Zeqiri Zejna. L'avvocato Isuf Zejna, uno dei tre azionisti di questa società, è stato l'avvocato personale di Krasniqi.
Zejna ha dichiarato a BIRN di aver "accompagnato Krasniqi alla polizia in due occasioni, relative ad una sua intervista come testimone" aggiungendo che la sua compagnia ha offerto consulenza legale pro bono a Krasniqi e alla direzione della KEK per oltre un anno.
"Bisogna sottolineare che abbiamo offerto tali servizi pro bono a diverse istituzioni pubbliche, a individui e a ONG in passato" ha aggiunto Zejna.
I partiti si dividono sull’arresto del capo della KEK
Meno di una settimana dopo che il tribunale di primo grado di Pristina ha ordinato la custodia di Krasniqi per 30 giorni, il 26 aprile il parlamento ha tenuto una sessione straordinaria.
Il deputato e presidente del partito di opposizione Partito Democratico del Kosovo,(PDK) Memli Krasniqi, ha accusato il primo ministro Albin Kurti e il partito Vetëvendosje al potere di proteggere "il suo [di Kurti] amico e compagno di partito, l’ora famoso Nagip Krasniqi, il quale di conseguenza sta iniziando ad attaccare e ricattare l'intero sistema di giustizia".
Il deputato Krasniqi si riferiva al fatto che Nagip Krasniqi era il precedente capo del Comitato per l'Energia nel Movimento Vetëvendosje.
In più Nagip Krasniqi era stato eletto direttore della KEK nell'ottobre 2021 da un consiglio temporaneo, nominato dal governo guidato da Kurti all'epoca, senza una gara pubblica. Nonostante avesse ricevuto il punteggio più alto dagli osservatori dell’ambasciata britannica.
Kurti non ha partecipato alla sessione parlamentare, ma ha mostrato il suo sostegno a Krasniqi, il 20 aprile, un giorno dopo il suo arresto.
"Ci sono stati molti capi nella KEK in passato, ci sono state abusi sconcertanti, ma non sono mai stati affrontati dal sistema di giustizia, ovvero dall'Ufficio del Procuratore", ha dichiarato a riguardo Kurti.
Ha aggiunto che "la nuova dirigenza della KEK ha depositato decine di fatti e prove materiali per gli abusi che ha trovato lì, ma la volontà della procura di occuparsi del deposito di fatti e prove per gli abusi precedenti è stata zero". In più Kurti ha affermato che Krasniqi e la KEK hanno fatto entrare 107 milioni di euro in più.
Nel frattempo il 20 aprile il Consiglio Procedurale del Kosovo ha accusato "alcuni alti funzionari dello Stato" di "tentare di influenzare sistematicamente gli affari del sistema procedurale e di trasmettere messaggi politici tendenziosi, utilizzando un linguaggio denigratorio contro il candidato per il Procuratore Capo dello Stato, Blerim Isufaj, contrariamente a tutte le norme etiche, legali e costituzionali".
Kurti e i deputati del partito al potere Vetevendosje sostengono che l'arresto del capo della KEK sia stata una vendetta dell'attuale Procuratore Capo dello Stato Blerim Isufaj, che non ha il sostegno di Kurti e dei suoi alleati politici, la Presidente Vjosa Osmani e il Presidente del Parlamento Glauk Konjufca, per diventare Procuratore Capo dello Stato. Isufaj è stato votato come Procuratore Capo nell'aprile 2022, ma il suo fascicolo è ancora in attesa del decreto del Presidente.
Il capo del gruppo parlamentare di Vetëvendosje, Mimoza Kusari-Lila, ha detto alla sessione parlamentare del 26 aprile che "l'opposizione sta cercando di utilizzare un meccanismo in cui ha ancora influenza, quello della procura, per trasformare l'aula dell'Assemblea in un tribunale".
Il PDK ha detto che invierà 30 contratti della KEK all'Ufficio del Procuratore per l'indagine, sostenendo che sono stati usati in modo illegittimo più di 70 milioni di euro .
Un deputato e presidente di un altro partito di opposizione, l'Alleanza per il Futuro del Kosovo, AAK, Ramush Haradinaj, ha accusato il partito al potere Vetevendosje e il suo leader, Kurti, di corruzione.
"Kurti è il capo dei corrotti, il creatore del ‘modello amico'. Crede che solo i suoi amici siano incorruttibili, e se il procuratore non è un amico, è corrotto", ha detto al parlamento.
Al centro dei tumulti, il blocco A5 della centrale a carbone di Kosovo A rimane ancora non funzionante.
Nel frattempo, è stata avviata una procedura di controllo nel sistema giudiziario da parte del governo. Nonostante all’inizio di marzo 2023, questa sia stata inviata alla Corte Costituzionale per commenti dal Presidente del Parlamento Konjufca.
--- Termina citazione ---
Vicus:
Penso che nessuno vorrebbe vivere in Kosovo. Il paragone è sempre con paesi avanzati, di cui l'Italia dovrebbe fare in qualche modo parte
Frank:
Affermare che "certe cose succedono SOLO in Italia", come è solito fare l'italiano medio, specie se di sesso maschile, significa includere implicitamente anche paesi come il Kosovo.
Voglio dire: "solo" ha un significato ben preciso, che non può essere oggetto di fraintendimenti.
Per esempio: in vita mia ho conosciuto una caterva di albanesi e rumeni, cioè uomini e donne provenienti da paesi che in un recente passato, quando l'Italia era la quinta potenza economica del pianeta (per un breve periodo fu anche la quarta potenza), erano nella merda più totale, ma ne ricordassi uno che abbia mai detto "certe cose succedono SOLO in Romania", oppure "certe cose succedono SOLO in Albania".
Niente di niente.
Darsi le martellate sui genitali è una specialità tipica di tantissimi italiani, convinti che al di fuori dei confini nazionali sia tutta una meraviglia e che anche luoghi di M. come il Burkina Faso o la Somalia siano migliori dell'Italia.
Non per niente li invito sempre a fare le valigie e a trasferirsi altrove, visto e considerato che nessuno obbliga nessuno a vivere nel bel paese.
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