Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 76470 volte)

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Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #375 il: Marzo 03, 2020, 18:27:59 pm »
Dice l'italiano medio, notoriamente esterofilo, disfattista e autorazzista:
"Certe cose succedono solo in Italia!"
Ah no, cazzo, siamo in Bosnia!
...

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-tanto-rumore-per-un-virus-che-ancora-non-c-e-199884

Citazione
Bosnia Erzegovina: tanto rumore per un virus che ancora non c'è

Preoccupazione in Bosnia Erzegovina per la diffusione del coronavirus, anche se in questo momento non ci sono ancora stati casi di contagio. I media non parlano d'altro, le persone vanno nel panico e spuntano commenti razzisti nei confronti dei cinesi

03/03/2020 -  Ahmed Burić
Sull’onda della preoccupazione diffusasi negli ultimi giorni nell’intera regione, compresa la Bosnia Erzegovina, a causa del coronavirus, a Sarajevo è scoppiato il panico: le scorte di disinfettanti nelle farmacie e nei negozi di prodotti igienico-sanitari sono state subito esaurite; per le strade si notava una frenesia insolita per la quotidianità sarajevese, mentre i prezzi di alcuni prodotti per la pulizia e integratori per le difese immunitarie sono aumentati del 300%.


Di solito, quando cresce la domanda di un bene aumenta anche l’offerta, e il prezzo del bene diminuisce. Ma in Bosnia Erzegovina nemmeno la legge della domanda e dell’offerta sembra funzionare.

Quando ho visto il mio medico specialista in malattie respiratorie e allergiche che, col viso nascosto dietro la mascherina, non voleva nemmeno stringermi la mano – mi ha solo fatto la ricetta, dicendomi di tornare tra dieci giorni per un controllo e non vedeva l’ora che me andassi – , ho capito che la situazione era seria. Ma in Bosnia Erzegovina la gente scherza su tutto. Di tutte le barzellette sul coronavirus che ho sentito in questi giorni la migliore è quella in cui Fata (la mitica protagonista delle barzellette bosniache, come Sara della mitologia ebraica) dice a Mujo (l’equivalente di Mosho degli aneddoti ebraici): “Mujo, spargiamo la voce che abbiamo contratto quel virus“. “Ma sei normale? Perché dovremmo farlo se tutti scappano da questa cosa?“, chiede sorpreso Mujo. “Non andiamo mai da nessuna parte. Così almeno la gente penserà che siamo stati in Italia“.


Il panico è stato ulteriormente alimentato dalle speculazioni secondo cui da qualche parte nella periferia di Sarajevo (nelle “notizie“ di questo tipo non viene mai precisato il luogo dell’evento) alcuni cinesi sarebbero stati “trovati morti“ e dalle affermazioni del tipo: “Su di noi si abbattono tutte le sventure“. È intervenuta anche una farmacista che, all’affermazione di un cliente secondo cui “quei cinesi vengono da noi, ma non spendono niente“, ha replicato: “È vero, non ci faranno stare meglio. Possono solo farci stare peggio“.

Queste osservazioni razziste mi hanno fatto tornare in mente un episodio accaduto 15 anni fa. Stavo viaggiando in treno dalla stazione di Parigi Gare de Lyon a Trieste, poi da lì dovevo proseguire verso l’Istria, dove ero atteso per un seminario di letteratura. Non c’erano voli disponibili, o i voli last minute costavano troppo – non mi ricordo più – , e avevo deciso di viaggiare con il mio mezzo di trasposto preferito: il treno, per l’appunto. La cuccetta, la comodità... Ma appena il treno è partito ho avvertito un certo disagio. Il mio compagno di cuccetta era un cinese. All’epoca girava l’influenza suina e i cinesi anche allora, come oggi, erano additati come i principali responsabili dell’epidemia. A Parigi girava la voce che i cinesi non venissero sepolti nei cimiteri e che prendessero i documenti di identità dei loro parenti defunti. I media avevano riportato la notizia secondo cui in Francia sarebbe stato rintracciato un cinese che – secondo i documenti di identità di cui era in possesso – risultava avere 130 anni. Qualcuno dalla questura avrebbe automaticamente rinnovato il suo permesso senza verificare l’autenticità dei suoi documenti di identità. Si trattava perlopiù di dicerie, ma bisognava riempire le pagine dei giornali e dei neonati portali web.

Mi ero subito reso conto che quel cinese con cui condividevo la cuccetta era più spaventato di me: per tutto il tempo del viaggio aveva il viso coperto da una mascherina, che gli arrivava fino agli occhi, mentre io facevo rumore sfogliando il giornale, accendevo e spegnevo la luce in continuazione, dimostrando, come al solito, un nervosismo esagerato rispetto alla situazione. Avevamo passato due controlli di sicurezza in Francia, il cinese si era rimpicciolito dalla paura; poi a Brescia lo avevano fatto scendere dal treno. Alla fine ero dispiaciuto per lui. Non ero riuscito a scoprire che cosa gli fosse successo, ma probabilmente lo avevano sottoposto a diversi esami, forse lo avevano anche messo in quarantena, o persino deportato. Mi sentivo ingannato, raggirato. Esattamente come oggi si sente la maggior parte dell’opinione pubblica bombardata dalle notizie sul coronavirus.

Oggi, vista la gravità della situazione, quel povero cinese sicuramente se la passerebbe peggio. Dopo le prime convulse notizie sulla diffusione del virus e i tentativi di scoprire se tutti i nostri amici in Italia stanno bene, abbiamo appreso, dai dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che l’epidemia non è poi così grave, sicuramente meno grave del panico, e che i danni causati dai media sono irreparabili.

Senza voler sminuire le argomentazioni espresse dai medici né tanto meno la preoccupazione della popolazione, mi sembra un po’ strano che l’intero mondo sia in preda al panico a causa di una malattia che, secondo i dati ufficiali, finora ha colpito 79.300 persone, un numero che corrisponde allo 0,7% della popolazione della città di Wuhan dalla quale è partita l’epidemia. Secondo i dati dell’OMS, il tasso di letalità del coronavirus è del 14,8% tra gli over 80, mentre nella fascia tra 50 e 60 anni scende all’1,3% e nella fascia tra 10 e 39 anni allo 0,2%.

Al momento in Bosnia Erzegovina non c’è nessun caso confermato di contagio da coronavirus. Ma non ci sono nemmeno strutture adeguate per l’isolamento di eventuali pazienti infettati. Intanto, i media non parlano d’altro. Secondo le statistiche, le probabilità che una persona di 45 anni muoia per l’infezione dal coronavirus sono dello 0,28%. Ma nessuno parla di questi numeri. Ci si sforza di riempire le pagine dei giornali e portali web di notizie sul virus e, a quanto pare, di affermazioni ostili nei confronti dei cinesi, per incutere timore nei cittadini. Come se i popoli della Bosnia Erzegovina non si odiassero già abbastanza.

Ma forse il vero motivo dietro tutta questa paura risiede nel fatto che negli ultimi giorni le borse mondiali hanno registrato le più grandi perdite dopo la crisi del 2008?

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #376 il: Marzo 03, 2020, 22:41:58 pm »
Queste cose però i media non le dicono
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.


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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #378 il: Marzo 04, 2020, 00:56:03 am »
Che guarda la TV anche se sicuramente ci mette del suo.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #379 il: Marzo 04, 2020, 01:07:20 am »
Che guarda la TV anche se sicuramente ci mette del suo.

L'italiano medio ci mette sempre del suo, oggi come ieri.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #380 il: Maggio 01, 2020, 17:12:56 pm »
Dice l'italiano medio:
"Certe cose succedono solo in Italia!"
Ah no, cazzo, siamo in Romania...

https://www.eastjournal.net/archives/104975

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ROMANIA: Economia e ambiente, un binomio possibile?
Rebecca Grossi 4 ore ago

La Romania è uno dei paesi più ricchi in termini boschivi di tutta Europa. Purtroppo le sue fittissime foreste rese celebri dalla penna di Bram Stoker in Dracula potrebbero presto rimanere solo un ricordo; da anni infatti risentono di una massiccia opera di deforestazione.

Seppure in forte espansione, proprio per l’abbondanza di materia prima, l’industria del legno è un settore con forti criticità, in primis il problema dell’illegalità. Lo sfruttamento illecito delle foreste è però un business difficile da interrompere: è infatti molto redditizio – vale circa un miliardo di euro all’anno –, con un traffico abusivo quasi equivalente ai quantitativi commerciati regolarmente. Secondo i dati dell’inventario forestale nazionale, che tuttavia potrebbero sottostimarne il volume, vengono infatti tagliati ogni anno 38.6 milioni di metri cubi di legno. Di questi solamente la metà, 18.5 milioni, rappresentano materiale proveniente da attività autorizzata, e quindi tassabile.

Il grande giro di affari intorno al disboscamento illegale è spiegato dal fatto che la sola attività legale non sempre garantisce di ottenere abbastanza guadagni. Le numerose piccole imprese che compongono il settore, più soggette a difficoltà economiche e finanziarie, sono così indotte a ricorrere ad operazioni al limite della legge per riuscire a mantenere a galla l’attività.

Come per altre, anche la questione della deforestazione si lega a doppio filo con il problema della corruzione; dagli addetti fino alle autorità locali e al personale forestale, sono molte le parti coinvolte nella cosiddetta “mafia del legno” (mafia lemnului). La stessa Romsilva, l’azienda pubblica che si occupa della protezione, preservazione e sviluppo delle foreste, che gestisce circa metà di tutti boschi del paese, è accusata di compartecipazione e complicità nella deforestazione illegale.

Amicizie, scambi di favore e interessi economici e politici si intrecciano saldamente; chi prova a denunciare subisce minacce e a volte anche violenza fisica (diverse le guardie forestali uccise). Si preferisce allora tacere per non esporsi e per evitare ritorsioni. Anche chi non vi è attivamente coinvolto diventa così parte del sistema corrotto.

Il legno illegale arriva anche sui mercati europei. Molti sono infatti gli investitori stranieri, attratti dal basso costo e dalla facile reperibilità della materia prima, anche essi più o meno inconsapevoli complici. La presenza di attori internazionali aggiunge un ulteriore grado di difficoltà nella lotta al commercio illecito.


Mancano da parte delle autorità centrali misure adeguate per regolamentare l’industria del legno e sanzionarne i casi di illegalità. Una proposta del 2016 – cui tuttavia non venne mai dato seguito – prevedeva la creazione di un sistema per tracciare la provenienza dei tronchi, con l’obiettivo di stanarne il trasporto clandestino e fermare gli abbattimenti non autorizzati.

L’aria (politica) di Bucarest

La deforestazione è solo uno dei problemi ambientali. Circa un mese fa un grave incidente legato all’inquinamento atmosferico ha scatenato nuovi scontri e dissapori a Bucarest fra il sindaco Gabriela Firea del PSD, e il ministro dell’ambiente Costel Alexe del PNL.

Il fatto risale alla notte fra l’uno e il due marzo 2020, quando le stazioni di monitoraggio dell’aria cittadine hanno registrato una concentrazione pericolosamente alta di inquinanti, pari ai livelli riscontrati in Australia durante gli incendi di questo gennaio.

La questione ha scatenato una serrata polemica, con reciproche accuse fra le parti coinvolte, ed è divenuto l’ennesimo terreno di scontro nel più ampio contesto di propaganda pre-elettorale per l’elezione del sindaco (programmata per l’estate, ma ora rinviata a causa dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus).

Nella disputa, il ministro Alexe avrebbe additato come primo responsabile per i problemi ambientali della capitale il sindaco Firea. Nonostante le annunciate intenzioni di ridurre l’inquinamento, il primo cittadino non avrebbe implementato le misure inserite nel Plan Integrat de Calitate a Aerului, l’ampio progetto volto a riqualificare la qualità dell’aria a Bucarest, redatto dalla municipalità l’autunno scorso.

Emblematico il caso della cosiddetta taxa Oxigen, la tassa sull’ossigeno. Vera misura di punta del Plan Integrat, prevedeva il pagamento di una eco vignetta e di una tassa di circolazione per le auto più inquinanti (dalle Euro1 alle Euro4). Entrata in vigore in gennaio, già in febbraio era stata abolita in vista delle elezioni, dopo un sondaggio sui social per testarne il grado di condivisione fra i cittadini ne avrebbe rilevato l’ovvia impopolarità.

In risposta alle accuse ricevute, Firea avrebbe addirittura richiesto un’analisi degli avvenimenti da parte del CSAT (Consiglio Supremo di Difesa Nazionale), sottolineando inoltre la ridotta capacità della municipalità nella lotta all’inquinamento in mancanza di concrete azioni di supporto all’ambiente da parte del governo.

Ciononostante, la Guardia Nazionale Ambientale – ente sotto controllo governativo – ha sanzionato il municipio di Bucarest con una multa di 75 000 lei (circa 15 000 euro) per la mancata implementazione del Plan Integrat.

Il problema dell’inquinamento si trascina in realtà da tempo. Negli ultimi mesi i limiti imposti per legge di polveri sottili sono stati sempre più frequentemente superati, con infrazioni in alcuni casi anche dieci volte superiori rispetto alla soglia consentita.

Negli ambienti urbani, le polveri sottili derivano in massima parte dal traffico stradale. Ed è proprio l’intenso congestionamento uno dei fattori che più contribuiscono all’inquinamento: si stima che siano circa 2 milioni le auto che circolano ogni giorno all’interno della città.

Reti urbane di trasporto pubblico poco sviluppate e infrastrutture di collegamento fra le varie città del paese ancora spesso insufficienti sono alla base della radicata abitudine di ricorrere a mezzi propri per spostarsi.

E per finire…

È tuttavia opportuno tenere presente che il problema dell’ecologia in Romania è complesso e non si può ridurre a presunta inconsapevolezza, disinteresse o altre spiegazioni semplicistiche e superficiali. Si intreccia piuttosto ad altri aspetti critici della storia e del contesto sociale, economico e politico caratteristici del paese.


Allineare la crescita economica con la sostenibilità ambientale è ancora difficile. I guadagni da attività illecite allettano molto; la corruzione è dilagante e rimane uno dei più gravi problemi del paese. Le reazioni a livello istituzionale, sia locale che nazionale, sono deboli e inadeguate a fronteggiare con fermezza i problemi ambientali: non solo il substrato di criminalità, ma anche il bisogno di rinnovamento infrastrutturale e di investimenti. Per ultimo, una politica da troppo tempo frammentata e instabile.

Dopo alcuni richiami già avanzati dall’Unione Europea lo scorso anno, in febbraio la Commissione ha inviato una nuova lettera di avviso alla Romania per sollecitare urgenti misure contro la deforestazione e l’inquinamento atmosferico – pena l’applicazione di sanzioni.

Nelle ultime settimane, la concentrazione di inquinanti nell’aria di Bucarest è molto diminuita, effetto delle misure di isolamento adottate per contenere la diffusione del Coronavirus. Una volta passata l’emergenza la situazione tornerà probabilmente come prima, ma almeno per il momento la capitale rumena respira.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #381 il: Maggio 04, 2020, 20:27:44 pm »
Non c'entra nulla con i paesi dell'est, bensì con l'italiano medio, perciò mi tocca riportarlo...

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/05/04/coronavirus-in-spagna-e-germania-rallentano-i-contagi-trump-forse-in-usa-100mila-morti-vaccino-entro-fine-anno-rinviato-al-2021-expo-di-dubai-in-brasile-oltre-7mila-decessi/5790394/

Citazione
Enrico Di Bartolomei
↪ daco749
4 ore fa
-
Non hanno capito che solo in italia ci beviamo tutto quello che dicono i media.

... "solo in italia"... tra l'altro il coglione ha scritto Italia con la i minuscola...
Son sicuro che non scriverebbe mai Irlanda o Inghilterra con la i minuscola, perché l'italiano medio, specie se di sesso maschile, è fatto così.

Dal 2014 ad oggi l'ho scritto innumerevoli volte e torno a ripeterlo: in Europa, sia dell'ovest che dell'est, non esiste un popolo più esterofilo, disfattista e autorazzista di quello italiano.
Un popolo lagnoso, complessato e quotidianamente impegnato a prendersi a martellate sui genitali, convinto com'è che l'erba del vicino sia sempre più verde.
Nei fatti un popolo irrecuperabile.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #382 il: Maggio 04, 2020, 20:41:53 pm »
Nei fatti un popolo irrecuperabile.
Lo vedremo dal fatto che sarà rimpiazzato o meno da altri.
Blondet dice che gli italiani non si ribellano, e saranno lieti di ricorrere in massa all'eutanasia gentilmente organzizata dal potere.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #383 il: Maggio 04, 2020, 20:58:50 pm »
Lo vedremo dal fatto che sarà rimpiazzato o meno da altri.
Blondet dice che gli italiani non si ribellano, e saranno lieti di ricorrere in massa all'eutanasia gentilmente organzizata dal potere.

In passato ho avuto modo di conoscere molti albanesi e romeni, nel periodo in cui i loro paesi erano nella merda più totale, (non che oggi siano gli USA degli anni cinquanta, ma di certo se la passano meglio di allora) ma nonostante provenissero da una ex dittatura comunista e da situazioni di estrema povertà, non ne ricordo nemmeno uno che abbia mai usato il linguaggio disfattista e sprezzante tipico dell' italiano medio.
Quello che mi ha sempre colpito di quei popoli - in particolar modo quello albanese - è l'orgoglio e il senso di appartenenza alla propria terra.
Per dire: è impossibile sentirne uno parlar male del proprio paese in pubblico e in presenza di italiani, mentre quest' ultimi son sempre in prima fila quando c'è da autoflagellarsi in presenza di stranieri, i quali, poi, si sentono autorizzati a farci la morale (anche sul web).
In sostanza gli italiani sono il cavallo di troia degli stranieri.*

Poi vabbe', i suddetti immigrati dell'est mi han fatto girare i coglioni spesso e volentieri per altri motivi, ma questa è un' altra storia.

@@

* Per dire: è quasi impossibile ascoltare un italiano che parla delle magagne degli altri paesi, convinti come sono di essere il peggior popolo e il peggior Paese del mondo.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #384 il: Maggio 04, 2020, 21:08:47 pm »
Unica nota positiva è che quelli dell'Est sono pieni di complessi perché vengono da Paesi di m.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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« Risposta #385 il: Maggio 04, 2020, 21:12:32 pm »
Unica nota positiva è che quelli dell'Est sono pieni di complessi perché vengono da Paesi di m.

Sì, lo so bene.
Non a caso ho scritto poc'anzi...
"Poi vabbe', i suddetti immigrati dell'est mi han fatto girare i coglioni spesso e volentieri per altri motivi, ma questa è un' altra storia."

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #386 il: Maggio 04, 2020, 21:32:53 pm »
Tra l'altro le donne dell'Est sono molto difficili da gestire. Un mio conoscente rumeno con la moglie ha anche usato maniere spicce* ma non è servito a nulla.

* Solo per informazione
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Duca

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #387 il: Maggio 05, 2020, 22:46:04 pm »
Anche tra le puttane le rumene sono le peggiori, arroganti, contaballe, non hanno voglia di lavorare e si credono tutte strafighe.


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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #388 il: Maggio 10, 2020, 23:36:17 pm »
... "solo in Italia accadono certe cose!"
Ah no, cazzo, siamo in Bosnia.
...

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-corona-festa-scandali-e-buone-pratiche-201738

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Bosnia Erzegovina: “corona-festa”, scandali e buone pratiche

Anche la Bosnia Erzegovina si avvia verso la fase 2. Il collasso della sanità è stato scongiurato ma nella gestione della crisi le due entità si sono comportate come stati sovrani. Non sono mancati gravi scandali e nemmeno le buone pratiche

08/05/2020 -  Alfredo Sasso
Anche in Bosnia Erzegovina è tempo di “fase due” dell’emergenza Covid. Si stanno adottando misure di alleggerimento del lockdown, pur con gradualità e con alcune differenze nelle due entità del paese, la Federazione di BiH e la Republika Srpska. Nella prima, già il 24 aprile è stata ripristinata la libertà di circolazione e dal 4 maggio sono stati riaperti diversi uffici ed esercizi commerciali, tra cui parrucchieri e estetisti; ristoranti e grandi centri commerciali potrebbero riprendere l’attività, pur con limitazioni, la prossima settimana. In Republika Srpska, che è stata colpita in modo più grave dalla pandemia, le riaperture avvengono invece in modo più dilazionato  tra questa settimana e la prossima.

Secondo i dati ufficiali  aggiornati al 7 maggio, i contagiati totali nel paese sono 2.027 (965 in FBiH, 1043 in Republika Srpska, 19 nel distretto di Brčko) e i decessi 90 (rispettivamente 34, 53 e 3). Nel complesso, se si guardano i numeri  di contagi e decessi in rapporto alla popolazione, non sono lontani da quelli della Croazia, da molti considerata come uno dei paesi più efficaci nella regione per la risposta all’emergenza, e sono inferiori di sei-sette volte rispetto a quelle dell’Italia. Per ora gli scenari catastrofici che erano stati evocati da alcuni esperti all’inizio dell’epidemia sono stati dunque scongiurati.

Nonostante i numeri relativamente contenuti dell’emergenza, l’attuale trend richiede comunque di non abbassare la guardia e mostra la presenza di situazioni molto diverse nel territorio. In Federazione di BiH il contagio appare rallentato, con due decessi negli ultimi quindici giorni, e alcuni cantoni (come quelli di Sarajevo e Tuzla) vicini o già stabilmente al contagio-zero. In Republika Srpska si è registrata invece una preoccupante accelerazione proprio in questa ultima settimana (il picco di contagi giornalieri, 69, è avvenuto il 3 maggio) concentrata soprattutto nel capoluogo Banja Luka. Come ha rilevato il magazine  Buka  , questo aumento ha generato molta frustrazione tra la popolazione della città, già duramente provata dal confinamento. In RS il lockdown è stato applicato più a lungo e con condizioni particolarmente restrittive, accompagnate da annunci precipitosi da parte delle autorità che hanno spesso disorientato i cittadini.

Ciò che ha contribuito a limitare il diffondersi del virus nel paese è stato il senso di responsabilità e di precauzione della popolazione, e la capacità di intervento di alcune strutture sanitarie. Questo è avvenuto nonostante la comprovata malagestione della politica e l’evidente assenza di coordinamento tra i livelli di governo del paese. “Un paese, tre lotte contro la pandemia”, come diceva un’espressione in voga tra i media  in questo periodo. Tutti i principali provvedimenti sono stati presi in totale autonomia dai governi delle entità, i quali poi a seconda della convenienza del momento hanno accusato gli altri di mancanza di collaborazione. Dalle modalità del confinamento agli ordini di materiale dall’estero, dai protocolli sanitari ai controlli delle frontiere, le due entità hanno gestito l’emergenza come stati sovrani separati, in una sorta di “Dayton-plus”.

Tra le vicende più discusse vi è stata quella del carico di 200.000 mascherine e 10.000 tute protettive donato dal governo dell’Ungheria. Inizialmente gli aiuti erano stati destinati alla sola RS, che ne aveva fatto esplicita richiesta a Budapest, approfittando anche della nota sinergia politica tra Viktor Orban e Milorad Dodik  ; ma dopo l’intervento di due ministri statali, quello della Sicurezza Fahrudin Radončić e quella degli Esteri Bisera Turković, che hanno invitato l’ambasciatore ungherese a “ripensare la decisione”, la fornitura è stata infine condivisa tra le due entità.

Respiratori e lamponi
Due grandi scandali stanno concentrando l’attenzione pubblica, gettando ombre inquietanti sulla responsabilità delle istituzioni durante l’emergenza. Il primo riguarda l’acquisto di cento respiratori provenienti dalla Cina, ordinato all’inizio di aprile dalla Protezione civile della Federazione di BiH, un’iniziativa che il governo dell’entità aveva annunciato al pubblico con grande enfasi. Il 27 aprile, un’inchiesta   lanciata dalla giornalista di Fokus.ba  Semira Degirmendžić, poi proseguita da altre testate, svelava una serie di anomalie nell’operazione. Primo: l’acquisto dei respiratori, per una cifra totale di oltre 5 milioni di euro, era avvenuto a prezzi tra le due e le sette volte superiori a quelli di mercato. Secondo: l’ordine era stato gestito da un'azienda agricola di Srebrenica specializzata nella produzione di lamponi, la “Srebrena Malina”, evidentemente priva di alcun legame con l’ambito sanitario e al momento dell’acquisto era priva della licenza necessaria per l’operazione, prima di ottenere una sospetta autorizzazione-lampo. Il titolare della “Srebrena Malina” è Fikret Hodžić, un ex-presentatore tv e scrittore, che fu già al centro di una vicenda molto discussa nel 2016  , quando promosse la commercializzazione di magliette riportanti i simboli del genocidio di Srebrenica.

Ora il caso dei respiratori-lamponi è sotto la lente della procura di Sarajevo e della SIPA, l’Agenzia statale per le indagini speciali, che indagano per riciclaggio e frode negli appalti pubblici. Al vaglio è quindi la posizione del capo della Protezione civile Fahrudin Solak, vicino all’SDA (il partito conservatore bosgnacco, principale forza di maggioranza nella Federazione), del quale parte dell’opposizione e dell’opinione pubblica chiede le dimissioni. Inoltre Solak ha scatenato le proteste   delle associazioni dei giornalisti  , che ne denunciano le gravi pressioni e i tentativi di influenzare la giustizia.

A Sarajevo, nel frattempo, l’asticella della dignità istituzionale era destinata ad abbassarsi ancora di più.

Corona-festa
La sera del 4 maggio, mentre restavano chiusi i luoghi di ritrovo, vietate le concentrazioni e obbligatorie le mascherine anche all’aperto, le pagine online dei media e dei social bosniaci venivano invase dalle foto e dai video di un locale affollato da volti noti, con canti, abbracci, tavole imbandite. Le immagini provenivano dal Golf Klub, un ristorante della Sarajevo facoltosa, e documentavano la presenza di esponenti della politica, dell’economia, dello spettacolo e della sanità a una festa organizzata da un illustre chirurgo della capitale: tra gli altri vi erano il ministro statale del Commercio estero Staša Košarac (poi dimessosi tre giorni dopo per il montare dello scandalo), i popolarissimi cantanti Halid Bešlić e Hadi Varešanović, e persino il dottor Nihad Fejzić, membro del comitato scientifico del Cantone di Sarajevo per l’emergenza Covid19. Quest’ultimo, incalzato al telefono dai giornalisti di Radio Sarajevo  proprio mentre si trovava ancora alla festa, rispondeva con una frase che è già diventata celebre: “Ecco, è arrivata la polizia, ora ci segnaleranno, pagheremo la multa, tutto qui”.

Subito ribattezzata “korona-dernek” (la Corona-festa), la vicenda ha generato un’ondata di indignazione profonda nell’opinione pubblica bosniaca. Molti hanno visto nella corona-festa l’esempio del privilegio, dell’impunità e dell’indifferenza verso il bene pubblico che riguarderebbe una parte significativa dell’élite del paese, del tutto trasversale alle affiliazioni partitiche, religiose ed etniche, come era evidente dai nomi dei partecipanti alla serata. In tempi di sospensione dell’ordinario e di incertezza sanitaria ed economica, non è solo la linea divisoria tra le due entità ad innalzarsi sempre di più. Cresce anche il confine tra i luoghi come il Golf Klub, con le loro leggi straordinarie e le convergenze di interessi e potere, e il resto dei cittadini che in larga parte si sono dimostrati responsabili, per coscienza e per paura che un sistema sanitario male organizzato e oggetto dell’incompetenza della politica non fosse in grado di curarli.


Buone pratiche
Questo panorama è desolante, ma sarebbe altrettanto sbagliato descrivere ciò che accade in Bosnia Erzegovina solo in termini di corruzione, malgoverno, passiva rassegnazione. Ci sono storie di buone pratiche, di attenzione al bene pubblico, di competenze e di proattività, anche se hanno più difficoltà ad emergere e a servire da esempio. Una di queste storie, ben raccontata  su Balkan Insight da Adnan Ćerimagić, è l'efficace gestione della pandemia di coronavirus nel Cantone di Tuzla. Qui le autorità sanitarie sono riuscite ad arrestare il contagio che si era diffuso inizialmente sino ad azzerare la crescita di casi (ormai fermi dal 12 aprile) grazie a test massivi, tracciamento delle infezioni e monitoraggio dei pazienti in isolamento, tutto gestito con un flusso di comunicazione costante e consapevole tra cittadini, personale, vertici istituzionali. Tanto il modello positivo della sanità di Tuzla come le inchieste dei giornalisti e gli effetti dell’indignazione per i recenti scandali mostrano esempi di reattività, sono piccole scorte di energia necessarie per quando, dopo la crisi sanitaria, la Bosnia Erzegovina ricadrà inevitabilmente in quella sociale ed economica, e i confini e le paure di sempre continueranno ad innalzarsi.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #389 il: Maggio 10, 2020, 23:40:20 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/105239

Citazione
BULGARIA: Non è un paese per giornalisti
Giorgia Spadoni 4 giorni ago

Per il terzo anno consecutivo la Bulgaria si piazza al 111° posto nell’Indice mondiale della libertà di stampa, stilato dai giornalisti di Reporter senza frontiere (Reporters sans frontières, RSF) su un totale di 180 paesi. Occupando la posizione più bassa di tutta l’UE, la nazione balcanica è superata in negativo solo da Russia, Bielorussia e Turchia in tutto il continente europeo.

A circa un anno e mezzo dal terribile omicidio della reporter investigativa Viktoria Marinova, la libertà di stampa e d’informazione bulgara non dà segni di miglioramento. Il rapporto pubblicato dal Consiglio d’Europa a fine aprile evidenzia il progressivo deterioramento dell’ambiente mediatico del paese.

“La pecora nera dell’Unione europea”

Nel 2019 non si sono registrate vittime tra i giornalisti bulgari. Tuttavia, le pressioni che questi continuano a subire – specie le voci più critiche e autorevoli – sono sintomo dei metodi autoritari alla base del servizio pubblico.

La politica editoriale della Televisione nazionale bulgara (Bălgarska Natsionalna Televizija, BNT) ha assunto toni filogovernativi dopo la nomina del nuovo direttore generale. Il cambio di proprietario dei due colossi privati NOVA Broadcasting Group e BTV Media Group, ha costretto diversi professionisti di spicco al licenziamento.

“Corruzione e collusione tra media, politici e oligarchi sono ampiamente diffuse in Bulgaria”, denuncia RSF. Simbolo di questa deriva insalubre è Delyan Peevski, deputato e oligarca che formalmente possiede due quotidiani, ma in realtà controlla anche un canale televisivo, svariati siti di notizie e una fetta consistente della rete di distribuzione della stampa. Inoltre, il governo bulgaro continua a ripartire fondi europei e pubblici ai media senza alcuna trasparenza.

D’altro canto, la persecuzione giudiziaria delle testate indipendenti si fa sempre più intensa. Condurre inchieste di qualità in Bulgaria non è un’impresa ardua di per sé. La difficoltà per i giornalisti sta nel riuscire a farle pubblicare, attirare l’attenzione dei cittadini e suscitare in essi reazioni. Al contrario, il più delle volte i reporter si scontrano con muri di silenzio e la cecità delle autorità; pedinamenti, diffamazioni e minacce nei casi peggiori.

Tacchini o piccioni addomesticati?

Anche il 2020 non sembra procedere nel migliore dei modi per il giornalismo bulgaro. Il 4 febbraio scorso il presidente Rumen Radev ha revocato la fiducia al governo di Boyko Borisov, a seguito di vari scandali. Il pomeriggio dello stesso giorno il premier, andato a verificare l’andamento dei lavori al collegamento idrico volto ad alleviare la crisi di Pernik, ha trovato ad attenderlo un gruppo di giornalisti. Alle loro richieste di commentare l’intervento di Radev, Borisov ha risposto: “Eccovi qui che accorrete come dei tacchini”, con annessa imitazione del gloglottìo del pennuto in questione.

Proteste e indignazione non si sono fatte attendere, e dopo pochi minuti il primo ministro si è pubblicamente scusato, senza però smettere di fare il verso – letteralmente – ai reporter. La sezione bulgara dell’Associazione dei giornalisti europei (AEŽ) ha subito condannato l’accaduto in un severo comunicato, definendo “piccioni addomesticati” i professionisti asserviti al governo.

Nelle settimane successive si sono susseguiti nuovi attacchi denigratori alla categoria da parte di alti esponenti politici; lo scorso 17 marzo il giornalista investigativo Slavi Angelov è stato brutalmente aggredito sotto casa sua. Il 17 aprile i tre presunti esecutori materiali sono stati arrestati.

Pandemia e disinformazione

I primi quattro casi di Covid-19 in Bulgaria si registrano l’8 marzo. Dopo dodici giorni il parlamento vara finalmente un pacchetto di misure di emergenza, e l’ambiguità di alcune accende dibattiti e critiche, non solo nei cittadini. Lo stesso presidente Radev contesta aspramente la direttiva che avrebbe imposto dai tre ai cinque anni di carcere e una multa da 5.000 a 25.000 euro ai colpevoli di diffondere “informazioni false sulla diffusione delle epidemie”. Per giunta, la misura sarebbe dovuta rimanere in vigore oltre la durata della crisi sanitaria, favorendo un clima di autocensura e repressione.

Il 22 marzo Radev pone il veto su parte delle norme, scatenando l’ira di Borisov. Il veto viene comunque accolto da una maggioranza parlamentare schiacciante già il 23 marzo, al fine di evitare ulteriori ritardi alla messa in atto delle disposizioni.

RSF afferma che il prossimo decennio sarà decisivo per il futuro del mondo dell’informazione. Tra la repressione della libertà d’informazione e le misure governative contro la pandemia esiste un legame diretto, che aggrava le crisi mediatiche esistenti. E la minaccia incombe anche sull’Europa, la regione che finora ha dato la miglior prova in termini di libertà di espressione.