Nessuno vorrebbe un figlio handicappato, ma molti sono felici anche con figli handicappati.
Temo che nel posto dove sta ora, Fabo il dj starà molto peggio di quando non ci vedeva ed era paralizzato. E non possiamo nemmeno pregare per lui; chi sta laggiù non vuole, aumenta la sua disperazione… “Lasciatemi libero” dite che abbia detto; e glielo hanno fatto credere, che il suicidio sia una liberazione.
Ora è in qualcosa che non può essere descritto. Che antiche parole – carcer, pernicies, exilium – non possono descrivere, perché ciò che laggiù si fa alle anime “avviene senza il controllo della parola, in cantine afone”. Là infatti “tutto finisce, ogni pietà, ogni grazia, ogni riguardo”, e naturalmente ogni parola per dirlo. Ad aggravare la condizione di Fabo c’è però, ne sono certo, la rabbiosa vergogna per come facilmente s’è lasciato giocare, la coscienza di come Cappato l’ha usato per far avanzare una “causa civile” di cui adesso non gli importa più niente, per far varare a un parlamento insignificante, in un paese cui non appartiene più, una legge che non può portare a lui alcuna liberazione né sollievo. Certo aspetta, con rabbia inestinguibile, il momento in cui quelli che lo hanno usato e giocato finiranno lì con lui, e godere dei loro tormenti, in una eterna vendetta.
Ovvio che i cattivi attori di questo teatrino squallido, di cui Fabo il dj è la vittima, non credono a queste cose: fino al giorno in cui ci staranno a capofitto.
Povero Fabo. A quarant’anni disk jockey, uno che cambia i cd nelle discoteche, sai che realizzazione; poi l’atroce incidente, ed ora il buio e la vergogna. E l’essere stato ingannato, ed aver perso l’occasione centrale, di dare alla sua vita il significato eroico, di accettazione, espiazione e intercessione. La vittoria e la gloria a cui ciascuno di noi è chiamato.
Grazie all’uso che hanno fatto di “Fabo”, ci sarà una legge che ‘consentirà’ il suicidio assistito, e presto quindi esso farà “offerto” a vecchi malati e soli troppo gravosi da mantenere. Per ciascuno di noi sarà una nuova tentazione, l’ultima e tremenda: perché soffrire? La ASL le passa la sedazione…E il vescovo Paglia non troverà la parola giusta, perché l’ha persa. Dirige la Pontificia Accademia per la Morte.
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Mentre finisco di scrivere, ricevo l’immagine di Maria. E’ la moglie dell’amico Luciano, “passata oltre” qualche giorno fa, dopo anni di sofferenza e mutilazioni chirurgiche per il cancro alla mascella. Nella foto è bellissima. Lui l’ha curata fino all’ultimo. Lei si preoccupava di lasciarlo solo: “Trent’anni insieme, e adesso come farai?”. Si preoccupava anche per se stessa: trent’anni con lui, e adesso come farò?
Dietro la piccola immagine, leggo:
“Se mi ami non piangere! Se conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se potessi vedere quello che io sento e vedo, e questa luce che tutto investe penetra, non piangeresti se mi ami!
…”Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era così fugace e limitato! Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi: tu pensami così, nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore. Non piangere se veramente mi ami!”.
So che quelle sono sue vere parole. So che Maria ha corso bene la gara, con coraggio, la sua vita di moglie, di mamma e di lavoratrice è stata piena di significato, ed ora è nella gloria e nella vittoria.