Autore Topic: London School of Economics: "Tra dieci anni, l’Italia non esisterà più"  (Letto 1061 volte)

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Offline Vicus

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LONDON SCHOOL OF ECONOMICS: ”TRA DIECI ANNI, L’ITALIA NON ESISTERA’ PIU’, TOTALMENTE DISTRUTTA DALL’EURO E DALLA UE”

Così Roberto Orsi, professore italiano emigrato a Londra per lavorare presso la London School of Economics, prevede il prossimo futuro del Belpaese.

Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. E peggiorerà”.

Così Roberto Orsi, professore italiano emigrato a Londra per lavorare presso la London School of Economics, prevede il prossimo futuro del Belpaese.

Il termometro più indicativo della crisi italiana, secondo Orsi, è lo smantellamento del sistema manufatturiero, vera peculiarità del made in Italy a tutti i livelli: “Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce.

Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione”.

“L’Italia — prosegue lo studioso della prestigiosa London School of Economics — non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione un fatto certo”.

Quando si tratta di individuare le responsabilità, Orsi non ha dubbi nel puntare il dito contro la politica: “L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio dell’ex Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano”.

L’interventismo dell’ex Presidente è stato particolarmente evidente — prosegue il professor Orsi —  nella creazione del governo Monti e dei due successivi esecutivi, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che solo Monti ha aggravato la già grave recessione. Chi lo ha sostituito ha seguito esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia”.

https://www.sapereeundovere.com/london-school-of-economics-tra-dieci-anni-litalia-non-esistera-piu-totalmente-distrutta-dalleuro-e-dalla-ue/
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:London School of Economics: "Tra dieci anni, l’Italia non esisterà più"
« Risposta #1 il: Agosto 24, 2019, 22:22:25 pm »
Aggiungiamoci pure le spinte secessioniste, sempre molto di moda in varie aree del paese, e l'Italia rischia davvero di diventare la Jugoslavia del terzo millennio.
Non è un eventualità di cui si dispiacerebbero in molti. Oltre ad essere (stata?) una potenza economica, l'Italia ha anche una sua discreta forza militare, per lo meno a livello europeo e ha un ruolo non marginale in quello che si chiama Mediterraneo allargato. Inoltre ha buoni servizi segreti, che stanno faticosamente difendendo gli interessi italiani ad esempio in Libia, in aperto contrasto con un altro paese europeo. Inutile fare i nomi di chi potrebbe solo trarre vantaggio da un'Italia debole e frammentata

Offline Vicus

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Re:London School of Economics: "Tra dieci anni, l’Italia non esisterà più"
« Risposta #2 il: Agosto 25, 2019, 04:29:19 am »
Aggiungiamoci pure le spinte secessioniste, sempre molto di moda in varie aree del paese, e l'Italia rischia davvero di diventare la Jugoslavia del terzo millennio.
Non è un eventualità di cui si dispiacerebbero in molti. Oltre ad essere (stata?) una potenza economica, l'Italia ha anche una sua discreta forza militare, per lo meno a livello europeo e ha un ruolo non marginale in quello che si chiama Mediterraneo allargato. Inoltre ha buoni servizi segreti, che stanno faticosamente difendendo gli interessi italiani ad esempio in Libia, in aperto contrasto con un altro paese europeo. Inutile fare i nomi di chi potrebbe solo trarre vantaggio da un'Italia debole e frammentata
Tutto vero. Il secessionismo andrebbe fatto da quei due Paesi europei che hanno distrutto il 25% della capacità produttiva italiana, e si sono comprati interi comparti manifatturieri, agroalimentari e della distribuzione. Gli stessi Paesi che ci hanno chiuso il rubinetto del petrolio libico (con la fedele cooperazione di chi ci governa) scaricandoci centinaia di migliaia di africani molti dei quali fatti uscire dalle loro galere.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:London School of Economics: "Tra dieci anni, l’Italia non esisterà più"
« Risposta #3 il: Agosto 25, 2019, 17:25:14 pm »
Quando eravamo (quasi) re...

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/05/16/abbiamo-superato-anche-la-francia-secondo-business.html

Citazione
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ABBIAMO SUPERATO ANCHE LA FRANCIA SECONDO BUSINESS INTERNATIONAL
ROMA Il giorno dopo essere stata inserita nell' elenco dei sorvegliati speciali della Cee per l' entità del suo deficit pubblico, l' Italia scopre di essere diventata la quarta potenza industriale del mondo, davanti alla Francia e alla nemica storica Gran Bretagna. E lo scopre a sorpresa, grazie ad un rapporto messo a punto dalla società Business International, al termine di una giornata durante la quale l' Ansa, citando fonti della Commissione di Bruxelles, l' aveva già insediata al quinto posto per il 1991. Ma andiamo con ordine. Secondo il rapporto di Business International, reso noto dal ministro degli Esteri Gianni De Michelis (che lo ha anche inviato al presidente del Consiglio Giulio Andreotti), nel' 90 l' Italia è diventata la quarta nazione più industrializzata del mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Germania. Il pil a prezzi correnti del Bel Paese (il prodotto interno lordo, cioè la somma dei beni e servizi finali prodotti sul territorio), infatti, è arrivato a 1.268 miliardi di dollari, contro i 1.209 della Francia e i 1.087 della Gran Bretagna. Una notizia che neanche i più ottimisti hanno mai osato immaginare e che arriva in tempo per difendere, almeno dal punto di vista dell' immagine, il governo italiano, messo sotto accusa dai partner europei. In testa a tutti, come detto, rimangono gli Stati Uniti con 5.845 miliardi, seguiti dal Giappone con 3.612 e dalla Germania con circa 1.850-1.900 miliardi (1.740 solo per l' ex Germania Ovest, cui va aggiunto un 8-10% per la Germania Est). Per Business International, però, la situazione della Germania è destinata a peggiorare: nel' 91, infatti, dovrebbe registrare un disavanzo primario (cioè al netto degli interessi) pari all' 1,3% del Pil, il triplo rispetto allo 0,5% del' 90, contro l' avanzo primario dello 0,9% (circa 11.000 miliardi) che dovrebbe segnare, sempre quest' anno, l' Italia. Secondo il rapporto, comunque, la classifica è destinata a cambiare radicalmente se si considera il pil espresso in spa, standard di poteri d' acquisto, l' unità di misura scelta dell' Istituto statistico della Comunità Europea per garantire confronti omogenei tra i diversi paesi eliminando l' influenza delle singole monete nazionali e le distorsioni insite nei diversi livelli di prezzi. In questa classifica, infatti, il Bel Paese scende addirittura al sesto posto, tornando dietro la Gran Bretagna. Proprio come affermato dall' ultimo bollettino Eurostat relativo al periodo 1986-89. Ma non è finita qui. L' Ansa, infatti, citando fonti qualificate della Commissione Europea, che approverà la prossima settimana le previsioni economiche riviste per quest' anno, insedia l' Italia al quinto posto nel 1991. Secondo l' agenzia, il Bel Paese supererà anche quest' anno la Gran Bretagna per il prodotto interno lordo a prezzi correnti. Questa volta, però, il vantaggio dell' Italia sarà più consistente, perchè alla fine dell' anno sarà in testa anche nelle classifiche espresse in standard di poteri d' acquisto. Il Pil italiano calcolato in spa, infatti, dovrebbe crescere quest' anno del 2 per cento rispetto agli 867,1 miliardi del' 90, mentre quello inglese dovrebbe diminuire del 2% dagli 877,9 miliardi di dodici mesi fa. Tutte queste notizie, però, dimostrano una volta di più quanto sia sterile e riduttivo calcolare la potenza di una nazione solo in base al prodotto interno lordo. Appena due giorni fa, infatti, la Cee ha puntato l' indice contro l' Italia per il forte disavanzo dei nostri conti pubblici, minacciando addirittura l' applicazione di misure coattive per costringerci ad intervenire seriamente per ripianare il deficit. Un trattamento da paese sudamericano, non da quarta (o quinta) potenza industriale del mondo. Ieri, invece, Business International e la notizia d' agenzia hanno ridato fiato a quanti sostengono l' adeguatezza dell' azione del governo e sono pronti a giurare sul buono stato di salute del Bel Paese. In realtà, calcolare i sorpassi e i controsorpassi tra Italia, Gran Bretagna e adesso Francia a colpi di Pil è un errore. Anche perchè la differenza tra i prodotti interni lordi delle economie considerate è talmente piccola da non poter essere statisticamente significativa. Ad esempio, secondo le fonti della Commissione di Bruxelles, nel' 91, la differenza tra il Pil italiano e quello inglese calcolato in spa, dovrebbe essere di circa 25 miliardi: una cifra talmente esigua che basterebbe un piccolissimo errore di valutazione, sempre in agguato, per invertire nuovamente la classifica. Del resto storicamente queste graduatorie sono esaltate dai politici (ogni anno dall' 86 si ripete la querelle tra Londra e Roma per chi è la quinta potenza mondiale), ma spesso sono bocciate dagli economisti, soprattutto perchè il Pil da solo dice ben poco sulla ricchezza o sullo stato di salute effettivo di una nazione. Il prodotto interno lordo infatti è un buon indicatore del benessere di un paese, ma non l' unico. Il benessere è dato da tanti altri fattori, ad iniziare da quelli più comuni, come l' efficenza della pubblica amministrazione o il basso tasso di criminalità o l' aggregazione sociale. Fattori che in Italia ultimamente scarseggiano.

di FABIO MASSIMO SIGNORETTI
16 maggio 1991 sez.

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Re:London School of Economics: "Tra dieci anni, l’Italia non esisterà più"
« Risposta #4 il: Agosto 26, 2019, 02:04:17 am »
Frank è per questo che è nato l'Euro: per eliminare un concorrente pericoloso come l'Italia.
La Francia accettò l'Euro con la Germania a patto di sbarazzarsi dell'industria italiana. Obiettivo quasi raggiunto.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.