Mentre cenavo questa sera sentivo il Tg5 commentare la ferale notizia dell'omicidio-suicidio di una donna che si era buttata giù dal quinto piano di uno stabile con il nipotino, un bambino di cinque anni, provocando così la morte di entrambi. Era vano sperare nella condanna del gesto che difatti non c'è stata. Ma di certo non mi aspettavo l'assoluzione che invece puntualmente è arrivata. Parlando frettolosamente dell'autrice del gesto (spicciativamente qualificata come "tragedia", termine neutro che sempre si usa per identitificare le azioni criminose femminili), il notiziario si è soffermato sulla "solitudine" di cui soffriva da tempo la povera donna (ecco la giustificazione: era stata lasciata sola dai vari conoscenti e familiari nell'affrontare il suo "dramma") che appunto per questo era entrata in una "sindrome depressiva" di cui "ovviamente" nessuno si era accorto. Inevitabile quindi, stante la cecità, la disattenzione, la superficialità di parenti e vicini di casa l'esito e l'epilogo tragico di un percorso depressivo al quale nessuno ha saputo e voluto porre rimedio. Scontato il giudizio inappellabile in caso di azioni del genere commesse da un uomo: nessuna "depressione" varrebbe ad evitargli la condanna e l'esecrazione pubblica. Verrebbe sicuramente detto che il "folle" (è l'aggettivo che gli si attribuisce) ha voluto coinvolgere un innocente nel suo dramma personale che LUI (non la società, si badi) non è stato capace di affrontare e di gestire. E' il solito mantra e la solita manfrina che viene orchestrata a corredo e commento di simili episodi. Tanto oramai ci abbiamo fatto il callo.