Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 76614 volte)

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #105 il: Aprile 29, 2018, 21:31:58 pm »
Red  ritengo quanto hai esposto poco convincente,mi sembra una forzatura il tuo discorso.
Rimango della mia.
Comunque,a parte il confronto tra legittime differenze di vedute,ci tenevo a specificare che non appoggio minimamente CERTI modi di protestare distruttivi e vandalici mentre apprezzo le proteste serie dove chi non c'entra niente non viene coinvolto.
Il mio è stato un tentativo di andare oltre la superficie, un tentativo di ragionare un pò sulla sostanza. Non è riuscito, pazienza, ma ci vuole anche impegno e non sempre se ne ha voglia.
Per stare più terra-terra, tu mi hai detto che le proteste oggi ci sono eccome, e mi hai citato la val di susa e i centro sociali.
Ora, io domando se quello della val di Susa è il problema principale che ha oggi l'Italia, ti domando se ha un senso quella protesta, ti domando se davvero risolva qualche problema.
Poi mi dici che ci sono i centri sociali, ed io, (sempre molto civilmente)  domando se le loro proteste servono e a cosa cappero servono.
Vorrei ricordare che ad esempio oggi in Itlaia c'è il problema dello schiavismo, della gente che non arriva a fine mese, c'è il problema dei giovani senza un futuro, c'è il problema delle pensioni troppo basse, il problema di una ormai inesistente ridistribuzione del reddito; domando chi protesta per questo.
Ma mi rispondo da solo: nessuno.

Io dico che negli anni 70 (non nel 68, si badi), ci sarebbero stati sommovimenti popolari per molto meno.  Ma i sommovimenti (le sommosse) li fanno i giovani, non i cinquantenni. E i giovani oggi sembrano intorpiditi, spaventati, con troppi altri problemi nella testa (le donne che non ci stanno, il neofemminismo, la mancanza di prospettive, etcetera. ....Rinunciano, sapendo già che non ce la possono fare).
Questo dico. Sono esagerato? io credo di no, Anzi ne sarei sicuro al 90% circa.
Così è, secondo me.
« Ultima modifica: Aprile 29, 2018, 21:42:53 pm da Red- »
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #106 il: Aprile 29, 2018, 22:53:08 pm »
Il mio è stato un tentativo di andare oltre la superficie, un tentativo di ragionare un pò sulla sostanza. Non è riuscito, pazienza, ma ci vuole anche impegno e non sempre se ne ha voglia.
Per stare più terra-terra, tu mi hai detto che le proteste oggi ci sono eccome, e mi hai citato la val di susa e i centro sociali.
Ora, io domando se quello della val di Susa è il problema principale che ha oggi l'Italia, ti domando se ha un senso quella protesta, ti domando se davvero risolva qualche problema.
Poi mi dici che ci sono i centri sociali, ed io, (sempre molto civilmente)  domando se le loro proteste servono e a cosa cappero servono.
Vorrei ricordare che ad esempio oggi in Itlaia c'è il problema dello schiavismo, della gente che non arriva a fine mese, c'è il problema dei giovani senza un futuro, c'è il problema delle pensioni troppo basse, il problema di una ormai inesistente ridistribuzione del reddito; domando chi protesta per questo.
Ma mi rispondo da solo: nessuno.

Io dico che negli anni 70 (non nel 68, si badi), ci sarebbero stati sommovimenti popolari per molto meno.  Ma i sommovimenti (le sommosse) li fanno i giovani, non i cinquantenni. E i giovani oggi sembrano intorpiditi, spaventati, con troppi altri problemi nella testa (le donne che non ci stanno, il neofemminismo, la mancanza di prospettive, etcetera. ....Rinunciano, sapendo già che non ce la possono fare).
Questo dico. Sono esagerato? io credo di no, Anzi ne sarei sicuro al 90% circa.
Così è, secondo me.
aspetta stavamo parlando di altro.
Parlavamo di giovani spaventati e sottomessi all'autorità,io ho fatto notare che i giovani di oggi tante cose hanno ma non il timore per l'autorità.
I giovani io li vedo manifestare spesso in maniera anche esagerata e violenta(cosa che capitava anche negli anni 70) ,se poi le loro battaglie siano inutili o meno è un altro discorso.
Qui però si incomincia a parlare,in un certo senso,di opinioni politiche(nel senso più ampio del termine).
Ad esempio io penso che oltre a tante cose positive gli anni 70 hanno portato anche tanta merda di cui paghiamo le conseguenze anche oggi.
Però ripeto,si rischia di scivolare in discorsi politici.
Comunque mi è chiaro il tuo punto di vista.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #107 il: Maggio 01, 2018, 15:08:44 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-il-buono-il-brutto-e-il-corrotto-187472

Citazione
Serbia: il buono, il brutto e il corrotto

Da qualche tempo è online un nuovo gioco lanciato dal portale di giornalismo investigativo della Serbia CINS, con l’intento di avvicinare i cittadini al tema della corruzione negli appalti pubblici. Un'intervista
30/04/2018 -  Magdalena Ivanović  Belgrado

(Originariamente pubblicato dal Centro per gli studi anti-autoritari CAAS )

Negli ultimi giorni i cittadini della Serbia, e non solo, vestono volentieri i panni di un city manager. Interpretando questo ruolo, devono prendere decisioni in merito agli appalti pubblici, confrontandosi con corruzione, pressioni politiche e tanti altri ostacoli, ed è da tutto questo insieme di fattori che dipende l’esito del primo gioco online lanciato dal Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), intitolato “Dobar, loš, korumpiran“ [Il buono, il brutto, il corrotto].

Oltre ad aver dato ai cittadini l’opportunità di divertirsi venendo guidati tra scenari di gare d’appalto truccate, CINS ormai da anni informa l’opinione pubblica sui fenomeni di corruzione e criminalità, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti per le sue inchieste giornalistiche.

Abbiamo parlato di questo insolito gioco che affronta il tema della corruzione, ma anche delle difficoltà con cui si confronta il giornalismo investigativo in Serbia e di nuove sfide e progetti di CINS, con Dino Jahić, caporedattore di CINS dal 2015 e giornalista investigativo.

CINS ha recentemente lanciato un gioco online dedicato al tema degli appalti pubblici, intitolato “Il buono, il brutto, il corrotto “. Com’è nata l’idea e qual è l’obiettivo principale del gioco? Come se la cavano i giocatori nel ruolo di city manager? Prevalgono gli onesti o i corrotti?

Il giornalismo investigativo non può più limitarsi a produrre testi accompagnati da qualche fotografia, per quanto buoni e interessanti possano essere. La sopravvivenza nello spazio virtuale richiede capacità innovativa e sforzi costanti per creare qualcosa di diverso, di più interattivo, al fine di raggiungere il più ampio pubblico possibile. Noi non ricorriamo al sensazionalismo, ai clickbait, alle immagini di nudo e simili metodi di promozione che oggi, purtroppo, sono diventati consueti, pertanto non ci resta che essere creativi e offrire contenuti quanto più variegati possibile. A volte realizziamo animazioni, a volte brevi video o infografiche, giochiamo con le possibilità offerte dai social network. Questa volta abbiamo deciso di trattare un tema molto complicato, quello degli appalti pubblici, in modo un po’ diverso, e così è nato il gioco “Il buono, il brutto, il corrotto“.

L’obiettivo è che i giocatori si divertano e al contempo divengano consapevoli che, mentre loro giocano in un mondo immaginario, qualcuno gioca allo stesso gioco nella vita reale, con i soldi dei contribuenti, ma anche che imparino qualcosa sul funzionamento degli appalti. Tutte le situazioni presenti nel gioco sono, naturalmente, ispirate a casi realmente accaduti, alcuni dei quali sono stati oggetto delle nostre inchieste.

I giocatori devono prendere decisioni relative alle gare d’appalto, confrontandosi con la corruzione e con diverse pressioni da parte di businessman e politici. Ogni volta che si trovano di fronte a una scelta, ricevono consigli, e questa è la parte educativa e, direi la più importante del gioco – ci sono delle spiegazioni semplificate di alcune norme e regole molto complesse, che chiariscono ai giocatori perché qualcosa è giusto o sbagliato e quali conseguenze quel qualcosa può avere su di loro.

Per quanto riguarda l’ultima parte della sua domanda, all’inizio molti cittadini ci segnalavano che completavano il gioco in troppo poco tempo perché cercavano di essere onesti. Poi tutti hanno capito che devono fare qualche compromesso se vogliono arrivare all’ultimo atto del gioco. Ciò rispecchia quanto accade nella vita reale, le cose funzionano davvero così.

Già che abbiamo menzionato la corruzione, quanto è presente questo fenomeno nella nostra società? Come lo si contrasta a livello politico e legale, ovvero quali le sanzioni per i funzionari corrotti?

Sembra ormai banale dirlo, ma credo che la corruzione sia presente in ogni segmento della nostra società. Dai casi più innocui, in cui semplici cittadini si vedono costretti a pagare per anticipare una visita medica o per sbrigare più rapidamente qualche faccenda burocratica – cose a cui siamo ormai abituati e che sono diventate normali, anche se non dovrebbe essere così – , ai grandi affari condotti dallo stato che spesso sono coperti da un velo di segretezza. E ogni volta che si cerca di nascondere informazioni all’opinione pubblica, c’è una reale possibilità che stia succedendo qualcosa di illecito.

Mi piacerebbe poter rispondere alla seconda parte della sua domanda con più ottimismo, ma l’esperienza di CINS e di altri colleghi che si occupano di giornalismo investigativo dimostra che le sanzioni sono rare, ovvero praticamente inesistenti. Quando parliamo con i colleghi di altri paesi, rimangono scioccati nell’apprendere come le istituzioni in Serbia non reagiscano alle nostre rivelazioni.

Basti pensare alla questione dei dottorati. Noi abbiamo provato che Jorgovanka Tabaković [governatore della Banca centrale serba e vice-presidente del Partito progressista serbo, ndt.] aveva copiato una buona parte della sua tesi di dottorato. Dico: provato! E niente, nessuna reazione, nessuna conseguenza. Oppure questa vicenda della tesi di dottorato di Siniša Mali [sindaco di Belgrado, la cui tesi di dottorato è sottoposta a una verifica di autenticità, già contestata da numerosi accademici e professori universitari serbi, ndt]. Invece di sanzionarlo in qualche modo, a subire pressioni sono persone che hanno scoperto che la sua tesi contiene “prestiti” da opere altrui. In altri paesi i politici e i funzionari statali spesso si dimettono di propria iniziativa quando viene scoperto che hanno copiato anche solo una piccola parte della tesi. Da noi, invece, più si è disonesti, più si avanza. Ma le tesi di dottorato copiate non sono certo l’unico problema. Non vi è nessuna sanzione per chi spreca soldi pubblici per un albero di Natale estremamente costoso, per chi riceve finanziamenti illeciti per le campagne elettorali, per chi non può provare la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto di beni. Potrei andare avanti a elencare fino a domani. Ed è proprio questo, questa situazione assurda, che abbiamo voluto dimostrare nel nostro gioco sull’esempio degli appalti pubblici.


Collaborate con altri giornalisti investigativi in Serbia e nella regione, in particolare per quanto riguarda le inchieste su corruzione e criminalità, due fenomeni tanto diffusi nell’area balcanica?

Quando, a un certo punto, i giornalisti investigativi – non solo nella nostra regione ma in tutto il mondo – hanno capito che i fenomeni di criminalità e corruzione non conoscono frontiere, hanno cominciato a utilizzare lo stesso principio. Grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla creazione di diverse reti, formali o informali, di giornalisti investigativi, ora possiamo controllare cosa fanno i politici e businessman serbi in qualsiasi parte del mondo. E allo stesso modo possiamo aiutare i colleghi di altri paesi. Funziona davvero così.

Per quanto riguarda i giornalisti investigativi in Serbia, collaboriamo ogni volta che se ne presenta l’occasione o che ce n’è bisogno. Credo che nella nostra regione non ci sia mai stato così tanto giornalismo investigativo di qualità come adesso, ed è un’ottima cosa. Di conseguenza, c’è una sana concorrenza tra di noi, e anche questa è una cosa positiva, perché così ci spingiamo a vicenda a migliorare sempre di più. Quando vedo che qualcuno ha fatto bene una cosa, voglio che anche CINS la faccia così bene o ancora meglio, sia che si tratti dell’uso di un nuovo software, di un nuovo modo di presentare la storia o di qualcos’altro. Credo che anche gli altri colleghi la pensino così.

Come viene praticato il giornalismo investigativo a livello globale? Quali sono le sue potenzialità, i suoi punti di forza e le debolezze?

Il giornalismo investigativo è simile ovunque, gli standard professionali sono uguali, così come i metodi di lavoro. Le potenzialità sono enormi e continuano ad aumentare parallelamente allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla sempre maggiore disponibilità di saperi e informazioni. L’unica domanda è se e come verranno sfruttate queste potenzialità. A volte mi sembra che il più grande vantaggio del giornalismo investigativo sia allo stesso tempo anche il suo più grande svantaggio, e non solo in Serbia.

Avvengono grandi fughe di informazioni, buona parte del lavoro può essere svolta al computer, in un ufficio o una stanza, senza praticamente dover uscire fuori. I giornalisti investigativi indagano sulle grandi frodi da milioni, miliardi di euro, ma spesso dimenticano per chi lo fanno, e questi sono i cittadini. È molto importante trovare un equilibrio tra lavoro sul campo, interviste di persona e analisi di grandi quantità di dati, di assetti proprietari molto complessi, ecc. Penso che come giornalisti investigativi dobbiamo sforzarci di più per creare questo equilibrio e far capire ai cittadini che i temi su cui indaghiamo riguardano anche loro. E dobbiamo occuparci di più dei temi che li riguardano direttamente.

I reportage di CINS che trattano temi ambientali non sono molto letti, ma noi pensiamo che sia importante farli perché in questo ambito ci sono molti problemi e questioni irrisolte di cui i cittadini non sono nemmeno consapevoli perché di fronte al dilagare della corruzione e criminalità passano in secondo piano, pur avendo un indubbio impatto sulla vita e sulla salute delle persone. Questo è quel ruolo educativo che stiamo cercando di svolgere, spero con qualche successo.

I giornalisti investigativi sono costante bersaglio di critiche e minacce, correndo gravi rischi nell’esercizio della loro professione. Recentemente è stato ucciso il giornalista slovacco Ján Kuciak, insieme alla sua fidanzata; l’anno scorso è stata uccisa la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. Il bilancio dei giornalisti uccisi negli ultimi anni è davvero drammatico. Quanto vale la pena rischiare la propria vita e quella dei propri cari per fare questo mestiere? Come vi proteggete? Potete contare di più sulla protezione dello stato o su quella offerta da organizzazioni e istituzioni internazionali?

Se decidete di fare questo lavoro dovete essere consapevoli dei rischi e dei problemi che esso comporta. E se siete una persona normale, non potrete mai restarne indifferenti. Ma potete fare tutto ciò che è in vostro potere per proteggervi. Le organizzazioni internazionali possono aiutare, può aiutare anche lo stato – il quale a volte fa il contrario – , ma credo sia fondamentale che i giornalisti si prendano cura della propria sicurezza. Esistono diversi metodi di protezione, con i quali, purtroppo, non potete mai proteggervi completamente, né fisicamente né nel mondo virtuale, ma potete cercare di ostacolare al massimo il lavoro di chi vorrebbe crearvi problemi. Sono ancora molti i giornalisti che non prendono sul serio questa problematica.

Se state lavorando su inchieste delicate, è saggio parlarne ad alta voce in un bar? Se tenete in casa una parte della documentazione, è saggio scrivere sui social network dove vi trovate e per quanto tempo starete via? È saggio avere una password della posta elettronica composta da soli cinque, sei caratteri che contiene il vostro nome o l’anno di nascita? Oppure andare da soli a un incontro con una persona potenzialmente pericolosa, in un posto sconosciuto? Naturalmente, la risposta a tutte queste domande è “no”, ma nella prassi spesso accade il contrario. Tuttavia, anche se un giornalista si attiene a tutti i protocolli di sicurezza, ciò non garantisce una protezione assoluta. Pertanto è fondamentale essere consapevoli dei rischi che si corrono e avere la certezza di aver scelto il mestiere giusto.

CINS è tra i firmatari della Dichiarazione per la libertà dei media (Proglas za slobodu medija ), nata nell’ambito di una più ampia iniziativa tesa a denunciare le pressioni a cui sono sottoposti i media indipendenti in Serbia. Quali sono le vostre aspettative al riguardo?

Penso che sia importante che i giornalisti lottino insieme per i loro diritti, ed è per questo che abbiamo deciso di appoggiare questa iniziativa. Tornando alla mia risposta precedente, nessuno può proteggere i giornalisti se loro non cercano di proteggere se stessi e la loro professione. Sono vergognose le pressioni a cui sono sottoposti in Serbia tutti i giornalisti che osano criticare il potere. Nessuno può convincermi che sia un caso che gli ispettori fiscali siano presenti quotidianamente nella redazione del portale Južne vesti .  Per cui dobbiamo, se non altro, almeno dimostrare che non siamo né ciechi né stupidi, che vediamo quanto sta accadendo e che siamo capaci di alzare la voce per denunciarlo.

Il lavoro dei giornalisti di CINS è stato premiato con numerosi riconoscimenti, tra cui lo European Press Prize vinto l’anno scorso nella categoria del giornalismo investigativo per una serie di inchieste su corruzione e criminalità organizzata. Si potrebbe dire che il 2017 è stato l’anno di maggior successo per CINS. Quali sfide vi siete posti per il prossimo periodo in questo clima di oscurantismo mediatico?

Sì, l’anno scorso è stato davvero pieno di successi. Nove premi vinti e la selezione tra i finalisti del Global Shining Light Award – il più prestigioso premio internazionale dedicato al giornalismo investigativo, accanto al Pulitzer – sono risultati di cui, come caporedattore, sono molto fiero perché so quanto duramente abbiamo lavorato come squadra per arrivare non tanto ai premi quanto alle storie che sono state premiate. Si tratta di ore e ore, giorni e notti di lavoro, di migliaia di pagine di documenti letti e analizzati, decine di interviste. Tenendo conto di tutte le difficoltà con cui ci confrontiamo, vincere questi premi è stata una bella soddisfazione e un riconoscimento del duro lavoro svolto.

Non vorrei sembrare ingrato (e secchione), ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: l’anno scorso abbiamo speso molto tempo in viaggi, cerimonie, discorsi, ringraziamenti, e non siamo riusciti a pubblicare tutto quello che abbiamo scoperto. Quindi, in questo momento la nostra priorità è di, per così dire, rimettersi in pari e pubblicare tutte le storie che erano rimaste incompiute. Mi sembra che stiamo andando bene perché dall’inizio dell’anno, oltre ad aver lanciato il gioco online, abbiamo pubblicato una serie di testi sugli appalti pubblici; un’inchiesta che rivela come lo stato, ovvero il comune di Belgrado privilegi l’agenzia di stampa Tanjug [formalmente chiusa, ndt] e la tv Pink; poi una storia su come l’Azienda elettrica della Serbia (EPS) e il padrino del presidente Aleksandar Vučić e i suoi partner d’affari, in quanto produttori di energia privilegiati, traggano maggior profitto dalla costruzione di piccole idrocentrali; diverse inchieste che parlano di magistratura, media, elezioni. A tal proposito, posso annunciare che nel prossimo periodo pubblicheremo altre storie interessanti, quindi seguite CINS.

Quanto si fida l’opinione pubblica serba dei giornalisti investigativi? Come conquistare la fiducia del pubblico in un contesto caratterizzato da crescente tabloidizzazione e sensazionalismo dei media, nonché da censura e autocensura?

Il pubblico per il giornalismo investigativo esiste e mi sembra che stia crescendo, anche se molto lentamente. Tuttavia, il problema è che il più delle volte ci rivolgiamo a persone che la pensano come noi. Non mi riferisco alle preferenze politiche, o di qualsiasi altro tipo, bensì al fatto che ci sono delle persone che non si occupano di giornalismo ma che comunque vogliono sapere come vengono spesi i soldi dei contribuenti, cosa fanno le istituzioni statali e i politici, perché non vengono risolti i casi di criminalità organizzata, perché si continua a inquinare l’ambiente, ecc. È come ritrovarsi in una specie di bolla, ad esempio sui social network, dove a volte ci sembra di aver fatto qualcosa di grande e importante, poi incontriamo persone che non usano molto i social e sono completamente all’oscuro delle vicende portate a galla dai giornalisti investigativi.

Vista la riluttanza dei media mainstream a dare spazio ai risultati delle nostre inchieste, dobbiamo lottare per raggiungere un pubblico più ampio, senza comprometterci moralmente e professionalmente. Per fare un esempio, ogni volta che abbiamo ricevuto un premio, ne hanno parlato i media più seguiti in Serbia, tutte le emittenti televisive… Ma quegli stessi media non hanno riportato nessuna delle inchieste per le quali siamo stati premiati. Anche il gioco online è un passo verso l’ampliamento del nostro pubblico, perché con esso abbiamo raggiunto persone che probabilmente non hanno mai sentito parlare di CINS prima.

Recentemente è stata avviata la nuova edizione della “Scuola di giornalismo investigativo di CINS”. Cosa vi proponete di insegnare ai partecipanti, e cosa potete imparare da loro? Pensate che tra i partecipanti possa esserci qualche futuro giornalista investigativo?

Cerchiamo di trasmettere ai partecipanti, quanto più possibile, le competenze di cui disponiamo nel relativamente breve lasso di tempo che abbiamo a disposizione. Bisogna tuttavia tener conto che il giornalismo investigativo non è una scienza, ciò che conta di più sono la prassi e la dedizione alla professione. È impossibile imparare tutto in pochi giorni, lavorando su una storia con un tutor. È solo un inizio. Non si può sopravvivere in questa professione senza perfezionarsi continuamente. Credo che non sia passato un giorno in cui io non abbia imparato qualcosa dalle persone con cui lavoro. Questo è sicuramente uno dei vantaggi dell’essere giornalista investigativo, e di far parte della squadra di CINS.

Per quanto riguarda la Scuola, cerchiamo di dimostrare ai partecipanti come funzionano le cose nella pratica e di offrire loro le conoscenze di cui disponiamo. Sta ad ogni partecipante decidere come userà le conoscenze acquisite. Capita che, una volta finita la Scuola, i partecipanti capiscano che il giornalismo investigativo non è la strada giusta per loro, perché ne avevano un’idea diversa, o per qualche altra ragione, e non vi è nulla di male.

Dall’altro lato, la maggior parte dei membri della nostra redazione ha finito questa stessa scuola qualche anno fa, e molti altri ex partecipanti alla scuola collaborano regolarmente con noi o lavorano per altri centri di giornalismo investigativo. Quindi, la nostra scuola, se non altro, è un’opportunità per i giovani di sviluppare un atteggiamento nei confronti del giornalismo investigativo.

Se oggi fosse studente dell’ultimo anno delle superiori, quale professione sceglierebbe?

Se fossi all’ultimo anno delle superiori sceglierei una professione che mi permetterebbe di accumulare un notevole patrimonio senza un solo giorno di lavoro; di governare senza dover assumere alcuna responsabilità; di essere prepotente e spudorato senza pagarne alcuna conseguenza; di promettere cose irreali e fare sempre la vittima; di aiutare i miei padrini, fratelli, zie, mia moglie e, quando serve, essere aiutato da loro; di urlare contro i giornalisti e chiamare i caporedattori quando non mi piace quello che hanno scritto su di me; di fare scandalo e ricorrere alla retorica nazionalista ogni volta che qualcosa va male. Quindi, sarei un politico balcanico medio. Sto scherzando, naturalmente. Non volevo dire subito qualcosa del tipo “non cambierei nulla”… Ma è davvero così. Se oggi potessi scegliere, probabilmente farei la stessa scelta, con l’unica differenza che avrei dedicato più tempo alla formazione nell’ambito delle nuove tecnologie, perché si tratta di competenze di cui oggi i giornalisti praticamente non possono fare a meno.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #108 il: Maggio 03, 2018, 01:23:01 am »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bulgaria/I-media-in-Bulgaria-euforia-crisi-e-corruzione-187302

Citazione
I media in Bulgaria: euforia, crisi e corruzione

Intervista alla Prof.ssa Lada Trifonova Price dell’Università di Sheffield Hallam sullo stato di salute dell’informazione in Bulgaria, paese d’origine su cui ha concentrato anche i suoi studi
02/05/2018 -  Valentina Vivona   

Lada Trifonova Price si è laureata in giornalismo all’Università di Sofia, in Bulgaria, poco dopo il crollo del regime comunista. Ha costruito la sua carriera nel Regno Unito, lavorando prima come freelance, iniziando poi a insegnare giornalismo presso l’Università di Sheffield Hallam e diventando, infine, responsabile della formazione presso il Centro per la Libertà dei Media (CFOM). Il suo ambito di ricerca è la libertà d’informazione nell’Europa Orientale e, in particolare, nel suo paese d’origine. L’ingresso nell’Unione Europea non sembra aver migliorato la salute del giornalismo in Bulgaria, anzi: la professoressa Price, in questa intervista, spiega perché.

Si può parlare di ‘liberalizzazione’ dei media in Bulgaria, dopo il 1989?

Il processo di democratizzazione è stato lungo e doloroso, ma nei primi anni ‘90 si è percepita una forte volontà di cambiamento. La cosiddetta “Terza Ondata” democratica, a cui la Bulgaria appartiene, ha investito anche il mercato mediatico. Il panorama è completamente cambiato in pochi anni: il controllo è passato dallo stato ai privati, con la sola eccezione dei canali radio-televisivi rimasti di proprietà pubblica. La concorrenza era feroce perché erano numerosissime le testate apparse in quegli anni. I gruppi stranieri sono entrati nel mercato a metà anni Novanta, un po’ più lentamente rispetto ad altri paesi del blocco orientale. Hanno inizialmente puntato sulla stampa, come l’editore tedesco WAZ, ma hanno poi spostato i loro investimenti nella televisione.

Un’euforia dissipata dalla crisi economica globale che in Bulgaria si è sentita a partire dal 2009...

Il tradizionale modello economico dei media è in crisi, non solo in Bulgaria. È sempre più difficile sopravvivere con i soli proventi derivanti dalla pubblicità e dalle vendite. La crisi globale del 2008 - 2009 ha reso tutto ancora più difficile e, in Bulgaria, ha permesso agli oligarchi di acquisire più potere. WAZ, l’editore tedesco di cui parlavo prima, ha disinvestito nel 2010 principalmente perché non poteva più sostenere le pressioni causate dal groviglio tra economia e politica - sono stati gli stessi proprietari a dichiararlo. Purtroppo la Bulgaria è il paese più corrotto dell’Unione Europea e questo ha un impatto negativo sull’informazione e sul giornalismo. Uno dei problemi principali è la mancata trasparenza: nessuno sa chi c’è dietro ai media, chi li finanzia. Non deve allora sorprendere che la popolazione bulgara abbia una scarsissima fiducia nei mezzi d’informazione. Ironicamente, nel 2010 il Parlamento bulgaro ha approvato un dispositivo legale speciale a garanzia della trasparenza della proprietà dei media: una splendida iniziativa, rimasta solo sulla carta.

C’è spazio per i media indipendenti?

Questa è una domanda a cui è difficile rispondere. Difficile perché i giornalisti che provano ad indagare - per esempio - sulla corruzione, sono spesso vittime di intimidazioni, aggressioni o minacce. Lo strumento più usato dai politici e dalle altre figure pubbliche è la denuncia per diffamazione o calunnia. Per fortuna, i tribunali si muovono di solito a favore dei giornalisti per cui raramente si arriva a una condanna. Rispondendo alla domanda: ci sarebbe molto spazio per l’informazione indipendente in Bulgaria, ma sopravvivere è davvero difficile in un contesto così ostile.

Quanto sono forti le interferenze politiche nel giornalismo?

Probabilmente non le suona nuovo il nome del New Bulgarian Media Group, di proprietà del deputato Delyan Peevski: una società tramite cui gestisce diversi quotidiani e riviste e, soprattutto, controlla l’80% della distribuzione della carta stampata. L’autonomia dei media è progressivamente erosa dalla propaganda statale. Emittenti pubbliche come BNT (Televisione Nazionale Bulgara) e BNR (Radio Nazionale Bulgara) sono considerate neutrali, tuttavia dipendono al 100% dai sussidi statali e, inoltre, il direttivo è solitamente a nomina politica. I mezzi d’informazione privati e, ancora di più, locali dipendono dai finanziamenti pubblici, essenziali anche se minimi. Solo alcuni mezzi d’informazione online stanno cercando di eludere questi meccanismi, ma devono ancora trovare una loro sostenibilità economica.

Sembra un paradosso che l'ingresso nell’Unione Europea e il declino della libertà d’informazione abbiano coinciso in Bulgaria.

Dopo aver soddisfatto i criteri d’accesso, le riforme in Bulgaria hanno proceduto a un ritmo molto più lento. Le istituzioni europee non hanno il potere di punire le violazioni della libertà d’informazione nei paesi membri e, in effetti, solo l’OSCE ed il Consiglio d’Europa hanno alzato la voce in un paio di occasioni. Eppure l’UE dovrebbe indagare su come sono usati i fondi strutturali perché il governo compra l’assenso dei media essenzialmente con i soldi delle campagne informative comunitarie. Questa prassi prende il nome di ‘sussidio selettivo’ o ‘tangente legale’.

È il turno della Bulgaria alla presidenza dell’UE: un’ottima occasione per parlare di libertà d’informazione?

Cinque anni fa l’UE ha tenuto un incontro sulla libertà d’informazione dove evocava ciò che dovrebbe essere ripetuto a gran voce oggi: le istituzioni comunitarie devono diventare competenti in materia di tutela della libertà d’informazione e costringere al rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali, specialmente l’Articolo 11. Nuove procedure legislative di carattere vincolante devono essere approvate ed applicate al più presto. È l’unico modo per mettere pressione a quegli stati membri che non hanno alcun riguardo della professione giornalistica e della salute dell’informazione, vitali per la democrazia.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #109 il: Maggio 03, 2018, 21:36:06 pm »
aspetta stavamo parlando di altro.
Parlavamo di giovani spaventati e sottomessi all'autorità,io ho fatto notare che i giovani di oggi tante cose hanno ma non il timore per l'autorità.
I giovani io li vedo manifestare spesso in maniera anche esagerata e violenta(cosa che capitava anche negli anni 70) ,se poi le loro battaglie siano inutili o meno è un altro discorso.
Qui però si incomincia a parlare,in un certo senso,di opinioni politiche(nel senso più ampio del termine).
Ad esempio io penso che oltre a tante cose positive gli anni 70 hanno portato anche tanta merda di cui paghiamo le conseguenze anche oggi.
Però ripeto,si rischia di scivolare in discorsi politici.
Comunque mi è chiaro il tuo punto di vista.
Premessa: non sono più un ventenne e quindi ho le classiche difficoltà a comprendere quelli di oggi; ma è un dato oggettivo che sono mal messi, hanno grosse difficoltà nel formarsi una famiglia; nel trovare un lavoro e se lo trovano è precario (quindi sono schiavizzati), avranno una pensione da fame -ma gli dicono di puntare su quella integrativa (ma gli danno 800 euro al mese per campare e pagare la suddetta pensione  :D :D :lol: il danno e la beffa )
Insomma, sono mal messi, probabilmente la generazione che sta peggio dal dopoguerra ad oggi, quella che ha meno prospettive, quella che più viene presa in giro in tempo di pace ; ebbene, chiedo a te che probabilmente ne sai più di me su questo aspetto:
perchè i giovani non si mettono in gruppo e protestano?
...Cortei per strada, voce grossa, panchine divelte, casino. l'unico modo per farsi ascoltare.
Perchè non lo fanno?
La mia non è una domanda retorica.
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #110 il: Maggio 04, 2018, 01:41:35 am »
Sai, Red, è quello che mi chiedo anch'io quando parlo con certi muratori albanesi* o rumeni, che a casa loro "guadagnano" 300-350-400 euro: perché non spaccano tutto ? Perché non rompono le ossa ai politici ed ai banchieri ?
Perché (al pari di molti giovani - e meno giovani - italiani) seguitano ad emigrare, anziché cercare di cambiare la situazione a casa loro ?

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https://exit.al/it/2017/12/in-francia-limmigrazione-e-la-criminalita-albanese-sono-diventati-un-problema-nazionale/

Citazione
In Francia l’immigrazione e la criminalità albanese sono diventati un problema nazionale
17/12/2017 @ 20:40

Il Ministro dell’Interno francese ha espresso al Governo albanese una visione critica della situazione della criminalità e dell’emigrazione albanese in Francia.

Fonti diplomatiche francesi hanno riferito a Exit che Collomb si è dimostrato fermamente convinto che se non ci sarà un cambiamento della situazione attuale, non ci sarà alcuna apertura dei negoziati per l’adesione e l’Albania rischia di tornare al regime del visto.

Nel 2016, secondo l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA), 7432 albanesi hanno fatto richiesta di asilo in Francia.

Mentre, nei primi nove mesi di quest’anno, c’è stato un notevole incremento delle richieste di asilo e l’Albania resta il primo Paese al mondo per il numero di richiedenti asilo in Francia.

Come riferito da Slate, l’emigrazione albanese è stata uno dei problemi più importanti che il nuovo Governo francese ha incontrato da quando si trova al potere. La situazione è così importante che il Ministro degli Interni Collomb ha minacciato di ritornare al regime dei visti per gli albanesi.

Il Ministro degli Esteri Bushati era stato urgentemente convocato a Parigi nel luglio 2017. In quell’occasione aveva promesso la piena collaborazione dell’Albania al problema della criminalità e dell’immigrazione, presentando un piano d’azione.

Ma dato che le promesse non hanno prodotto risultati, il Ministro degli Interni francese è venuto a Tirana con obiettivi chiari: concordare con il Governo una serie di misure tecniche e legali per vietare l’emigrazione albanese e per la lotta contro la criminalità in Francia.

I punti principali che sono stati concordati sono:

– istituzione di un coordinamento tra i due paesi nella lotta contro la criminalità organizzata, compreso il traffico di esseri umani;

– inviare agenti di polizia albanese in Francia per aiutare nella loro lotta contro le organizzazioni criminali albanesi operanti in Francia.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #111 il: Maggio 04, 2018, 19:36:27 pm »
Premessa: non sono più un ventenne e quindi ho le classiche difficoltà a comprendere quelli di oggi; ma è un dato oggettivo che sono mal messi, hanno grosse difficoltà nel formarsi una famiglia; nel trovare un lavoro e se lo trovano è precario (quindi sono schiavizzati), avranno una pensione da fame -ma gli dicono di puntare su quella integrativa (ma gli danno 800 euro al mese per campare e pagare la suddetta pensione  :D :D :lol: il danno e la beffa )
Insomma, sono mal messi, probabilmente la generazione che sta peggio dal dopoguerra ad oggi, quella che ha meno prospettive, quella che più viene presa in giro in tempo di pace ; ebbene, chiedo a te che probabilmente ne sai più di me su questo aspetto:
perchè i giovani non si mettono in gruppo e protestano?
...Cortei per strada, voce grossa, panchine divelte, casino. l'unico modo per farsi ascoltare.
Perchè non lo fanno?
La mia non è una domanda retorica.
a differenza tua vedo i ventenni del 2018 protestare più di quelli del 2000 e più di quelli del 1990.
Ribadisco che buona parte delle ideologie più schifose di oggi sono nate proprio nel '68.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #112 il: Maggio 04, 2018, 19:48:50 pm »
Sai, Red, è quello che mi chiedo anch'io quando parlo con certi muratori albanesi* o rumeni, che a casa loro "guadagnano" 300-350-400 euro: perché non spaccano tutto ? Perché non rompono le ossa ai politici ed ai banchieri ?
Perché (al pari di molti giovani - e meno giovani - italiani) seguitano ad emigrare, anziché cercare di cambiare la situazione a casa loro ?
per non parlare degli africani.

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Offline Red-

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #113 il: Maggio 04, 2018, 23:11:40 pm »
Proviamo a mettere un pò di ordine:
Su un forum si generalizza, per forza di cose, visto che non si potrebbe ogni volta puntulizzare, escludere le eccezioni, eccetera. Inoltre penso che non si dovrebbe prenderla sul personale, altrimenti muore ogni discussione.
non sto dicendo che rumeni o albanesi siano meglio degli italiani, dico che la loro cultura è diversa e probabilmente non hanno assorbito una certa mentalità tipicamente femminile che spinge i giovani uomini all'inazione anche in momenti in cui l'azione sarebbe auspicabile. Dico, sarò fissato, che sono stati annichiliti dal neofemminismo. Si tratta di un'ipotesi, non di una certezza.

L'italia è (per quanto appaia strano) tra le 8-10 nazioni economicamente più forti sul pianeta. Dovremmo essere prima della Russia e del Canada, ma potrei ricordare male. Partecipiamo al G8.
Romania e Albania se non ricordo male stanno intorno alla 60esima posizione. Probabilmente se facessero cortei non servirebbe a nulla, se non a passare il tempo e fare esercizio.
Da noi la situazione è un pò diversa, da noi i soldi ci sono, ma vanno sempre più verso l'alto. Se qualcuno chiedesse che tornassero un pò verso il basso, probabilmente la cosa non sarebbe tempo perso. Purchè lo chiedessero con la giusta forza.
Ma non volevo tranciare giudizi inappellabili, io infatti ho fatto una domanda, cioè come mai i giovani d'oggi evidentemente ritengono che sia meglio non fare e non dire nulla di importante su certi argomenti, di non farlo in gruppo, con una certa forza, come è praticamente quasi sempre avvenuto nella storia, in tempo di pace.
Questo non avviene, semplicemente. (Sempre escludendo i centri sociali, che non si capisce -o almeno io non capisco- a che cacchio servano). Mi chiedevo solo il perchè. Non ho occasione di frequentare molti giovani non so bene come la vedono, cosa pensano come ragionano.  magari sul forum potevo avere qualche parere, magari interessante.
Nulla di più.
Saluti
« Ultima modifica: Maggio 04, 2018, 23:22:35 pm da Red- »
"La realtà risulta spesso più stupefacente della fantasia. A patto di volerla vedere."

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #114 il: Maggio 05, 2018, 01:54:03 am »
per non parlare degli africani.

Appunto.
Tra l'altro, gli africani, al pari di albanesi* e rumeni, quando sbarcano in Italia fanno soventemente finta di non ricordare da quale merda provengono, oltre ad avere il "vizietto" di criticare ferocemente il Paese che li ospita e di occultare costantemente le magagne dei loro rispettivi Paesi di provenienza.

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* Un imprenditore di mia conoscenza, ormai in pensione, una ventina di anni fa picchiò un suo dipendente albanese che aveva un atteggiamento a dir poco arrogante, sia nei suoi confronti che di altri dipendenti.
Come tanti altri albanesi dell'epoca, del resto.
Certo, rispetto agli anni Novanta sono un po' migliorati, ma certi "vizietti" seguitano comunque a portarseli dietro.
Anzi, siccome oggi la loro realtà è migliore rispetto a quella di 20-25 anni fa (cioè quando l'Albania era il terzo Paese più povero al mondo), in molti casi si permettono pure di fare delle ironie nei confronti dell' Italia e degli italiani.
Tipici atteggiamenti di chi è fortemente complessato e pertanto ha necessità di sminuire chi gli ha permesso di uscire dalla merda in cui nuotavano fino a non molto tempo fa.
Guarda, se dessi retta al mio "lato oscuro" ne manderei all' ospedale uno al giorno, perché se c'è una cosa che trovo insopportabile e inaccettabile, è uno straniero che sputa nel piatto in cui mangia o ha mangiato per lustri o decenni.

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Un mio operaio, invece, non molto tempo fa ha minacciato di botte un rumeno che aveva definito l' Italia "un Paese di merda", invitandolo tra l' altro a tornare "nella sua Romania di merda" e ricordandogli che alla prossima cazzata lo avrebbe letteralmente massacrato.
Tanto con questi stronzi non esiste altra medicina.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #115 il: Maggio 05, 2018, 16:08:28 pm »
Ma non volevo tranciare giudizi inappellabili, io infatti ho fatto una domanda, cioè come mai i giovani d'oggi evidentemente ritengono che sia meglio non fare e non dire nulla di importante su certi argomenti, di non farlo in gruppo, con una certa forza, come è praticamente quasi sempre avvenuto nella storia, in tempo di pace.
Questo non avviene, semplicemente. (Sempre escludendo i centri sociali, che non si capisce -o almeno io non capisco- a che cacchio servano). Mi chiedevo solo il perchè. Non ho occasione di frequentare molti giovani non so bene come la vedono, cosa pensano come ragionano.  magari sul forum potevo avere qualche parere, magari interessante.
Nulla di più.
Saluti


Nemmeno io frequento i giovani, per ovvi motivi anagrafici, essendo del '71.
Perciò non ho una risposta precisa al riguardo, ma soltanto delle idee personali, che in quanto tali son sicuramente discutibili.
Tu fai spesso riferimento al neofemminismo, e in merito alla questione credo anch'io che c'entri qualcosa con la "paralisi" di tanti giovani; anche se son del parere che le cause siano molteplici.
Al tempo stesso, però, non ricordo una maggiore energia da parte degli uomini della mia generazione, né da coloro che hanno qualche anno in più.


Citazione
L'italia è (per quanto appaia strano) tra le 8-10 nazioni economicamente più forti sul pianeta.

Non è strano, è la realtà.
Se no perché mi incazzerei con i tanti stranieri che fanno finta di non ricordare da dove provengono ?

Tuttavia, in Paesi come la Romania qualche protesta pacifica la fanno; poi che non ottengano i risultati sperati è un altro paio di maniche.
http://www.eastjournal.net/archives/87662
http://www.eastjournal.net/archives/81151

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In passato delle pacifiche ma ferme proteste ci furono anche in Bosnia, che però resta un Paese con tante rogne da risolvere, dove lo stipendio medio è di 440 euro mensili.*
https://www.eastjournal.net/archives/32786

Citazione
BOSNIA: Il successo della bebolucija, protesta che supera il nazionalismo

Chiara Milan 10 luglio 2013   

A quasi un mese dall’inizio della bebolucija, la rivoluzione dei bambini, a Sarajevo le transenne bianche circondano la piazza ormai vuota di fronte al parlamento nazionale. Dopo ben venticinque giorni le proteste sono terminate, ma non hanno spento l’entusiasmo di chi vi ha preso parte.

Quasi un mese di manifestazioni, assemblee e gruppi di lavoro hanno lasciato nelle persone la speranza che questo non sia stato che l’inizio.Come racconta ad East Journal Valentina Pellizzer, attivista italiana residente a Sarajevo dal 1999 che ha partecipato fin dall’inizio alla bebolucija, “i venticinque giorni di protesta pacifica sono stati un incredibile atto di resistenza civile da parte dei cittadini bosniaco-erzegovesi. I cittadini e le cittadine che hanno manifestato la propria indignazione lo hanno fatto come persone nei confronti di una classe politica che si è dimostrata incapace di fare il proprio lavoro, e che pur di garantire la propria sopravvivenza ha calpestato i diritti della categoria più indifesa, i bambini”.

I casi di Belmina e Berina, le due bambine prive di numero di identificazione personale (Jedinstveni matični broj građana, JMBG – una sorta di codice fiscale) e pertanto impossibilitate ad uscire dalla Bosnia per farsi curare all’estero, hanno provocato una reazione emotiva tale da portare in piazza non solo i sarajevesi, ma “tutti quegli esseri umani che si sono rifiutati di considerare l’impasse sui numeri personali come l’ennesima questione etnopolitica, ponendosi una domanda fondamentale: Chi sono io come individuo? Come posso permettere che una bambina muoia solamente perché è nata in un paese in cui i politici sono etno-bestie?”.

Nonostante il paragone con gli indignados e gli altri movimenti modello Occupy che hanno preso piede negli ultimi anni in tutto il mondo, la Bosnia-Erzegovina rimane un caso a sé, e come tale dev’essere trattato. Spiega sempre Valentina: “Non bisogna dare per scontato che i cittadini bosniaci siano scesi in piazza in massa, considerando che l’ultima volta che l’hanno fatto, nel 1992, hanno sparato loro addosso. Così come non è da sottovalutare il valore simbolico della riappropriazione dello spazio pubblico, collettivo, in un paese in cui la regola è che la mia presenza è la negazione della tua. Facendosi fotografare a sostegno della JMBG i bosniaci ci hanno messo la faccia, hanno riaffermato il diritto alla vita, mentre nessun politico si è dimesso per vergogna”.

La mancanza di ONG e partiti politici tra gli organizzatori della protesta è stata considerata una delle debolezze del movimento. Eppure è frutto di una scelta consapevole, presa per evitare strumentalizzazioni e protagonismi di parte. In un tessuto sociale frammentato come quello della Bosnia, infatti, la società civile può riprodurre ed addirittura esacerbare le divisioni etniche e politiche che ci sono al suo interno. Il messaggio trasmesso dalla bebolucija, invece, è che il fondamento del senso civico è la singola individualità, l’essere umano in quanto tale, senza il bisogno di bandiere. Questo hanno ricordato i cittadini che si sono riuniti la sera della morte di una delle due bambine, Berina: il bisogno di restare umani.

Cosa rimane della bebolucija? “Innanzitutto i risultati tangibili: il giorno successivo all’assedio non violento del parlamento, il 6 giugno, Belmina ha ricevuto il suo numero di identificazione personale, assieme al passaporto che le ha permesso di uscire dalla Bosnia per essere curata. I manifestanti hanno ottenuto un altro risultato: per sei mesi i bambini bosniaci riceveranno un numero di identificazione personale permanente. È stato riaffermato il loro diritto ad esistere come cittadini bosniaci, ma soprattutto è stata restituita loro la dignità di esseri umani.

Grazie alle proteste dei cittadini, i politici bosniaci hanno dovuto riconoscere l’esistenza di un problema reale e di una massa critica di cittadini che reclama la propria dignità. Infine, la protesta non è sfociata nella violenza in nessun caso, anche nei momenti di maggiore tensione, come durante l’assedio del parlamento. Va riconosciuto il comportamento corretto delle forze di polizia, ma anche il senso responsabilità di organizzatori e partecipanti alle proteste che si sono impegnati a pulire la piazza anche dopo il concerto del 1 luglio”.

La bebolucija è conclusa, e i tentativi di sminuirla sembrano affermare, al contrario, la scomodità di questo movimento. Rimangono orgoglio per non aver messo a tacere l’ennesimo sopruso e la voglia di continuare.

Per informazioni: www.jmbg.org twitter @JMBGzasve

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https://www.albanianews.it/notizie/economia/stipendio-medio-balcani-2018-01


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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #116 il: Maggio 05, 2018, 16:20:55 pm »
https://www.albanianews.it/statistiche/salario-mensile-315-euro

Citazione
Instat Albania: più della metà dei lavoratori percepisce un salario mensile inferiore ai 315 euro
Gli ultimi dati pubblicati dall'Istituto di Statistica Albanese hanno evidenziato che circa il 60% dei lavoratori albanesi guadagna meno di 315 euro (40.000 leke) lordi mensili, mentre il 30% guadagna 189 euro (24.000 leke)

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto di Statistica Albanese (Instat) mostrano che circa 1,2 milioni di cittadini albanesi hanno un’occupazione nel paese.

Più della metà di questi lavoratori guadagna meno di 315 euro (40.000 leke) lordi al mese (il 60%), mentre solo il 10% ne guadagna 750 euro (95.000) o più.

Il 30% di coloro che hanno occupazione, invece, guadagna 189 euro (24.000 leke) lordi al mese, ovvero il valore di salario minimo esistente legalmente nel paese.

Questi sono gli ultimi dati pubblicati dall’Instat con l’aiuto della direzione generale delle imposte. Lo stipendio medio del 2017, in relazione a tutti i cittadini con occupazione, si aggirava sui 387 euro (49.000 leke) lordi mensili.

Il valore lordo, ovviamente, considera oltre al salario netto, l’assicurazione sociale e medica e tutte le imposte che vengono pagate dal lavoratore stesso e quindi detratte di conseguenza dallo stipendio. Quindi considerando tutto ciò, il valore reale del salario minimo del paese è di circa 166 euro (21.000 leke) come evidenzia il giornale albanese reporter.al .

l paradosso del salario medio

Il salario lordo medio era di 371 euro (47.000 leke) mensili nel 2014; valore che è sceso nel 2016 raggiungendo i 363 euro (46.000) per poi salire nuovamente lo scorso anno e raggiungere la cifra di 387 euro (49.000 leke) lordi mensili. In questo periodo quadriennale il salario lordo medio ha registrato una crescita del 2,7%.

Tuttavia, in termini reali e quindi considerando l’inflazione, i dipendenti stipendiati di oggi sono più poveri rispetto a quelli del 2014 poichè i prezzi di consumo sono aumentati del 5,2% mentre i salari, come detto, solo del 2,7%. Durante il 2016 – anno che ha registrato un calo nel valore medio lordo mensile del salario – l’unico settore che ha registrato una crescita è stato quello pubblico.

Prima delle elezioni dello scorso anno, infatti, il governo ha aumento gli stipendi dei dipendenti pubblici del circa 12,8%. Un contesto, quello dei salari pubblici nettamente superiore rispetto a quelli privati, che caratterizza da tempo l’Albania come dimostrato dai dati: solo l’anno scorso i dipendenti pubblici aveva un salario lordo medio di 486 euro (61.600 leke) mensili, di gran lunga superiore rispetto ai 387 euro (48.967 leke) mensili dei dipendenti privati (circa -20%).

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #117 il: Maggio 05, 2018, 16:31:17 pm »
https://www.albanianews.it/notizie/economia/eurostat-albania-salario-minimo-europa

Citazione
EconomiaStatistiche
Eurostat, Albania ha il salario minimo più basso d’Europa
Albania detiene il primato europeo del salario minimo più basso con soli 180 euro al mese

Come viene riportato da Eurostat, l’Albania detiene il primato europeo del salario minimo più basso (tra i paesi UE e quelli candidati all’adesione), con soli 180 euro al mese.

Le statistiche pubblicate, si riferiscono ai salari minimi nazionali. Ovvero il salario che di solito si applica a tutti i dipendenti, o almeno alla grande maggioranza di essi. Viene applicato per legge, spesso da un accordo intersettoriale nazionale.

Se osserviamo, invece, la classifica dall’alto troviamo al primo posto il Lussemburgo, con un salario minimo di 1998.5 euro al mese. Dato quello del salario minimo che, come fa notare Eurostat, ha a che fare con la posizione geografica: nel raggio est europeo (in paesi come Romania, Lituania, Slovacchia ed Estonia) lo stipendio varia dai 400 ai 500 euro.

Gli stati nord-orientali, invece, hanno un salario minimo di oltre 1.400 euro, tra cui il sopracitato Lussemburgo, la Francia, il Belgio, i Paesi Bassi, il Regno Unito e l’Irlanda. Tra i 600 e i 900 euro se si parla di Europa Meridionale (Spagna e Portogallo).

Eurostat riporta anche un confronto extra-europeo con gli Stati Uniti: negli USA il salario minimo è di 1048 euro al mese.
Grafico dei salari per Paese Salario Minimo Albania

Rispetto a dieci anni fa, quindi Febbraio 2008, oggi i salari minimi espressi in euro sono più alti in tutte le nazioni dell’Europa, con eccezione della Grecia dove attualmente sono inferiori addirittura del 14% rispetto a dieci anni fa (tasso di variazione annuo di -1,5% circa).

L’Albania, nonostante non fosse all’ultimo posto nel 2008 (c’era la Bulgaria con 112.49 euro/mese), è andata anche lei in crescendo registrando un +27% nel corso degli anni, seppur con un lieve ribasso in questo inizio di 2018. Si è passati infatti, dai 181.01 euro/mese (valore più alto di sempre) di media dello scorso anno ai 180.52/mese dell’inizio del nuovo.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #118 il: Maggio 11, 2018, 20:00:51 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Gallerie/Mondo-rurale-in-Romania-bello-da-vedere-duro-da-vivere

Citazione
Mondo rurale in Romania: bello da vedere, duro da vivere
7 maggio 2018


Un rumeno su due vive in campagna. La fotografa Ioana Moldovan ha esplorato la quotidianità di questo mondo rurale fatto di infrastrutture carenti, disoccupazione massiccia, agricoltura di sussistenza

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 2 maggio 2018)

La Romania ha circa 20 milioni di abitanti di cui la metà vive in campagna. Qui vengono preservate le tradizioni ed i paesini rumeni possono sembrare pittoreschi. La vita rurale può certo attrarre, con i suoi tempi lenti che non si trovano più nelle grandi città.


Ma è proprio nei villaggi che le grandi promesse elettorali della politica rumena non vengono mai rispettate.

L'accesso alle cure di base è molto più difficile che in città: i medici di famiglia sono la metà e lo stato delle infrastrutture limita spesso l'accesso delle ambulanze in caso di emergenze. Il 40% delle abitazioni rurali inoltre non ha neppure l'acqua corrente. Poi vi è poco lavoro e la maggior parte delle persone vive di agricoltura di sussistenza, con aziende troppo piccole per produrre cibo oltre quello di cui ha bisogno una singola famiglia.

Durante l'estate molti lavorano all'estero come stagionali, per mettere qualcosa da parte e sopravvivere all'inverno.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #119 il: Maggio 11, 2018, 20:06:46 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-attacco-alla-giornalista-Olivera-Lakic-187885

Citazione
Montenegro: attacco alla giornalista Olivera Lakić

La giornalista investigativa del quotidiano montenegrino Vijesti Olivera Lakić è stata ferita a colpi di pistola davanti alla sua abitazione, nello stesso luogo dove era stata picchiata sei anni fa. Il difficile mestiere del giornalista in Montenegro
11/05/2018 -  Damira Kalač   Podgorica

Martedì, 8 maggio 2018, Podgorica. Su un lato del viale Svetog Petra Cetinjskog si sente della musica: circa un migliaio di persone si sono radunate per assistere a un concerto organizzato in occasione del Giorno della vittoria sul fascismo. Sul lato opposto, ad un certo punto, si sente uno sparo.
L'attrice e la scrittrice

Cittadini sveglia!

Appresa la notizia dell’aggressione a Olivera Lakič, l’attrice Katarina Krek ha invitato i politici montenegrini ad assumersi le proprie responsabilità, criticando inoltre i cittadini perché continuano a ignorare la realtà.

“Se continuate a fidarvi di (Mevludin) Nuhodžić [ministro dell’Interno] che è sempre ‘sbalordito’, o di (Duško) Marković [primo ministro] che come un pappagallo non fa altro che ‘condannare fortemente’, o del procuratore che ‘farà tutto il possibile per identificare i responsabili’, sprofonderemo nell’abisso sul cui orlo ci troviamo ormai da molto tempo. Un mese fa, le persone sopracitate hanno creato una squadra speciale con il compito di prevenire episodi come questo. Poi l’attuale presidente del Montenegro democratico ha pronunciato la parola fascismo, associandola alla libertà di parola e alle informazioni basate sui fatti che la procura a tutt’oggi non ha né contestato né confermato, anzi non se n’è nemmeno occupata…”, ha scritto l’attrice sul suo profilo Facebook.

Ha inoltre ricordato ai cittadini che sono loro a pagare gli stipendi dei funzionari statali e che non basta che questi ultimi, dopo “tanti omicidi irrisolti”, rilascino dichiarazioni, dicendo quello che ormai è chiaro a tutti.

“Ci vuole responsabilità amici, e non parole vuote”, ha scritto Krek.

Attenzione internazionale

“Sono delusa dal fatto che siamo finiti sui media internazionali per questo episodio violento. Il Montenegro si trova ancora nella lista degli stati dove la professione giornalistica e la parola pronunciata pubblicamente possono costare la vita”, ha detto Lidija Perović, giornalista e scrittrice che dal 1999 vive in Canada.

Quando a Toronto le chiedono da dove viene e com’è il paese in cui è cresciuta, Lidija vorrebbe poter rispondere parlando di cose positive.

“Mi piacerebbe poter dire che siamo un paese dove la libertà di parola e di pensiero viene rispettata, dove la criminalità e la corruzione vengono sanzionate, un paese con un forte settore culturale che potrebbe suscitare grande interesse, un paese che possiede un enorme patrimonio ambientale e lo sta salvaguardando per le generazioni future. Purtroppo, ormai da anni non posso farlo”, lamenta Perović.

Stando alle sue parole, l’attacco alla giornalista Olivera Lakić è un’occasione per dimostrare le capacità del sistema giudiziario montenegrino.

“Saremo una società dove i cittadini temono di essere sparati quando escono sulla strada? O saremo un paese serio? Il mondo ci guarda”.

Al momento è ancora ignota l’identità della persona che lo scorso 8 maggio, intorno alle 21:00, ha sparato a Olivera Lakić , giornalista del quotidiano Vijesti. Quello stesso quotidiano che il nuovo-vecchio presidente del Montenegro Milo Đukanović ha recentemente accusato di promuovere il fascismo .

“Felice Giorno della vittoria sul fascismo. Il regime lo ha già omaggiato sparando a Olja! Del fascista Vijesti“, ha scritto sui social la giornalista Ratka Jovanović una volta appresa la notizia dell’attacco alla collega.

Olivera Lakić è stata ferita davanti alla sua abitazione, nello stesso posto dove, sei anni fa, era stata picchiata.

Recentemente ha pubblicato una serie di articoli sul contrabbando di sigarette, un argomento di cui si era già occupata in passato.

Nel 2011 Lakić aveva indagato sull'azienda “Tara“ a Mojkovac, dove si sospettava che venissero prodotte sigarette contraffatte, poi stoccate in un magazzino a Donja Gorica e contrabbandate. Nei suoi articoli aveva denunciato il coinvolgimento di alcuni funzionari di polizia e dell’Agenzia per la sicurezza nazionale in questo business illecito.

Lakić già in passato è stata bersaglio di diverse minacce e intimidazioni. Dopo essere stata aggredita fisicamente nel 2012, ha vissuto sotto scorta per quasi tre anni. In quel periodo si era temporaneamente ritirata dal giornalismo.

A tutt’oggi rimangono ancora ignoti i mandanti dei precedenti attacchi a Olivera Lakić.
La mancata tutela dei giornalisti

Dal 2004, quando è stato ucciso il caporedattore del quotidiano Dan Duško Jovanović, in Montenegro sono stati registrati 76 casi di attacchi contro giornalisti, di cui 43 hanno avuto un epilogo giudiziario, 25 sono ancora oggetto di indagini, mentre nei restanti 8 casi le indagini non sono nemmeno state avviate.

L’opinione pubblica montenegrina ha recentemente avuto modo di rinfrescare la memoria sugli attacchi contro i giornalisti grazie a un documentario intitolato Silom na sedmu , andato in onda lo scorso 10 aprile.

Nel documentario, realizzato dalla ong “35mm” e da tv Vijesti, viene ricordato che i dipendenti statali che, ostruendo le indagini, hanno garantito l’impunità ai responsabili dei più gravi attacchi contro i giornalisti – compromettendo seriamente lo stato di diritto in Montenegro – , non sono mai stati processati, e che le dimissioni di chi ha commesso errori nell’esercizio della propria professione sono una vera rarità nella società montenegrina.

Commentando l’attacco a Olivera Lakić, il caporedattore del quotidiano Vijesti Mihajlo Jovović ha dichiarato che la polizia non ha mai indagato su quello che la giornalista ha scoperto. “Non ho parole. Fino a quando queste cose continueranno ad accadere nel nostro meraviglioso Montenegro? Nessun attacco contro di lei ha avuto un epilogo giudiziario. Molti crimini che ha denunciato nei suoi articoli non sono mai stati indagati. Fino a quando dovremo temere questi vigliacchi?”

Secondo il giornalista e blogger serbo Nebojša Vučinić, “watchdog della democrazia” è il termine che meglio descrive l’essenza della professione giornalistica, per cui non c’è da stupirsi se i giornalisti sono bersaglio di attacchi anche nelle democrazie sviluppate. “A maggior ragione lo sono nei piccoli quasi-stati semicoloniali e postsocialisti. Per intenderci, queste cose succedevano anche prima, ma gli operatori dell’informazione godevano di una certa tutela ed erano motivati a occuparsi di problematiche sociali”, spiega Vučinić.

Aggiunge inoltre che i giornalisti, e gli operatori dei media in generale, vengono attaccati in vari modi, ma lo scopo è sempre quello di impaurirli e incutere timore nella popolazione. “Questo seme della violenza attecchisce facilmente nelle società dove tradizionalmente nessun problema viene risolto in modo democratico e attraverso il dialogo”, afferma Vučinić.
Đukanović, l’UE e gli USA...

A seguito dell’attacco a Olivera Lakić, si è fatto sentire  anche Milo Đukanović.

“L’attacco alla giornalista Olivera Lakić è la conferma che lo stato deve contrastare l’arroganza delle strutture criminali”, ha detto il leader del Partito democratico dei socialisti e neoeletto presidente del Montenegro.

Quando il regime esprime indignazione per l’attacco a Olja, per Vijesti, o per qualsiasi altro giornalista indipendente in Montenegro, si tratta, secondo Ratka Jovanović, editorialista di Vijesti, di pura insolenza.

Oltre a condannare la classe politica montenegrina Ratka Jovanovićnon risparmia critiche nemmeno ai funzionari europei e statunitensi.

“Non so come definire quello che stanno facendo i funzionari e i diplomatici europei e statunitensi: ipocrisia, immoralità o puro commercio. Pronunciano due, tre banalità sull’importanza del giornalismo, dicono che gli attacchi sono inaccettabili, e poi ritornano tra le braccia di qualche esponente del regime. Sanno esattamente chi picchia e chi spara, e continuano a collaborare con i picchiatori e gli assassini. Io non mi fido più dell’Occidente già da quando ha contribuito a distruggere la Bosnia Erzegovina, ma questo popolo smarrito si fida dei politici occidentali”, ha scritto la Jovanović.

A suo parere, chi ha sparato a Olivera Lakić lo ha fatto seguendo gli ordini del regime, ma a mettere la pistola nelle sue mani sono stati l’Ue e gli Stati Uniti.

La giornalista ha invitato a non pubblicare “le loro dichiarazioni ipocrite sull’aggressione a Olja”.

“Non abbiamo bisogno del loro cordoglio. Sono ormai 30 anni che stanno a guardare come il regime ci sta uccidendo, e dopo ogni tornata elettorale macchiata da frodi e compravendite di voti dicono che è stato compiuto un ulteriore passo verso l’Europa. Io non voglio avere nulla a che fare con una tale Europa, nemmeno indirettamente, attraverso i media”.

Željko Ivanović, direttore di Vijesti (foto PR Centar)
Il silenzio dei cittadini

All’indomani dell’aggressione a Olivera Lakić è stata organizzata una manifestazione di protesta davanti alla sede del governo a Podgorica.

Il concerto del giorno prima ha attirato circa un migliaio di cittadini, mentre alla protesta hanno partecipato poche centinaia di persone, gli stessi volti che si vedono sempre nei raduni di questo tipo.

“Non deve stupire l’apatia popolare, perché ognuno si preoccupa solo di se stesso”, dice Vučinić, aggiungendo che, pur essendo consapevoli che anche a loro può succedere la stessa cosa, i cittadini continuano ad essere inerti, conformisti e disinteressati.

“Le proteste contro gli attacchi ai giornalisti e media il più delle volte vengono organizzate, non tanto per chiedere protezione, quanto per contribuire al cambiamento della leadership politica, anche se ogni nuova leadership si comporta nello stesso modo nei confronti dei media. Ne sono la prova i cambiamenti politici avvenuti in Serbia dopo l’omicidio di Zoran Điniđić e il fatto che il seme di quello che sta accadendo oggi nel paese è stato gettato all’epoca in cui al governo c’era il Partito democratico”, spiega Vučinić.

“Il giornalismo e i giornalisti sono la prima vittima di un sistema degenerato. Quando questo sistema crolla – e per farlo crollare non basta l’impegno dei giornalisti e media, deve mobilitarsi l’intera società – il giornalismo e i giornalisti avranno la possibilità di ‘guarire’”.

Olivera Lakić è stata ferita ad una gamba e non è in pericolo di vita.