Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 87834 volte)

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Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #585 il: Marzo 22, 2025, 17:31:12 pm »
Continuano a farci tirate
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #586 il: Marzo 22, 2025, 18:37:37 pm »
Lo so.
Le loro fregnacce le posto a futura memoria.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #587 il: Marzo 25, 2025, 22:56:59 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Il-nostro-Praja-235909
Grandissimo Praja, riposa in pace.
Tutti evidenzieranno, ne sono certo, che Praja ha introdotto le qualità del gioco americano nel basket jugoslavo: la capacità di concentrazione, il salto in attacco, la stabilità e la tenacia fisica. Qualità a cui si aggiunge l’immaginazione, elemento senza il quale Praja non sarebbe diventato uno dei miglior giocatori al mondo.
Io non so chi abbia scritto queste cose ma è evidente che non distingue un pallone a spicchi da un'anguria... concentrazione, saltare e tenacia fisica esistevano anche in Europa e comunque Praja da buon serbo disprezzava gli statunitensi, difatti ha resistito alle munifiche sirene dell'NBA perché detestava il loro basket da circo, essendo persona seria e atleta naturale dal gioco concreto e privo di fronzoli (p.es. non schiacciava quasi mai) a differenza dei pagliacci d'oltre oceano; ma ciò che lo rendeva un campion , a parte la strapotente fisicità naturale e non costruita, era l'intelligenza (cestistica e non) e l'applicazione indefessa sui fondamentali; pensate che, quando nella Reyer faceva coppia con Haywood che da bravo negro non faceva vita da atleta perdendosi dietro alcool, mignotte e quant'altro, Praja invece il 1 gennaio si faceva dare le chiavi del palazzetto dal custode e si metteva a fare esercizio di tiro nonostante avesse una mano mooolto educata; questa si chiama professionalità, rispetto di chi ti paga, cioè i tifosi, e mentalità vincente.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #588 il: Aprile 05, 2025, 16:39:16 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Essere-greci-e-albanesi-allo-stesso-tempo-236747

Citazione
Essere greci e albanesi allo stesso tempo

Nel sud dell'Albania la minoranza greca convive serenamente con la popolazione albanese, nonostante periodiche tensioni alimentate dai rispettivi governi e dalle forze nazionaliste. Con il boom turistico, il vero problema della regione è il capitalismo vorace

03/04/2025 -  Petra Dvořáková
(Questo reportage è stato originariamente pubblicato dalla testata ceca Denik Referendum   nell'ambito di PULSE)

Su una collina fuori dalla città di Himara, nel sud dell'Albania, incontro Alex, 60 anni. Siamo sulla terrazza di un ostello gestito da una gentile coppia di anziani, e da qui si gode di una vista mozzafiato. Le colline verdi e tondeggianti si fondono con le rughe di grigie pareti rocciose. La spiaggia sabbiosa è lambita da un mare limpido e azzurro che sembra uscito dal catalogo di un'agenzia di viaggi. Sono le otto del mattino di sabato, ed è un giorno di sole a Himara, insolitamente caldo per essere la fine di gennaio.

Alex indossa una coppola nera e una felpa sportiva con una massiccia catena d'oro intorno al collo. “Lascia che ti dica una cosa. Questa è una città greca, un’antica città greca. Tutti i nomi dei posti sono greci”, dice con voce roca e a malapena udibile, gli occhi fissi insistentemente sui miei mentre con mano tremante accende una sigaretta dopo l'altra.

“Mia figlia ha sposato un uomo ricco, molto ricco. Un miliardario. Lui sostiene che io sono albanese”, continua, socchiudendo gli occhi con un’espressione cupa, come se il pensiero gli pesasse. “Sono per tre quarti greco, per il quindici per cento ebreo, e ho qualche radice bulgara e romena”, ribatte con fermezza.

Sulla terrazza arriva il fratello della proprietaria dell’ostello, che ci saluta allegramente: “Kalimera!”. Alex gli risponde, poi si gira di nuovo verso di me e con un tono un po' trionfante dichiara: “Hai sentito? Kalimera! Qui ci salutiamo in greco”.

La porta di casa si apre, appare con un sorriso la proprietaria dell’ostello e si presenta con una sola parola: “Jaja”, che in greco significa “nonna”. “Jaja Turkish coffee for you?”: mi chiede se voglio un caffè. “In Turchia non bevono molto caffè, bevono soprattutto tè. Allora perché le offri un caffè turco? Offrile piuttosto un caffè greco!” la ammonisce con un sorriso Alex.

I greci sono la più grande minoranza etnica in Albania. Secondo gli ultimi dati ufficiali, che risalgono al censimento del 2011, nel paese vivono venticinquemila greci. “Secondo la Grecia, però, sono molti di più. È tutta politica dei numeri. L'Albania vuole che ne risultino di meno, la Grecia che ne risultino di più”, osserva Kriton Kuci, ricercatore ed esperto di nazionalismo balcanico presso l'Università mediterranea dell'Albania.

La Grecia infatti considera di etnia greca chiunque abbia almeno un nonno greco. L'Albania, invece, da tempo minaccia di multare chiunque nel censimento indichi un'etnia diversa da quella riportata sul certificato di nascita – nonostante il fatto che fino al 1990 la dittatura stalinista che opprimeva il paese riconosceva l’esistenza di un'etnia greca solo in “zone minoritarie” ben definite intorno alle città di Argirocastro e Saranda.

Ondate di tensioni
Accetto l'invito di Alex per un caffè pomeridiano. Apre la porta della sua villa senza dire una parola. Mi fa cenno di togliermi le scarpe e indica una sedia di plastica grigia davanti al camino.

“Cosa vuoi bere?”, sussurra.

“Un caffè?”, rispondo a bassa voce, supponendo che qualcuno stia dormendo nella stanza accanto.

“Alcol?”, offre.

“Una birra?”, sussurro.

“Non preferiresti qualcosa tipo vodka?”, risponde – come se dopo una settimana in Albania non sapessi che cos'è la rakia.

Mi porta un bicchierino di liquido trasparente e un piatto di olive e formaggio alle erbe, spiegando che parla a bassa voce per via della malattia. La sua testa oscilla su e giù come un giocattolo a molla.

Gli chiedo come fosse vivere a Himara da greco sotto il comunismo. I suoi occhi si incupiscono e si aggrottano di nuovo. Con il dorso della mano mima un gesto come se si tagliasse la gola. “Non potevamo nemmeno parlare greco. Non ho potuto neanche dare a mia figlia un nome cristiano ortodosso, ho dovuto darle un nome turco”, risponde infine. “Solo dopo la caduta del regime ha potuto rinominarla Christina.”

Sebbene con la caduta del regime stalinista i greci in Albania abbiano ottenuto il diritto di parlare la loro lingua in pubblico e di celebrare le loro tradizioni, negli anni Novanta le relazioni greco-albanesi sono state caratterizzate da ostilità e sospetto reciproci.

Per rappresentare gli interessi della minoranza greca nel paese, nel 1991 fu fondata l'organizzazione OMONOIA, che ottenne cinque seggi in Parlamento alle prime elezioni libere. L’anno seguente, tuttavia, la sua partecipazione a ulteriori elezioni venne vietata, poiché la legge albanese vieta la formazione di partiti politici su base etnica, regionale o religiosa.

Due anni dopo, l'Albania arrestò sei membri dell'organizzazione, accusandoli di voler annettere il territorio alla Grecia e di detenere armi illegalmente. In risposta, la Grecia congelò tutti gli aiuti dell’Unione europea destinati all’Albania ed espulse oltre centomila albanesi privi di visto. Alla fine, sotto la pressione internazionale, l'Albania rilasciò i prigionieri di OMONOIA.

Nel 2023, dopo due decenni di relativa calma, l'arresto del candidato sindaco di Himara, il greco etnico Fredi Beleri, ha scatenato di nuovo un acceso clamore diplomatico e mediatico. Due giorni prima del voto un agente di polizia sotto copertura gli aveva offerto voti in cambio di denaro; Beleri vinse le elezioni nonostante fosse già in carcere. In violazione della legge albanese, non venne però rilasciato per poter prestare giuramento e assumere ufficialmente l’incarico.

La Grecia definì la condanna di Beleri un processo politico e una prova del persistente mancato rispetto dei diritti della minoranza greca. Nel novembre dello stesso anno, Atene rifiutò di sostenere una lettera che invitava la Commissione europea ad aprire il primo capitolo dei negoziati di adesione dell'Albania all'UE.

Nel giugno 2024, Beleri riuscì comunque a candidarsi con successo al Parlamento europeo per il partito di destra greco Nuova Democrazia. La sua scarcerazione condizionale nel settembre dello stesso anno contribuì probabilmente all'apertura, lo scorso ottobre, del primo capitolo dei colloqui di adesione tra Albania e UE.

L'estrema destra greca continua a riferirsi al sud dell'Albania, tradizionale territorio di insediamento della minoranza greca, come all'"Epiro settentrionale", rivendicandone l’appartenenza alla Grecia. Dai titoli dei media, sembrerebbe che l'Albania continui a essere tormentata dal timore di una “grecizzazione” del sud del Paese, e che la Grecia continui a denunciare la repressione della minoranza greca in Albania.

Un lento riconoscimento
Dopo l'incontro pomeridiano con Alex incontro in città Egda, membra della già citata organizzazione OMONOIA. “Siamo felici di far parte dell'Albania. Tuttavia, crediamo che come comunità potremmo esprimere appieno il nostro potenziale solo se ci venissero garantiti il rispetto e il diritto all'autodeterminazione”, sottolinea mentre sorseggiamo il caffè.

Il sole è tramontato da pochi minuti. Alle spalle di Egda la finestra incornicia lo splendido blu cobalto del crepuscolo. Durante la nostra conversazione, Egda giocherella con un metro pieghevole: in inverno lavora come architetta, in estate gestisce una pensione e quest'anno ha deciso di aprire anche un bar, proprio quello in cui ci troviamo ora.

Egda è nata a Himara negli anni Ottanta. Subito dopo la caduta della dittatura, come tanti altri, la sua famiglia si trasferì in Grecia in cerca di una vita migliore. Tredici anni fa, però, Egda è stata l'unica di loro a decidere di “tornare alle sue radici”, alla casa che il nonno aveva acquistato a Himara nel 1930.

“Sono così grata di aver frequentato una scuola greca, dove ho imparato il latino, il greco antico e il francese, dove ho ricevuto un'educazione classica europea”, racconta. Sua figlia – una bambina riccioluta che gioca fuori e ogni tanto discute con Egda se faccia abbastanza freddo per mettersi la giacca o meno – frequenta una scuola elementare greca privata a Himara. Tuttavia, se decidono di restare, a quindici anni non avrà altra scelta che iscriversi a un liceo albanese.

“Il problema è che il programma scolastico albanese non è cambiato molto dai tempi del comunismo. I libri di testo sono pieni di affermazioni su quanto siamo fieri di essere albanesi. Proprio come ai tempi del regime: siamo poveri, ma orgogliosi della nostra nazionalità e dei nostri soldati nelle basi militari”, spiega Egda, esprimendo la sua disapprovazione per il sistema scolastico albanese.

Sua figlia avrebbe diritto a ricevere un'istruzione pubblica in greco se lo Stato riconoscesse Himara come un’area che ospita una minoranza etnica significativa. Il diritto all'autodeterminazione in Albania è stato riconosciuto solo con la legge sulle minoranze nazionali del 2017, varata in parte sotto la pressione dell’UE e della Grecia.

La sua applicazione, però, è iniziata solo quest’anno con l’approvazione di una legge che definisce le regole per il riconoscimento dell'identità minoritaria. I diritti delle minoranze nazionali dovrebbero essere allineati alla legislazione dell’Unione europea entro il 2027.

Essere greci e albanesi allo stesso tempo
A Himara la questione dell'identità etnica greca continua a essere oggetto di un acceso dibattito. “Himara è albanese, non greca”, mi avverte cautamente Adriano, il proprietario dell'ostello in cui alloggio al mio ritorno a Tirana.

Fa "no" col dito in segno di decisa disapprovazione, mentre enumera lentamente gli argomenti che ha imparato, senza mai perdere il sorriso bonario da caro zio. Gli abitanti parlano greco? Anch'io parlo italiano, ma non sono italiano! Hanno nomi greci? Hanno vissuto in Grecia e si sono fatti ribattezzare. Sono di fede ortodossa? Anche alcuni albanesi lo sono.

“Gli storici non concordano sul fatto che i greci di Himara vi risiedano da secoli, come parte di un insediamento storico, o se si tratti piuttosto di albanesi emigrati in Grecia per motivi economici dopo la caduta del comunismo e poi rientrati”, spiega Alba Cela, ricercatrice e responsabile del programma europeo dell'Istituto albanese di studi internazionali.

“Ma l'autodeterminazione è un diritto umano. Non spetta allo Stato determinare la mia identità. Se gli abitanti di Himara si considerano greci, è un loro diritto”, ribadisce il ricercatore Kuci. Cresciuto in una famiglia mista della zona di Argirocastro, parla greco con la madre e albanese con il padre. Non si considera né albanese né greco: per lui, la sua identità è definita dalle sue convinzioni politiche e dall'appartenenza di classe.

“Ma in Albania non troverete molti come me: qui il nazionalismo fa parte del senso comune. E l'identità nazionale albanese è sempre stata definita proprio in contrapposizione ai greci e ai serbi”, aggiunge.

Pochi giorni fa è scomparso l'arcivescovo Anastasios, che negli anni Novanta si era trasferito da Atene a Tirana per risollevare la Chiesa ortodossa albanese dopo la devastazione della dittatura stalinista. Eppure una parte della società continua a contestarne l’identità greca. “Sulle reazioni alla sua morte si potrebbe scrivere una tesi di laurea. In questi giorni sono volati insulti di ogni genere!”, sottolinea Emilio Çika, esperto di relazioni internazionali dell'Università mediterranea dell’Albania.

Çika, anch'egli di etnia greca, proviene da un villaggio vicino a Saranda. “Nel sud abbiamo vissuto insieme agli albanesi per secoli senza alcun problema. Ma nel nord dell'Albania, alcune persone non sembrano capire che si può essere greci e albanesi allo stesso tempo”, osserva.

Terreni coi prezzi alle stelle
A gennaio, a Himara, il sabato sera solo un locale su dieci è aperto. Mancano non solo i turisti, ma anche la gente del posto: molti trascorrono l’inverno dai parenti in Grecia. Non avendo molta scelta, trovo il mio rifugio serale in un bar poco illuminato per motociclisti.

Dal soffitto pendono acchiappasogni e cappelli da cowboy, i massicci tavoli sono sorvegliati da teschi scolpiti nel legno, e al centro della sala campeggiano due moto. Una ballata rock segue un pezzo più energico.

“Questa è una JAVA ceca, ce l’ho da un amico”, indica con orgoglio una delle moto il barista, con la barba e una bandana stretta sulla testa stile pirata. Quando gli faccio una domanda, inizialmente distoglie lo sguardo e rimane in silenzio, come se gli pesasse rispondere a qualcosa di così banale. "Se siamo greci o no, non è poi così importante", sottolinea come prima cosa. Su uno degli schermi televisivi, in quel momento, il primo ministro albanese Edi Rama sta parlando alla nazione.

Il barista guarda prima lui, poi di nuovo me: “Sostiene che le cose stanno andando bene, che abbiamo molti turisti. Ma quanto ci aiutano i turisti? Le patate, i pomodori, la benzina... tutto è sempre più caro. E io devo farti lo scontrino anche per una stupida birra. Non posso nemmeno costruirmi una casa sul mio terreno", si interrompe. "Mentre lì accanto sorgono hotel a cinque stelle, e mentre i cosiddetti investitori strategici non pagano le tasse".

Sulle colline verdeggianti della Riviera albanese, la costa più bella del Paese, cresce sempre più il grigiore del cemento dei futuri resort. I prezzi dei terreni, come dice Çika, "sono alle stelle". E questo in una situazione in cui, a causa del regime passato che vietava la proprietà privata, la maggior parte dei residenti non possiede titoli di proprietà per le loro case. Per via di un sistema di registrazione immobiliare disfunzionale, lo Stato albanese considera ancora oggi molti proprietari di terreni espropriati in passato come semplici utilizzatori.

“Questo significa che sul mio terreno non posso costruire nulla, né trasferirlo o venderlo”, spiega Egda. Non ha nemmeno il titolo di proprietà della casa in cui vive: “È come se fossi un'abusiva”, sorride amaramente. E intanto teme che un giorno arrivi uno straniero che sia riuscito a ottenere in modo fraudolento il titolo di proprietà del suo terreno.

Alcuni cercano di rubare le terre agli abitanti di Himara tramite documenti falsificati che risalgono all'Impero ottomano. Ma soprattutto, sui terreni senza proprietario hanno mano libera i cosiddetti "investitori strategici" – ovvero alleati del governo, che ricevono ogni sorta di sgravio fiscale per via di un operato che il premier Rama dipinge come di pubblico interesse.

"Fanno lo stesso in tutto il paese, anche nel centro di Tirana! Non si tratta del fatto che a Himara vive una minoranza. Si tratta di terreni molto costosi sulla costa, e i veri proprietari non hanno alcun modo di difendersi dall'arroganza di questa banda di ladri con capitale politico", sottolinea il politico e intellettuale di opposizione Endrit Shabani, ricordando che attualmente due ex sindaci di Himara si trovano in carcere per corruzione.

Sotto il giogo del capitalismo clientelare
Nonostante l'ascesa del nazionalismo albanese, soprattutto sui social media, i greci che vivono tra gli albanesi (così come gli albanesi tra i greci, dall'altra parte del confine) conducono un'esistenza pacifica. Greci e albanesi in Albania soffrono soprattutto sotto il giogo di uno spietato capitalismo clientelare, che nel sud è ulteriormente alimentato dalla turistificazione della regione. La vita della zona viene modellata sulle esigenze dei turisti, senza alcun riguardo per i desideri e gli interessi della popolazione locale.

A Himara c'è un solo centro sanitario, con due medici per turno. “E non c'è nemmeno il riscaldamento! I turisti vengono qui attratti dall'idea di un'Albania esotica, ma il nostro sistema sanitario non dovrebbe essere esotico, giusto? Noi che viviamo qui siamo perennemente arrabbiati. E in più dobbiamo recitare tutta l'estate davanti ai turisti di mezzo mondo, che hanno sentito dire che l'Albania è economica e si aspettano qualità a prezzi stracciati!", sbotta Egda. Per qualsiasi cura medica complessa preferisce andare in Grecia.

Anche a causa di un sistema che arricchisce solo una manciata di politici e oligarchi loro alleati, dalla fine degli anni Novanta metà della popolazione albanese ha lasciato il paese – così come almeno due terzi dei greci d'Albania.

“In alcuni villaggi del sud sono rimaste dieci o quindici persone, mentre in Grecia sta crescendo la terza generazione di greci albanesi che non si sente affatto tale. Non hanno alcun motivo per tornare in Albania: alcuni villaggi del sud non hanno nemmeno una strada di accesso e l'acqua corrente scarseggia. Siamo sempre di meno", si rammarica Çika.

L'impressione di una tensione irrisolta tra la popolazione albanese e quella greca è in gran parte alimentata dalle dispute politiche tra i due paesi, che però non riflettono la convivenza pacifica delle due comunità nella vita quotidiana. "I partiti politici, sia in Albania che in Grecia, fomentano questo conflitto in modo artificiale prima delle elezioni, utilizzando narrazioni nazionaliste nelle loro campagne", osserva la giornalista televisiva Esiona Konomi.

Il professor Dimitris Christopoulos, esperto greco di minoranze in Europa, concorda: “La Grecia fa costantemente pressione sull'Albania in nome della minoranza greca. E l'Albania, a sua volta, esercita pressioni sulla minoranza greca, soprattutto perché molti di loro vivono sulla Riviera albanese, una zona importante per il turismo. Più che un classico conflitto bilaterale sui diritti delle minoranze, si tratta di una questione di soldi e del selvaggio capitalismo albanese”.

Secondo lui, la situazione della minoranza greca in Albania riceve più attenzione di quanta ne meriti. "Se entrambi i paesi agissero in modo più razionale e meno nazionalista, non ci sarebbe nulla di cui discutere. Anzi, la minoranza greca in Albania potrebbe diventare un ponte tra le due nazioni".

Alla realizzazione di questo articolo hanno contribuito Erion Gjatolli (OBCT) e Kostas Zaiferopoulos (EfSyn, Grecia).

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #589 il: Aprile 05, 2025, 16:41:55 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/Transeuropa/Appello-a-sostegno-degli-studenti-e-dei-docenti-in-Serbia

Citazione
Appello a sostegno degli studenti e dei docenti in Serbia

In pochissimi giorni ha raggiunto 4.500 firme l'appello della comunità accademica internazionale a sostegno degli studenti e dei docenti che protestano da più di quattro mesi in Serbia. Viene condannato l'uso di intimidazioni, pressioni e diffamazioni oltre all'utilizzo di misure illecite contro i manifestanti, come il cannone sonico durante la protesta del 15 marzo a Belgrado

Un appello della comunità accademica internazionale riguardo agli eventi in Serbia ha raccolto in pochi giorni 4.500 firme di professori e ricercatori universitari. L’elenco include tra gli altri eminenti figure come Thomas Piketty, Nancy Fraser, Slavoj Žižek, Judith Butler, Francis Fukuyama, Maarten Baes, Santiago Gonzalez-Gaitan e il premio Nobel Annie Ernaux. La dichiarazione sottoscritta collettivamente sottolinea una profonda preoccupazione per la recente violenta repressione delle proteste coordinate dagli studenti a Belgrado.

Il testo condanna l’utilizzo di “armi meno letali” e cita numerosi rapporti sull’uso di un potente dispositivo sonico che ha provocato panico di massa e una reazione di fuga tra i dimostranti pacifici sabato sera, causando feriti e grave agitazione. I mass media di tutto il mondo hanno riportato che le autorità serbe potrebbero aver utilizzato armi soniche durante l’osservazione di un momento di silenzio alla protesta di sabato 15 marzo. Questo incidente è stato descritto come una flagrante violazione dei diritti umani fondamentali, inclusi i diritti a riunirsi pacificamente, all’integrità fisica e alla vita.

La comunità accademica globale chiede alle autorità serbe di condurre un’indagine immediata su questi eventi e di perseguire i responsabili che hanno fatto uso misure illecite contro i dimostranti pacifici. Gli accademici di tutto il mondo sono invitati a unirsi nella condanna di queste azioni e a riaffermare un impegno condiviso per i diritti e le libertà umane fondamentali.

L’appello denuncia inoltre l’intimidazione in corso e la campagna di diffamazione contro il rettore dell’Università di Belgrado da parte del regime serbo, in risposta al suo sostegno alle richieste degli studenti.

Le massicce proteste in Serbia sono state innescate dal tragico crollo di una tettoia il primo novembre scorso presso la stazione ferroviaria recentemente ricostruita di Novi Sad, che ha causato 15 decessi. Questo evento è visto come sintomatico di corruzione sistemica, fallimento istituzionale e mancanza di responsabilità. La manifestazione di sabato 15 marzo a Belgrado è stata ampiamente citata come la più grande protesta della storia serba.

L'appello risulta particolarmente importante in questo momento in cui l’intero mondo accademico in Serbia, e in particolare l’Università di Belgrado, è oggetto di forti intimidazioni, discreditazione e pressioni illegali da parte del governo, tra le quali la decisione di non pagare gli stipendi e la richiesta di fare intervenire le forze dell’ordine per mettere fine alle proteste studentesche.

Il testo complete dell’appello e la lista dei firmatari possono essere consultati a questo indirizzo  .

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #590 il: Aprile 05, 2025, 16:44:29 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Balcani-il-controverso-rapporto-tra-gen-Z-e-social-236927

Citazione
Balcani, il controverso rapporto tra gen Z e social

Come descrivere il rapporto tra giovani e social media? Se da un lato è tossico, problematico e pericoloso, è proprio la generazione più giovane ad esplorare nuove strategie di comunicazione e relazione attraverso le piattaforme digitali. Un’analisi del fenomeno nel contesto balcanico

04/04/2025 -  Sara Varcounig Balbi
I social network creano un mondo alternativo, parallelo alla realtà, fatto di post, video e contenuti multimediali. Qui gli utenti si incontrano, scambiano commenti e reazioni reciproche, condividono attimi di quotidianità e accedono a milioni di informazioni. Definiti come “piazze digitali”, i social si presentano così come un reticolo di interazioni diverse.

La “generazione Z”, i giovani di oggi, sono nati e cresciuti con questa tecnologia e - nell'epoca dell’iperconnessione - vivono in un mondo in cui è difficile tracciare il confine tra virtualità e realtà. La facilità con cui usufruiscono di queste piattaforme li avvantaggia ma contemporaneamente ne fanno un uso inconsapevole, sottovalutando i rischi. Questa dualità si riflette nel mondo reale, con effetti ambivalenti.

Dentro la tana del coniglio
L’ultimo report  sulle violazioni digitali del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) mette in luce i pericoli insiti nel mondo virtuale. Oltre al cyberbullismo e al rischio di adescamento online, gli adolescenti sono più vulnerabili anche agli effetti sulla propria salute mentale.

Diversi studi hanno ormai dimostrato l’esistenza di una correlazione con problemi quali ansia e depressione coadiuvata dal meccanismo alla base di queste piattaforme. Per citarne uno  , nel 2023, Amnesty International ha verificato come l’applicazione TikTok tendesse a promuovere contenuti che "incoraggiano" l’autolesionismo o pensieri suicidi per chi fosse già affetto da una situazione di sofferenza mentale.

Sui social network infatti l’algoritmo suggerisce i contenuti in base agli interessi della persona. Quando si mette like ad un post o ad un video la piattaforma registra il dato e lo sfrutta in seguito. In particolare, lo usa nel momento in cui si finisce nella “tana del coniglio”. Il “rabbit hole effect”, si verifica quando, dopo aver selezionato un video, si continua a scrollare per un tempo indefinito per vedere altri contenuti, precipitando in un “Paese delle meraviglie” caotico e virtuale.

Nel caso specifico  esaminato da Amnesty si è notato che, se un adolescente mette like a post o reels che promuovono comportamenti autolesionisti, l’algoritmo proporrà successivamente contenuti simili, con il rischio di aggravare un problema di salute mentale.

Questo vale anche in altri contesti, per esempio, per le “challenge” ovvero le “prove” social, in cui l’utente viene “sfidato” a riproporre il video. Per lo più riguardano coreografie e balletti da fare da soli o in compagnia, ma in alcuni casi diventano virali anche contenuti pericolosi per la vita dei partecipanti. Per esempio, BIRN riporta  come la “blackout challenge” abbia provocato la morte di un bambino anche in Serbia e come, a Bečej e Pančevo, due ragazzini abbiano messo in pericolo la propria vita mentre venivano filmati dagli amici per un video.

Secondo gli analisti del report, gli adolescenti sarebbero spinti a sfide sempre più rischiose per attirare l’attenzione e ottenere l’approvazione dei coetanei. Questo sarebbe aggravato dal clima estremamente competitivo dei social, che premia i contenuti più estremi e nel quale diventa fondamentale ottenere popolarità attraverso i like e un numero elevato di followers.

Divieto o educazione?
Virtuale e reale sono interconnessi. Nel mondo digitale vengono replicati gli stessi rapporti di potere interni alla società e la violenza offline trova risonanza anche online, influenzando anche le generazioni più giovani. Per rendere questo concetto più concreto basta citare qualche caso. In Serbia  , per esempio, un gruppo di tredicenni ha usato l’intelligenza artificiale per “svestire” le proprie compagne di classe e insegnanti, producendo foto e video deepfake che poi hanno condiviso su diverse chat.

In Bosnia Erzegovina, secondo un report  di BIRN, almeno un terzo degli studenti delle scuole superiori è stato vittima di discorsi d’odio online e di discriminazione. Episodi simili sono presenti in tutta la regione, come anche una certa glorificazione della violenza sugli account. Dopo la sparatoria nella scuola di Belgrado nel 2023, a Bihać, in Bosnia, un ragazzo ha condiviso su Instagram un post in cui alludeva ad un possibile massacro alla Scuola di Economia. Spostandosi più a sud, in Albania, a fine 2024 sono comparsi diversi video su TikTok che celebravano l’omicidio di un ragazzo, avvenuto a causa di una diatriba online.

La psicologa Lejla Gabela, del Centro di salute mentale di Sarajevo, sostiene  che la pervasività della violenza sui social network ha delle conseguenze negative sullo sviluppo della personalità e potrebbe incoraggiare i ragazzi a comportarsi in maniera più rischiosa. Nella sua opinione, gli adolescenti fanno fatica a capire la distinzione tra interazioni online e offline. Cercare una soluzione alla crescente proliferazione della violenza digitale è complesso perché investe più fattori e se da un lato servirebbe un meccanismo di responsabilità da parte delle piattaforme social, dall’altro la società dovrebbe farsi carico di questa questione.

Il report di BIRN infatti sottolinea  come nell’area balcanica la legislazione ad hoc sia inadeguata e l’educazione digitale assente. Per citare un dato  , all’interno delle scuole superiori della Bosnia Erzegovina, più della metà degli studenti (52%) non aveva mai sentito parlare del concetto di “diritti digitali”, nonostante la stragrande maggioranza di loro (95%) usi internet principalmente per comunicare sui social. Inoltre, per risolvere il problema, diventa fondamentale una comunicazione aperta in famiglia.

Intervistata  da BIRN a riguardo, Ana Protulipac, psicologa dell’infanzia, pone l’accento sull’importanza del ruolo dei genitori. “Dovrebbero dare l’esempio” spiega “mostrando un uso moderato e consapevole dei social network e discutendone con i propri figli”.

Un approccio diverso è stato invece quello adottato in Albania, dove il primo ministro Edi Rama ha optato per il divieto temporaneo di un anno dell’applicazione TikTok. In seguito agli eventi dello scorso dicembre, Rama aveva dichiarato che il problema non erano i ragazzi, ma la società e le applicazioni come TikTok “che tengono i bambini in ostaggio”, promettendo un blocco provvisorio dell’app di Bytedance.

Pochi giorni fa, la ministra dell’Educazione Ogerta Manastirliu ha confermato  l’entrata in vigore del divieto, dichiarando che la decisione è frutto di un gruppo di lavoro che ha collaborato con le istituzioni responsabili per la protezione e la sicurezza dei bambini nell’ambiente digitale. In risposta, è stata organizzata una manifestazione di protesta. Resta da chiedersi se un approccio così restrittivo possa sul serio risolvere il problema o se invece sposterà la violenza digitale su altre piattaforme.

Social media, luogo di incontro
Ridurre il rapporto tra giovani e social network ad una relazione tossica e problematica sarebbe semplificatorio. La realtà è molto più variegata e complessa di una distinzione tra “buono” e “cattivo”. Come viene sottolineato dal rapporto  sulle violazioni digitali di BIRN, i social media possono essere sia un luogo in cui i giovani esprimono rabbia e violenza, sia un modo per costruire nuove reti di supporto e interazione. Le recenti proteste in Serbia rappresentano un esempio di quest’ultimo caso.

A guidare l’ondata di manifestazioni che sta travolgendo la società serba, a partire dal crollo della stazione di Novi Sad dello scorso novembre, sono soprattutto studenti, quei giovani della generazione Z che sono cresciuti in un mondo digitale. Abituati alla comunicazione sui social network, sono riusciti ad utilizzare queste piattaforme a proprio vantaggio, creando così un sistema di connessioni in grado di aggirare l’influenza governativa sui media tradizionali. Spostandosi sul mondo virtuale, i giovani hanno avuto la possibilità di coinvolgere un maggior numero di persone, creando un dialogo intergenerazionale che unisce le varie città della Serbia.

Non solo. Facebook, Instagram, TikTok e le altre app trascendono i confini nazionali e hanno permesso una diffusione più veloce su scala globale, mobilitando  movimenti di solidarietà in tutta Europa. Per esempio, la pagina Instagram “Studenti_u_blokadi  ”, gruppo autorganizzato di studenti delle università di Belgrado, conta ormai più di 200 mila followers e tiene costantemente aggiornati sull’andamento delle manifestazioni.

Altre iniziative sono arrivate dai cittadini serbi emigrati all’estero, che attraverso i social hanno avuto la possibilità di informarsi quotidianamente su quanto stava accadendo, permettendo una partecipazione “a distanza” e arrivando a creare un “Parlamento della diaspora”, su ispirazione dei plenum studenteschi.

Così, nell’esperienza dei giovani serbi, i social network assumono la funzione originaria di luoghi di incontro, diventando anche strumenti di mobilitazione, di scambio reciproco e recuperando il significato autentico di “piazze digitali”.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #591 il: Aprile 05, 2025, 16:47:12 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-vietato-TikTok-236824

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Albania, vietato TikTok

Il governo albanese ha introdotto un divieto di un anno per TikTok, citando preoccupazioni riguardo all’influenza della piattaforma sui giovani. Una decisione criticata per la mancanza di trasparenza e le conseguenze sulla libertà di espressione, soprattutto in vista delle elezioni parlamentari dell’11 maggio

18/03/2025 -  Erion Gjatolli
Le autorità albanesi hanno imposto il blocco di TikTok in seguito a un tragico episodio verificatosi nel novembre 2024, quando un ragazzo di 14 anni è stato accoltellato e ucciso davanti a una scuola di Tirana. Subito dopo l'aggressione, che avrebbe coinvolto altri due minorenni, alcuni video diffusi in rete mostravano alcuni ragazzi esprimere sostegno per l'omicidio.

Alla sua prima apparizione pubblica dopo l'incidente, il Primo ministro albanese Edi Rama ha sottolineato l'influenza delle piattaforme social sul comportamento dei giovani, citando in particolare il ruolo di TikTok e Snapchat nel fomentare violenza e discorsi d'odio, e annunciando al contempo misure restrittive.

Quest’ultime sono arrivate a marzo, quando il governo ha deciso di vietare l’accesso a TikTok, in seguito a consultazioni con circa 1300 genitori e insegnanti in tutto il paese, in cui il 90% dei partecipanti si è dichiarato favorevole al divieto.

Tuttavia, sia la decisione che il processo di consultazione hanno suscitato diverse preoccupazioni.
La compagnia cinese ha chiesto ulteriori chiarimenti alle autorità albanesi, sottolineando che non ci sono prove che i due studenti coinvolti avessero account su TikTok, e che i video relativi al caso sono apparsi su una piattaforma diversa.

Nonostante la grande popolarità di TikTok in Albania, con 1,53 milioni di utenti over 18 all'inizio del 2024, non ci sono indicazioni che i dati o le statistiche della piattaforma abbiano influito sulla decisione del governo.
Inoltre, le autorità non hanno reso pubblici rapporti o dati dettagliati sulle consultazioni, facendo poca chiarezza riguardo alle basi del divieto.

Diverse organizzazioni hanno liquidato le consultazioni come di pura facciata, sostenendo che non hanno coinvolto attori chiave, come esperti di sicurezza e media, né fornito dati o prove sufficienti a motivare il divieto.

Secondo le autorità, il divieto è condizionato all'adozione da parte di TikTok di misure di sicurezza più rigorose, tra cui la moderazione dei contenuti in lingua albanese. Rimangono ancora dubbi sulle modalità e la durata effettiva dell’attuazione, con alcuni utenti che riferiscono di non avere più accesso all’app, mentre altri non sembrano riscontrare limitazioni.

Tra restrizioni e protezione, i rischi per la libertà di espressione
Il divieto di TikTok ha suscitato un acceso dibattito in Albania su come bilanciare le misure di protezione con la salvaguardia dei diritti e della libertà di espressione.

Pur riconoscendo i rischi posti dai social media, SafeJournalists Network (SJN), i partner del Media Freedom Rapid Response (MFRR) e diverse organizzazioni della società civile hanno espresso grave preoccupazione per la decisione del governo albanese, sostenendo  che “la sospensione totale di una piattaforma supera significativamente il principio di proporzionalità, limitando la legittima possibilità di espressione di tutti gli utenti, il dibattito pubblico e l'accesso a fonti di informazione diverse.”

Anche l'Associazione dei Giornalisti d'Albania (AJA) ha criticato la mossa, parlando di un pericoloso precedente che mira a limitare la libertà di espressione attraverso la censura digitale. "Limitare l’accesso alle piattaforme senza affrontare le cause alla radice dei danni online non è la soluzione", ha dichiarato l'AJA, annunciando che porterà il caso davanti alla Corte Costituzionale.
Osman Stafa, giornalista e membro del consiglio dell'AJA, ha dichiarato a OBCT che misure così drastiche difficilmente risolveranno il problema più ampio della violenza o dell'incitamento all'odio. "Qualsiasi forma di censura sui social network danneggia gravemente la libertà di espressione, soprattutto per piattaforme come TikTok, che grazie al suo algoritmo promuove contenuti ben oltre la rete di follower dell'utente. La censura non è mai stata una soluzione. Sarebbe come vietare la circolazione stradale per ridurre gli incidenti", ha osservato Stafa.

Tempismo politico: una restrizione ad hoc per le elezioni?
Il divieto di TikTok ha sollevato dubbi sulle reali motivazioni politiche dietro la decisione. Con le elezioni parlamentari fissate all'11 maggio 2025, e il Partito Socialista di Edi Rama che punta a ottenere un quarto mandato consecutivo, le forze di opposizione e i gruppi della società civile hanno individuato nella mossa un chiaro tentativo di limitare la libertà di espressione e silenziare le voci critiche.

Sali Berisha, leader del principale partito di opposizione, il Partito Democratico (PD), ha accusato Rama di voler reprimere quello che è diventato uno strumento cruciale nelle campagne politiche, sostenendo che il divieto abbia come obiettivo quello di svantaggiare l'opposizione proprio in vista delle prossime politiche.

Anche il Center for Science and Innovation for Development (SCiDEV), un think tank di Tirana, ha duramente criticato la misura, mettendo in guardia sui rischi legati alla decisione presa in un periodo pre-elettorale. "Poiché la decisione entra in vigore a ridosso della campagna elettorale, è fondamentale fare attenzione a non adottare misure che possano essere percepite come politicamente motivate o come una forma di repressione della libertà di espressione", riporta il comunicato  .

Vladimir Karaj, editor di BIRN Albania, ha dichiarato a OBCT che i nuovi partiti politici nati in Albania, spesso emersi dalla società civile, hanno utilizzato TikTok per avere visibilità, considerando anche la popolarità tra i giovani, mentre la tempistica e le deboli argomentazioni su cui poggia la decisione potrebbero far pensare che si stia andando andare oltre la sicurezza dei minori.

"La violenza nelle scuole non nasce da TikTok e non può essere risolta con un divieto. Gli studenti coinvolti nell'incidente usavano Snapchat, ma il primo ministro non ha decretato il divieto di questa piattaforma, probabilmente perché non è mai stato uno strumento per veicolare messaggi politici", rivela Karaj.

Anche il giornalista Osman Stafa pensa che TikTok sia diventato uno strumento cruciale per i partiti di opposizione, che spesso faticano a ottenere visibilità nei media tradizionali albanesi, a causa dell’influenza dal governo.

"Sia i partiti tradizionali che quelli nuovi hanno difficoltà ad accedere ai media tradizionali, specialmente con le elezioni a soli due mesi di distanza. Edi Rama sembra aver preso di mira TikTok in quanto piattaforma impossibile da controllare attraverso i metodi convenzionali usati per altri mezzi di informazione, tra cui i permessi edili per i proprietari, tanto per fare un esempio", ha affermato Stafa, lanciandosi in una previsione secondo cui la decisione sarà probabilmente revocata dopo le elezioni, ben prima del termine dei 12 mesi.

La tendenza globale e il caso albanese
La scelta dell'Albania di bloccare TikTok si colloca in un contesto globale più ampio, in cui diversi paesi stanno esaminando il ruolo delle piattaforme social nell'amplificazione di contenuti dannosi, nella gestione della privacy e nella loro influenza sui processi politici.

In Europa, l'attenzione si è concentrata sulla moderazione dei contenuti e sulla sicurezza dei minori. Paesi come Francia, Germania e Belgio hanno infatti imposto limitazioni per i minori, mentre l'Italia ha sanzionato TikTok con una multa da 10 milioni di euro a causa di controlli inadeguati sui contenti, e in particolare quelli che possono porre un rischio per la sicurezza dei minori.

Alcuni governi hanno anche vietato l'app sui dispositivi ufficiali per motivi di sicurezza informatica. Mentre dalla Romania sono emerse preoccupazioni sull'influenza di TikTok nelle elezioni presidenziali.

Tuttavia, l'approccio albanese si distingue da quello internazionale. A differenza di altri paesi, concentrati su rischi o violazioni specifiche, il governo albanese ha optato per un divieto a tutto campo, senza citare violazioni legali concrete da parte della piattaforma, sollevando quindi interrogativi sulla proporzionalità del provvedimento e sulla sua conformità agli standard internazionali relativi ai diritti digitali e alla libertà di espressione.

Daniel Prroni, ricercatore e co-autore di un recente studio  sull’approccio albanese alla regolamentazione delle piattaforme digitali, ha dichiarato a OBCT che la misura non affronta le vere problematiche legate all'uso dei social media e potrebbe persino aggravarle. “Stabilire un precedente sui divieti imposti dal governo alle piattaforme digitali senza andare alle cause profonde dei fenomeni che si vogliono contrastare non è la soluzione e rischia di limitare ingiustificatamente la libertà di espressione di migliaia di cittadini”, dice Prroni.

Guardando oltre gli effetti immediati, Prroni avverte che la linea adottata dall’Albania potrebbe anche compromettere il percorso verso l’allineamento con il quadro normativo dell’Unione Europea.

“Nel processo di integrazione europea e nell’ambito del Piano di Crescita per i Balcani Occidentali, l’Albania si è già impegnata a conformarsi al Digital Services Act dell’UE, una normativa che offre soluzioni più eque e sostenibili, rafforzando i diritti degli utenti, stabilendo regole chiare sulla moderazione dei contenuti e concedendo maggiori poteri di controllo alle autorità locali. Le istituzioni dovrebbero concentrarsi in questa direzione. È questo che ci si aspetta da un Paese candidato all’adesione,” conclude Prroni.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #592 il: Aprile 05, 2025, 16:50:39 pm »
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Turchia, elezioni e “Generazione Z”

Le elezioni politiche in Turchia, previste per il 14 maggio, saranno fondamentali per definire il futuro del Paese, dominato per oltre vent'anni dal presidente Recep Tayyip Erdoğan. Un ruolo decisivo sarà svolto dagli elettori più giovani, la cosiddetta "Generazione Z"

05/05/2023 -  Kenan Behzat Sharpe Istanbul
Le interviste politiche per strada diventano spesso virali in Turchia. Il formato è preciso: uno YouTuber va in giro con un microfono e chiede a passanti casuali cosa ne pensano di particolari partiti politici o questioni sociali. Mentre il paese si avvia verso le critiche elezioni del 14 maggio, è emerso un nuovo fenomeno: adolescenti e persino bambini in età scolare che parlano di politica in modo eloquente e appassionato.

In un recente video ampiamente condiviso  , un giornalista di strada chiede ad un ragazzino come fa a sapere tante cose di politica parlamentare e inflazione in così giovane età. “È grazie al nostro presidente che ci tocca sapere queste cose”, risponde lui, spiegando perché il deprezzamento della lira turca rispetto all'euro ha reso impossibile ai suoi genitori riparare il suo computer o comprarne uno nuovo.

I giovani giocheranno un ruolo fondamentale nelle elezioni presidenziali e parlamentari turche del 14 maggio. La popolazione turca è tra le più giovani d'Europa, la metà è sotto i 30 anni. Circa 6 milioni di nuovi elettori potranno esprimere il proprio voto per la prima volta questo maggio.

Generazione Z e politica
La cosiddetta Generazione Z (i nati verso la fine del millennio) è stata spesso etichettata come apolitica in Turchia. Tuttavia, la ricerca demografica sulle opinioni e le preferenze di questa generazione dimostra scientificamente ciò che le interviste di strada hanno mostrato empiricamente: questi nuovi elettori sono molto consapevoli delle questioni urgenti nel loro paese e sono pronti a farsi coinvolgere politicamente.

Secondo un sondaggio   di persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni, oltre la metà dei giovani turchi non è soddisfatta dell'attuale governo. I principali problemi comunemente citati sono le cattive condizioni economiche, la disoccupazione e l'istruzione di bassa qualità.


I giovani risentono anche l'interferenza del governo nello stile di vita delle persone e si irritano per le limitazioni alla libertà di espressione sui media o nei social media, e secondo un importante sondaggista turco  tendono ad essere più liberali dei loro genitori su una serie di questioni sociali e hanno meno probabilità di essere influenzati dalle preferenze di voto dei genitori.

Poiché la Gen-Z costituisce un'ampia percentuale dell'elettorato turco e i dati mostrano una diffusa insoddisfazione nei confronti dell'attuale governo, non sorprende che sia il partito al potere che l'opposizione vedano i voti dei giovani come fondamentali per la vittoria elettorale.

Lotta per "i cuori e le menti" dei giovani
In un recente incontro che il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha tenuto con i giovani, ha dichiarato: "A Dio piacendo, nelle elezioni del 14 maggio, tutti voi preziosi giovani che voterete per la prima volta ci farete vostri alleati". L'AKP ha anche candidato diversi giovani, tra cui la diciottenne Nisa Alptekin, figlia di un fondatore del partito.

Anche la coalizione di opposizione, nota come "Tavolo dei sei" e guidata dal presidente del Partito popolare repubblicano Kemal Kılıçdaroğlu, sta corteggiando il voto giovanile. In un recente evento, ha detto ai giovani presenti: "Coloro che andranno al ballottaggio e voteranno per la prima volta determineranno il destino della Repubblica di Turchia".

Fra i pretendenti ai voti della Gen Z, il presidente Erdoğan potrebbe avere qualche difficoltà in più. Con l'AKP al potere dal 2002, i nuovi elettori non conoscono nessun altro governo. Anche se non tutti i giovani votano per l'opposizione, è significativo che il 62,5% affermi che lascerebbe la Turchia se ne avesse la possibilità  . Ciò include anche i giovani che sostengono l'AKP e i suoi partner di coalizione, ma che allo stesso modo citano la disoccupazione e le difficoltà economiche come ragioni per volersi trasferire in posti come la Germania o gli Stati Uniti.

Alla luce delle gravi carenze dell'attuale situazione in Turchia, le campagne dell'AKP dirette alla Gen Z sono state recentemente criticate per la mancanza di contatto con la realtà. Un recente video girato in una mensa universitaria   ha lasciato molti perplessi. Il messaggio era che i giovani uomini che sostengono l'AKP devono nascondere le proprie opinioni politiche per attrarre donne liberali.

Un altro video ufficiale della campagna AKP è stato rapidamente cancellato dai social media dopo che gli spettatori hanno notato che la musica di sottofondo era la hit del 1995 del rapper americano Coolio "Gangsta's Paradise", che descrive una vita da fuorilegge ai margini della società. Questa non è la prima volta   che i tentativi dell'AKP per raggiungere i giovani si sono rivelati un boomerang, in un fenomeno che la studiosa Lisel Hintz e io abbiamo descritto altrove come "gaffes da boomer".

L'opposizione, al contrario, non utilizza canzoni rap o giovani parlamentari altamente visibili ma per lo più simbolici per corteggiare il voto dei giovani. Kılıçdaroğlu e i suoi alleati stanno invece concentrando la campagna elettorale sulle questioni che preoccupano di più i giovani: disoccupazione, nepotismo, restrizioni sullo stile di vita, qualità dell'istruzione e calo del potere d'acquisto.

Il ruolo dei social media
I social media sono diventati un campo di battaglia chiave per i giovani dell'opposizione che organizzano le proprie proteste di base. Il giovane grafico e organizzatore di Izmir Mahir Akkoyun è diventato famoso dall'oggi al domani quando è stato preso in custodia dalla polizia il 7 aprile, accusato di aver insultato il presidente e disturbato l'ordine pubblico per una campagna su Twitter incentrata sulla crisi economica. Aveva creato una serie di adesivi progettati per essere affissi sugli scaffali dei supermercati. Sugli adesivi comparivano la foto del presidente e la scritta: “Pensi che questo prodotto costi troppo? Puoi ringraziare Erdoğan!”.

Anche piattaforme come TikTok sono diventate una parte fondamentale della corsa ai voti dei giovani quando Kılıçdaroğlu e gli altri partiti di opposizione si sono resi conto che i partiti al potere avevano inondato di contenuti filo-governativi l'app con circa 30 milioni di utenti in Turchia. Da allora, l'opposizione ha recuperato grazie ai video sempre più popolari di Kılıçdaroğlu. Questo dimostra che l'opposizione ha investito il tempo e gli sforzi necessari per andare incontro ai giovani.

La gioventù turca è troppo politicamente accorta per dare retta a lusinghe e dichiarazioni cosmetiche. Pertanto, i partiti politici potranno assicurarsi i voti dei giovani solo se affronteranno concretamente le questioni che più li riguardano.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #593 il: Aprile 05, 2025, 23:17:59 pm »
Poveretti non hanno il mitico euro e non possono neppure riparare il PC
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.