Oggi il TG5 ha annunciato la sentenza comminata a Giardino il quale, rovinato economicamente a quanto pare anche per colpa dello Stato o di qualche funzionario dello Stato, ha perso la testa e, recandosi al Tribunale di Milano, ha ammazzato un giudice, un avvocato e anche un coimputato. Quando ho avuto la conoscenza della vicendo ho subito pensato: "Gliela faranno pagare cara, anzi carissima: i giudici non si devono toccare, anche se emettono sentenze aberranti". E così è stato. Già i funerali di stato (pagati da tutti noi) concessi al giudice è stato un segnale evidente in questo senso. Per cui, la notizia di oggi dell'ergastolo comminato non mi ha affatto sorpreso: me l'aspettavo!
Quello che mi ha colpito (anche se relativamente, dati i tempi) è la "damnatio memoriae" con la quale i media hanno ricordato e giudicato Giardino: qualificato come "imprenditore fallito che ha compiuto una strage", ci si è anche sadicamente soffermati sulla motivazione della sentenza: "respinto dai giudici il movente della debolezza psichiatrica perchè l'imputato ha agito in base ad un senso distorto di giustizia e voluto affermare il suo personale criterio di giustizia". Certo, come no. Si potrebbe dire la stessa cosa per tutti i casi di omicidio visto che
si uccide SEMPRE per fare giustizia, in un certo senso. La propria. Ma quando, questo è il punto, ad uccidere è una donna o anche solo un extracomunitario scattano sempre le giustificazioni tipo "disagio esistenziale", "malessere", "violenze psicologiche subite. Il che non vale come si è visto nel caso di Giardino. Si capisce: era uomo, bianco, adulto e le cose gli sono andate male nella vita. Nessuna pietà, dunque, per lui: un maschio bianco ha tutte le carte in regola per riuscire, nella vita. Se fallisce, non ha nessuna giustificazione. Si deve solo vergognare di esistere. E invece di sparire dalla circolazione, si permette pure di uccidere? Via, in galera subito e buttate le chiavi.
E così è puntualmente accaduto. Come da copione.