Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 78076 volte)

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Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #75 il: Aprile 23, 2018, 19:36:20 pm »
http://www.eastjournal.net/archives/89559

Citazione
NORD CAUCASO: Daghestan, tra instabilità e terrorismo
Emanuele Cassano 3 giorni fa   

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da OBC Transeuropa

L’attentato dello scorso 18 febbraio alla chiesa ortodossa di San Giorgio a Kizlyar, nella repubblica russa del Daghestan, ha riportato all’attenzione dei media il problema del terrorismo nel Caucaso settentrionale. Seppur in netto calo rispetto al passato, questo fenomeno continua a rappresentare un problema concreto per la regione – teatro negli ultimi 15 anni di una violenta insurrezione armata – come dimostrano i principali dati riguardanti gli incidenti e le vittime legate ad atti di terrore.

Rivendicato dall’ISIS, l’attacco di Kizlyar, messo in atto dal 22enne Khalil Khalilov, è figlio come molti altri del malessere di una comunità afflitta da gravi problemi socio-economici e sconvolta da anni di conflitti e instabilità politica; fattori che hanno contribuito a creare terreno fertile per la radicalizzazione e l’estremismo violento, favorendo in questo modo l’aggressiva propaganda del terrorismo islamista.
Un contesto complesso

Il Daghestan possiede livelli di povertà, corruzione, disoccupazione e criminalità tra i più alti di tutta la Federazione russa. Dal punto di vista economico la regione dipende fortemente da Mosca, in quanto circa l’80% del proprio budget è costituito da sussidi federali; segno del trattamento di favore riservato dal Cremlino al fine di scongiurare la prospettiva di un nuovo conflitto etnico come quello ceceno. Buona parte di questi fondi, destinati allo sviluppo locale, finisce però per essere spesso oggetto di appropriazione indebita da parte di funzionari locali corrotti. L’aggravarsi di questo fenomeno ha recentemente spinto le autorità federali ad avviare nella regione una massiccia campagna anti-corruzione, che ha portato all’epurazione di diversi membri del governo.

La regione è inoltre caratterizzata da una società fortemente multietnica. Qui convivono – non senza difficoltà – decine di popoli: caucasici, turchici, iranici e slavi, con il risultato che nella repubblica si parlano ben 32 lingue diverse, di cui 14 ufficiali. Questa complessa composizione sociale ha favorito nel tempo una clanizzazione della politica, con gruppi familiari identificati su base etno-regionale in perenne lotta tra loro per il controllo delle principali attività economiche e delle posizioni di potere all’interno del governo. Neanche l’introduzione – fin dagli anni Novanta – di quote etniche per i posti di governo e i seggi nel parlamento locale è servita ad arginare questo fenomeno, che continua a minare la stabilità politica della repubblica.

La società daghestana è infine divisa dallo scontro tra l’Islam tradizionale, rappresentato dalle comunità sufi e dal Muftiyat locale (entità che si occupa dell’amministrazione della comunità musulmana della regione) e appoggiato dalle autorità federali, e l’Islam radicale, di più recente diffusione, al quale fanno riferimento le comunità salafite. Quest’ultimo, osteggiato dal Cremlino e dagli stessi sufi, può però vantare un forte appeal tra quei giovani daghestani che, delusi dalla loro società di appartenenza, sono alla ricerca di nuovi ideali intorno ai quali costruire la propria identità.
Oltre l’ISIS

L’attentato di Kizlyar è l’undicesimo attacco rivendicato finora dall’ISIS nella regione, sebbene le autorità russe ritengano improbabile un collegamento diretto tra Khalilov e lo Stato Islamico, il quale, secondo l’analista politico Andrey Serenko, avrebbe tentato di “appropriarsi” dell’attacco – come in passato di altri – per riabilitare la propria immagine dopo ripetuti fallimenti.

Gli uomini di Daesh iniziarono a mettere gli occhi sulla regione nel giugno 2015, quando annunciarono la costituzione di un nuovo governatorato nel Caucaso russo con a capo il daghestano Rustam Asildarov (conosciuto come Emiro Abu Muhammad Kadarsky), morto nel dicembre 2016 durante uno scontro a fuoco con le forze armate russe. Già dal 2012 però, i successi militari dello Stato Islamico in Medio Oriente portarono molti combattenti a lasciare il Daghestan per la Siria, permettendo così a Mosca di allentare la forte pressione esercitata nella regione dai ribelli islamisti. La successiva ritirata dell’ISIS ha posto il problema del rientro in patria di questi guerriglieri, tornati a rappresentare una potenziale minaccia per il Cremlino.

Nella regione sono attivi anche alcuni gruppi ribelli rimasti fedeli a ciò che rimane dell’organizzazione jihadista “Wilāyat Daghestan” (nota in precedenza come Shariat Jamaat), gruppo legato in origine all’Emirato del Caucaso, proclamato nel 2007 dal ceceno Doku Umarov. Lo stesso Asildarov, prima di giurare fedeltà allo Stato Islamico, combatté tra le fila di questa formazione con il grado di comandante. Negli ultimi anni il Wilāyat Daghestan – come del resto lo stesso Emirato – ha però perso progressivamente il proprio potere, a causa della “concorrenza” di Daesh, delle partenze verso la Siria e della dura repressione delle autorità; al punto da essere dichiarato distrutto nel febbraio 2017 dall’allora capo della Repubblica daghestana Ramadan Abdulatipov.

A complicare ulteriormente lo scenario vi è poi la presenza di diverse decine di cellule composte da combattenti “indipendenti”, bande criminali legate a determinati clan locali e, come nel caso di Khalilov, lupi solitari, ovvero individui auto-radicalizzatisi che di fatto non posseggono alcun legame concreto – se non puramente nominale – con le principali organizzazioni terroristiche che rivendicano un ruolo nella regione.
Obiettivi istituzionali

Perpetrato ai danni di una minoranza religiosa (gli ortodossi costituiscono il 2,4% della popolazione daghestana, prevalentemente musulmana), l’attacco di Kizlyar ha rappresentato – metodologicamente parlando – un’eccezione per il terrorismo locale, i cui obiettivi principali risultano spesso essere la polizia e le forze dell’ordine.

Secondo i dati di Caucasian Knot, delle 2058 vittime del terrore in Daghestan nel periodo 2010-2017, ben 594 (circa un terzo del totale) sono poliziotti o agenti federali, a fronte di 403 vittime civili. Le restanti unità fanno riferimento ai militanti uccisi. Molti degli stessi attentati rivendicati negli ultimi due anni dall’ISIS hanno avuto obiettivi politico-militari, piuttosto che civili.

A finire nel mirino del terrore sono state anche diverse autorità religiose legate all’Islam moderato; è il caso dello sheykh Said Afandi Chirkeyskiy, importante esponente della comunità sufi del Daghestan e strenuo oppositore dell’Islam radicale, ucciso nel 2012 da una terrorista suicida.
Attentati in diminuzione

Negli ultimi anni la repressione messa in atto da Mosca è comunque riuscita a ridurre progressivamente gli episodi terroristici, il cui numero appare in netta diminuzione. Secondo Caucasian Knot, tra il 2016 e il 2017 il Daghestan ha visto un calo degli attacchi terroristici del 62,5%, mentre le vittime sono scese del 73%. Inoltre, se nel 2011 il terrorismo islamista fece 413 vittime, (con una media di oltre una al giorno), nel 2014 esse scesero a 208, mentre nel 2017 furono “solo” 47.

Per combattere il terrorismo islamista il Cremlino ha sempre adottato una linea di tolleranza zero, contrastando l’insurrezione daghestana con ogni mezzo a disposizione, dall’inasprimento dei controlli sulle comunità salafite alla distruzione delle abitazioni dei ribelli e di chi offriva loro riparo, facendo terra bruciata intorno agli insorti. Nel luglio 2016 è stata inoltre approvata una controversa legge antiterrorismo nota come “legge Yarovaya”, dal nome della parlamentare che l’ha redatta, la quale ha vietato il proselitismo e la diffusione di materiale religioso al di fuori dei luoghi di culto riconosciuti dalle autorità, introducendo inoltre dure pene detentive per chiunque cercasse di organizzare o incoraggiare disordini di massa.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #76 il: Aprile 23, 2018, 22:25:20 pm »
Già, ma almeno la classe dirigente russa non svende il proprio Paese, come l'Ucraina, le nazioni dell'UE e anche l'Italia.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #77 il: Aprile 23, 2018, 23:33:55 pm »
Certo, perché la classe dirigente russa è fortemente nazionalista.

Online Massimo

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #78 il: Aprile 24, 2018, 00:35:35 am »
Inoltre nella cultura russa l'individuo è SACRIFICABILE per gli interessi della nazione ed è disposto ad ESSERE SACRIFICATO sempre per gli interessi nazionali. Il contrario avviene in Italia, ove la massima aspirazione (e vanto) è la furbizia individuale.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #79 il: Aprile 25, 2018, 12:06:37 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-la-vendetta-di-sangue-esiste-187372

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Albania: la vendetta di sangue esiste

Pubblicato un rapporto di Operazione Colomba sul fenomeno della vendetta di sangue in Albania. Vi si auspica una definitiva presa di consapevolezza da parte delle istituzioni albanesi
24/04/2018 -  Redazione OBCT   

Mario Majollari aveva chiesto, nel 2014, asilo politico in Svezia. Era fuggito dall'Albania perché temeva di essere assassinato. Suo padre, nel 2000, aveva ucciso un uomo e Majollari temeva ora la vendetta da parte dei familiari della vittima.

La Svezia però non gli ha accordato alcuna protezione internazionale e nel 2016 Mario Majollari è stato costretto a rientrare in Albania dove è stato assassinato lo scorso 10 aprile, a Tirana. Ricercato per l'omicidio è Katriot Gjuzi, fratello di Ilir Gjuzi, ucciso dal padre di Mario Majollari.

Secondo la stampa svedese tra le varie motivazioni che hanno convinto il giudice a non concedere l'asilo, anche il fatto che le autorità albanesi avevano garantito di essere in grado di offrire protezione per i conflitti legati alla vendetta di sangue.

Dal 2010 Operazione Colomba , Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, è presente a Scutari, in Albania, per sostenere le famiglie sotto vendetta. Tra le varie attività molte sono rivolte alla sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni albanesi sulla questione. Nel 2013 i volontari di Operazione Colomba Albania hanno ad esempio raccolto quasi 6000 firme in 6 mesi su un documento che impegnava i firmatari a contrastare il fenomeno della vendetta di sangue, richiedendo l'intervento dello stato. L’estate del 2015, invece, più di 300 persone hanno marciato da Scutari a Tirana per sensibilizzare le istituzioni locali: una settimana a piedi e 130 chilometri, passando per più di 10 comuni.
Questione di numeri

Ma Operazione Colomba non si occupa solo di questo. Partendo dalla consapevolezza che i dati sulla distribuzione geografica e numerica del fenomeno della vendetta di sangue variano sensibilmente a seconda delle fonti che li hanno elaborati, dal 2013 monitora i casi di violenza legati alla vendetta sui media albanesi e internazionali. Il database comprende ad oggi 550 casi.

Lo scorso 27 marzo a Tirana, anche prendendo spunto da questo monitoraggio, l'organizzazione ha presentato un rapporto relativo al triennio 2015-2018 nel contesto di una conferenza patrocinata dall'ambasciata italiana e co-organizzata assieme all'Avvocato del Popolo (Ombudsman) Erinda Ballanca. All'incontro erano presenti anche rappresentanti di alto livello delle istituzioni albanesi, tra i quali Gramoz Ruçi, Presidente del Parlamento, Edon Qesari, consigliere del ministro degli Interni, e Mimi Kodheli, rappresentante della Commissione Esteri del Parlamento. L’incontro ha registrato, inoltre, un’ampia partecipazione di ambasciate, organizzazioni non governative e giornalisti.

I numeri resi noti da Operazione Colomba descrivono un fenomeno che non è affatto marginale. Nel periodo preso in esame da gennaio 2015 a dicembre 2017 sono avvenuti 141 nuovi casi di hakmarrja (violenze e ferimenti) e 15 nuovi casi di gjakmarrja (omicidi). "Rispetto al periodo 2011-14, si sono registrati un aumento dei casi di hakmarrja e un andamento costante dei casi di gjakmarrja", precisano gli attivisti.

Le città in cui il fenomeno della hakmarrja e della gjakmarrja si è manifestato più frequentemente sono in ordine decrescente Tirana (con 86 fatti), Scutari (con 46 fatti), Durazzo (con 36 fatti), Valona (con 17 casi) e Lezhë (con 12 fatti).

Oltre al fenomeno della vendetta di sangue sul territorio albanese, purtroppo, si assiste anche al cosiddetto fenomeno della “esportazione della vendetta”: alcuni casi continuano infatti anche al di fuori dei confini nazionali. Ad esempio, secondo i dati raccolti dal database di Operazione Colomba dal 2013, alcuni omicidi per vendetta di sangue si sono consumati anche in Italia, 11 casi, e in molti altri paesi europei. Un fenomeno in continuo sviluppo e trasversale sotto diversi punti di vista poiché riguarda diverse località in tutta l’Albania e si spinge al di fuori dei confini nazionali e coinvolge persone di tutte le età e di entrambi i generi.
E le istituzioni?

In passato le autorità albanesi cercavano di minimizzare il fenomeno. Ora le cose sono cambiate e lo dimostra anche la presenza istituzionale di alto livello alla presentazione del rapporto di Operazione Colomba. "La pressione del panorama internazionale e la crescente visibilità del fenomeno nei media locali e internazionali hanno spinto tutte le istituzioni a occuparsi delle vendette di sangue" si scrive nel rapporto "l’Unione Europea è stata la principale organizzazione internazionale a porre la propria attenzione specificamente sul contrasto alla vendetta di sangue, fino a far diventare la sua eliminazione uno dei requisiti per l’accesso del Paese alla membership europea".

Questo però non basta. Secondo Erinda Ballanca, difensore civico dell'Albania, "il fenomeno richiede un nuovo approccio, con un permanente miglioramento della legislazione, una veloce reazione della Polizia di Stato, della procura e delle corti per la cattura e la condanna degli autori di reati legati alla vendetta, ed anche un maggiore impegno anche delle strutture del sistema di educazione".

Intanto per evitare che accadano altri casi come quelli di Mario Majollari e per fare in modo che gli stati europei si prendano appieno le proprie responsabilità al Parlamento europeo è stata presentata una petizione nella quale - anche facendo riferimento al fenomeno della vendetta di sangue - si chiede che l'Albania non venga più considerato paese d'origine sicuro nella valutazione delle richieste di asilo.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #80 il: Aprile 25, 2018, 12:09:50 pm »
Inoltre nella cultura russa l'individuo è SACRIFICABILE per gli interessi della nazione ed è disposto ad ESSERE SACRIFICATO sempre per gli interessi nazionali. Il contrario avviene in Italia, ove la massima aspirazione (e vanto) è la furbizia individuale.

Sì, lo so, tuttavia non credo che ci siano quemmisti (e non) disposti ad essere sacrificati per la Nazione, né qui, (in Italia) né in Francia, né in Spagna, né in Portogallo o altrove.
Un conto è essere nazionalisti e un conto è essere fanatici nazionalisti.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #81 il: Aprile 25, 2018, 12:55:35 pm »
Diceva la logica del signor Spock: "in casi di necessità l'interesse dei tanti viene prima dell'interesse dei pochi, o di uno".
Logica ineccepibile, ma ad una condizione, cioè che sia condivisa dalla massa. Cosa che non avviene oggi, in Italia. Ne consegue che anche la suddetta logica, in tali condizioni, perde di significato.
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #82 il: Aprile 25, 2018, 14:37:44 pm »
Sì, d'accordo, tutto vero; ma sfatiamo la leggenda urbana secondo la quale tale discorso riguarderebbe solo gli italiani, perché non è affatto così.
Certo, mi rendo conto che la mia è una battaglia contro i mulini a vento, poiché il disprezzo di sé e del proprio popolo che l'italiano medio nutre da tempo immemore non si cancella in un attimo.*
Tantomeno posso farlo io.

@@

* Recentemente mi è capitato di discutere con un conoscente, il quale, tra le varie cose, sosteneva che "l'Italia è diventato il Paese più povero del mondo".
Insomma, roba che non ho mai sentito uscire dalla bocca dell' albanese** o del rumeno più deficiente.
Ma, del resto, quando si tratta di queste cose la stupidità dell' italiano medio (specie se di sesso maschile) raggiunge vette altissime e difficilmente eguagliabili.
Poi sì, che l' Italia sia messa peggio di alcuni lustri fa è fuori discussione; ma da qui a definirla "il Paese più povero del mondo" ci passano di mezzo l'Oceano Atlantico e l'Oceano Pacifico messi insieme.

@@

** Per inciso: all' inizio degli anni Novanta, ossia quando l' Italia era la quinta potenza economica del mondo (per un breve periodo fu anche la quarta), l'Albania era il terzo Paese più povero del mondo (sì, del mondo).
Ma tanto neppure gli albanesi dell' epoca erano soliti fare i discorsi disfattisti tipici dell' italiano medio.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #83 il: Aprile 25, 2018, 20:28:43 pm »
Nel primo dopoguerra l'Italia era un paese semidistrutto, quasi raso al suolo; si mangiavano i topi, a patto di trovarli. Ma la gente cantava, c'era speranza, c'era fiducia nel futuro. I cuori erano alle stelle.
Oggi si ha più di allora, ma i cuori sono rasoterra. Alcuni stanno scavando. Cosa che probabilmente non avviene in Albania, Romania , e forse neppure in Africa.
Tutto questo avrà un perchè. E probabilmente è quello che, inconsapevolmente, ci rimproverano africani and C.
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #84 il: Aprile 25, 2018, 21:08:24 pm »
...Secondo me viviamo in un contesto troppo innaturale, in cui sentiamo di non avere reali possibilità di stare meglio e per questo molti sono disfattisti; lo stesso sentiment probabilmente non è presente in altre nazioni.

Sul vecchio forum un utente scrisse:
"Gli uomini restano in casa sino in tarda età perché sentono di non avere più una missione sociale, un futuro da costruire, un senso. E sentono bene."

Si può non essere d'accordo...?
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

Offline CLUBBER

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #85 il: Aprile 25, 2018, 21:43:55 pm »
Nel primo dopoguerra l'Italia era un paese semidistrutto, quasi raso al suolo; si mangiavano i topi, a patto di trovarli. Ma la gente cantava, c'era speranza, c'era fiducia nel futuro. I cuori erano alle stelle.
Oggi si ha più di allora, ma i cuori sono rasoterra. Alcuni stanno scavando. Cosa che probabilmente non avviene in Albania, Romania , e forse neppure in Africa.
Tutto questo avrà un perchè. E probabilmente è quello che, inconsapevolmente, ci rimproverano africani and C.
io ho molti dubbi sull'immagine fin troppo positiva che hai fatto del passato.
In più ogni generazione dice sempre la stessa cosa"prima c'erano più valori,adesso tutti sono egoisti,prima si viveva felici con poco...".
conosco gente di 80-90 anni e questi presunti valori superiori non li vedo neanche di striscio.
Sono materialisti e avidi esattamente come la maggior parte dei giovani.

Alcuni stanno scavando. Cosa che probabilmente non avviene in Albania, Romania , e forse neppure in Africa.
Tutto questo avrà un perchè. E probabilmente è quello che, inconsapevolmente, ci rimproverano africani and C.
All'africano medio del morale basso degli italiani non gliene frega niente.
la maggior parte di loro si lamenta solo del fatto che vorrebbe parassitare ancora di più il popolo italiano.
Che poi bisogna andarci in alcuni paesi dell'Africa a vedere che non è che i loro cuori siano poi così traboccanti di gioia e speranza.





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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #86 il: Aprile 25, 2018, 22:59:36 pm »
Non è che i 90enni siano immuni dall'influenza del presente. Comunque ho visto io stesso le cose cambiare.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #87 il: Aprile 26, 2018, 00:21:35 am »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/La-schizofrenia-albanese-e-Edi-Rama-su-La-7-159252

Citazione
La schizofrenia albanese e Edi Rama su La 7

Un paese in pieno sviluppo e ricco d'opportunità. Da dove origina questa nuova immagine diffusa dai media italiani sull'Albania? Un editoriale
03/03/2015 -  Fatos Lubonja   

(Pubblicato originariamente su Panorama il 23 febbraio 2015. Titolo originale "Skizofrenia shqiptare dhe Rama ne la7")


Qualche tempo fa avevo scritto un articolo in cui, tra le altre cose, parlavo anche della schizofrenia albanese. Sostenevo che gli albanesi continuano ancora oggi, come ai tempi della propaganda comunista, a vivere in modo schizofrenico tra due mondi: quello dell’esaltazione dei loro eroi e quello della maledizione dell’attuale stato di miseria, che è conseguenza di quegli stessi miti. Quella volta mi riferivo agli eroi dell’UÇK che governavano il Kosovo contro gli albanesi, e nelle molte critiche ricevute venivo accusato di essere anti-albanese al punto da arrivare ad insultare gli albanesi descrivendoli come dei malati mentali. In realtà, l’uso del termine “schizofrenia” non ha solo l’accezione psichiatrica, ma anche quella della coesistenza di elementi incompatibili e contraddittori in una stessa realtà, in un libro, in una politica, in un articolo, in un discorso o in un pensiero. Parola quindi usata per esprimere con maggiore potenza quello che in parole più miti si potrebbe definire “contraddittorio” o “incoerente”.



Citazione
Fatos Lubonja

Scrittore e intellettuale albanese, è editore della rivista letteraria Përpjekja, pubblicata a Tirana. Nato nella capitale nel 1951, laureato in fisica, fu arrestato nel 1974 per associazione e propaganda contro il regime e condannato a 17 anni di lavori forzati. Venne scarcerato solo nel 1991. Oggi è noto nel suo Paese e all’estero come uno degli analisti più lucidi e critici del periodo enverista, dello stalinismo e delle contraddizioni della nuova democrazia albanese. Nel 2002 gli è stato conferito il Premio Moravia, seguito l’anno dopo dal Premio Herder. In Italia ha pubblicato Diario di un intellettuale in un gulag albanese (ed. Marco, 1994) ed Intervista sull'Albania (Il Ponte, 2004)

Ho qui l’occasione di tornare ancora una volta sul termine che avevo utilizzato allora. Mentre il paese si trova a fronteggiare una delle alluvioni più violente della sua storia (a causa dei gravi abusi perpetrati in questo ventennio sul territorio), mentre in Albania la criminalità avanza fino a coinvolgere gli affari della famiglia del ministro dell’ordine pubblico, mentre la crisi economica dilaga, in relazione anche alla crisi in Grecia e in Italia, mentre gli albanesi lasciano il paese con ritmi che non si verificavano da anni, nei media nostrani ho visto esaltare un articolo di Roberto Saviano uscito su L’Espresso, in cui l’autore di Gomorra ripropone un ritornello recentemente molto in voga nei media italiani. Una cantilena sull’Albania che cambia, un paese che oggi non è più sinonimo di persone in fuga, ma patria di albanesi che ritornano e di italiani che arrivano.

A lasciare senza parole, più che l’Albania descritta da Saviano, è la reazione in rete degli albanesi, felici che finalmente all’estero si parli bene dell’Albania e orgogliosi di essere rappresentati dignitosamente dal loro Primo Ministro, quasi fossero loro stessi convinti che sia tutto vero. Mi sono allora domandato: ma non sono gli stessi che si lamentano senza tregua della situazione del paese? Ecco, è di questo tipo di schizofrenia che avevo parlato.

Schizofrenia naturale o male culturale? Io credo che fino ad un certo punto sia naturale, considerato che in quanto esseri umani siamo costretti a vivere molte contraddizioni, tra cui una delle più potenti è proprio quella tra il reale e l’ideale, tra i desideri sconfinati e le limitate possibilità di realizzarli. Ma intelligenza, istruzione e cultura prima, politica e giornalismo poi, ci soccorrono per distinguere le differenza tra queste condizioni e per trovare il modo di vivere queste contraddizioni nel modo più sano possibile. Al contrario, noto invece come una cultura perversa del fare politica e giornalismo stia cercando di storpiare ed abusare di queste contraddizioni umane. La politica albanese cerca di manipolare i cittadini attraverso i media internazionali, sfruttando le debolezze di persone che per stare meglio hanno bisogno di autocompiacersi, spesso all’interno di quel complesso di inferiorità che cerca conferme nell’attenzione degli stranieri. Il tutto anche per vendere all’estero questa realtà come una sorta di paradiso e per fare poi di questi articoli e reportage la superficie su cui invitare i cittadini a specchiarsi. Nonché per legittimare il potere e gli autori di un paradiso che in realtà è un inferno. In questo modo, chi non può contare sull’indipendenza di pensiero, rimane suggestionato dall’autorevolezza degli stranieri, riconoscendo nel proprio paese paradiso e inferno nello stesso tempo; passando dall’uno all’altro senza riuscire a capire né dove stia l’inganno, né di chi sia opera.

Tale manipolazione, in particolare con i media italiani, è pesantemente in atto da qualche tempo. Non molto tempo fa, a Bari, due giornalisti mi hanno fatto quella che più che una domanda era un’affermazione: “Potrebbe cortesemente illustrarci questo miracolo albanese: ora non sono più gli albanesi a lasciare il paese ma gli italiani ad andare in Albania”. Chiaramente rimasi basito. Mi venne in mente il film di Amelio di due-tre anni fa che finisce con il protagonista italiano che trova lavoro in Albania. Allora ho fatto notare ai giornalisti che forse avevano preso troppo sul serio l’ironia del regista, incentrata sulla difficile situazione italiana. Ma non molto tempo dopo ho visto un’intera pagina di Repubblica sullo stesso tema, con l’intervista ad un albanese di successo, rientrato in patria per aprirvi un call center. Ancora, una giornalista di Rai 2 non tardò a piombare un giorno a casa mia, dicendomi di essere venuta per immortalare l’Albania in cui da qualche tempo facevano ritorno gli albanesi, e ora anche gli italiani. Alla domanda su chi fossero queste imprese italiane che avevano da prima cercato e poi avuto cotanta fortuna in Albania, non seppe che nominare il caso del famoso call center. Come se quel lavoro dove i ragazzi sono rinchiusi come i polli nelle incubatrici, a fare telefonate assurde per otto ore al giorno e due-trecento euro al mese, avesse qualcosa anche di minimamente dignitoso.

Trovo che sia normale, anzi simpatico, che ci siano italiani dimentichi del razzismo che ancora oggi impregna il giudizio sull’Albania, ma un maggiore senso della realtà è dovuto e questi giornalisti non possono permettersi di raggirare i loro connazionali, senza considerare, per giunta, che forse sono loro stessi ad essere manipolati per abbindolare gli albanesi.

L’uscita di Rama su La 7, in un programma che voleva presentare l’Albania come il paradiso degli italiani, è l’apice di questa politica della schizofrenia. Ascoltando Edi Rama è impossibile non pensare alla schizofrenia albanese: è la stessa persona che appena diciotto mesi fa parlava dell’Albania della miseria, della povertà, della disoccupazione, della corruzione, dell’ingiustizia, del clientelismo del sistema che corrompe anche i tedeschi, figuriamoci poi gli albanesi; insomma, è riuscito a dire di tutto ed è da ottusi pensare che l’Albania sia diventata un paradiso per gli italiani in questo anno e mezzo in cui sono stati sospesi anche gli investimenti perché - come ha ricordato lo stesso Primo Ministro - prima era necessario estinguere i debiti. Perché quell’albanese di successo del call center non è tornato in Albania ai tempi di Rama, ma in quelli della miseria. Gli stesi anni in cui è stato girato anche il film di Amelio. Ma, guarda caso, neanche l’opposizione si è preoccupata di intervenire per chiedere al Primo Ministro perché invece di farsi il mazzo in ufficio, è sempre in volo da un paese all’altro per promuovere l’Albania, neanche fosse la sua ultima creazione artistica. Magari perché dobbiamo essere tutti felici dell’immagine dell’Albania all’estero. E se qualcuno la pensa diversamente, si fa presto ad additarlo come anti-albanese. Ecco, è questa la schizofrenia.

Qualcuno può pensare che il premier si adoperi in questo modo per chiamare gli investitori italiani, ma dubito che un italiano decida di venire ad investire in Albania vedendo una trasmissione televisiva. Un imprenditore decide di investire dopo avere messo piede sul territorio; e, a meno che non sia un mafioso – come purtroppo lo sono stati molti italiani che hanno investito in Albania – ci penserà due volte prima di investire in un paese ancora quotidianamente afflitto dalla criminalità.

Di base, sono convinto che a sfornare questa immagine illusoria dell’Albania non siano le cucine mediatiche italiane, ma piuttosto quelle di Tirana, d’accordo con il pessimo giornalismo italiano (forse anche con l’Ambasciata d’Italia a Tirana). Questa manipolazione attraverso la copertura dell’Albania reale con la foglia di fico dipinta dai media stranieri coincide con l’insediamento al potere di un nuovo governo, con a capo un genio della manipolazione mediatica, che ha alle spalle un apparato propagandistico (che oggi ci ostiniamo a chiamare network) che proprio per questo lavora e viene ricompensato. E lo scopo di questo lavoro, come dicevo, non è quello di chiamare investitori, ma di manipolare, stordire, far perdere ai cittadini il senso della realtà, il loro pensiero critico. Perché questo lavoro serve al potere, non solo per ampliare prestigio e autorità sui cittadini, ma anche per delegittimare la critica interna, già estremamente debole a causa di un’opposizione screditata e di media e società civile che sono, per lo più, fedelissimi clienti del potere.

Traduzione a cura di Erion Gjatolli

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #88 il: Aprile 26, 2018, 00:28:56 am »
Nel primo dopoguerra l'Italia era un paese semidistrutto, quasi raso al suolo; si mangiavano i topi, a patto di trovarli. Ma la gente cantava, c'era speranza, c'era fiducia nel futuro. I cuori erano alle stelle.
Oggi si ha più di allora, ma i cuori sono rasoterra. Alcuni stanno scavando. Cosa che probabilmente non avviene in Albania, Romania , e forse neppure in Africa.
Tutto questo avrà un perchè. E probabilmente è quello che, inconsapevolmente, ci rimproverano africani and C.

Red, ma tu sei mai stato in Albania e in Romania ?
Io sì, anni fa, quando i suddetti paesi erano nella cacca più totale (non che oggi siano diventati "le nuove Americhe", eh...) e t' assicuro che "i loro cuori non erano affatto alle stelle".
Mentre in Africa non ci son mai stato - né mai ci andrò; non ci penso neppure - ma è veramente difficile credere che in luoghi dove ti tagliano le mani per un furto, si muore di fame, nonché a causa della malaria, di ebola e quant'altro, e in certe zone si ammazzano a più non posso (in confronto l' Italia è una sorta di "paradiso terrestre"), possano avere "i cuori alle stelle".


Citazione
E probabilmente è quello che, inconsapevolmente, ci rimproverano africani and C.

E tu dai peso alle parole di soggetti che provengono da paesi culturalmente inferiori e messi decisamente peggio del nostro ?
Per me le loro parole hanno un valore a dir poco nullo.
Casomai, nel momento in cui approdano sul suolo italiano e magari rompono pure i maroni, sono io a giudicarli; il che è ben diverso.
Credo sarebbe il caso di liberarsi da certi complessi di inferiorità.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #89 il: Aprile 26, 2018, 00:33:25 am »
...Secondo me viviamo in un contesto troppo innaturale, in cui sentiamo di non avere reali possibilità di stare meglio e per questo molti sono disfattisti; lo stesso sentiment probabilmente non è presente in altre nazioni.

Sul vecchio forum un utente scrisse:
"Gli uomini restano in casa sino in tarda età perché sentono di non avere più una missione sociale, un futuro da costruire, un senso. E sentono bene."

Si può non essere d'accordo...?

Red, l' esterofilia italiana, mista a disfattismo cronico, ha origini ben più lontane, ed esisteva(no) molto prima dell' avvento di quello che tu definisci "neofemminismo".


Citazione
Sul vecchio forum un utente scrisse:
"Gli uomini restano in casa sino in tarda età perché sentono di non avere più una missione sociale, un futuro da costruire, un senso. E sentono bene."


Ignoro chi sia quell' uomo, ma tale affermazione la trovo solo parzialmente condivisibile.
Dal mio punto di vista la questione è ben più complessa.