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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Vicus:
--- Citazione ---La fuga delle ragazze del Caucaso del Nord
--- Termina citazione ---
Meglio tacere, potrei essere frainteso.
--- Citazione ---un bellissimo racconto autobiografico di Irina Dumitrescu sulla sua difficoltà, lei figlia della diaspora romena in Canada, di esprimersi nella sua lingua madre
--- Termina citazione ---
Ma cosa rompe, se vuole parlare rumeno perché non torna in Romania tra i suoi amati cubi di cemento e le sonde petrolifere?
--- Citazione ---Giunti in Italia nei primi anni Novanta, mia madre e mio padre subirono l’illusione della superiorità culturale, e quindi linguistica del paese ospitante.
--- Termina citazione ---
Sicura che sia un'illusione? L'unica cosa che mi dispiace davvero è che tra pochi decenni non ci saranno più italiani. Colpa della congiuntura, delle leggi di tante cose ma alla fine a decretare l'estinzione di questo Paese sono state le donne
--- Citazione ---Ogni anno in Armenia nascono dozzine di bambini con l'aiuto di una madre surrogata.
--- Termina citazione ---
Stiamo facendo di tutto per imitarli
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Vittime-contro-vittime-25-anni-dopo-a-Prijedor-226626
--- Citazione ---Vittime contro vittime, 25 anni dopo a Prijedor
Vittime contro vittime, dolore contro dolore. Una prassi consolidata nelle guerre di dissoluzione della Jugoslavia, riproposta di recente con la commemorazione a Prijedor delle vittime serbe dell’operazione Oluja. Commento
10/08/2023 - Massimo Moratti
Era il gennaio del 1998. A quel tempo i villaggi bosgnacchi attorno a Prijedor, la cittadina della Republika Srpska dove lavoravo per l’OSCE, erano dei luoghi fantasma. Cumuli e cumuli di macerie che spesso occupavano anche le poche strade ancora agibili, dove non era infrequente trovare dei resti umani appena si iniziava a rimuove le macerie.
Eppure, in quei posti sostanzialmente abbandonati, la mia collega ed io avevamo notato che alcune case, parzialmente distrutte, erano state riparate alla bell’e meglio. Porte e finestre erano state inserite al posto degli infissi originali che erano stati rubati. Lo spazio in eccesso tra finestra e muro era stato chiuso con pile di mattoni probabilmente recuperati dalle macerie.
Nella zona di Prijedor il ritorno dei quasi 50.000 bosgnacchi cacciati durante il conflitto non era ancora iniziato. Era chiaro quindi che gli abitanti di queste case non erano i proprietari originali, ma persone che in qualche modo vi avevano trovato rifugio. Quello che ci colpì a suo tempo era che non si trattava di casi isolati, ma decine e decine di case, erano state riparate in questo modo approssimativo. Non sembravano degli sforzi isolati, ma piuttosto un improvvisato tentativo di ricostruire case distrutte. Il loro numero colpì la mia attenzione. Queste case si trovavano soprattutto nella zona di Kozarac e Trnopolje, lungo la strada che da Prijedor porta a Banja Luka.
Chiesi informazioni in giro, cercando di capire chi avesse ricostruito le case e chi ci abitava.
La risposta era concorde: “Ah, è la gente di Martić!”. Milan Martić era uno degli ideatori dell’insurrezione dei serbi in Croazia e la longa manus di Milošević in Krajina. Al momento dell’operazione “Tempesta” (“Oluja”), l’operazione militare con cui la Croazia smantellò la repubblica secessionista serba e di fatto mise in fuga i serbi di Krajina, Martić ne era il presidente. Successivamente indiziato per crimini di guerra, fu condannato nel 2007 a 35 anni di carcere per aver organizzato la pulizia etnica dei croati e di altre popolazioni non serbe dalla Krajina. Al momento sta scontando la pena in Estonia.
I “curdi d’Europa”
Alla fine riuscimmo ad avvicinare gli abitanti di quelle case. Ci fecero entrare e potemmo vedere dall’interno le misere condizioni delle abitazioni. La casa era riscaldata a malapena da una stufa recuperata chissà dove, le finestre e gli infissi riuscivano a stento a tener fuori il freddo. Chiacchierammo un po’ con i nostri ospiti, capimmo che erano scappati dalla Krajina nel 1995 ed allora si erano sparpagliati in vari gruppi. Il gruppo che era arrivato a Prijedor era stato evidentemente sistemato nelle case parzialmente distrutte dei bosgnacchi di Kozarac e Trnopolje, per occuparle e far sì che questi non vi facessero ritorno, secondo la prassi tipica delle guerre di dissoluzione della Jugoslavia di usare le vittime di un gruppo etnico contro le vittime di un altro gruppo etnico.
Chiedemmo loro chi era stato a fornire il materiale di costruzione, ci imbattemmo in un muro di omertà. “Qualcuno” fu la risposta e i nostri interlocutori non vollero dare ulteriori spiegazioni. Erano però preoccupati per il loro futuro, capivano che i legittimi proprietari delle case vi avrebbero fatto ritorno prima o poi, ma non sapevano che cosa sarebbe accaduto a loro e dove sarebbero andati. Non sapevano di quale stato fossero cittadini, i serbi di Krajina si sentivano “i curdi d’Europa” per riprendere un’espressione usata a suo tempo. I loro capi, Martić in primis, si erano dati alla latitanza e non si sapeva dove fossero.
Pochi mesi dopo, iniziò la ricostruzione dei villaggi attorno a Prijedor in attesa del ritorno dei legittimi proprietari. A poco a poco, osservammo che i serbi della Krajina se ne stavano andando e in breve scomparvero senza lasciare traccia.
Il gruppo di rifugiati serbi a Prijedor probabilmente non fu il più sfortunato. Molti dei rifugiati serbi dalla Krajina, una volta arrivati a Belgrado furono immediatamente mobilitati dal governo serbo e sottoposti ad addestramento forzato nel campo gestito dal famigerato leader paramilitare Arkan nell’attuale Erdut per poi esser rispediti al fronte a combattere in Slavonia orientale. Arkan e le sue truppe paramilitari accusavano i serbi di Krajina di esser ubriaconi e traditori per esser fuggiti dalle proprie terre. Altri serbi di Krajina invece furono spediti in Kosovo, a ripopolare la regione meridionale della Serbia dove da alcuni anni Milošević stava esercitando il pugno di ferro nei confronti della popolazione albanese kosovara. I rifugiati dalla Krajina rappresentavano una presenza imbarazzante per il governo di Slobodan Milošević.
Lo scenario si ripete
Un quarto di secolo dopo, pochi giorni fa, lo stesso scenario si è ripetuto a Prijedor. Da alcuni anni in Serbia, la ricorrenza di Oluja, assieme a quella dei bombardamenti NATO sul Kosovo, è divenuta uno dei momenti salienti del nazionalismo serbo, quando si svolgono importanti manifestazioni per commemorare le vittime serbe in un modo del tutto avulso dal contesto che ha causato queste vittime. Quest’anno, a sorpresa di molti, la scelta su dove tenere la commemorazione è caduta su Prijedor. Ancora una volta a tutti è parsa chiara l’intenzione di schierare le vittime degli uni contro le vittime degli altri. Dolore contro dolore.
La decisione è stata presa dal presidente serbo Aleksandar Vucić, dal presidente della Republika Srpska Milorad Dodik e dal Patriarca della Chiesa serba ortodossa Porfirije. Una delle ragioni, o dei pretesti, è stata probabilmente la vicinanza di Prijedor al luogo in cui la colonna di rifugiati serbi in fuga dalla Krajina è stata bombardata dall’aviazione croata, caso per il quale c’è un procedimento per crimini di guerra in corso a Belgrado.
La scelta di Prijedor ha suscitato sarcasmo e critiche : Edin Ramulić, dell’iniziativa “Jer me se tiće”, che a Prijedor organizza ogni anno la commemorazione delle vittime bosgnacche, ha detto che non vi sarebbero stati problemi se la manifestazione fosse stata organizzata dai rappresentati delle vittime serbe di Krajina, ma il fatto che ad organizzarla fossero le autorità della Serbia e della Republika Srpska, assieme alla Chiesa ortodossa, rappresentava certamente una provocazione dato che si commemorava la cacciata dei serbi dalla Krajina nella città da cui furono cacciati bosgnacchi e croati.
La propaganda fa autogol
Il caso ha voluto che le parole di Ramulić trovassero conferma in un imbarazzante incidente mediatico avvenuto durante la commemorazione. La foto simbolo dell’evento, che campeggiava dietro il podio da cui parlavano gli oratori, ritraeva una madre con in braccio una neonata di pochi mesi mentre fuggiva da quella che doveva esser la Krajina attaccata dall’esercito croato.
Poche ore dopo però si è scoperta la verità. La foto non ritraeva degli sfollati serbi, ma bensì degli sfollati bosgnacchi in fuga dall’esercito serbo nell’enclave di Žepa, vicino a Srebrenica. Anziché essere una testimonianza dei crimini contro le vittime serbe, la foto era una testimonianza dei crimini commessi dall’esercito della Republika Srpska contro i bosgnacchi. Un clamoroso autogol mediatico dell’apparato del governo della Republika Srpska che si era affidato ad un’agenzia di Belgrado per l’organizzazione dell’evento. A poco sono servite le scuse dell’agenzia di Belgrado quando l’episodio è diventato virale sui social media.
--- Termina citazione ---
Frank:
--- Citazione da: Vicus - Giugno 24, 2023, 12:45:29 pm ---Stiamo facendo di tutto per imitarli
--- Termina citazione ---
Stanno facendo di tutto per imitarli.
Vicus:
"Noi" come popolo, io no di certo
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Transizione-verde-Gli-investimenti-dell-Ue-per-i-Balcani-occidentali-226134
--- Citazione ---Transizione verde? Gli investimenti dell'Ue per i Balcani occidentali
Gli investimenti dell'Unione europea mirano a sostenere la transizione verde nei paesi dei Balcani occidentali, ma rimangono diverse criticità rispetto al tipo di progetti sostenuti e alla loro effettiva realizzazione
16/08/2023 - Marilen Martin
Ora che l'allargamento dell'Unione europea ai Balcani occidentali è finalmente tornato in agenda, adeguare la legislazione nazionale a quella comunitaria è diventato una necessità urgente per i paesi candidati della regione. Questo include allinearsi con la legge dell'UE sul clima, che impegna gli stati membri a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Ridurre significativamente le emissioni nocive rimane una sfida formidabile per i Balcani occidentali. L'approvazione dell'Agenda Verde per i Balcani occidentali nel 2020 ha però sollevato alcune speranze; si tratta di un piano sostenuto dall'Ue, che riflette l'ambizioso Green Deal promosso dalla stessa Unione europea.
I fondi previsti
Mentre 8 dei 9 miliardi di euro previsti dall'Agenda Verde sono concessi a fondo perduto, 1 miliardo è costituito da garanzie concesse attraverso il Fondo di garanzia per i Balcani occidentali. Una garanzia significa che l'Ue non presta direttamente denaro, ma garantisce che il debito verrà rimborsato (almeno in parte) nel caso in cui il paese destinatario dovesse andare in default. Attraverso i suoi investimenti e finanziamenti, l'Ue prevede di mobilitare complessivamente 20 miliardi di euro nella regione nel corso del prossimo decennio.
Inserito all'interno di questa visione c'è il Piano economico e di investimento (Economic and Investment Plan, EIP), un insieme di misure strategiche che prevedono fino a 9 miliardi di euro di investimenti dell'Ue nella regione tra il 2021 e il 2027. Questi fondi dovrebbero svolgere un ruolo cruciale nell'agevolare la transizione ecologica della regione e nel favorire una sua maggiore integrazione con gli attuali stati membri dell'Ue.
I primi passi sono stati compiuti
Dopo l'adozione del'EIP nell'ottobre 2020, l'Ue ha finora approvato 1,8 miliardi di euro di investimenti nei Balcani occidentali, ovvero un quinto dei fondi promessi complessivamente; si prevede che questi investimenti mobiliteranno a loro volta 5,6 miliardi di euro. "I Balcani occidentali dovrebbero raggiungere la neutralità climatica in contemporanea al resto dell'Ue, ma purtroppo il punto di partenza è molto diverso", afferma Selma Ahatović-Lihić, responsabile della comunicazione del Consiglio per la cooperazione regionale.
Gli investimenti dell'Ue si concentrano su 40 progetti selezionati, per la maggior parte mirati a promuovere trasporti sostenibili ed energia pulita. I progetti spaziano dalla costruzione di nuove strade a progetti solari e al ripristino di una centrale idroelettrica. Benché siano distribuiti in modo piuttosto equilibrato in tutta la regione, si possono notare alcune differenze: ad esempio, gli investimenti previsti in Bosnia Erzegovina riguardano solo progetti per la mobilità sostenibile.
La distribuzione dei finanziamenti indica che l'attenzione si concentra soprattutto sui trasporti. La quota maggiore dell'EIP è destinata a progetti legati alla mobilità; la quota investita nel miglioramento del sistema stradale è simile a quella destinata al trasporto ferroviario. La disparità tra i diversi investimenti è notevole: per esempio, i finanziamenti destinati alle strade sono più che doppi rispetto a quelli destinati a progetti per l'energia pulita.
Strade invece di ferrovie
Sebbene il Piano Economico e di Investimento includa vari progetti volti a sostenere la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili, la digitalizzazione e la crescita del settore privato, non è scontato che tutti questi investimenti vadano davvero a sostenere gli obiettivi di fondo dell'Agenda Verde.
Per esempio, l’accento posto sulla costruzione di strade è problematico e non sembra troppo in linea con l'obiettivo di promuovere forme sostenibili di mobilità. Samir Lemeš, attivista dell'ong bosniaca Eko Forum, critica il fatto che "vengono investiti miliardi di euro nelle autostrade, mentre gli investimenti nelle ferrovie sono quasi nulli". Le ferrovie e le vie navigabili sarebbero forme di trasporto più sostenibili, mentre un aumento del traffico stradale aumenterà le emissioni nocive. Anche se le nuove strade potrebbero migliorare le connessioni all'interno della regione, lo stesso obiettivo avrebbe potuto essere perseguito attraverso le ferrovie, che emettono meno gas serra. Costruire nuove strade comunque non risolve il principale ostacolo alla connettività nei Balcani occidentali: i controlli alle frontiere e i loro tempi lunghi, come evidenzia uno studio del Parlamento europeo .
Abbandonare il carbone, ma come?
Una porzione considerevole degli investimenti dell'Ue punta anche ad aumentare l'efficienza energetica nei Balcani occidentali. Si tratta di una buona occasione per ridurre le emissioni nocive e l'inquinamento atmosferico, dato che gli edifici contribuiscono in modo significativo a generarli, in particolare in caso di sistemi di riscaldamento poco efficienti.
Per ridurre in modo significativo le emissioni, per il riscaldamento dovrebbero essere usate delle alternative rinnovabili al carbone e al legno. Sebbene alcuni progetti dell'EIP si concentrino effettivamente sulla promozione delle energie rinnovabili, un rapporto dell'OCSE evidenzia il potenziale ancora non sfruttato dell'energia solare ed eolica nei Balcani occidentali. Il piano di investimenti previsti dall'Ue non incoraggia un pieno sfruttamento di queste risorse, optando invece per controversi progetti idroelettrici che hanno impatti ambientali negativi. Stanislav Vučković, attivista dell'ong serba Eko Straža, riconosce che "l'energia idroelettrica è una delle soluzioni per la transizione energetica", ma allo stesso tempo avverte che "bisogna fare attenzione a ridurre al minimo i danni agli ecosistemi e all'ambiente".
È costoso e complesso riuscire a fare abbandonare il carbone a interi sistemi economici. I costi elevati – incluso l'impatto socio-economico della transizione – suggeriscono che i governi possano esitare a procedere davvero in tale direzione. Selma Ahatović-Lihić è preoccupata perché "il cambiamento climatico sta diventando sempre più costoso e appesantisce ulteriormente le economie già deboli dei Balcani occidentali, dove la povertà energetica è un problema significativo". Gli investimenti dell'Ue in questa regione diventano cruciali per incoraggiare e sostenere la transizione energetica – ma i finanziamenti stanziati finora sono assai limitati.
Più in generale, l'allocazione dei fondi attualmente prevista non affronta in modo organico il problema del cambiamento climatico e dei danni ambientali. Per esempio, alcuni progetti si concentrano sulla gestione dei rifiuti e delle acque reflue ma trascurano altre importanti questioni ambientali. Settori come quello dell'agricoltura sostenibile – nonostante il suo impatto significativo sulle esportazioni e sull'occupazione nella regione – rimangono attualmente esclusi dal piano di investimento dell'Ue.
La necessità di una buona governance
I progetti dell'EIP sono ancora nella loro fase iniziale, e dunque non è possibile valutarne in modo preciso l'impatto. Appare però già evidente che il loro successo dipenderà dal contesto politico e dal rafforzamento della capacità di agire delle autorità. La debolezza delle istituzioni e i privilegi conferiti alle imprese statali pongono sfide notevoli per l'efficacia degli investimenti in questo ambito. Inoltre, le carenze nel sistema di istruzione e lo spopolamento devono essere affrontati se si vuole far emergere una forza lavoro qualificata e in grado di guidare lo sviluppo economico. "Ci mancano non solo i fondi, ma anche l'infrastruttura necessaria per garantire l'attuazione dei progetti", afferma Stanislav Vučković. "Abbiamo bisogno di opportunità per acquisire esperienza diretta e scambiarci conoscenze con i paesi dell'Ue". Secondo l'attivista, "il principale ostacolo a una vera transizione verde della Serbia è il regime politico serbo sostenuto dall'Ue".
I comuni dei Balcani occidentali hanno bisogno di sviluppare le competenze necessarie. Essere in grado di svolgere analisi d'impatto ambientale esaustive è cruciale per garantire che i progetti contribuiscano davvero alla transizione verde. Ma la loro efficacia dipende in ultima analisi dalla fase di attuazione: buone pratiche di governance sono indispensabili a questo scopo.
Le ong consultate sollevano anche preoccupazioni per la mancanza di dialogo con la società civile durante la fase di pianificazione dei progetti dell'EIP, evidenziando la necessità di maggiore coinvolgimento e trasparenza. Secondo Samir Lemeš "il processo non è trasparente, non ci sono abbastanza informazioni disponibili pubblicamente, e la maggior parte dei fondi finisce a consulenti dell'Ue".
Mettere i numeri in prospettiva
L'ammontare complessivo dei finanziamenti dell'Ue diretti ai Balcani occidentali attraverso l'EIP è relativamente modesto se confrontato con i fondi dell'Ue che fluiscono negli stati membri confinanti coi Balcani occidentali, come Romania, Bulgaria, Croazia, Ungheria e Grecia. È naturale che i paesi dell'Ue beneficino di molti più programmi e opportunità di finanziamento – è anche per questo che i paesi candidati sono tanto interessati a poter finalmente accedere all'Ue. Secondo Selma Ahatović-Lihić, "il divario tra i Balcani occidentali e l'Ue rimane ancora enorme".
Il sostegno finanziario fornito dall'Ue attraverso l'EIP rientra nel programma di pre-adesione IPA III, che è specificamente destinato ad aiutare i paesi nel loro percorso verso l'adesione all'Ue. Di conseguenza questi investimenti sono soggetti a condizionalità – vale a dire che l'importo dei finanziamenti ricevuti dipende dalle prestazioni di ciascun paese.
Tuttavia affinché l'impegno dell'Ue verso i Balcani occidentali rimanga credibile, è necessario che la prospettiva sia chiara. "La data dell'adesione della Serbia all'Ue è stata posticipata a tempo indefinito, di certo per decenni", sostiene Vučković. "Di conseguenza, qualsiasi sostegno finanziario da parte delle istituzioni dell'Ue viene guardato – per usare un eufemismo – con una certa cautela".
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