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La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-viaggiare-per-raccontare-228764
--- Citazione ---Romania, viaggiare per raccontare
La storia di una giornalista e un fotografo romeni che da dieci anni vivono in un camper per poter scrivere le loro inchieste su come si vive in Romania e su come vivono i romeni espatriati. Sono Elena Stancu e Cosmin Bumbut: li abbiamo incontrati
22/12/2023 - Oana Dumbrava
Elena Stancu e Cosmin Bumbut, una giornalista e un fotografo. Da dieci anni vivono in un camper e viaggiano per poter documentare storie di vita romena che pochi conoscono o possono immaginarsi.
Elena ha lavorato per quasi sei anni presso la rivista Marie Claire, dove è stata prima redattrice, poi vice caporedattrice. Cosmin ha scattato foto di moda e pubblicitarie fino all'età di 40 anni, quando ha deciso di lavorare solo su progetti documentari. Un’attività ricca di riconoscimenti per entrambi e una vita che non era male. Ma il vero senso mancava.
Nel novembre 2013, due borse di giornalismo, una del Carter Center e la Fellowship for Journalistic Excellence di BIRN, hanno dato loro il coraggio di rinunciare al monolocale affittato a Bucarest, per trasferirsi insieme in un camper e iniziare un viaggio per osservare come vive la Romania nel profondo.
Hanno iniziato con un progetto sulla cultura della violenza in Romania che è durato più di due anni (“Cicatrice”), poi sono seguite storie sulla vita dei detenuti nei penitenziari romeni, sulle famiglie che vivono in estrema povertà, sulla discriminazione, sul razzismo, sulla mancanza di medicinali negli ospedali romeni.
Storie che sono state pubblicate anche nel libro “Acasa pe drum” (A casa sulla strada). Hanno continuato a vivere in macchina, contando sulle donazioni dei lettori e su altre borse di studio per il giornalismo che si sono susseguite, felici di avere il privilegio di poter fare il loro lavoro attraverso la Romania, un paese dove non è esattamente facile trovare il modo di dare vita a progetti del genere.
Nel gennaio 2019 hanno iniziato a lavorare su "Plecat" (Partito), viaggiando attraverso l'Europa per scrivere e raccontare storie reali sui migranti romeni.
Ed eccoci ora, nel 2023. Sono già dieci anni da quando la coppia vive in un camper per poter fare il lavoro che ha sempre voluto fare.
Curiosa di sapere se possibile quantificarlo, chiedo a Elena – quanti chilometri avete percorso in dieci anni?
Cosmin ha già fatto dei calcoli, perché è proprio a novembre di quest’anno che abbiamo compiuto dieci anni di vita nel camper, una buona occasione quindi per rifletterci sopra. In questi 10 anni abbiamo percorso circa 140.000 km di cui 80.000 in Europa. Abbiamo parcheggiato in 387 posti, il che significa che abbiamo trascorso in media 7,7 giorni in città, villaggi, campi, foreste, parchi o spiagge. Abbiamo dormito 3.000 notti in macchina, il che significa 3.000 notti senza pagare la sistemazione in un albergo o altro.
Noi non siamo viaggiatori nel senso puro del termine. Non è certo la vita più comoda, ma abbiamo il camper per avere una sistemazione sicura e conveniente ovunque vogliamo andare.
Abbiamo bisogno di tempo per documentare tematiche complesse e comprendere tutte le sfumature di grigio che compongono la realtà. La vita in camper ci ha dato il privilegio di lavorare solo su argomenti in cui crediamo e di poterci fermare in un posto finché non abbiamo finito la nostra indagine. Adesso, ad esempio, siamo nei Paesi Bassi per documentare la vita di giovani romeni che hanno deciso di venire qui a studiare. Parcheggiamo dove vivono gli studenti per essere vicini ai nostri soggetti, ma poiché qui è vietato dormire nel camper, siamo costretti a volte anche a nasconderci e spesso a cambiare posto.
Siete quindi sempre “A casa sulla strada”, tra l’altro il titolo di uno dei vostri progetti, a cui è seguito il progetto “Plecat” (Partito). Con il progetto “Partito”, siete stati finora in dieci paesi e avete documentato la vita dei romeni emigrati in Spagna come raccoglitori di fragole, la vita delle badanti romene in Italia, dei lavoratori stagionali in Germania, degli agricoltori in Norvegia, dei musicisti nei Paesi Bassi, degli elettricisti navali che costruiscono navi in Danimarca, dei medici e degli infermieri medici in Inghilterra e in Italia, dei ricercatori romeni in Svezia, cosi via. Secondo la vostra esperienza, in tutte queste comunità e luoghi in cui i romeni sono andati a vivere e lavorare, c’è qualcosa che in qualche modo accomuna queste esperienze? C’è un elemento comune, tipico del romeno che ha lasciato la Romania?
In realtà no, le storie dei romeni che decidono di andare via non hanno quasi nulla in comune. Ed è proprio questo che abbiamo cercato di mostrare. La Romania è il Paese con la più alta percentuale di emigrazione in Europa in rapporto alla popolazione. Ufficialmente, ci sono 5,7 milioni di romeni emigrati.
Abbiamo capito però, che lo stato romeno non ha i mezzi e il metodo necessari per poter fornire dati reali. In Spagna, ad esempio, del milione di romeni emigrati dal 2014, oggi ce ne sono meno di mezzo milione. Questo perché, con l'ingresso nell'Unione Europea e l'abolizione delle restrizioni ai viaggi, i romeni hanno iniziato a scegliere destinazioni come l'Inghilterra e la Germania, e lo stato romeno non ha più seguito le dinamiche migratorie. Non è nemmeno interessato a farlo, perché la situazione è in continua evoluzione. Le ambasciate romene all'estero sono oberate di lavoro, i consolati pure.
Basti pensare che in Germania, per una diaspora di quasi un milione di romeni, ci sono solo un'ambasciata e due consolati. Lo stato non conosce la reale situazione dei romeni emigrati all'estero. Non sa chi sono e cosa devono affrontare. I loro problemi e le loro storie sono molto diversi.
I lavoratori stagionali partono perché non hanno altro modo per guadagnarsi da vivere. Lo stesso vale per i lavoratori portuali che sono partiti per la Danimarca. Dopo la chiusura del porto navale di Mangalia, si sono trovati a 50 anni senza molte opportunità di lavoro e sono dovuti partire. Non hanno intenzione di integrarsi in Danimarca e tornerebbero volentieri a casa se ci fossero altre possibilità.
D'altra parte, i giovani romeni che vanno a studiare nei Paesi Bassi fanno questa scelta per la varietà di opportunità a loro disposizione e potrebbero anche non tornare. Le storie sono quindi molto diverse.
Alcune badanti romene ci hanno detto che per loro l'Italia è stata una fuga dalla violenza domestica. La diaspora è davvero un'altra Romania che va esplorata e compresa.
Le vostre inchieste documentano la vita dei romeni al di là delle cifre, con storie vere, foto, testimonianze: avete mai visto conseguenze concrete dopo la loro pubblicazione?
Siamo stati contattati da un politico romeno che era interessato a progettare un programma per i lavoratori stagionali. Poi siamo stati invitati dal Consiglio europeo per parlare della situazione dei migranti romeni. Anche l'agenzia governativa del Regno Unito ci ha chiesto un supporto per denunciare i bassi salari dei lavoratori stranieri all'estero. Naturalmente, siamo aperti a parlare con chiunque voglia fare la differenza.
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Elena e Cosmin hanno finora realizzato due film documentari: “Rezidentele” (Le Residente) sul primo centro della Romania per le detenute con problemi di salute mentali e “Ultimul caldărăr”( L’ultimo caldărăr) che racconta la storia di una giovane famiglia rom in viaggio per la Francia per recuperare rottami metallici nelle discariche. Il film ha vinto, tra gli altri, il Premio Speciale al Millenium International Documentary Film Festival Bruxelles 2017, il Picture Award al Docuart Film Festival 2016 ed è stato selezionato, al Making Waves New York 2017 e al Let's CEE Film Festival di Vienna 2018.
Hanno pubblicato il libro “Acasa pe drum“ (A casa sulla strada) e le loro storie sono disponibili sul sito https://teleleu.eu/
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Ma quello che ci auguriamo è che le nostre indagini abbiano un effetto molto più profondo. Che costruiscano ponti tra i romeni che sono partiti e quelli che sono rimasti. E di sfatare i miti e i pregiudizi che alcuni hanno sugli altri. Non passa mese senza che riceviamo messaggi di persone che ci ringraziano perché si sono ritrovate nelle nostre storie o perché, grazie alle nostre storie, hanno potuto capire meglio la situazione dei loro vicini e delle persone che vivono in contesti sociali diversi. Al festival letterario Filit di Iasi, ad esempio, tre o quattro dei giovani che hanno letto la nostra serie sulle badanti romene in Italia avevano le loro madri lontane che facevano proprio questo lavoro. È stato interessante per loro vedersi nelle storie e, allo stesso tempo, rendersi conto che non sono soli.
Quello che fate quindi va oltre un semplice approccio giornalistico...
Sì, quello che facciamo ha poco a che fare con le cosiddette news. Noi entriamo nella profondità della storia e del problema. Parliamo di identità, di traumi transgenerazionali, di come questi traumi vengono trasferiti da una generazione all'altra. E con questi temi al centro dell'attenzione, anche noi ci chiediamo: ma cosa stiamo facendo in realtà e come possiamo chiamarlo? Giornalismo? Antropologia?
Le idee per i progetti nascono dai vostri interessi e dalle vostre curiosità. Cosa vedete nel futuro?
Abbiamo un’agenda infinita di idee e non ci basterebbe una vita per portarle a compimento. Nel 2014 avevamo inserito il progetto “Partito” nella nostra agenda e ci stiamo ancora lavorando. Il nostro è un lavoro lungo e faticoso non solo perché i temi sono complessi e molto ampi, ma anche perché è emotivamente drenante.
Viviamo attraverso i nostri soggetti, entriamo in empatia con le loro storie per capirle in profondità. E a volte ci manca la vita normale. È bello sapere dove si dormirà stanotte, è bello incontrarsi con gli amici, perfino lavarsi senza problemi. Noi abbiamo perso questa normalità. Se ci pensate, anche i romeni in diaspora possono scegliere di integrarsi nella loro comunità. Noi non possiamo farlo, ci integriamo nella vita delle persone e nelle storie che documentiamo. E poiché ogni giorno abbiamo così tanti problemi da risolvere, non possiamo pensare a nuovi progetti. Ci aspetta ancora un anno di indagini in Francia e in Belgio, più di 100mila foto da editare, poi finalmente pubblicheremo il nostro libro "Partito" e ripartiremo con un tour per promuoverlo. Infine, e meritatamente, torneremo per una breve pausa nella nostra mansarda ad Alba Iulia. Questo è il progetto per il futuro.
--- Termina citazione ---
Frank:
Dice il solito italiano medio. affetto e afflitto da esterofilia cronica:
"Certe cose succedono SOLO in Italia!"
Ah no, cazzo, siamo in Serbia...
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Elezioni-in-Serbia-il-trionfo-dei-brogli-229168
--- Citazione ---Il Partito progressista serbo (SNS) ha ottenuto la maggioranza dei voti nelle elezioni straordinarie del 17 dicembre. L'opposizione contesta il risultato, un politico dell'opposizione è in sciopero della fame, i cittadini protestano in strada e gli osservatori internazionali denunciano diverse irregolarità durante le votazioni
21/12/2023 - Antonela Riha Belgrado
Stando agli ultimi dati ufficiali , sulla base del 99,66% delle schede scrutinate, alle elezioni politiche anticipate il Partito progressista serbo (SNS) ha conquistato il 46,7% dei voti, seguito dalla coalizione delle forze di opposizione “Srbija protiv nasilja” [La Serbia contro la violenza] con 23,69% dei voti.
Al terzo posto si è attestato il Partito socialista serbo (SPS), che ha subito un calo di consensi rispetto alle elezioni precedenti, ottenendo appena il 6,55% delle preferenze. Superano la soglia di sbarramento anche la coalizione di destra “Nada” [Speranza] e il movimento “Mi – Glas iz naroda” [Noi – Voce del popolo] guidato dal dottor Branimir Nestorović che, pur avendo in passato partecipato alle varie tornate elettorali, alle elezioni di domenica per la prima volta si è presentato con una lista indipendente.
Non è passato inosservato il fatto che alcune forze di destra, che dopo la tornata precedente erano riuscite ad entrare in parlamento, questa volta non hanno superato la soglia di sbarramento. Anche la lista dell’ex presidente della Serbia Boris Tadić è rimasta al di sotto dello sbarramento.
Contemporaneamente alle elezioni politiche, si sono tenute anche le elezioni per il rinnovo del parlamento della provincia autonoma della Vojvodina, nonché le elezioni amministrative in 65 municipalità e comuni, Belgrado compresa. Stando agli ultimi dati diffusi , nella capitale l’SNS è in testa con il 39,35% dei voti, seguito dal movimento di opposizione “La Serbia contro la violenza” con il 34,26% dei voti. Entrano in consiglio comunale anche la coalizione NADA, l’SPS e il movimento Noi – Voce del popolo.
“Una vittoria assoluta che mi rende estremamente felice. Un risultato migliore rispetto alla tornata del 2022”, ha commentato a caldo il presidente Vučić dopo la chiusura dei seggi.
L’opposizione civica e filoeuropea riunita attorno al movimento “La Serbia contro la violenza” chiede la ripetizione delle elezioni a tutti i livelli. Intanto, i media indipendenti continuano a riportare notizie sulle irregolarità registrate durante il voto.
Gli autobus di Dodik e il treno bulgaro
Già nel corso della giornata del voto è stato pubblicato un video in cui si vedono alcune persone che scendono dagli autobus davanti all’Arena di Belgrado, per poi essere indirizzate dagli addetti alla sicurezza verso i luoghi dove dovevano votare, o persino accompagnate ad alcuni seggi elettorali a Belgrado.
Come emerso successivamente, quelle persone erano cittadini della Republika Srpska che possiedono la cittadinanza serba, e quindi hanno il diritto di votare alle elezioni parlamentari in Serbia. Ovviamente, potevano votare anche nel luogo in cui vivono, ma arrivando a Belgrado hanno approfittato dell’occasione per votare anche alle elezioni comunali, pur non avendone diritto, dato che non risiedono nella capitale serba.
Quando i membri della Commissione elettorale centrale (RIK) appartenenti all’opposizione sono arrivati all’Arena per vedere cosa stava accadendo, le guardie private hanno impedito loro di entrare . Anche Nenad Nešić, ministro della Sicurezza della Bosnia Erzegovina, ha votato a Belgrado , vantandosene sui social. Punti di raduno degli elettori sono stati rilevati anche in altre città serbe, soprattutto lungo il confine con la Republika Srpska. Recatosi presso un seggio elettorale a Belgrado, il presidente della RS Milorad Dodik ha votato davanti alle telecamere , contrassegnando la lista “Aleksandar Vučić – la Serbia non si deve fermare”.
Stando alle stime dell'opposizione, circa 40mila persone hanno dichiarato una residenza falsa a Belgrado pur di poter votare. In molti condomini sono state ritrovate schede di voto false, indirizzate a persone sconosciute a chi ci vive. Il fenomeno è stato segnalato all’opposizione, ai media indipendenti e all’organizzazione CRTA che si occupa del monitoraggio delle elezioni.
L’opposizione sostiene che non solo a Belgrado, ma anche in altre aree del paese si sia assistito ai casi di falso trasferimento di residenza dai comuni non interessati dalla tornata elettorale a quelli in cui si è votato, influenzando così l’esito del voto. I media hanno riportato diversi casi di compravendita di voti , il cosiddetto "treno bulgaro" , ossia il ricorso a schede precompilate, il trasferimento delle schede elettorali da un seggio all’altro, votavano anche le persone non iscritte all’elenco degli aventi diritto e persino i morti. Gli osservatori dell’organizzazione CRTA che hanno monitorato le elezioni, registrando numerose irregolarità, sono stati aggrediti presso un seggio elettorale e la loro auto è stata vandalizzata .
Anche gli osservatori internazionali hanno denunciato “gravi irregolarità, tra cui la compravendita di voti e la pratica di inserire le schede precompilate nell’urna”. Stefan Schennach, capo della delegazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che ha monitorato le elezioni, ha dichiarato esplicitamente che le elezioni non sono state eque e che Vučić ha dominato la campagna elettorale. “Il presidente è una figura neutra che dovrebbe rappresentare il paese e tutti i cittadini. Eppure, l’attuale presidente ha dominato il processo elettorale, comportandosi come se fosso candidato alle elezioni, dal livello locale a quello centrale”, ha affermato Schennach, aggiungendo che durante lo spoglio dei voti ha visto alcune schede elettorali false, però regolarmente timbrate.
Anche i media internazionali parlano delle manipolazioni elettorali in Serbia. Un altro aspetto che balza agli occhi è che, a differenza delle tornate elettorali precedenti, questa volta dalle capitali occidentali non sono arrivati i soliti complimenti ai vincitori. Il ministero degli Esteri tedesco ha sottolineato che l’abuso delle risorse pubbliche e le intimidazioni nei confronti degli elettori sono inaccettabili in un paese candidato all’adesione all’UE. Washington ha invitato le autorità serbe a “indagare sulle denunce di irregolarità elettorali sollevate dagli osservatori internazionali”.
Alieni
L’opinione pubblica serba, almeno quella parte che si oppone all’attuale regime, non è rimasta stupita dalle irregolarità elettorali. Da quando il partito del presidente Vučić è salito al potere, tutte le tornate elettorali sono state caratterizzate da pressioni sugli elettori, violenza e furto di voti. A sorprendere invece è l’enorme successo della lista “Noi – Voce del popolo” guidata dal Branimir Nestorović .
Rinomato pneumologo di Belgrado, Nestorović è salito alla ribalta della cronaca quando, dopo lo scoppio della pandemia da Covid 19, ha dichiarato che il coronavirus è “il virus più ridicolo della storia dell’umanità”. Quando dall’Italia ormai giungevano notizie sulle tragiche conseguenze del virus, il dottor Nestorović ha invitato i cittadini ad andare a fare shopping a Milano. Ben presto è diventato una star dei tabloid e delle emittenti di regime dove diffondeva varie teorie del complotto, da quella sugli aerei che controllano le nostre onde cerebrali a quella secondo cui le persone con gli occhi verdi e azzurri discendono dagli alieni e quella sulle porte del tempo dietro alle quali gli aerei spariscono per poi ritornare dopo diciassette anni. È arrivato persino ad affermare che la Terra “in realtà è un disco piatto, solo leggermente inclinato”. Col tempo ha conquistato molti sostenitori, tanto che i video che pubblica sul suo canale YouTube raggiungono centinaia di migliaia di visualizzazioni.
Nestorović aveva partecipato alla precedente tornata elettorale con una coalizione di destra, ora invece con una lista indipendente è riuscito a superare la soglia di sbarramento non solo alle elezioni parlamentari, ma anche a quelle amministrative a Belgrado. Considerando che – come dimostrano i dati pubblicati finora – alle elezioni nella capitale nessun partito ha conquistato la maggioranza assoluta dei voti, e che quindi le alleanze post-elettorali saranno decisive per formare un nuovo governo, Nestorović potrebbe fungere da ago della bilancia.
Quanto ancora?!
Il giorno dopo le elezioni, lunedì 18 dicembre, a Belgrado sono iniziate le proteste. I leader della coalizione “La Serbia contro la violenza” si sono chiusi nei locali all’interno dell’edificio in cui si trova la sede della Commissione elettorale centrale (RIK) e Marinika Tepić, capolista della coalizione, ha avviato uno sciopero della fame. Ogni sera alle 18 i cittadini si riuniscono davanti alla sede della RIK per sostenere l’opposizione che protesta e per denunciare brogli elettorali. Se in un primo momento il movimento guidato da Marinika Tepić si era focalizzato su Belgrado, dove con ogni probabilità si sono verificati i brogli più massicci, mercoledì 20 dicembre, spinti anche dal moltiplicarsi delle critiche avanzate da osservatori internazionali, i leader dell’opposizione hanno deciso di chiedere l’annullamento delle elezioni a tutti i livelli.
Il presidente Vučić non è un leader politico disposto ad ammettere i propri errori, figuriamoci i brogli. Vede la via d’uscita dalla situazione a Belgrado in Nestorović, quindi in un uomo, reso popolare proprio dai media filogovernativi, la cui biografia politica assomiglia ad un progetto ideato dal regime. Dopo la chiusura dei seggi Vučić ha dichiarato che [a Belgrado] non intende coalizzarsi con nessuno, di certo non con l’opposizione, aggiungendo che comunque aspetterà i risultati definitivi. “Se Branimir Nestorović non appoggia nessuno, le elezioni verranno ripetute”.
Se si dovesse decidere di ripetere le elezioni a Belgrado, potrebbero tenersi in primavera, contemporaneamente alle amministrative in altre città già in programma. Vučić può scegliere se utilizzare Nestorović come un asso nella manica o acuire la crisi a Belgrado. Ormai da più di sei mesi una parte della popolazione scende in piazza per protestare, e in questi giorni alle manifestazioni davanti alla sede della Commissione elettorale è molto evidente la partecipazione dei giovani. Gli studenti hanno annunciato che, qualora il governo non dovesse esaudire la loro richiesta di verificare l’elenco degli aventi diritto, dalla settimana prossima inizieranno a bloccare alcune zone di Belgrado. Protestano tenendo in mano striscioni con la scritta: “Quanto ancora?!”.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Azerbaijan/Azerbaijan-le-elezioni-piu-imbarazzanti-di-sempre-229834
--- Citazione ---Azerbaijan, le elezioni più imbarazzanti di sempre
Nonostante lo scontato trionfo dell'attuale presidente Ilham Aliyev, le elezioni presidenziali anticipate del 7 febbraio in Azerbaijan sono state segnate ancora una volta da violazioni, brogli ed atteggiamento aggressivo nei confronti di osservatori e giornalisti indipendenti
09/02/2024 - Arzu Geybullayeva
La tornata elettorale dello scorso 7 febbraio in Azerbaijan, per il presidente in carica Ilham Aliyev poteva essere un’occasione per provare a conquistare la vittoria senza compiere le solite violazioni e frodi elettorali . E per i sei milioni di aventi diritto poteva essere forse un’occasione per vivere, per una volta, elezioni eque e libere. Si è rivelata però un’occasione mancata, considerando le innumerevoli violazioni denunciate e documentate, tra cui voto carosello [elettori che si spostano di seggio in seggio per votare più volte], brogli e comportamenti aggressivi nei confronti di osservatori e giornalisti indipendenti.
Le elezioni si sono tenute in un contesto in cui “le libertà fondamentali di associazione, espressione e riunione pacifica sono state ristrette”, come si legge in un rapporto pubblicato lo scorso 23 gennaio dall’Ufficio OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR). D’altra parte, parlando con i giornalisti, i tanti falsi osservatori , che sostengono di aver monitorato il voto per conto del leader del partito al potere, non hanno potuto nemmeno citare il nome di quest’ultimo.
Un’era tutt’altro che nuova
A gennaio, nel corso di un incontro con un gruppo di giornalisti dei media filogovernativi, attentamente selezionati, il presidente Ilham Aliyev, parlando dei motivi che lo hanno spinto a indire elezioni anticipate, ha affermato che la tornata elettorale si sarebbe svolta in “una nuova era”: per la prima volta nella storia dell’Azerbaijan le elezioni si sarebbero tenute in tutto il paese, compresi gli ex territori occupati, riconquistati dall’Azerbaijan dopo la guerra dei 44 giorni del 2020 e l’operazione militare del 23 settembre 2023. Quindi, le prime elezioni a svolgersi in quei territori, secondo Aliyev, dovevano essere quelle presidenziali. Per avvalorare la sua tesi, Aliyev ha portato la sua intera famiglia a votare a Khankendi (Stepanakert in armeno).
Inizialmente era previsto che le elezioni presidenziali si tenessero ad aprile 2025, dopo le politiche in programma a febbraio 2025 e le amministrative a dicembre 2024.
Tutti e sei i candidati che, oltre al presidente in carica, si sono presentati alle elezioni del 7 febbraio, hanno apertamente espresso il loro sostegno ad Aliyev, il quale invece durante la campagna elettorale non ha mai partecipato di persona a dibattiti televisivi con altri candidati, né tanto meno li ha appoggiati.
Musavat e il Fronte popolare sono stati gli unici partiti di opposizione ad aver boicottato il voto. Gli altri ventitré partiti presenti nel paese, compreso il partito di governo (Partito Nuovo Azerbaijan, YAP), hanno espresso solidarietà e sostegno ad Aliyev in una dichiarazione rilasciata nell’ottobre dello scorso anno.
In una sua analisi del contesto alla vigilia del voto, la ricercatrice Hamida Giyasbayli ha sottolineato che le speranze che il governo azero potesse introdurre alcune riforme dopo la seconda guerra del Karabakh sono state deluse, sollevando anche la questione della “direzione in cui si sviluppa la politica interna” dell’Azebaijan.
Dopo la guerra dei 44 giorni del 2020, la situazione in Azerbaijan è solo peggiorata, dalle intimidazioni online e offline nei confronti degli attivisti pacifisti che si erano opposti alla guerra del Karabakh del 2020, alle nuove leggi restrittive sui media, passando per il perseguimento delle critiche online e dei giornalisti e attivisti politici e l’utilizzo delle tecnologie di sorveglianza invadenti contro i membri della società civile, per citare solo alcune delle misure messe in atto. Ne sono seguiti ulteriori arresti e repressione contro gli oppositori della leadership di Baku.
L’anno scorso, le autorità hanno arrestato Gubad Ibadoglu, noto economista e professore. La scorsa estate le autorità hanno represso con violenza le proteste degli abitanti di un villaggio che denunciavano i danni ambientali causati da una miniera d’oro. Poi sono stati presi di mira molti attivisti per i diritti dei lavoratori , diventando vittime di arresti e intimidazioni . La situazione è poi ulteriormente deteriorata con una serie di arresti contro la piattaforma di informazione indipendente Abzas, a cui hanno fatto seguito l’ennesimo arresto di un esponente dell'opposizione e altre repressioni .
Nel frattempo, l’elenco degli arresti politicamente motivati ha continuato, e probabilmente continuerà ad allungarsi, considerando l’esito delle elezioni del 7 febbraio. Al tempo della pubblicazione di questo articolo, secondo la Commissione elettorale centrale (CEC), Aliyev è in testa con il 92,1% dei voti.
Il partito di opposizione Musavat ha chiesto l’annullamento delle elezioni, parlando di un “ambiente non libero e iniquo”.
Tutto come al solito
Interpellata da OBCT, la giornalista Ulviyya Ali, che ha seguito le elezioni appena concluse, ha affermato di essere stata sottoposta a pressioni da parte dei rappresentanti della commissione elettorale all’interno di alcuni seggi, notando che molti osservatori indipendenti hanno subito simili pressioni. “Da giornalista, sono stata più volte avvertita e mi è stato detto dove stare e cosa filmare”, ha affermato Ali. Un’altra giornalista indipendente, Lida Abbasli, ha dichiarato all’emittente Meydan che le è stato impedito di filmare e che è stata cacciata da un seggio elettorale.
Anche altri giornalisti che hanno seguito il voto hanno raccontato testimonianze simili, subendo un trattamento che, secondo Alasgar Mammadli, esperto di diritto dei media, è illegale. Molti giornalisti sono stati vittime di pressioni, nonostante nella giornata del voto Mazahir Panahov, presidente della CEC, abbia dichiarato che “non dovrebbero esitare a filmare qualsiasi problema”.
Alla vigilia del voto, almeno tre osservatori indipendenti hanno raccontato a OBCT di tentativi di violazione dei loro account su Telegram. Poi è giunta la notizia, riportata dall’emittente Meydan, che l’Università statale di Baku starebbe utilizzando WhatsApp per la propaganda elettorale. Notizia prontamente smentita dall’Università che ha negato di aver coinvolto i suoi studenti nelle attività di propaganda elettorale.
“Lei mi chiede perché sono qui? So perché sono qui”, ha risposto un elettore ottantenne ad un giornalista del servizio azero di Radio Liberty. Nello stesso reportage, una donna ha affermato di aver votato perché se non lo avesse fatto, i suoi figli avrebbero perso il lavoro. “Non raccontarmi favole”, ha risposto la donna quando il giornalista le ha chiesto quali fossero le sue aspettative nei confronti del nuovo presidente. “Sì, certo, nomineranno mio figlio presidente. Vattene. Non parlo più”, ha detto andandosene dopo essere uscita dal seggio elettorale.
Tuttavia, nessuna di queste storie, né le numerose prove di brogli elettorali, sembrano aver sconcertato un gruppo di osservatori internazionali che hanno spudoratamente elogiato le elezioni. Tra questi spicca Oracle Advisory Group, rappresentato da George Birnbaum, il quale, dopo aver condotto un’analisi del voto , ha affermato che l’esito delle elezioni rappresenta una “vittoria della democrazia”. Birnbaum è noto per essere l’uomo dietro alla campagna denigratoria contro Soros che, secondo un’inchiesta condotta da Buzzfeed “ha finito per scatenare un’ondata globale di attacchi antisemiti contro l’investitore miliardario”. Stando alla stessa inchiesta, Birnbaum sembra aver giocato un ruolo anche nell’ascesa di Orban al potere.
Anche Salvatore Caiata, membro della delegazione italiana, non sembra minimamente infastidito dalle violazioni registrate durante le elezioni. In un'intervista rilasciata ai media filogovernativi, Caiata ha dichiarato che i cittadini azeri, a differenza degli italiani, sono stati molto attivi il giorno del voto. Ha capito bene la parte dell'attivismo, ma non le motivazioni sottostanti: non è un compito facile organizzare il voto carosello e altri brogli, così come non è facile temporeggiare e impedire agli osservatori indipendenti di fare i loro lavoro, e infine votare se, alla fine di una giornata di lavoro dura e dinamica, si riesce ancora a trovare il proprio seggio elettorale.
Forse questa svista è dovuta al fatto che Caiata è membro di un gruppo interparlamentare di amicizia tra Azerbaijan e Italia all’interno del partito Fratelli d'Italia (FDI). È probabile che la controparte azera abbia dimenticato di menzionare come l’intera storia delle elezioni in Azerbaijan – amministrative, politiche o presidenziali che fossero – è macchiata di violazioni e frodi elettorali, poiché il paese non è mai riuscito a soddisfare gli standard fondamentali di elezioni libere, eque, democratiche e trasparenti. Gli esponenti di FDI lo avrebbero saputo se avessero prestato maggiore attenzione durante il loro viaggio in Azerbaijan l’anno scorso per celebrare il centenario della nascita dell’ex presidente Haydar Aliyev.
Date queste premesse, viene da chiedersi perché il presidente Aliyev durante le ultime elezioni abbia fatto ricorso a così tanti meccanismi di controllo? Probabilmente perché, non avendo alcuna esperienza nello svolgimento di elezioni libere ed eque, aveva paura e voleva evitare un risultato inaspettato. Ed è riuscito ad evitarlo. Questo sarà il quinto mandato del presidente Ilham Aliyev e probabilmente non l’ultimo se la salute gli consentirà di candidarsi anche nel 2031, quando compirà 69 anni.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-e-fondi-UE-un-paese-in-costante-ritardo-229665
--- Citazione ---Romania e fondi UE: un paese in costante ritardo
Dal 2007, anno dell’ingresso della Romania nell’UE, nel paese sono affluiti oltre 62 miliardi di euro dall’UE. Sarebbero potuti essere di più, ma lo stato romeno non è riuscito ad attirarli tutti. Perché?
06/02/2024 - Laura Popa
(Originariamente pubblicato dal nostro partner di progetto PressOne )
Nel gennaio 2007, quando la Romania ha festeggiato la sua adesione all’Unione europea, oltre la metà della popolazione nel paese non aveva fognature, il rapporto PIL/pro capite era inferiore alla metà della media europea e il salario netto medio era di 1.042 lei [circa 210 Euro]. Il paese guardava con fiducia al progetto europeo (il livello di fiducia nell'UE nel 2007 era al 75%) e con speranza alle decine di miliardi di Euro comunitari destinati a strade, acqua, fogne, scuole e ospedali. La Romania sognava di essere un paese moderno.
Sedici anni dopo, il PIL pro capite della Romania è vicino a quello di Ungheria e Polonia, il salario netto medio ha raggiunto i 4.593 lei [920 Euro] e nel paese sono affluiti più di 62 miliardi di Euro dall'Unione europea. Sarebbero potuti essere di più, ma lo Stato non è riuscito ad attirarli tutti. PressOne spiega perché.
La Romania beneficia dei fondi UE sin dalla pre-adesione
La politica di coesione è lo strumento principale con cui l’UE investe nei suoi paesi membri. A che scopo? Ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno del blocco europeo. Dal 2007, la politica di coesione ha portato alla Romania decine di miliardi di Euro.
"Quasi sedici anni dopo l'adesione, la Romania ha contribuito con circa 21 miliardi di Euro al bilancio dell'UE e, parallelamente, ha ricevuto 62 miliardi di Euro. Quindi un saldo positivo di almeno 41 miliardi", spiega Ana-Maria Icătoiu, esperta in materia di accesso ai fondi UE e vicepresidente dell'Organizzazione delle donne imprenditrici UGIR (OFA).
I fondi dell’UE sono affluiti in Romania sin dalla fase di pre-adesione, dando impulso ad alcuni settori, come l’agricoltura.
"Prima di entrare nell'UE, la Romania disponeva di alcuni programmi sul riscaldamento, i cosiddetti programmi PHARE, che hanno permesso di costruire molti impianti di trasformazione. E questo ha dato i suoi frutti, perché ha consentito il passaggio ai fondi europei", spiega a PressOne l'analista economico Constantin Rudnițchi.
Eppure, l’esperienza pre-adesione non sembra aver aiutato molto la Romania. A causa delle difficoltà burocratiche e strutturali e, a volte, della riluttanza dei decisori politici ad utilizzare i fondi europei, che sono molto più severamente controllati, il paese lotta ancora per risorse che altri membri attraggono molto più facilmente.
Nel primo settennato finanziario, quello del 2007-2013, la Romania ha attirato con grandi sforzi burocratici il 91% dei fondi disponibili.
Per il periodo seguente, quello 2014-2020, la Romania aveva a disposizione 41 miliardi di Euro di fondi UE, ma è riuscita ad attrarne solo l'82%.
Oggi la Romania è al suo terzo settennato finanziario: ha a disposizione 46 miliardi di Euro (compresa la parte di cofinanziamento), ma anche i fondi del Programma nazionale di sviluppo rurale (NRDP), con oltre 30 miliardi.
Primo contatto con i fondi UE. Prime priorità
Le prospettive oggi non appaiono però positive. Se l’UE si espanderà, i fondi di coesione che riceverà la Romania saranno molto inferiori a quelli attuali. "È praticamente l'ultimo treno sul fronte della coesione", afferma l'eurodeputato REPER Dragoș Pâslaru.
Dopo l’adesione, la Romania ha potuto accedere ai fondi UE per l’anno finanziario 2007-2013, per un totale di circa 27 miliardi di Euro nell’ambito di sette programmi operativi.
Le priorità all’epoca erano gli investimenti in infrastrutture e accessibilità, ovvero nuove strade. Al secondo posto troviamo la ricerca e l'innovazione, le PMI, l'istruzione e la formazione, l'inclusione sociale e l'ambiente.
"Alla fine del primo periodo di programmazione, 2007-2013, a causa della pessima situazione in termini di assorbimento reale alla fine del periodo, cioè intorno al 2014-2015, perché ogni volta il periodo viene prorogato di un anno o due, sono stati realizzati alcuni escamotage: alcuni progetti di investimento, molti dei quali realizzati dagli enti locali, compatibili con il programma regionale di allora, sono stati finanziati con fondi europei. Pavimentazioni, parchi, strade, investimenti locali", racconta Icătoiu.
Nonostante il denaro stanziato per la Romania nel periodo 2007-2013 non sia stato interamente attratto, i fondi di coesione hanno rappresentato il 35% del totale degli investimenti pubblici effettuati dalle autorità nel periodo in questione, come affermato dall’ex primo ministro Nicolae Ciucă nell’aprile 2023.
Sette anni fatti in dieci
Sette anni dopo, il nuovo ciclo finanziario 2014-2020 è stato negoziato e votato a livello UE per raggiungere gli obiettivi di "Europa 2020". Per il periodo 2014-2022 erano previste ben undici aree di investimento, tra cui ricerca, sviluppo e innovazione, digitalizzazione, PMI più competitive, transizione verso un'economia verde, gestione del rischio e cambiamento climatico, conservazione e tutela dell'ambiente, trasporti e investimenti sostenibili nell’istruzione e nella formazione per combattere ogni forma di discriminazione.
Alla Romania sono stati stanziati 41 miliardi di Euro dai Fondi strutturali e di investimento europei, di cui oltre 35 miliardi dal solo bilancio europeo attraverso la politica di coesione.
Il denaro passa da otto programmi operativi gestiti da tre autorità: il ministero degli Investimenti e dei progetti europei, il ministero dello Sviluppo, dei lavori pubblici e dell'amministrazione e il ministero dell'Agricoltura e dello sviluppo rurale.
Secondo gli ultimi dati, il tasso di assorbimento dei fondi per il periodo 2014-2020 è poco superiore all’84%. La Romania ha ancora tempo fino alla fine dell'anno [2023] per completare tutti i progetti ancora in corso.
Mappa dei finanziamenti europei attratti dalla Romania nel periodo 2014-2020 Foto: Ministero dei Progetti e degli Investimenti Europei
Mappa dei finanziamenti europei attratti dalla Romania nel periodo 2014-2020 Foto: Ministero dei Progetti e degli Investimenti Europei
"Affinché ciò avvenga, in teoria bisogna presentare le fatture entro la fine dell'anno (...) C'è un'altra cosa che può succedere, ovvero detrarre alcune tipologie di spese effettuate e riclassificarle come spese in fondi europei", spiega Pâslaru.
La Romania, ad esempio, spiega l'eurodeputato, ha ottenuto dalla Commissione europea che una buona parte del risarcimento per le bollette energetiche venisse saldato con i fondi europei a sua disposizione. E ora sta cercando di spostare quanta più spesa possibile verso il denaro europeo per aumentare artificialmente il tasso di assorbimento dei fondi.
"Con i tre anni in più che avremo a disposizione per finire i nostri progetti, utilizzeremo poco più dell'80% dei fondi, ma attenzione, non in sette, ma in dieci anni", spiega Rudnițchi.
Secondo l'esperto, la parola che meglio descrive il rapporto della Romania con i fondi europei è "ritardo".
"Tutte le volte partiamo con circa due, tre anni di ritardo nell'anno di bilancio. È quanto ci vuole per accreditare le istituzioni, per preparare l'amministrazione, i progetti, i bandi. Diciamo che nel 2007 ci abbiamo messo un po' per abituarci ai rigori e agli standard europei, ma dal 2013 non abbiamo più avuto scuse. E poiché i progetti arrivano in ritardo, finiscono per essere prolungati", spiega Rudnițchi a PressOne.
Due programmazioni finanziarie sovrapposte
Ecco perché attualmente ci sono due esercizi finanziari sovrapposti: 2014-2020 e 2021-2027. Il primo è stato prorogato di tre anni per consentire di portare a termine il maggior numero possibile di progetti, mentre il secondo è appena iniziato, anche se sono già trascorsi due anni. Il motivo del ritardo? Solo nel luglio 2022 è stato firmato l’accordo quadro di partenariato con la Commissione europea, che costituisce la base per la distribuzione dei fondi della politica di coesione. Solo successivamente sono state accreditate le altre strutture coinvolte nella gestione dei fondi UE.
Per i prossimi anni la Romania disporrà di un budget di 46 miliardi di Euro, di cui quasi 31 proverranno dal bilancio europeo. Il denaro sarà disponibile attraverso sedici programmi operativi, otto nazionali e otto regionali.
Per la prima volta, i budget per gli investimenti nello sviluppo regionale sono stati assegnati alle otto agenzie di sviluppo regionale (RDA) e non saranno più amministrati da un’autorità centrale.
"Penso che il vantaggio della decentralizzazione sia, da un lato, che le RDA hanno esperienza e si muovono più velocemente di un'autorità a livello ministeriale. E sono più vicine alla regione. Possono vedere meglio cosa deve essere sviluppato a livello locale", spiega Rudnițchi.
Lo stato di attuazione dei progetti per i quali la Romania ha richiesto fondi europei nel periodo 2014-2020. Foto: Commissione europea
Se nel 2007 la digitalizzazione e la transizione verde non erano in cima alla lista delle priorità di investimento, ora sono i pilastri di tutte le linee di finanziamento europee.
"Stiamo parlando di settori come l'energia verde, la riduzione del carbonio, le infrastrutture ambientali, la conservazione della biodiversità, la creazione di spazi verdi, la gestione del rischio e le misure di mobilità urbana sostenibile", afferma l'eurodeputato USR Vlad Gheorghe.
Perché la Romania è in fondo alla classifica quando si tratta di attrarre fondi UE, anche se ne ha grande bisogno
Mentre il settore privato riesce molto bene ad assorbire tutti i fondi ad esso dedicati, con richieste di finanziamento che superano il 1.200% del budget stanziato, il pubblico non se la passa altrettanto bene.
"Da un lato, i grandi progetti infrastrutturali, dalle ferrovie alle autostrade, i progetti di ampliamento delle forniture d'acqua, delle fognature e dell'energia, per ragioni di cui sentiamo parlare in TV, non vengono realizzati. Ciò vale anche per gli ospedali regionali, su cui lavoriamo da 12-13 anni", afferma Icătoiu.
Un’altra spiegazione del basso tasso di assorbimento dei fondi UE si nasconde nei progetti finanziati dal bilancio nazionale.
"Anche se in teoria alla Romania non sarebbe permesso lanciare programmi nazionali, cioè con i fondi del bilancio nazionale, che cannibalizzino i fondi dell'Unione europea, cioè finanziando la stessa cosa, noi lo abbiamo sempre fatto. Quando lei, come sindaco o presidente di un ente locale, vede che i fondi europei hanno un livello di controllo molto alto, soprattutto nelle procedure di appalto, farebbe domanda per i fondi europei o opterebbe piuttosto per un PNDL (Programma nazionale di sviluppo locale), Anghel Saligny? [Anghel Saligny è stato uno dei più famosi ingegneri romeni, autore tra l'altro del ponte ferroviario sul Danubio a Cernavodă, N.d.R]", continua l'esperta.
La Romania, oltre a non attrarre tutti i fondi strutturali e di investimento europei ad essa destinati, rischia di perderli perché i progetti presentati per il finanziamento non sono stati completati in tempo.
Ad esempio, se non tutti i progetti dell’anno finanziario 2014-2020 verranno completati entro la fine di quest’anno [2023], ci sono due possibilità: o il denaro ricevuto viene restituito alla Commissione europea e i progetti vengono chiusi, oppure i progetti continuano, ma con i soldi del bilancio nazionale. Come nel caso degli ospedali cancellati dalla lista dei finanziamenti del PNRR, per i quali il governo ha promesso di chiedere un prestito alla Banca europea per gli investimenti.
Dettagli che riducono il budget per il 2021-2027
Per evitare ciò, ci sono alcune procedure a cui le autorità pubbliche possono ricorrere. Tra queste la cosiddetta procedura di introduzione graduale, secondo la quale i progetti non completati non vengono cancellati, ma semplicemente spostati da un esercizio finanziario all'altro.
"La procedura di cut-off è un classico che la Romania, poiché non fa mai le cose in tempo, ha già utilizzato due volte, ma questa volta è più complicata, perché solo i progetti che soddisfano le condizioni del regolamento 2021-2027 possono essere introdotti gradualmente. Ciò significa solo per quei progetti che non hanno un impatto dannoso sull'ambiente. In altre parole, invece di attirare nuovi progetti nei prossimi anni, dedicheremo parte del tempo al completamento di quelli vecchi", spiega Pâslaru.
Con due anni finanziari sovrapposti, diversi anni di ritardo nell'avvio dei progetti e la passione delle istituzioni per i fondi nazionali, abbiamo chiesto agli esperti quali possibilità ci sono che la Romania possa attrarre più denaro in futuro. Soprattutto quando in gioco ci sono anche i fondi NRDP, e lo Stato deve avviare riforme reali per attirarli.
"Se facciamo le cose esattamente come le abbiamo fatte, con le stesse persone e la stessa mentalità, non cambierà nulla. Voglio dire, torneremo nel 2030 a cercare di chiudere l'assorbimento dei fondi, ma è triste pensare che se l’UE si espande i fondi per la coesione che la Romania ha ricevuto così abbondantemente negli ultimi due cicli saranno molto inferiori", aggiunge l’eurodeputato.
Servono riforme
Nel 2007 la Commissione europea non si fidava dei meccanismi di controllo romeni sui fondi europei, come la Corte dei conti. È stato quindi creato un nuovo livello di istituzioni per garantire che i fondi UE fossero spesi nel rispetto della legge, istituzioni che non esistono in molti altri paesi europei.
"In Romania c'è un trattamento diverso tra i fondi europei e quelli nazionali. Per quelli europei c'è un ministero dedicato e procedure proprie di controllo. Noi abbiamo un trattamento diverso, con bonus salariali del 75% e ogni sorta di procedure. Con fondi nazionali non ci sono né bonus salariali, né procedure di valutazione e monitoraggio, e questo è un problema estremamente serio, è la prima grande riforma che dovrebbe essere fatta in Romania con i fondi europei: mettere tutte le risorse in un unico cassetto", spiega Pâslaru.
La logica a cui dovremmo arrivare, dice il deputato, è che le politiche pubbliche non dovrebbero più dipendere dai fondi europei.
"Il problema principale è che non abbiamo politiche che cambiano da un momento all'altro, o politiche che non sono necessariamente influenzate dai cicli finanziari, praticamente partiamo da zero ogni volta. Quindi facciamo politiche per ottenere fondi europei", è la conclusione tratta dall'eurodeputato.
--- Termina citazione ---
Frank:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-nessun-colpevole-per-l-omicidio-Curuvija-229755
--- Citazione ---Serbia, nessun colpevole per l’omicidio Ćuruvija
A venticinque anni dall’assassinio del giornalista Slavko Ćuruvija e nove dall’inizio del processo contro i quattro imputati dell’omicidio, dopo una prima condanna nel 2019 e la ripetizione del processo, lunedì 5 febbraio il Tribunale d’Appello di Belgrado ha assolto gli imputati
06/02/2024 - Massimo Moratti
La notizia è giunta alla fine di un venerdì di una giornata particolarmente intensa: poche ore prima, il presidente della Serbia Aleksandar Vučić aveva annunciato che, a causa della situazione in Kosovo, avrebbe richiesto una convocazione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni unite. L’attenzione era quindi concentrata sulle vicende relative al Kosovo e su possibili nuove tensioni.
In questo contesto, è arrivata la notizia che il Tribunale d’Appello di Belgrado ha assolto tutti e quattro gli imputati accusati dell’omicidio di Slavko Ćuruvija.
Ćuruvija, giornalista di grande caratura civica, fu ucciso nell’aprile del 1999 dopo aver criticato il regime di Slobodan Milošević e della moglie Mira Marković. A quel tempo, Vučić era il ministro dell’Informazione.
I quattro imputati sono stati personaggi di grande spicco della Državna bezbednost (DB), l’agenzia di sicurezza del ministero degli Interni jugoslavo, erede della famigerata UDBA. Nello specifico, Radomir Marković allora ne era il capo, Milan Radonjić era a capo del dipartimento di Belgrado, Ratko Romić e Miroslav Kurak due operativi della DB.
Il processo nei confronti dei quattro era iniziato nel 2015 grazie agli sforzi della Commissione per indagare sull’uccisione dei giornalisti in Serbia. La commissione era stata creata nel 2013 dal governo serbo, in cui Vučić era allora vice primo ministro, ed era il risultato della persistente insistenza di Veran Matić, lo storico caporedattore di B92 ai tempi di Milošević, deciso a far chiarezza sugli omicidi di Ćuruvija, Dada Vujasinović e Milan Pantić. Ai tempi dell’inizio del processo, lo stesso Vučić aveva detto che si sarebbe dimesso qualora non fossero stati trovati i responsabili.
Un processo travagliato
Sin dall’inizio quello di Ćuruvija è stato definito come un omicidio di stato e si pensava che il processo avrebbe confermato la verità che tutti conoscevano, cioè che a uccidere Ćuruvija era stato lo stesso stato serbo.
Il processo, iniziato nel 2015, ha visto circa un centinaio di testimoni comparire davanti ai giudici, anche se alcuni personaggi chiave, come la moglie di Milošević, Mira Marković , da molti ritenuta la mandante dell’omicidio, non furono mai sentiti. L’indagine si limitò a considerare i facilitatori e gli esecutori materiali dell’omicidio, senza cercare di scoprire chi furono i mandanti, dato che questo molto probabilmente avrebbe condotto a Mira Marković e Slobodan Milošević.
Altri personaggi chiave che, per la loro appartenenza e il ruolo che ricoprivano alla DB potevano essere indagati , furono invece sentiti solo come testimoni. Numerosi testimoni poi, nel corso delle udienze, ebbero improvvise amnesie o cambiarono le versioni iniziali. Nel corso degli anni si è poi saputo che lo stesso ispettore che conduceva le indagini era stato minacciato e rischiava la vita .
La sentenza di primo grado è stata emessa nel 2019 e i quattro imputati sono stati condannati ad oltre cento anni di carcere. In seconda battuta, però, la sentenza fu rovesciata e il Tribunale d’Appello a settembre 2019 ha ordinato la ripetizione del processo. Il processo è stato ripetuto a partire dall’ottobre 2020 e nel dicembre 2021 il Tribunale di prima istanza ha confermato sostanzialmente la decisione precedente per i quattro imputati. Tale sentenza però è stata alla fine annullata dall’assoluzione di venerdì scorso.
I quattro vengono quindi considerati non colpevoli e sebbene in teoria ci sia ancora la possibilità di ricorso di fronte alla Corte Suprema, le possibilità di successo sono decisamente risicate , come hanno fatto notare gli esperti, e l’assoluzione dei quattro imputati non può esser rimessa in questione. Ad ogni modo, lunedì 5 febbraio la procura ha fatto capire di avere intenzione di presentare ricorso alla Corte Suprema.
Una decisione annunciata
L’assoluzione è una pietra tombale sulle possibilità di avere giustizia nel caso Ćuruvija, ma la decisione non è giunta del tutto inattesa. Sebbene sia stata annunciata solamente lo scorso venerdì, in realtà sembra che fosse già stata presa da diverso tempo.
Lo stesso Veran Matić, nella primavera dello scorso anno, aveva fatto capire che il Tribunale d’Appello aveva già deliberato sul caso dei quattro imputati. A settembre, lo stesso Matić e la Fondazione Ćuruvija avevano scritto che in realtà la sentenza era già stata emessa e che il Tribunale aveva assolto i quattro imputati. Ciò nonostante la sentenza non fosse ancora stata pubblicata, dato che si attendeva il momento più opportuno per renderla pubblica . Lo stesso invito a pubblicare la sentenza era poi stato reiterato dalla Fondazione Ćuruvija a novembre dello scorso anno.
Le autorità non hanno fornito spiegazioni sul perché la pubblicazione della sentenza sia stata ritardata di così tanti mesi. È possibile che le proteste di piazza contro il governo e l’infuocato clima elettorale siano stati gli elementi che hanno consigliato di ritardare la pubblicazione della sentenza, per non esacerbare ulteriormente gli animi.
Le reazioni e le proteste
Nonostante il contenuto della sentenza fosse stato largamente anticipato e il fatto che la notizia sia stata comunicata poco prima del weekend, la decisione sull’assoluzione ha comunque provocato parecchio scalpore in Serbia.
Perica Gunjić della Fondazione Ćuruvija è lapidario: “La decisione è scandalosa e rappresenta una sconfitta non solo per i giornalisti e la libertà di stampa, ma per l’intera indipendenza del sistema giudiziario e per lo stesso processo di democratizzazione”.
In quanto al processo Gunjić commenta che “il tribunale durante l’intero processo ha adottato molte decisioni strane, che indicavano che c’era qualcosa di storto. Le stesse due decisioni di prima istanza sono state scritte in modo approssimativo, come se vi fosse l’intenzione di farle annullare in seconda istanza”. Questa decisione, conclude Gunjić rappresenta il “ritorno immediato agli anni '90, al periodo più buio della nuova storia della Serbia, ai tempi delle guerre, ai tempi di Slobodan Milošević”.
Matić ha poi commentato che è venuta meno sia la volontà politica che il ruolo delle istituzioni, soprattutto per quanto riguarda il settore giudiziario, che di fatto rimane ancorato agli anni ‘90.
Lo stesso Matić ha poi commentato che nei prossimi giorni discuterà sul futuro della commissione che indaga l’uccisione dei giornalisti e su quanto abbia ancora senso che esista. Unione Europea, OSCE e numerosi altri membri della comunità diplomatica hanno espresso la propria delusione per l’assoluzione.
Lunedì 5 febbraio inoltre si è tenuta una protesta davanti al Tribunale d’Appello di Belgrado, organizzata dalle associazioni di giornalisti: i manifestanti sono stati in silenzio per 25 minuti davanti al Tribunale, a simboleggiare i 25 anni di silenzio dall’omicidio Ćuruvija.
Le reazioni del mondo giudiziario e politico
Lunedì 5, il Presidente del Tribunale d’Appello di Belgrado ha pubblicato un comunicato in cui, mentre comprende l’insoddisfazione della famiglia e degli amici di Ćuruvija, ha specificato che il Tribunale ha giudicato in base alle prove contenute nel caso e che non erano sufficienti a sostenere le tesi dell’accusa.
La premier Ana Brnabić ha dichiarato di non poter commentare la decisione del Tribunale dato che il potere giudiziario è indipendente. La Brnabić ha sottolineato come i procedimenti fossero comunque iniziati solo dopo 16 anni dopo l’assassinio, grazie all’arrivo al potere di Vučić. Come cittadina, però, ha detto che cercherà giustizia.
La ministra della Giustizia, Maja Popović si è detta invece profondamente delusa dalla decisione del Tribunale d’Appello, dicendo che il sistema giudiziario non ha svolto la sua funzione. Lo stesso Vučić nella tarda serata del 5 febbraio ha detto di esser scioccato dalla decisione , che rappresenta una grande ingiustizia e un fatto terribilmente grave per il paese.
La sensazione predominante tra coloro che hanno seguito il processo è di rabbia ed impotenza, ma allo stesso tempo si insinua la cupa consapevolezza che le forze che hanno dominato la Serbia nel corso degli anni ‘90 siano ancora all’opera, come ha commentato Jelena Ćuruvija, la figlia del giornalista ucciso .
Simbolicamente, il giorno dopo l’assoluzione, di primo mattino sulla televisione filogovernativa Pink, Aleksandar Vulin, ex direttore della BIA, l’agenzia che ha rimpiazzato la DB ed ex membro di spicco del partito di Mira Marković negli anni ‘90, dichiarava apertamente che il compito della sua generazione è quello di riunire tutti i serbi ovunque essi vivano e che tale processo è già iniziato e non si può fermare.
Parole che riecheggiano molto da vicino l’idea della Grande Serbia e che riportano alla mente gli anni ‘90.
--- Termina citazione ---
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