Lo scopo è proprio provocare una crisi (come diceva Monti: senza crisi non cè progresso). Si veda qui, anche in riferimento ai veri padrini dei separatismi italiani di Finocchiaro Aprile ed Emilio Lussu:
Michel Albert è un grand commis della politica sovrannazionale. Ex commissario francese al Piano (il posto che fu di Jean Monnet nel dopoguerra), è oggi presidente delle Assurances Générales de France, una delle grandi entità finanziarie che hanno promosso il Mercato Unico Europeo. Nel 1989, Albert ha pubblicato un saggio, subito tradotto in Italia dall'editrice Il Mulino con il titolo: Crisi, Disastro, Miracolo. Il libro contiene una prognosi sulla fine degli Stati nazionali che rivela un'analisi sicuramente elaborata negli uffici-studi della Trilaterale, e un progetto di ingegneria sociale.
L'analisi è sulle forme che gli Stati hanno avuto nella storia. “Lo stato monarchico era soprattutto il potere del padrone sulla terra” esordisce Albert: era la forma istituzionale adeguata ad un'economia basata sul potere agricolo e terriero, ed è stata “superata” quando si è passati a una forma più avanzata di economia. Infatti lo Stato-nazione “nasce insieme alla rivoluzione industriale”: è la forma-Stato adatta al nuovo modo di produzione, ed ha avuto una funzione provvidenziale. L’industria infatti, “con gli sconvolgimenti che ha provocato (urbanizzazione, tensioni sociali, lotta di classe) ha rischiato di far esplodere la società”. Solo lo Stato nazionale, con la sua organizzazione in via di principio totalitaria (la nazionalizzazione delle masse) ha impedito l'esplosione.
Ma oggi, dice Michel Albert, siamo entrati in una fase nuova. Nell'economia “smaterializzata”, in un “universo sofisticato di tecniche avanzate, di scambi liberati, di alti livelli di vita”. A questa nuova economia, dominata dai servizi e dalla finanza, “vanno strette le frontiere nazionali, che sono ormai solo interruzioni di flusso”. Tutte le crisi del nostro tempo “hanno una radice comune: l'impossibilità di gestire” la nuova economia post-industriale “nel vecchio quadro dello Stato nazionale”. Infatti l'universo finanziario non riconosce più “un padrone, ossia uno stato nazionale che impone la sua tutela agli altri, come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale”.
Converrà notare il carattere di questa dottrina dello Stato supercapitalista: essa è di tipo materialista storico. Per essa, la forma politica non è che una marxiana “sovrastruttura”, un prodotto secondario dell'economia; la quale è la sola realtà primaria, la sola “struttura” del reale. Ne conclude Albin Michel che lo Stato nazionale va “superato” per far posto a istituzioni meno soffocanti per la finanza mondiale. “Riscopriamo un'incompatibilità di fondo tra la logica dello Stato nazionale e quella della società mercantile”. Perciò “a poco a poco ci si accorgerà che gli Stati non possono fare a meno di un ordine superiore al loro”. Per esempio, che “non ci sarà crescita equilibrata per l'economia mondiale senza una moneta mondiale” (p.170-179). Ma naturalmente, Michel Albert e i suoi co-ispiratori sanno che gli Stati-nazione opporranno una resistenza al loro superamento verso il nuovo ordine sovrannazionale. Conclusione: “L'Europa '92 lancia il Mercato Unico all'assalto degli Stati nazionali. Li smantellerà”. Come? Con “l'anarchia che risulterà” da “un mercato libero e senza frontiere in una società plurinazionale che non riesce a prendere decisioni comuni”. A questo “disastro” pianificato, l'oligarchia spera seguirà il “miracolo”: gli Stati nazionali devastati invocheranno “una moneta comune, una Banca centrale europea e un bilancio comunitario”1.
Ma l'oligarchia ha elaborato a questo scopo, meno visibile, un altro progetto: la frantumazione degli Stati nazionali in più piccole entità regionali e autonome. Nell'idea di “federalismo europeo” cara a Delors e ai suoi eurocrati, è compreso infatti il “regionalismo”. Nella loro visione gli autonomismi minimi, i particolarismi, sono visti come i benefici antagonisti dello Stato nazionale, naturali alleati dell'oligarchia finanziaria nel “superamento” delle sovranità nazionali. “L'idea del regionalismo e quella del federalismo coincidono”, ha dichiarato nell'88 Alexandre Marc, collaboratore di Denis de Rougemont, uno degli ispiratori del federalismo europeo2. La stessa idea cova in una fondazione “culturale” nata nel 1982 con capitali americani: l'Inter-Action Council of World Leaders, presieduta da Helmut Schmidt (e di cui ha fatto parte, con Valéry Giscard d'Estaing, Giulio Andreotti), nonché co-fondatrice del “Club di Roma”. Tra i motivi che questa associazione propaganda - ecologismo, riduzione delle nascite, promozione di un “mondo multipolare” – il regionalismo in un quadro sovrannazionale è primario. Nei suoi ambienti è consueto ripetere che “una soluzione per il problema basco e dell'Irlanda del Nord può esser trovata solo nel quadro dell'Europa 92”, ossia del Mercato Unico.
separatismi
La simpatia per i separatismi e gli autonomismi anche violenti, benché ravvivata nei circoli internazionalisti dalla prospettiva del Mercato Unico (e ci si può chiedere quanto questa simpatia sia anche “operativa “ in appoggio alle azioni del terrorismo basco o irlandese) ha salde radici nel passato. Varrà la pena ricordare che l'OSS (la futura Cia) di Allen Dulles finanziò e incoraggiò il Movimento Indipendentista Siciliano di Finocchiaro Aprile. Che nei programmi del Partito d'Azione, longa manus in Italia del liberalismo americano, c'era la divisione dell'Italia in regioni, e la “regionalizzazione” fu uno dei motivi principali dell'azionista Ugo La Malfa, l'italiano più stimato dall'oligarchia anglo-americana. Un altro fondatore del Partito d'Azione, Emilio Lussu, fu anche eminente figura del separatismo sardo.