Autore Topic: La solitudine del maschio tra natura e cultura  (Letto 2075 volte)

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Milo Riano

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La solitudine del maschio tra natura e cultura
« il: Ottobre 08, 2009, 19:50:48 pm »
Dal blog dei Maschi Selvatici:

http://maschiselvatici.blogsome.com/2009/10/07/la-solitudine-del-maschio-tra-natura-e-cultura/

L’amico Antonio Bertinelli, autore del libro “Sulle orme del padre” che abbiamo recensito sul sito, ci manda questo contributo che pubblichiamo volentieri auspicando che susciti discussione fra i lettori del nostro blog.

Il maschio, sommariamente processato per decenni in ogni sede e sistematicamente condannato a motivo di qualunque tratto sessualmente connotativo, in questi ultimi anni accusa una marcata riduzione delle sue capacità fecondanti. Secondo gli andrologi non si registrano solo crescenti defaillances maschili di origine psicologica, ma la stessa funzionalità degli organi riproduttivi non è più quella di una volta .Il fenomeno è imputabile sia all’influenza di fattori tossici ambientali, sia a tutto ciò che deriva dal cambiamento sociale, economico, antropologico e culturale verificatosi nel mondo occidentale. Lo scempio della maschilità, con annessa disarticolazione della famiglia, non sono affatto casuali. Il male bashing mediatico non conosce sosta, così come il ricorso agli apparati legislativi per creare sempre nuovi istituti giuridici con imprinting sessista. Il substrato ideologico è sempre lo stesso: l’identità maschile si caratterizza oppressivamente nei confronti dell’altro sesso.

Con la bioingegneria, impegnata sul fronte degli studi genetici manipolativi, ci si avvia verso la realizzazione della partenogenesi femminile. Siamo ormai alla deriva psicotica delle Istituzioni mentre entrambi i sessi, per quanto soggetti a complessi meccanismi psicologici, sono ancora “prigionieri” di decisioni geneticamente preordinate. Mentre i maschi sono spinti a perseguire la massimizzazione spermatica, le femmine sono spinte a scegliere i partners ritenuti più idonei per garantire la sopravvivenza della prole. Maschi e femmine adottano metodi adattivi diversi per attrarre e conservare un compagno. Negare la condizione animale che, in buona parte, ancora ci possiede è inutile, ipocrita e dannoso. Quasi sempre il maschio è poco selettivo, mira più alla quantità che alla qualità delle “conquiste”. La femmina è una cacciatrice criptica ma più raffinata, aspira ad accoppiarsi con i maschi più belli, più forti, più intelligenti e più ricchi. La Grande Narrazione Femminista, in seguito allo storico sostegno di alcuni potentati finanziari americani, persino sotto l’egida di organismi sovranazionali, coltiva la contrapposizione di genere e attribuisce alle coalizioni globali degli uomini la volontà di opprimere le donne.

In realtà i fatti dimostrano che sia i maschi che le femmine, seppur con sistemi e motivazioni diverse gli uni dalle altre, confliggono prevalentemente con soggetti dello stesso sesso. E’ un retaggio delle strategie evolutive, le stesse che hanno visto i maschi solidarizzare esclusivamente per finalità contingenti come la caccia e la difesa del territorio. Nel corso dell’evoluzione, ed ancora ai nostri giorni, gli uomini sono stati e sono in competizione tra loro. A differenza delle donne non hanno imparato ad essere solidali se vengono attaccati in quanto appartenenti al genere “reietto”. Gli uomini sono geneticamente programmati per reagire immediatamente ai 210 Hz della voce femminile. Il grido di aiuto di una donna, mentre induce le consimili a ripetere l’invocazione, porta l’uomo a gettarsi istintivamente nel pericolo per tentare di salvarla. Gli uomini possono fare quadrato e dare la vita per quella altrui, ma sono del tutto impreparati a difendersi l’un l’altro per le “punizioni” che vengono loro erogate dalla cultura dominante.

Le donne, capaci di feroci rivalità, magari sempre pronte a denigrare l’amica più cara, insorgono in massa quando c’è da lottare per una conquista normativa o per difendere la vera o presunta “vittima” del giorno. Anche una boutade, come quella pronunciata l’anno scorso dal comico Paolo Cevoli (”Un buon libro è la compagnia più intelligente che un uomo possa trovare. Ogni tanto però ci vuole anche un po’ di solitudine con qualche passerina ignorante”) può scatenare un putiferio al femminile con ricadute in ambito istituzionale. Quando una stellina dello spettacolo salì inaspettatamente ai vertici di un incarico pubblico, dopo essere stata criticata da qualche giornalista, poté contare soprattutto su un’alzata di scudi rosa politicamente trasversale. Sono sintomatiche le parole pronunciate allora da una leader della destra conservatrice: “Se una cretina arriva in un posto importante c’è vera parità (.)”. Il maschio, incapace di riconoscersi come soggetto appartenente al genere culturalmente soccombente, sperimenta quotidianamente la sua “atavica” solitudine e finisce per pagare sempre il prezzo più alto.

Colpevole per definizione, un uomo o un padre separando troveranno in tribunale meno comprensione di quanto ne possa trovare ovunque una madre che uccide i propri figli. Per millenni donne ed uomini sono rimasti legati da un processo coevolutivo, il loro interagire era bilanciato secondo natura e secondo cultura. L’affermarsi del femminismo ha eliminato quel gioco di specchi che ha garantito il rapporto tra sessi insieme ad un necessario e diffuso equilibrio. Se la femminilità non gode di buona salute, la maschilità è prossima al naufragio. Piuttosto scettici nel credere ad un’improbabile rivalutazione culturale del maschile di darwiniana memoria, ci auspichiamo che gli uomini si inventino una nuova solidarietà prima di giungere al punto di non ritorno.

Antonio Bertinelli 5/10/2009