Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 85660 volte)

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Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #570 il: Aprile 10, 2024, 11:39:25 am »
Tutto vero, anche se in teoria è possibile uccidere senza particolare provocazione, sono eventi rari commessi da individui con seri e palesi problemi, solitamente non europei, per cui non si può appiccicare questa spiegazione a ogni caso di "femminicidio" specialmente in Italia.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #571 il: Novembre 22, 2024, 20:03:30 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-una-casa-ai-margini

Citazione
Romania, una casa ai margini

30 ottobre 2024
Valentin e Mirela sono una coppia romena di 57 e 52 anni residente a Podu Văleni, piccolo villaggio a circa 40 km da Bucarest. La loro è una di quelle vicende quasi invisibili, relegate ai margini della società. Nessuno dei due ha un impiego. Valentin lavorava come meccanico e guardiano ma dopo il secondo infarto è stato costretto a ritirarsi; Mirela soffre di problemi mentali e, come il suo compagno, di epilessia. Ricevono dallo Stato circa 1.780 Lei al mese ciascuno (circa 350 euro) con cui pagano medicine, elettricità e cibo.

Mirela e Valentin sono stati sfrattati dall’appartamento che avevano in affitto quando è stato messo in vendita, e l’attuale domicilio è fatiscente. Un bidone di plastica blu in cortile accanto a una gabbia con le galline è l’unico “bagno” di cui dispongono – una condizione di carenza igienica che la coppia condivide con altri tre milioni di romeni. Secondo i dati Eurostat più recenti, in Romania una persona su sei (15% della popolazione) vive in una casa che non è collegata alla rete idrica e fognaria. Sebbene il dato si sia quasi dimezzato rispetto al 2017, la situazione rimane allarmante. E riguarda attualmente circa otto milioni di europei.

Foto di Lola García-Ajofrín, corrispondente dalla Romania per la testata spagnola El Confidencial  , nostra partner in PULSE. Leggi l’articolo
].

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #572 il: Novembre 22, 2024, 21:27:59 pm »
Ma per i rumeni, il loro sarebbe il Paese migliore del mondo e l'Italia il peggiore. Mi ricordano qualcuno
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #573 il: Novembre 28, 2024, 18:48:32 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Croazia-scandalo-sanita-e-fondi-europei-234581

Citazione
Croazia, scandalo sanità e fondi europei

Ennesimo scandalo nel governo croato di Andrej Plenković: questa volta il protagonista è il ministro della Sanità Vili Beroš, arrestato per sospetta corruzione su fondi europei NextGenerationEU. Scontro tra l’Ufficio della procura europea EPPO e la procura croata

26/11/2024 -  Giovanni Vale Zagabria
Ventinove? Trenta? Trentuno? Quanti sono i membri del governo Plenković che dal 2016 hanno dovuto abbandonare il proprio posto perché accusati di corruzione o abuso di potere?

Il numero è talmente alto che si fa fatica a tenere il conto. Forse è più facile ricordare questo dato: da quando è arrivato al potere – otto anni fa – Andrej Plenković ha dovuto sostituire in media un ministro o un sottosegretario ogni tre mesi circa. Praticamente ad ogni cambio di stagione.

L’analogia può far sorridere e far pensare che la situazione in Croazia non sia poi così drammatica. In realtà, l’ultimo scandalo, scoppiato una decina di giorni fa ed arrivato al suo apice alla fine della settimana scorsa, ci dice proprio il contrario: in Croazia la corruzione istituzionale di alto livello è onnipresente e il governo Plenković sembra fare tutto ciò che può per nasconderla, anche a costo di scontrarsi con le istituzioni europee.

Il ministro della Sanità in manette
Il 15 novembre il ministro della Sanità Vili Beroš è stato arrestato e contemporaneamente licenziato dal premier Andrej Plenković (una mossa rapida e scaltra, che ha permesso al Primo ministro, in conferenza stampa, di prendere le distanze dal suo ormai “ex ministro”).

Secondo un comunicato  pubblicato immediatamente dopo l’arresto dall’Ufficio della procura europea (EPPO), Beroš è al centro di un’indagine europea iniziata a luglio e che coinvolge altre sette persone (tra cui i direttori di due ospedali pubblici di Zagabria) e due società, sospettate di corruzione, abuso di potere e riciclaggio di denaro.

Nel dettaglio, questo gruppo di persone ha cercato – secondo la procura europea – di “garantire che una delle società fosse autorizzata a vendere dispositivi medici robotici per diversi ospedali in Croazia”. Dei microscopi chirurgici che, tra il giugno 2022 e il novembre 2024, sarebbero stati comprati dagli ospedali a prezzi gonfiati, accompagnati da laute ricompense in denaro per le persone coinvolte.

Il 15 novembre, però, Vili Beroš non è stato arrestato su mandato di EPPO, ovvero di quell’istituzione indipendente europea nata nel 2021 per indagare su frodi, corruzione e riciclaggio a danno del budget comunitario. Al contrario, Beroš è stato arrestato su mandato di USKOK, l’Ufficio croato per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.

Come spiega infatti un secondo comunicato  di EPPO, pubblicato il 21 novembre, la procura europea aveva previsto di condurre una serie di arresti e perquisizioni il 19 novembre, ma è stata bruciata sul tempo dalle autorità croate.

“Il 15 novembre 2024, EPPO ha appreso che USKOK aveva ottenuto ordini di perquisizione da parte del tribunale nei confronti di alcuni dei sospetti indagati da EPPO, venendo così a conoscenza dell'esistenza di un'indagine condotta dalle autorità nazionali su fatti di competenza dell’EPPO”, si legge nel secondo comunicato della procura europea.

L’esistenza di due indagini parallele sugli stessi reati può sembrare una curiosa coincidenza. Il contesto in cui si è sviluppata questa vicenda e lo stato dei rapporti tra Zagabria e il Lussemburgo, dove si trova la sede di EPPO, suggerisce ancora una volta il contrario.

Il 15 novembre, subito dopo l’arresto del ministro, la Procura di Stato croata (DORH) ha chiesto a EPPO di trasmettere il fascicolo completo relativo al caso Beroš, mentre EPPO ha a sua volta chiesto a DORH di trasferire il proprio fascicolo alla Procura europea.

Alla fine, il 19 novembre è stato il procuratore generale croato Ivan Turudić ad assegnare la competenza sul caso alla propria procura (DORH). La legge croata prevede infatti che in caso di conflitti di giurisdizione sia proprio il capo di DORH a decidere.

Secondo Turudić, i fondi europei (più precisamente quelli del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, RRF, meglio noto come NextGenerationEU) sarebbero stati coinvolti solo nel caso di un acquisto da parte dell’ospedale di Spalato, che in ultima istanza non è avvenuto. Insomma, secondo DORH, il danno è avvenuto esclusivamente alle casse dello stato croato.

È interessante però notare il punto di vista di EPPO al riguardo.

“Nel caso del Centro ospedaliero clinico di Spalato, il progetto ‘Approvvigionamento di un sistema per la chirurgia robotica’, con un valore stimato di 4,85 milioni di euro e interamente finanziato dall'RRF, non è stato assegnato alla società sospettata, nonostante la tangente offerta alla persona responsabile dell'ospedale e il fatto che il ministro della Salute abbia ricevuto la promessa di una ricompensa in denaro in cambio di un favore alla società sospettata" – si legge nel comunicato di EPPO, che prosegue – "La persona responsabile dell'ospedale ha rifiutato la tangente offerta e quindi non è stato ottenuto un indebito guadagno finanziario a scapito del bilancio dell’Unione".

Insomma, se il danno al budget comunitario non è avvenuto, è solo perché una persona si è opposta, non per il mancato interesse del ministro.

A rischio i fondi europei alla Croazia?
In seguito alla richiesta del procuratore generale croato, EPPO ha trasferito i propri documenti di indagine a USKOK, ma nel farlo si è rivolta alla Commissione europea esprimendo “preoccupazione riguardo alle violazioni dello stato di diritto in Croazia”.

In “una lettera formale” inviata all’esecutivo europeo, EPPO ha sottolineato “le sfide sistemiche della Croazia nel sostenere lo Stato di diritto” e ha chiamato in causa l'articolo 4 del regolamento (UE) 2020/2092 del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità  per la tutela del bilancio dell'Unione europea.

In altre parole, EPPO chiede a Bruxelles di valutare se sia il caso di sospendere l’erogazione di fondi a Zagabria per salvaguardare il budget comunitario.

Tre sono i punti che preoccupano la procura europea: la designazione del procuratore generale croato come autorità per risolvere i conflitti di giurisdizione, che è “in contrasto con il diritto dell’UE”; il fatto che il procuratore generale, Ivan Turudić, abbia basato la sua decisione “esclusivamente sull'interpretazione di USKOK, senza dare all'EPPO la possibilità di esprimere la propria posizione, minando così l'imparzialità della risoluzione del conflitto”; e infine, il fatto che USKOK non abbia “comunicato la sua indagine su un progetto finanziato dall'UE, violando gli obblighi previsti dal regolamento EPPO”.

Per aggiungere qualche altro elemento di contesto, ricordiamo che Ivan Turudić è stato scelto dal parlamento croato come procuratore generale nel febbraio di quest’anno tra mille polemiche.

Considerato dall’opposizione come vicino all’HDZ, il partito del premier Plenković, Turudić è stato coinvolto prima della sua elezione in uno scandalo intercettazioni che ha mostrato la sua vicinanza a diverse personalità indagate o condannate.

Tra le sue prime dichiarazioni dopo l’elezione, il nuovo procuratore ha puntato il dito proprio contro EPPO, sostenendo che la Croazia “non avrebbe dovuto adottare quell’istituzione” e che “molti paesi non ce l’hanno”.

Ad oggi, però, solo tre paesi dell’Unione Europea non hanno aderito alla cooperazione rafforzata che prevede la procura europea: Danimarca, Ungheria e Irlanda.

“Insoddisfatto, deluso e arrabbiato”
Di ritorno a Zagabria, infuria la polemica politica. Vili Beroš è il secondo ministro di un governo Plenković  ad essere arrestato mentre ancora in carica. La stampa croata  accusa il procuratore generale Turudić di aver mentito a EPPO pur di appropriarsi dell’indagine in corso, mentre il presidente Zoran Milanović  (socialdemocratico) sostiene che la Croazia, agendo così, sta dimostrando di non essere in grado di risolvere da sola il problema della corruzione.

“La gente guarda oggi a EPPO nel modo in cui dovrebbe in realtà guardare a USKOK”, ha commentato l’editorialista politico Tomislav Klauški  , secondo cui “è ora chiaro perché Plenković ha insistito tanto per avere Turudić al posto di procuratore generale”.

Dal canto suo, il premier – in sella da otto anni nonostante le decine di scandali – ha tentato l’ennesimo slalom.

“Sono insoddisfatto, deluso e arrabbiato, e lo sareste anche voi se foste al mio posto. Proprio per questo, è stata convocata questa conferenza stampa. Ma siamo tutti convinti che si tratti di un caso limitato ad un individuo e sulle cui decisioni, a quanto ho capito, noi come governo non abbiamo mai avuto alcuna influenza”, ha detto Plenković durante la conferenza stampa  del 15 novembre.

Come i precedenti trenta ministri beccati con le mani nel sacco, anche Beroš sarebbe una mela marcia, un caso isolato, del cui comportamento il governo non sapeva nulla.

Nei confronti dell’ex ministro, il premier si è peraltro mostrato piuttosto benevolo. Prima di lasciare il suo ufficio, Vili Beroš (che sarà presto rimesso in libertà  ) ha fatto domanda di poter usufruire della formula “6+6”  , ovvero, invece di far valere il diritto di ritrovare il suo posto di lavoro all’ospedale pubblico KBC Sestre milosrdnice dove era impiegato prima di entrare nella squadra di Plenković.

Beroš ha chiesto di continuare a ricevere lo stipendio di ministro e vicepremier per altri 12 mesi: i primi sei al 100% (4700 euro) e i successivi sei al 50%. Il governo ha approvato la richiesta e il tutto suona come una curiosa ricompensa.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #574 il: Novembre 29, 2024, 00:03:07 am »
Magnifico, andiamo in Croazia dove è pieno di donne belle e lussuriose, ma anche "colte e intelligenti", che arrivano, te la smollano senza chiedere nulla (che so, cittadinanza, tariffa a ore) e rimangono a disposizione per futuri pruriti.
Proprio ora su un forum c'è un utente che sostiene in modo saccente che le serbe sono più lascive di Salomè, ma "non gli interessa per nulla venire in Italia". Tuttavia, alla domanda "quindi sono gratis e a volontà?" non ha saputo rispondere
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #575 il: Novembre 29, 2024, 22:51:05 pm »
Non solo le serbe sono gratis ma ti pagano pure per farsi trombare.
Anche se si tratta di gnocche, perché loro "son generose"...
Eehhh... le femmine dell'est son veramente eccezionali.

... :muro:

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #576 il: Novembre 30, 2024, 03:36:24 am »
Noi patrioti all'amatriciana che ci sbattiamo sui forum, mentre gli asini vanno al Paese dei Balocchi con 1 ora di aereo
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Offline Jason

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #577 il: Novembre 30, 2024, 12:54:07 pm »
Non vedo commenti su GD dove dicono che le croate ti pagano per farsi portare a letto . Comunque gente che c'è stata mi dice che sono abbastanza tranquille , c'è di meglio e c'è di peggio .
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #578 il: Novembre 30, 2024, 16:31:20 pm »
Ho ironizzato sulle serbe non sulle croate... e comunque sempre di femmine dell'est si tratta, che solo i fessi possono ritenere "gratis".


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c'è di meglio e c'è di peggio .

Non hai mai avuto a che fare con quelle dell'est, vero?
Diciamo pure che c'è di meglio...

Offline Jason

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #579 il: Novembre 30, 2024, 17:25:39 pm »
Peggio di quelle dell'est sono le inglesi e in generale le nordeuropee. Meglio di quelle dell'est ve ne sono tante, e tante .
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

Online fabriziopiludu

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #580 il: Dicembre 01, 2024, 00:33:15 am »


 In Slovenia, sono le WHOREHOUSES.
 In Svezia, han fatto sparire la Prostituzione dal Centro di Stoccolma.

Online fabriziopiludu

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #581 il: Dicembre 01, 2024, 06:07:13 am »

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #582 il: Marzo 22, 2025, 13:59:19 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Il-nostro-Praja-235909

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Il nostro Praja

Ha fatto il giro del mondo, sabato 25 gennaio, la notizia della morte di Dražen Dalipagić Praja, uno dei migliori giocatori di pallacanestro jugoslavi e mondiali di tutti i tempi. Un ricordo a firma di Božidar Stanišić

30/01/2025 -  Božidar Stanišić


Se n’è andato per sempre. Il nostro Praja. Tutti noi che ancora ricordiamo la Jugoslavia e una delle sue meraviglie, la pallacanestro, siamo rimasti colpiti dalla triste notizia arrivata da Belgrado.

Mentre scrivo queste righe, si sta concludendo la cerimonia organizzata nel palazzo del municipio di Belgrado per rendere omaggio a Praja. Oltre ai membri della sua famiglia, erano presenti anche i suoi compagni di squadra dell’ormai mitica generazione del basket jugoslavo – Slavnić, Kićanović, Radovanović, Jerkov, Todorić – e tanti altri atleti.

Ai presenti si è rivolto Andrea Fadini, manager e amico di Praja. “Dalipagić ha lasciato un segno profondo in Italia. La notizia della sua scomparsa ha profondamente scosso tutti gli appassionati di basket...”.

L’allenatore Duško Vujošević ha affermato che Praja “era un grande jugoslavo, non lo ha mai nascosto, ha sofferto molto per quanto accaduto nel paese. Ha dimostrato quanto amasse la Jugoslavia lasciando Boston per non perdere il diritto di giocare per la nazionale [jugoslava].”.

Immagino già una monografia sulla vita e la carriera sportiva di Dražen Dalipagić, nato a Mostar nel 1951. Un libro in cui i giovani giocatori e gli appassionati di pallacanestro troveranno tutti i fatti importanti che hanno segnato il percorso sportivo di Praja, la sua decisione, piuttosto tardiva, di dedicarsi definitivamente al basket (da giovane sognava di giocare per la squadra di calcio Velež, appassionandosi anche alla pallamano) e la sua parabola fulminante – dagli esordi nella Lokomotiva di Mostar negli anni ‘60, alla Crvena Zvezda di Belgrado dove ha concluso la sua carriera da giocatore, passando per il lungo periodo trascorso nel Partizan di Belgrado, poi nei club italiani (Venezia, Udine, Verona) e nel Real Madrid negli anni ‘80.

Jugobasket

Un libro che ripercorre il panorama del basket jugoslavo, e quindi nomina anche Praja tra i tanti altri, è uscito nel 2024 con Bottega Errante Edizioni: "Jugobasket", di Alessandro Toso.

Nel libro verranno riportati meticolosamente tutti i suoi successi – le medaglie vinte con il Partizan, e soprattutto con la nazionale jugoslava: nelle dodici grandi competizioni (1973-1984) Praja e i suoi compagni di squadra hanno vinto altrettante medaglie, di cui cinque d’oro.

Naturalmente, il libro fornirà anche resoconti dettagliati delle partite più importanti ed emozionanti, dalla finale alle Olimpiadi di Montreal del 1976, quando la Jugoslavia vinse l’argento nel duello con gli americani, alla medaglia d’oro ai Mondiali di basket a Manila nel 1978, dove il grande Gomeljski, tecnico della nazionale russa, sconfitta dagli jugoslavi, definì Dalipagić “il miglior giocatore al mondo, non solo tra i dilettanti”, passando per l’oro vinto alle Olimpiadi di Mosca del 1980 e il bronzo a quelle di Los Angeles quattro anni più tardi.

Un periodo in cui la nazionale jugoslava divenne campione indiscusso del basket europeo. Praja fu ufficialmente confermato il miglior cestista in Europa nel 1977, 1978 e 1980, e il miglior atleta in Jugoslavia nel 1978 (prima di lui, gli unici giocatori di pallacanestro jugoslavi a ottenere questo riconoscimento furono Radivoje Korać nel 1960 e Ivo Daneu nel 1967).

Nella nostra monografia, ovviamente, troverà posto anche l’impietosa statistica del periodo precedente all’introduzione del tiro da tre punti. Nel corso della sua carriera Praja ha giocato 844 partite segnando 21.110 punti (25 a partita): con il Partizan 8.278 punti in 305 partite (media 27); alla Coppa dei Campioni del 1982, nella partita contro la Pallacanestro Cantù (campione europeo di quell’anno) – 55 punti; con la Bosna di Sarajevo nella finale della Coppa Radivoje Korać nel 1978 – 50 punti. Ha raggiunto la media più alta nella storia del campionato italiano (33 punti), segnando in totale 7.993 punti in 241 partite; per ben tre volte è stato il miglior marcatore della Lega basket serie A (superando Oscar Schmidt), due volte il migliore nella serie B. Detiene il record per aver segnato 1.417 punti in una stagione italiana (1987-88). In Italia, dove in ben quindici partite ha segnato più di cinquanta punti, si ricorda ancora la partita in cui Praja ha rifilato 70 punti alla Dietor Bologna.


Nel libro troverete anche alcuni dati che parlano della popolarità di Praja in Italia. Basta sfogliare i quotidiani più letti, non solo quelli sportivi. In questi giorni in molti hanno reagito alla triste notizia arrivata da Belgrado, ricordando anche che Dražen Dalipagić Praja è membro sia della Hall of Fame di Springfield (dal 2005) sia di quella della FIBA (dal 2007).

La storia, ovviamente, non finirà qui. Il libro darà voce ai numerosi compagni di squadra, allenatori ed esperti di pallacanestro che parleranno di Praja. Tutti evidenzieranno, ne sono certo, che Praja ha introdotto le qualità del gioco americano nel basket jugoslavo: la capacità di concentrazione, il salto in attacco, la stabilità e la tenacia fisica. Qualità a cui si aggiunge l’immaginazione, elemento senza il quale Praja non sarebbe diventato uno dei miglior giocatori al mondo. Anche con l’aiuto dei suoi compagni di squadra, tutti visionari.

Cosa potrei aggiungere a tutto questo da dilettante, semplice appassionato di basket?

Che le strade delle nostre città, in tutta la Jugoslavia, erano quasi deserte quando si giocavano le partite più importanti delle squadre locali e internazionali? Che nel complesso di Skenderija a Sarajevo, quando giocavano la Bosna e il Partizan, non c’era spazio per infilare un uovo tra il pubblico? Che non c’era un cortile, parco e garage senza un canestro e che i bambini che si davano dei soprannomi: Praja, Kićo (Kićanović), Kindže (Delibašić), Krešo (Ćosić), Moka (Slavnić), Varaja (Varajić)? Che nello sport l’entusiasmo, la creatività e la fantasia valevano più del denaro e del prestigio? Che sui volti dei giocatori, dopo aver segnato un punto, anziché le smorfie, comparivano sorrisi semplici e naturali? (Un’altra osservazione, da dilettante: ricordo che Praja, subito dopo aver tirato verso canestro, sicuro di segnare, tornava spesso in difesa).

E che tifavamo per la Jugoslavia – la nazionale dei visionari del basket? Tifavamo per la squadra, ma anche per il nostro paese.

Anche Praja era uno dei nostri. Un vero jugoslavo. Per molti di noi è rimasto “il nostro Praja”. Un’icona dello sport, una personalità che ci ricorda che nella pallacanestro, come in ogni cosa, prima di tutto bisogna essere umani, compagni e amici. È un messaggio sempre attuale: lo sport, come la società, deve avere i suoi principi valoriali.

Concludo con le parole di un ammiratore di Dražen Dalipagić: “Un saluto al volatore celeste”.


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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #583 il: Marzo 22, 2025, 14:13:16 pm »
Il pugilato non è stato la mia disciplina sportiva preferita (ovviamente lo è stato il judo, ed anche altre arti marziali); ma lo è stato per mio padre e mio nonno paterno, che fra i loro eroi sportivi includevano proprio George Foreman,* campione olimpico nel 1968, nonché campione del mondo dei pesi massimi per due volte.
Unico uomo nella storia capace di riconquistare il titolo dei massimi alla non più verde età di 45 anni.


https://www.rainews.it/video/2025/03/addio-a-george-foreman-lomaggio-social-di-mike-tyson-e-magic-johnson-8526405a-d0c1-4283-b85f-52916b1cd899.html
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Addio a George Foreman. L'omaggio social di Mike Tyson e Magic Johnson
La morte dell'ex campione dei pesi massimi, storico avversario di Muhammad Ali nel Rumble in the Jungle, storico incontro di pugilato, disputato il 30 ottobre 1974
 06:34 Reuters

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Mike Tyson: “Le mie condoglianze alla famiglia di George Foreman. Il suo contributo alla boxe e oltre non sarà mai dimenticato”.

Magic Johnson: “Sono stato davvero triste nell'apprendere la notizia della scomparsa di uno dei miei eroi della boxe, George Foreman. Ho assistito a così tanti incontri di campionato di George nel corso della sua carriera. Era un artista del knockout sul ring, ed è stato un piacere conoscerlo non solo come pugile ma anche come uomo. Dopo aver lasciato il ring, si è trasformato in un incredibile uomo d'affari: ho persino comprato uno dei suoi primi barbecue! Cookie e io pregheremo per la sua famiglia in questo periodo”.

Scottie Pippen: “Riposa in pace, George Foreman. La tua eredità vive, campione”.

Robert Griffin III: "Riposa in pace il LEGGENDARIO George Foreman, scomparso a 76 anni. Più di un semplice campione del mondo di pugilato dei pesi massimi, medaglia d'oro olimpica e creatore di George Foreman Grill. Era un uomo di Dio, un predicatore e l'incarnazione del potere. Preghiere per Big George e la sua famiglia".

Jake Paul: "Riposa in pace George Foreman e condoglianze a tutta la sua famiglia. Ha fatto grandi cose dentro e fuori dal ring. Grande George per sempre il più grande".











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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #584 il: Marzo 22, 2025, 14:38:28 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Italia/Migranti-e-cittadinanza-dati-e-riflessioni-con-vista-su-Centocelle-236863

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Migranti e cittadinanza: dati e riflessioni con vista su Centocelle

Una riflessione sul ruolo dell’immigrazione nella società italiana e sull’importanza di una cittadinanza inclusiva e interculturale, con uno sguardo sul quartiere romano di Centocelle

21/03/2025 -  Sielke Kelner

Il mio idraulico di fiducia si chiama Gheorghe. Io lo chiamo Gică, perché è il nomignolo che portava uno zio al quale ero affezionata, e perché mi ricorda un ben più famoso Gheorghe, il cantautore romeno Gică Petrescu, che con leggerezza metteva in versi fatalismo balcanico e debolezze dell’animo umano, canzoni nelle quali si ritrovano ritratti di una Bucarest del secolo scorso.

Ma siamo a Centocelle e Gheorghe è per tutti Gigi, è così che si presenta. Gigi è sulla cinquantina, alto, ha capelli ricci e ogni volta che lo incontro al collo porta un fazzoletto colorato che gli dona un fascino à la John Wayne. Gigi, originario di Vrancea, distretto della regione moldava della Romania, è l’idraulico di fiducia di tutto il quartiere. Gigi non è solo un mago dell’idraulica: fissa scope rotanti al muro, rimbianca, sistema maldestri assembramenti dei mobili della famosa catena svedese. Gigi è richiestissimo, perché Gigi gets the job done.

La dedizione di Gigi per la sua professione, la sua etica del lavoro, è quella degli immigrati di tutto il mondo. Lavorare duro, lavorare sempre. Basta guardarsi intorno. La dedizione di Gigi è la stessa di Bibo, il fioraio egiziano che ha rilevato il negozio lo scorso agosto. Di Luis, il calzolaio del quartiere, originario del Venezuela. Di Marta, proprietaria della sartoria e tintoria, venuta in Italia dal Messico e della famiglia cinese che gestisce il negozio con punto di ritiro pacchi aperto 7 giorni su 7.

Lo spiraglio sulla composizione interculturale e sul collocamento settoriale dei residenti del mio quartiere conferma i dati forniti dal 30° Rapporto sulle migrazioni dalla Fondazione ISMU  (Iniziativa e Studi sulla Multietnicità). Dall’analisi dei dati sull'impiego, risulta che il settore con la più elevata incidenza della popolazione migrante in Italia rimane quello dei servizi personali e collettivi (31,6%); a seguire il settore dell’agricoltura (17,7%), ristorazione e turismo (17,3%), costruzioni (15,6%).

Offrendo servizi trascurati dall’assistenza pubblica-sociale, eppure imprescindibili, come i servizi dedicati alla cura della persona, rivitalizzando settori trascurati del piccolo artigianato, e avviando attività commerciali a conduzione famigliare, i migranti costituiscono una componente fondamentale dell’economia quotidiana. Con la loro intraprendenza imprenditoriale e le loro competenze questi lavoratori non solo migliorano il loro tenore di vita, essi rafforzano l’economia del paese, a beneficio di tutta la comunità. Insomma, Immigrants, get the job done.

Ma quanti immigrati?
Un paio di settimane fa su un affollato 14 che da Centocelle si muoveva verso il Pigneto, ad un alterco tra giovani ragazzi immigrati è seguito un monologo sconclusionato di un vecchio italiano che spiegava al passeggero che gli sedeva di fronte, come avessimo rovinato il paese. 30 milioni siete, avete trasformato l’Italia in una cloaca, diceva rivolgendosi al pubblico dell’Atac. Il ragazzo che gli sedeva di fronte, e noi tutti, siamo rimasti in silenzio, nonostante sia lui, sia la maggioranza di noi fosse direttamente chiamata in causa, nonostante le nostre facce, il nostro vissuto fossero espressione dell'interculturalità del paese, quella che il vecchio stava insultando.

Sarà anche stato fuori di senno, la capitale non è una città gentile con chi vive ai margini. Eppure, dati di migrazioni iperboliche causa di tutti i mali caratterizzano il discorso pubblico italiano sull’immigrazione, che negli ultimi anni ha assunto toni sempre più marcatamente xenofobi.

Il Barometro dell’odio 2022  redatto da Amnesty International Italia ha confermato il trend degli ultimi anni, durante i quali abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a tornate elettorali in cui il tema della mobilità viene associato ad affermazioni discriminatorie e deumanizzanti dirette a generare odio verso migranti e persone con background migratorio.

Analizzando i contenuti social pubblicati dai politici, dal report di Amnesty emerge che durante le ultime elezioni politiche italiane, il 53% dei contenuti social ritenuti problematici si siano focalizzati sui temi della migrazione. Nel 29% dei casi si tratta, senza preamboli, di hate speech, discorsi di odio associati a temi della migrazione. Non a caso, anche il recente rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza  , ha rilevato dinamiche di antagonizzazione delle minoranze, categoria che comprende rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché dei cittadini italiani con background migratorio.

Il processo di deumanizzazione dello straniero, del migrante, del rifugiato, era stato descritto in termini più lirici ma altrettanto efficaci, dal premio Pulitzer Viet Thanh Nguyen, il quale ha scritto della condizione del rifugiato sia nei suoi romanzi sia in diversi saggi. Thanh Nguyen suggerisce che agli occhi di chi accoglie, i rifugiati vengono caratterizzati da estraneità. Visti come “uno stereotipo, una battuta o un orrore” (“a stereotype, a joke, or a horror”) vengono de-umanizzati.

Deumanizzandoli, non si può simpatizzare per loro, e non ci si può identificare, rendendoli o invisibili, da ignorare, o troppo visibili, da temere. Questa pratica, purtroppo diventata paradigma comune nel discorso pubblico dei partiti sovranisti europei, esibisce un sottotesto che si rifà ad argomentazioni di carattere etnico e razziale, e rivela l’inquietudine di chi crede che la propria sopravvivenza sia dettata dalla conservazione dello status quo. In fondo, la deumanizzazione dell’altro rivela una profonda insicurezza del proprio sé, che riesce ad affermarsi solo antagonizzando l’altro.

Che poi i fattori della migrazione sono universali e accomunano anche gli italiani, tradizionalmente popolo di migranti. Infatti, sebbene la spinta alla migrazione sia un’esperienza soggettiva, essa è riconducibile a fattori comuni che si contano sulle dita d'una mano  : le conseguenze della colonizzazione europea dei secoli passati, degli interventi militari delle grandi potenze nel passato più recente, degli effetti catastrofici del cambiamento climatico, come anche delle profonde disuguaglianze economiche. La mancanza di una mobilità sociale si riflette nelle storie degli emigrati italiani, sia del passato che del presente  .

Quanti sono, quindi, questi immigrati in Italia? Secondo i dati Istat, l’Italia è cominciata ad essere destinazione della mobilità internazionale nel 1973. Delfina Licata  , sociologa delle migrazioni presso la Fondazione Migrantes (fondazione che cura sia il Rapporto Immigrazione   sia il Rapporto Italiani nel Mondo  ), scrive: “Sono quasi cinquant’anni, quindi, che l’Italia si confronta quotidianamente con l’immigrazione, ma c’è chi ancora la rifiuta, come se si potessero realmente rispedire a casa ciascuno dei circa 5,1 milioni di immigrati residenti regolarmente, c’è chi ancora ne parla come un elemento che è arrivato ma che è destinato a passare prima o poi”.

I dati menzionati da Licata sono confermati dall’ultimo rapporto ISMU, che si rifà ai dati del censimento del 2021: 5 milioni e 30mila persone, ovvero l’8,5% della popolazione italiana. Di questi, 853 mila non sono affatto immigrati, ma cittadini stranieri nati in Italia.

Quale cittadinanza
Vien incontro ancora la sociologa Delfina Licata, la quale ci ridà una concezione organica di cittadinanza, intesa non come un dato immobile, fondato su elementi certi ed immodificabili, ma intesa come un processo progressivo e dinamico: “L’Italia è interculturale, ma perde tempo da troppi anni a discutere di quanto sia giusto riformulare una legge sulla cittadinanza desueta, impantanata nel passato di un’Italia che non esiste più, quella che ha dato tanti nuovi cittadini ad altri paesi europei, come al Belgio, ma anche alla Francia, alla Germania, o alla Svizzera per restare nella sola Europa.”

Del resto, il rapporto ISMU 2024  rivela che nell’intervallo 2011-2023 si sono registrate in Italia complessivamente un milione e 700mila acquisizioni di cittadinanza. Eppure l’ondata più recente di acquisizione di cittadinanza non riguarda chi è nato in Italia da genitori stranieri o chi è cresciuto in Italia, ma le acquisizioni per ius sanguinis, richieste di cittadinanza inoltrate dai discendenti di cittadini italiani che nei precedenti decenni sono emigrati, come nel caso del presidente argentino Javier Milei. ISMU registra che negli ultimi anni il fenomeno dell’acquisizione italiana per discendenza ha registrato una crescita straordinaria: +160% tra il 2021 e il 2022 e +30% tra il 2022 e 2023.

Nel corso degli ultimi 30 anni sono state presentate oltre cento proposte di legge nel tentativo di riformare la legge del 1992  che regola la concessione della cittadinanza italiana. Escludendo le naturalizzazioni e l’acquisizione per matrimonio, la cittadinanza italiana è concessa a chi, essendo nato in un paese straniero extra-UE ne fa domanda dopo aver trascorso legalmente ed ininterrottamente 10 anni sul territorio italiano. Oppure, a chi nasce in Italia da genitori stranieri, risiede ininterrottamente sul territorio italiano per 18 anni, e fa domanda entro un anno dal compimento dei 18 anni.

La decisione della Corte Costituzionale dello scorso gennaio che ha dichiarato l’ammissibilità del referendum abrogativo promosso da Più Europa con il sostegno di più di 70 realtà della società civile italiana, e che mira a ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza, dà uno spiraglio di luce per il quasi milione di giovani nati e cresciuti in Italia che rimango esclusi dalla cittadinanza.

Un primo passo necessario che con il raggiungimento del quorum si spera possa avviare un dibattito su una più ambiziosa riforma della legge sulla cittadinanza. Del resto, il breve lasso di tempo nel quale i promotori dell’iniziativa referendaria hanno raccolto le firme necessarie, è sintomo che almeno una parte della cittadinanza è sensibile al tema, in grado di concepire il fenomeno della mobilità umana al di là delle considerazioni economiche, e di superare l’esaltazione dei lavoratori migranti come mera forza lavoro. Ed è sintomo che è giunto il tempo di una riflessione sul ruolo che le diverse comunità di migranti e dei loro figli e figlie hanno nella costruzione del paese.

Epilogo
Poche opere contemporanee riescono ad arrivare trasversalmente ad un largo pubblico parlando di esperienza migratoria. Il singolo del 2017 “Immigrants, We get the Job done  ” è una di queste rare eccezioni.

Al di là delle critiche che negli ultimi anni hanno investito il concetto ribadito dal musical da cui il singolo prende ispirazione, Hamilton: An American Musical  —ovvero l'idea di una nazione statunitense fondata dagli immigrati, a scapito di una narrazione più accurata che evidenzia il colonialismo di insediamento e l’oppressione delle popolazioni indigene  —il singolo resta un inno all’esperienza migratoria.

Con un ritmo serrato, tipico dell’hip hop, il singolo mette in scena l'epopea del migrante: dalle molte motivazioni che spingono alla partenza (Buckingham Palace or Capitol Hill/Blood of my ancestors had that all built), alle difficoltà lungo il percorso migratorio (Tenemos más trucos que la policía secreta/Metimos la casa completa en una maleta), alla fatica di affermarsi in un paese che non è il proprio (I got one job, two job, three when I need them/I got five roommates in this one studio, but I never really see them). Il tutto attraverso quattro artisti che magistralmente attraversano metaforicamente le barriere linguistiche tra l’inglese e lo spagnolo.

La lirica di Immigrants, we get the job done pretende una riflessione sul ruolo che i migranti hanno nell’odierna costruzione del paese. Una riflessione che oggi risulta ancora più necessaria, non solo negli Stati Uniti.

Potrà suonare come un paradosso pretendere una riflessione sulle politiche migratorie, di concessione della cittadinanza e sulla concezione stessa della nostra società in un momento di crisi dei valori di inclusività e dei diritti umani, come quello che stiamo attraversando. Eppure, non c’è momento migliore per riaffermare la nostra solidarietà con chi è parte integrante della nostra società ma non né può godere pienamente dei diritti. Riconoscere che la partecipazione attiva dei migranti e di chi ha un retroterra migratorio all'economia, al benessere sociale e al dinamismo culturale dell'Italia è fondamentale.

È certamente un buon momento per ribadire che la società che vogliamo è una comunità di cittadini in cui le differenze non siano solo tollerate ma accolte, differenze intese come parte integrante dei nostri valori culturali, sociali, economici e politici, specchio di una società interculturale  , perché la mobilità umana ci ha reso il paese e il continente che siamo, dalla notte dei tempi (di Neanderthal  ).

Del resto il mito fondativo del nostro paese affonda le radici in un'antica narrazione che si richiama alle gesta di Enea, tradizionalmente descritto come uno straniero, un viaggiatore—o, con termini moderni, un migrante, un immigrato. In fuga dalla città di Troia in fiamme, giunse da profugo sulle coste laziali, in cerca di salvezza per sé stesso, per il padre anziano e per il figlioletto. Non è difficile immaginare una trasposizione contemporanea del mito di Enea in cui, a qualche anno dall’approdo, lo si senta recitare: Look how far I’ve come / Immigrants, we get the job done.