A proposito della responsabilità dell'uomo e della responsabilità della donna.
Mi permetto di estrapolare e copiare in anteprima un brano del II volume "La grande menzogna del femminismo" che sta per uscire tra qualche settimana. Scusatemi se faccio copia e incolla su quello che ho già scritto, ma mi risulta più semplice
“Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir sono probabilmente la coppia più celebre della storia della filosofia, segnati entrambi dalla stessa identica impronta esistenzialista. La loro lunga collaborazione, agevolata da stretti rapporti personali, è ben nota. Due celebri citazioni possono, in linea di massima, racchiudere il loro pensiero: «scegliendomi, io scelgo l’uomo», afferma Sartre; «donna non si nasce, lo si diventa», afferma de Beauvoir. Di primo acchito sembrano delineare un pensiero analogo: l’essere umano si costruisce. Guardando un po’ più in profondità scopriamo un pensiero agli antipodi: il costruttore dell’essere umano differisce. Per Sartre i costruttori siamo noi: «l’uomo è condannato a essere libero... una volta gettato nel mondo è responsabile di tutto quel che fa»; «il codardo è codardo della sua propria codardia». Malgrado il suo pensiero sia rivolto a tutta l’umanità, è l’uomo che Sartre ha in mente. Quale migliore esempio che la guerra per mettere in evidenza il soggetto sessuato del suo pensiero: «se io sono mobilitato in una guerra, quella guerra io, in fondo, l’ho scelta». L’uomo-maschio costruisce se stesso e si assume la responsabilità. La filosofia di Sartre può essere definita la filosofia della responsabilizzazione.
Per de Beauvoir il costruttore è al di fuori di se stesso, almeno per la donna. La sua opera più importante, Il secondo sesso, consta di oltre 800 pagine apologetiche della femmina costruita non da sé, ma dagli altri (“l’eterno femminino”). La donna, vittima della società patriarcale, senza responsabilità, diventa ciò che gli altri vogliono che lei diventi. La filosofia di de Beauvoir può essere definita la filosofia della deresponsabilizzazione.”(La grande menzogna del femminismo, pp. 953-954)