Ieri, come ogni anno, sono stato ad assistere al presepe vivente (rappresentazione, che, sebbene sia agnostico, rispetto moltissimo, come del resto lo stesso Natale). Ricordo con piacere la piccola omelia del prete prima che iniziasse, un invito a guardarlo e riflettere su quella che è la società di oggi.
Passeggiando per le strade di quel piccolo borgo, guardavo i vari mestieri di una volta (il fabbro, il pastore, la sarta, ecc) e riflettevo su quanta dolcezza ci fosse nello star insieme a lavorare, in maniera del tutto informale, quale senso di pace potesse avere un fabbro, o un calzolaio, a lavorare vicino la propria casa, anzichè vivere in un posto lontano da essa, e dai propri affetti. Riflettevo sulla lentezza, con cui veniva effettuato il proprio lavoro, una lentezza che oggi è andata ormai perduta in nome di una non precisata produttività. Cercavo di immedesimarmi nell'artigiano che metteva amore nel proprio lavoro, anzichè sentirsi solo una piccola parte del processo produttivo.
Allo stesso tempo, pensavo a quanto fosse diversa la vita in una fabbrica o in un ufficio, costretti a indossare delle maschere, vviere in un mondo totalmente freddo, ad essere considerati ognuno di noi con una sorta di etichetta. A quanto abbiamo sacrificato oggi, in nome di una maggiore efficienza.
Riflettevo su quanto fosse stupido, quando una vittima di questo sistema impazzisce e commette dei crimini (in modo particolare negli USA), accanirsi contro le armi, anzichè contro la società che ha generato questo.
Ritorneremo, un giorno, a vivere noi stessi la vita di quel presepe?