Riporto questa bella lettera scritta da Marco Pensante (utente di uomini beta) in risposta all'articolo beffardo della "Imperatori" (di nome e di fatto,
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/24-maggio-2010/estremo-ricatto-dell-uomo-fragile-1703071751288.shtml)
Gentile Signora Imperatori,
Ho letto il suo articolo “L’estremo ricatto dell’uomo fragile”.
La sua indifferenza e, diciamocelo, il suo disprezzo per la sofferenza altrui, mi offendono profondamente. Sono certo che lei non maltratterebbe mai un cane o un gatto, e anzi si schiera in prima linea a favore della pena di morte per chi abbandona i cani in autostrada. Ma se un uomo (che lei chiama “maschio”, come se fosse un animale, contrapponendolo alla “donna”, il vero essere umano) sceglie il gesto ultimo e agghiacciante di togliersi la vita, magari per sofferenze indicibili, per la paura di non poter più sostenere la famiglia, per l’angoscia di non poter più rivedere i figli – anche suoi, ricordiamolo: anche suoi – lei, signora Imperatori, si autoassolve con l’eterna formula dell’ “E’ un problema tuo”. Magari fa una risatina: poveri debolucci in crisi di identità! Poi torna a chiacchierare con le amiche, loro sì, libere, indipendenti, forti, superiori. Che soffrono, amano, esprimono le loro emozioni, di tutto, di più. (Anzi: non esseri umani, ma Dee. Naturalmente ogni donna è Dea, per il solo fatto di nascere donna, giusto?)
Non ha mai pensato che forse anche gli uomini soffrono, amano, esprimono emozioni, ma in modo diverso? Ma no, che sciocchezze, l’unica forma espressiva degna di questo nome è quella femminile. Gli altri sono solo deboli, frustrati, incapaci di accettare la loro inferiorità: e per questo ricattano. Come? Suicidandosi. Ma lei, e altre come lei, siete già più avanti, già superiori. Non vi farete ingannare da questi patetici tentativi di rimettervi in catene (quali catene, poi? In un paese come il nostro, tutto sommato libero e tollerante, potete guardarvi nel cuore e dire che davvero siete oppresse?)
Di fronte a un suicidio, siete già assolte a priori: “Voleva solo ricattarmi”. E allora crepi il suicida, buono a niente, debole, pauroso, meschino.
Facciamo un gioco: proviamo a sostituire nel suo articolo le parole “maschio” con “ebreo” e “donna” con “ariano”. Oppure “maschio” con “negro” e “donna” con “bianco”. Fa uno strano effetto, no? No, certo, a lei fa solo l’effetto della verità.
Parole come le sue dimostrano chiaramente quale frattura si sia scavata negli ultimi decenni fra uomini e donne, una frattura che molti uomini non avrebbero mai voluto aprire, ma che articoli e parole come le sue allargano ogni giorno di più. Lei, forse, non si rende conto che il suo disprezzo per la vita altrui – disprezzo che non è solo suo, ma di molte donne – è profondamente offensivo per quelli che Giorgio Gaber chiamava “uomini normali, di onesti sentimenti”.
Le assicuro che molti uomini non sono deboli e frustrati: sono offesi e basta. Si guardano intorno e si chiedono: ma perché io dovrei condividere la vita (oppure, a seconda dei casi, ciò che possiedo), aiutare, sostenere, collaborare con qualcuno che mi disprezza e ride di me perfino se scelgo di togliermi la vita? Perfino a questo viene tolto valore? Ma chi ho di fronte a me? Chi è questa persona che credevo mia simile, mia amica, corrispondente delle mie emozioni?
Di fronte all’indifferenza per la loro (maggiore o minore) fatica di vivere, molti uomini reagiscono. E reagiscono in un modo che alle donne non piace affatto: restituendo l’indifferenza che ricevono. Negando alle donne ogni aiuto, ogni assistenza. L’altra faccia della parità, quella che molte donne saranno sorprese di scoprire. E non nel senso buono.
Provi a chiedersi se la pretesa “indipendenza” delle donne non arrivi in realtà solo fino a un certo punto. Provi a chiedersi se non sia un conto essere più brave a scuola e un conto, invece, andare a costruire strade, case, scuole, ospedali. Perché le cose che molte donne danno per scontate non sono piovute dal cielo, né sono state realizzate “esprimendo le proprie emozioni”. Sono state realizzate con fatica, con sudore, con sofferenza. Da uomini, di solito. Ma per lei questo non ha importanza, vero? Lei utilizza soltanto, non costruisce. Questa società maschilista glielo permette. Ma quando i maschilisti smetteranno di costruire, le donne saranno pronte a prendere in mano martelli pneumatici e seghe elettriche e darsi da fare? E non intendo qualche donna forte, robusta e intraprendente (non stia a sbracciarsi per obiettare questo, lo so benissimo che ce ne sono): intendo proprio tutte. Tutte quante, dalla prima all’ultima.
Sì? Ne è proprio sicura?
Mi dispiace molto. Non per lei, che essendo superiore riderà del mio dispiacere. Ma per le generazioni future di donne. Parole come le sue, articoli come il suo, stanno costruendo un nuovo razzismo. Qualcuno se ne sta rendendo conto. E il conto finale non lo pagherà lei, signora Imperatori, non le sue amiche così libere, forti e indipendenti: ma le vostre figlie e le vostre nipoti. Provi a rifletterci.
Arrivederci,
Marco Pensante