Autore Topic: Il sovranismo riparte. Da sinistra  (Letto 2462 volte)

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Offline Vicus

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Il sovranismo riparte. Da sinistra
« il: Settembre 16, 2019, 21:25:55 pm »
Nuova formazione sovranista di Diego Fusaro:

Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline itacel

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #1 il: Settembre 16, 2019, 21:38:34 pm »
Lo sapevo che si sarebbe buttato in politica. Non vedo l'ora di andare via da sto paese.

Offline Vicus

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #2 il: Settembre 16, 2019, 21:59:17 pm »
Meglio lui di Zingaretti o della Kyonge.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #3 il: Settembre 17, 2019, 00:20:29 am »
Lo sapevo che si sarebbe buttato in politica. Non vedo l'ora di andare via da sto paese.

Scegli bene, però, perché "la fuori" non c'è il paradiso, specie se esci dall'Europa dell'Ovest; tantomeno nel cosiddetto "estero" son pronti ad accoglierti a braccia aperte.
Di certi sarai e resterai sempre "uno straniero in terra straniera".*

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* Era solito dirlo anche un mio conoscente, che per anni ha vissuto e lavorato a Londra, sopravvivendo con uno stipendio di 1400 euro al mese (ovviamente in Inghilterra c'è la sterlina) e che l'anno scorso ha deciso di tornare in Abruzzo, la sua regione d'origine.


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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #5 il: Settembre 17, 2019, 00:45:59 am »
Scegli bene, però, perché "la fuori" non c'è il paradiso, specie se esci dall'Europa dell'Ovest; .

Queste sono alcune delle meraviglie che è possibile trovare al di fuori dell'Italia e dell'Europa dell'Ovest.

https://www.investireoggi.it/economia/iperinflazione-in-venezuela-finita-ma-il-salario-minimo-vale-3-dollari-al-mese/

Citazione
Iperinflazione in Venezuela finita, ma il salario minimo vale 3 dollari al mese
Iperinflazione finita nel Venezuela, dove per quattro mesi di fila già i prezzi sono cresciuti meno del 50%. Ecco com'è stato possibile e perché non c'è davvero nulla da esultare.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 30 Luglio 2019 alle ore 15:02
Iperinflazione finita nel Venezuela, dove per quattro mesi di fila già i prezzi sono cresciuti meno del 50%. Ecco com'è stato possibile e perché non c'è davvero nulla da esultare.
Per il quarto mese consecutivo, a giugno l’indice dei prezzi in Venezuela ha segnato un aumento mensile inferiore al 50%, la soglia che demarca in confine tra iperinflazione e non. Secondo l’Assemblea Nazionale, guidata dalle forze di opposizione, i prezzi sarebbero aumentati del 24,8% rispetto a maggio, giù dal 31,3% del mese precedente. Nei 12 mesi, l’inflazione accumulata sarebbe stata del 445.000%.

Dunque, formalmente il Venezuela sarebbe uscito dall’iperinflazione dal marzo scorso e vi sarebbe rimasta così per circa un anno e mezzo. Sarebbe una buona notizia per i suoi 30 milioni di abitanti, anche se non c’è niente da festeggiare. I prezzi nel paese continuano a restare proibitivi e a non avere di fatto un senso.
La crisi del Venezuela trascina nel dramma anche Cuba: cibo razionato, scaffali vuoti

Prendete il salario minimo. Il regime di Nicolas Maduro lo ha più che raddoppiato in aprile per la seconda volta quest’anno, portandolo a 4 miliardi di bolivares. Tenuto conto del tasso di cambio contro il dollaro al mercato nero, oggi varrebbe circa 3,30 dollari. Si pensi che per comprare un litro di latte, a seconda di quanto si guadagni potrebbe arrivare a servire un quinto o più dello stipendio. Ad ogni modo, com’è stata possibile la fine dell’iperinflazione? Tre i passi che il governo “chavista” ha compiuto, pur molto tardivamente e con timidezza, negli ultimi mesi, forse pressato dall’isolamento internazionale e dal caos venutosi a creare sul piano istituzionale con l’auto-proclamazione a presidente di Juan Guaido.

Nelle settimane successive al tentato colpo di stato, Caracas ha liberalizzato di fatto il tasso di cambio, consentendo al bolivar “sovrano” di essere fissato autonomamente dalle banche private e pubbliche, attraverso i cosiddetti “tavoli del cambio”, così da tenere il passo con i tassi vigenti al mercato nero. Da allora, c’è stata una svalutazione di oltre il 46% e le distanze con il cambio illegale si sono ridotte al 20%. In sostanza, il bolivar è stato ricondotto maggiormente ai suoi fondamentali e ciò sta facendo affluire nel paese qualche dollaro in più, come segnalerebbe anche la lieve risalita delle riserve valutarie a 9,4 miliardi di dollari, pur a fronte del crollo della produzione domestica di petrolio del 30% quest’anno, a poco più di 1 milione di barili al giorno nel mese di giugno.

Iperinflazione finita, non il dramma
Al contempo, la banca centrale ha imposto alle banche riserve obbligatorie per il 57% e tassi marginali al 100%, al fine di comprimere l’offerta di moneta, causa determinante dell’esplosione dei prezzi dal 2014. Infine, pare che il governo stia adottando un approccio più prudente sul fronte fiscale, tagliando l’altissimo deficit, arrivato al 20% nel 2015. Per il resto, la fine dell’iperinflazione sarebbe dovuta alla compressione della domanda interna, conseguenza dell’incapacità per la generalità dei cittadini di acquistare beni e servizi con gli stipendi (reali) da fame che si ritrovano.

Ma non si esulti così presto. I giudici americani, ad esempio, hanno dato ragione alla società canadese Crystallex International Corp, che aveva fatto ricorso contro lo stato venezuelano per farsi risarcire di espropri per 1,4 miliardi di dollari subiti negli anni scorsi. Secondo la giustizia USA, la società ha titolo per impossessarsi di una quota di Citgo, la raffineria petrolifera di PDVSA con sede nel Texas e che fattura ogni anno 30 miliardi di dollari, trattando 750 mila barili di greggio venezuelano al giorno. Citgo, gestita da due organismi separati (uno rispondente al regime e l’altro alle forze di opposizione), rischia adesso di essere espropriata dai creditori, infliggendo un altro durissimo colpo al paese andino, che senza petrolio e la possibilità di raffinarlo, collasserebbe ancora di più di quanto non abbia già fatto. Essa ha già azioni in pegno in favore dei creditori russi di Rosneft per il 49,9% del suo capitale.

I problemi del Venezuela sono nati prima di Chavez e sempre dal petrolio

Una normalizzazione economica non appare affatto vicina. Affinché si realizzi, servirebbe che il regime desse il via a una fase di transizione democratica, così da riportare a casa parte di quei 300 miliardi di dollari di capitali, che si stima abbiano lasciato il paese negli anni per dirigersi in luoghi più sicuri.

La produzione di beni e servizi non potrà tornare a salire stabilmente, in presenza di una legislazione di stampo marxista e di prezzi massimi imposti per decreto. Il Venezuela è uscito dall’iperinflazione, ma è tutt’altro che guarito. Sarebbe come se un malato avesse smesso di avere la febbre a 42 gradi e adesso il termometro segnasse 41,5.
giuseppe.timpone@investireoggi.it



https://www.investireoggi.it/economia/la-crisi-del-venezuela-trascina-nel-dramma-anche-cuba-cibo-razionato-scaffali-vuoti/

Citazione
La crisi del Venezuela trascina nel dramma anche Cuba: cibo razionato, scaffali vuoti
La crisi del Venezuela colpisce anche Cuba, che raziona i beni di prima necessità. Gli scaffali nei supermercati si svuotano e l'economia resta pianificata.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 13 Maggio 2019 alle ore 13:57

La crisi del Venezuela colpisce anche Cuba, che raziona i beni di prima necessità. Gli scaffali nei supermercati si svuotano e l'economia resta pianificata.
A Cuba è tornato lo spettro del “periodo speciale”, espressione utilizzata dai leader comunisti per riferirsi agli anni bui immediatamente successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, principale finanziatore del regime castrista. Allora, la penuria di generi alimentari divenne così evidente, che la gente fu costretta a mangiarsi i gatti randagi trovati per strada. Per evitare che si torni a quel periodo lì, il presidente Miguel Diaz-Canel ha disposto il razionamento di cibo e altri prodotti di base, al fine di “distribuirne le quantità in maniera equa”.

Che cosa sta succedendo? Semplice. Dopo l’ex Urss, è venuta meno anche la successiva fonte di approvvigionamento per l’isola: il Venezuela.
Cuba apre al 3G, ma internet è un salasso e il governo rivede le riforme economiche

Il regime di Nicolas Maduro è al collasso economico e finanziario e ha dovuto ridurre dei due terzi le esportazioni di petrolio a prezzi sussidiati, che garantivano a Cuba il rifornimento energetico praticamente gratis, se si considera che grossa parte della bolletta veniva pagata con l’invio di militari e medici nel paese andino a tariffe gonfiate. A proposito, il nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, appena insediatosi a gennaio, ha dato il benservito a L’Avana, rispedendo a casa le decine di migliaia di medici presenti sul territorio nazionale e che nei fatti davano modo al Brasile per finanziare il regime comunista.

Infine, il presidente Donald Trump. Ha quasi azzerato le aperture storiche del precedessore Barack Obama, spegnendo sul nascere la speranza di un ritorno alla crescita dell’economia. Anzi, nel triennio passato il pil è aumentato al ritmo medio dell’1% all’anno. La produzione nazionale è scarsa, solo le importazioni di generi alimentari costano 2 miliardi all’anno e con l’afflusso netto di minori dollari per via anche di un turismo stagnante e di importazioni crescenti in valore, il ministro del Commercio, Betsy Diaz Velazquez, non ha trovato di meglio che annunciare venerdì scorso il razionamento: alla cassa non ci si potrà presentare con più di 4 pacchi di latte in polvere a persona, più di 4 pacchi di salsicce e 5 di piselli, etc.

Anche il pollo più economico è limitato a 5 kg e mezzo, mentre quello più costoso a 2 pacchi.
Rischio tensioni sugli scaffali vuoti
Non fatevi ingannare dalle quantità: le limitazioni riguardano i magazzini più grossi, dai quali si riforniscono spesso i piccoli negozi, che non hanno accesso diretto né alle importazioni dall’estero, né alle catene dei grossisti, monopolio di stato. Per questo, il rischio che gli scaffali già semi-vuoti di questi ultimi tempi diventino sempre più simili a quelli del Venezuela di questi anni sale repentinamente, quando già oggi riso, carne di maiale e uova, solo per citare alcuni alimenti base, languono. Secondo le statistiche nazionali, a marzo sono state prodotte 900.000 uova al giorno in meno rispetto alle 5,7 milioni minime necessarie per soddisfare la domanda, in aprile -600.000. E anche la produzione di carne suina si attesterebbe diverse centinaia di tonnellate al di sotto dei minimi necessari.

Per fortuna, nessuno prevede per ora un ritorno agli anni Novanta, cionondimeno la vita si fa sempre più difficile per i cubani, dove la fine del castrismo non ha coinciso con l’avvio di quella stagione attesa di riforme. Il settore privato cresce di peso, ma il libero mercato resta un miraggio. Quanto al razionamento, riguarda i beni sussidiati dallo stato, cioè quelli che vengono venduti per pochi centesimi, a prezzi bassissimi per gli standard internazionali, mentre quelli “liberalizzati” non saranno intaccati. Questo spingerebbe i cubani a spostarsi verso il mercato libero, ma con salari così bassi, in pochi potranno realmente permetterselo, mentre probabile che ciò alimenti tensioni per via delle percepite crescenti disparità sociali in un’isola che vive ancora sotto un’economia pianificata e in cui la libera iniziativa è solo marginalmente consentita e tollerata.


https://www.investireoggi.it/economia/la-maledizione-dellargentina-si-chiama-dollaro-e-non-puo-farne-a-meno/

Citazione
La maledizione dell’Argentina si chiama dollaro e non può farne a meno
Il crollo del peso contro il dollaro è allarmante per l'Argentina, che rischia il suo nono default, il terzo dagli anni Duemila. E proprio il cambio sembra la principale maledizione dell'economia emergente sudamericana.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 22 Agosto 2019 alle ore 14:44

Il crollo del peso contro il dollaro è allarmante per l'Argentina, che rischia il suo nono default, il terzo dagli anni Duemila. E proprio il cambio sembra la principale maledizione dell'economia emergente sudamericana.
L’Argentina rischia il nono default della sua storia. L’ultimo, pur definito “tecnico”, risale a solamente 5 anni fa ed è stato cessato nel 2016. Ormai, Buenos Aires è diventata la capitale mondiale dei debiti non onorati e non esiste tipo di governo che sia riuscito in decenni a cambiarne il destino. Dopo la vittoria per 15 punti di distacco sul presidente uscente Mauricio Macri del candidato peronista Alberto Fernandez alle elezioni primarie di due domeniche fa, i mercati sono letteralmente fuggiti dallo stato sudamericano.

Il peso ha perso il 17,5% contro il dollaro, a un cambio di poco inferiore a 55, ma che è arrivato a collassare fino a 67. Le obbligazioni di stato sono precipitate senza freni, compreso il bond a 100 anni emesso nel 2017 in dollari tra gli applausi della comunità internazionale.
Secondo Fitch, che venerdì scorso ha declassato il rating sovrano argentino da “B” a “CCC”, cioè a un passo dallo stato di default, il problema del paese sarebbe l’eccessiva dipendenza dal dollaro. E non ha torto, anzi. Dal 12 agosto scorso e fino alla giornata di ieri, la banca centrale argentina è dovuta intervenire per frenare la caduta del cambio, intaccando le riserve valutarie per 7,4 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, il governatore Guido Sandleris, pur dichiarando che le riserve servono proprio per essere utilizzate nei momenti del bisogno, ha messo in guardia che non le impiegherà per acquistare assets finanziari a valori sganciati dai fondamentali.

In Argentina guardano a oro e Bitcoin contro il collasso dei pesos

Dollaro come maledizione per Argentina
In altre parole, l’istituto segnala che intende sì frenare la caduta dei pesos, ma non a ogni costo e certamente non con l’obiettivo di fissarne i tassi di cambio contro il dollaro a livelli non sostenibili. Il fatto è che l’Argentina vive il dramma di un’economia per troppo tempo agganciata al biglietto verde tramite un cambio eccessivamente forte, come quello che portò al collasso di fine 2001, quando un peso valeva ancora un dollaro per imposizione della banca centrale, salvo crollare subito dopo il default a un rapporto di 3:1.

E fino all’insediamento di Macri alla presidenza nel dicembre 2015, il cambio veniva fissato a circa 9 contro il dollaro, nonostante al mercato nero valesse molto di meno e per evitare un disallineamento crescente con annesso pericolo di fare la fine del Venezuela, il primo provvedimento del neo-eletto capo dello stato fu di liberalizzare il cambio, che si dimezzò in poco tempo.
Il crollo allarmante è arrivato, però, nel corso del 2018, quando i mercati iniziarono a dubitare della strategia economica di Macri, percepita fin troppo graduale e tale da non risollevare le sorti di un paese colpito da quasi un quindicennio di politiche peroniste dal sapore demagogico e illiberali. Se da un lato la flessibilità del cambio garantirebbe all’Argentina di mantenere adeguate le riserve valutarie per le importazioni e di non alimentare oltremisura la sfiducia sul peso ingrossando il mercato nero, dall’altro Buenos Aires non può permettersi di far collassare troppo i pesos, non fosse che per gli oltre 275 miliardi di dollari di debiti contratti con l’estero. Erano a 160 miliardi prima dell’arrivo di Macri, per cui sono esplosi pur sotto una presidenza apparentemente rassicurante.

Gli argentini non si fidano della loro moneta, a causa dell’altissima inflazione (al 55% attuale) e per il passato anche per l’evidente sopravvalutazione del cambio, tanto che lo scorso anno hanno smobilitato 18 miliardi di dollari di risparmi e solo la scorsa settimana ben 1,2 miliardi. Se il dollaro s’impenna, i debiti in valuta americana rischiano di non poter essere più ripagati, per cui aumenta il rischio default sia per lo stato che a carico delle imprese. Si consideri che il debito estero stava ancora al 27% nel 2015, mentre al termine dello scorso anno risultava esploso al 55%. Macri, pur avendo esordito con ottime intenzioni, si è rivelato un presidente fallimentare.

Bond Argentina in crollo verticale, rischio default s’impenna

Peronisti a un passo dalla presidenza
Quasi certamente a ottobre, o al più tardi a novembre, lascerà il posto a Fernandez, che già parte da cattive intenzioni, come tagliare i tassi, aumentare la spesa pubblica e rinegoziare i 57 miliardi di aiuti ottenuti lo scorso anno dal Fondo Monetario Internazionale.

Se l’accordo con Washington fosse stracciato, Buenos Aires non riceverebbe più i dollari stanziati e ancora parzialmente non erogati e si ritroverebbe a colmare i deficit di bilancio con emissioni di titoli in valuta locale (difficile che qualcuno glieli presti all’estero), indebitandosi a tassi stellari e facendo pressione sulla banca centrale per tenere bassi gli interessi, così da monetizzare sostanzialmente il debito. Insomma, la via più corta per il default.
L’Argentina non riesce a sfuggire alla sua maledizione, quale che sia il colore del governo in carica. Poiché nessuno si fida delle obbligazioni in pesos e i capitali domestici non abbondano rispetto alle elevate necessità di spesa pubblica, è costretta a rifinanziarsi in dollari, euro, etc. Così facendo, deve tenere d’occhio il cambio per non incorrere nell’ennesimo default, ma poiché le sue politiche fiscali e monetarie non ispirano fiducia, finisce per indisporre i mercati e per far collassare proprio i pesos, generando tensioni su tensioni.

Macri sta reagendo alla durissima e imprevista (in queste dimensioni) sconfitta con l’annuncio di un fumoso piano di sostegno a famiglie e imprese, nonché cambiando a capo del Tesoro Nicolas Dujovne con Hernan Lacunza, un maquillage inutile per recuperare consensi, oltre che sul piano pratico. Quando tra due o tre mesi al massimo saranno tornati alla presidenza i peronisti, l’Argentina farà parlare nuovamente di sé per espressioni come default, crisi finanziaria, isolamento dai mercati, crollo del cambio e protezionismo. Non c’è speranza per questo paese, che sarebbe potuto rimanere tra i più ricchi al mondo, come lo fu fino alla Seconda Guerra Mondiale, ma che dal peronismo in poi ha imboccato la strada della demagogia al potere, non trovando l’uscita.

Bond Argentina ancora più “spazzatura” e l’accordo con l’FMI ora è a rischio

giuseppe.timpone@investireoggi.



Naturalmente la lista è molto più lunga.

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #6 il: Settembre 17, 2019, 00:55:07 am »
Scegli bene, però, perché "la fuori" non c'è il paradiso, specie se esci dall'Europa dell'Ovest
Già. So di gente che si è trasferita in Romania per avviare un'attività ma son casi molto rari.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #7 il: Settembre 17, 2019, 12:19:01 pm »
Scegli bene, però, perché "la fuori" non c'è il paradiso, specie se esci dall'Europa dell'Ovest; tantomeno nel cosiddetto "estero" son pronti ad accoglierti a braccia aperte.
Di certi sarai e resterai sempre "uno straniero in terra straniera".*
A me e' capitato una volta a Praga e una a Londra che su un mezzo pubblico, per via del mio aspetto molto italiano (purtroppo sono basso, molto piu' della media, e non posso farci niente), un gruppo di ragazzine si e' messo a prendermi per il culo scimmiottando la parlata italiana come fanno in questo cartone animato:

Vedi che bell'ambiente all'estero, dove perfino le ragazzine ti prendono per il culo :doh: :doh:
"Le donne occidentali sono più buone e tolleranti con gli immigrati islamici che le stuprano che con i loro mariti."
Una donna marocchina

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #8 il: Settembre 17, 2019, 13:04:49 pm »
Chissà perché non prendono in giro gli asiatici e gli africani (ma anche i russi) che sono spesso più bassi di noi.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline TheDarkSider

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #9 il: Settembre 18, 2019, 12:43:20 pm »
Chissà perché non prendono in giro gli asiatici e gli africani (ma anche i russi) che sono spesso più bassi di noi.
Perche' gli italiani sono il bersaglio perfetto per le burle: sono poco o per niente nazionalisti, hanno modi di fare molto caratterizzati, e soprattutto sono parte dell'Occidente e quindi non sono categorie protette come gli immigrati da paesi del terzo mondo.
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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #10 il: Settembre 18, 2019, 14:16:11 pm »
soprattutto sono parte dell'Occidente e quindi non sono categorie protette come gli immigrati da paesi del terzo mondo.
Questa è sicuramente la prima ragione, ma:
Citazione
hanno modi di fare molto caratterizzati
Purtroppo gli italiani all'estero, vuoi per timidezza vuoi per altri motivi, si comportano spesso da macchiette, e volontariamente avallano certi cliché (il calcio, le canzoni, il macho, la mamma, i fascisti ecc.). Esempio: un TV straniera aveva intervistato un tale su Leonardo Da Vinci e l'intervistatore, non so come, aveva suggerito che Leonardo era un mammone, cosa assurda e indimstrata. L'intervistato ha allegramente confermato, fornendo un tipico esempio di martellata sui propri attributi.
La stessa emittente mandò poi in onda un responsabile di una cooperativa pro migranti, che affermava senza ombra di dubbio che in Italia comandano i fascisti. E vabbe'...
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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #11 il: Settembre 18, 2019, 19:43:18 pm »
Questa è sicuramente la prima ragione, ma:Purtroppo gli italiani all'estero, vuoi per timidezza vuoi per altri motivi, si comportano spesso da macchiette, e volontariamente avallano certi cliché (il calcio, le canzoni, il macho, la mamma, i fascisti ecc.). Esempio: un TV straniera aveva intervistato un tale su Leonardo Da Vinci e l'intervistatore, non so come, aveva suggerito che Leonardo era un mammone, cosa assurda e indimstrata. L'intervistato ha allegramente confermato, fornendo un tipico esempio di martellata sui propri attributi.
La stessa emittente mandò poi in onda un responsabile di una cooperativa pro migranti, che affermava senza ombra di dubbio che in Italia comandano i fascisti. E vabbe'...

Toglimi una curiosità: di quale TV straniera si trattava?
Francese? Tedesca?


Citazione
L'intervistato ha allegramente confermato, fornendo un tipico esempio di martellata sui propri attributi.

Ah beh, non ne dubito minimamente.
L'avrà pure "confermato" in maniera compiaciuta, sorridendo, ridendo e magari facendo qualche "simpatica battuta".
Insomma, un classico (italiano).
Del resto all'esterofilia dell'italiano medio non c'è limite né cura.

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #12 il: Settembre 18, 2019, 19:46:56 pm »
A me e' capitato una volta a Praga e una a Londra che su un mezzo pubblico, per via del mio aspetto molto italiano (purtroppo sono basso, molto piu' della media, e non posso farci niente), un gruppo di ragazzine si e' messo a prendermi per il culo scimmiottando la parlata italiana come fanno in questo cartone animato:

Vedi che bell'ambiente all'estero, dove perfino le ragazzine ti prendono per il culo :doh: :doh:

Dark, come hai reagito ?
Sfanculando le dementi o glissando ?

Semplice curiosità la mia.

Offline Vicus

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #13 il: Settembre 18, 2019, 20:25:11 pm »
Toglimi una curiosità: di quale TV straniera si trattava?
Francese? Tedesca?


Ah beh, non ne dubito minimamente.
L'avrà pure "confermato" in maniera compiaciuta, sorridendo, ridendo e magari facendo qualche "simpatica battuta".
Insomma, un classico (italiano).
Del resto all'esterofilia dell'italiano medio non c'è limite né cura.
ARTE è un'emittente franco-tedesca dichiaratamente femminista e pro LGBT, anche se è un TV generalista. Produce documentari interessanti, in cui infila però spesso storie sull'oppressione della donna e la discriminazione dei gay. Trasmette regolarmente programmi nostalgici sul '68, la rivoluzione sessuale, i Beatles, Woodstock ecc.
Di recente ha trasmesso una serie, seguitissima in Franacia e Germania, incentrata su un'eroina (ovviamente femmina) interpretata da un'italiana. La trama è molto istruttiva sui modelli di oggi e sul mondo che ci preparano.
Dopo un periodo al riformatorio, la tizia cerca una riabilitazione nel lavoro, ovviamente non di ricamo ma di tecnico d'officina. Riesce a trovare lavoro grazie a una relazione saffica con la direttrICE.
Inesplicabilmente trova un bravo ragazzo che vuole sposarla e aprire un'officina in provincia. Ovviamente lei non ci sta e dopo un bell'aborto liberatorio del figlio avuto dal povero pollo (senza interpellarlo) va a fare la motorista su una nave di lungo corso. Sipario.
L'avrà pure "confermato" in maniera compiaciuta, sorridendo, ridendo e magari facendo qualche "simpatica battuta".
Come hai fatto a indovinare? :lol:
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Offline JAROD72

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Re:Il sovranismo riparte. Da sinistra
« Risposta #14 il: Settembre 18, 2019, 20:40:41 pm »
Nuova formazione sovranista di Diego Fusaro:


Indubbiamente è migliore dei suddetti. Di certo l'intelligenza di fusaro è superiore a quella di di maio. Però quando fusaro dice che i valoro sono di destra e le idee di sinistra, vuole pararsi il culo dalle accuse che possono venirgli rivolte. Già questa uscita non la vedo troppo cristallina.