Autore Topic: Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista  (Letto 2568 volte)

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Online Frank

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Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista
« il: Gennaio 05, 2020, 11:18:00 am »
https://thevision.com/attualita/donne-essere-superiori-maschilismo/?fbclid=IwAR0R0KHgRPIpn_MwSM-vuJhMuvL4XkKHu9CYO0b7uXES0fOMcMaiwGKUoKo

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DIRE CHE LE DONNE SONO “ESSERI SUPERIORI” È MOLTO PIÙ MASCHILISTA DI QUANTO CREDI
DI ALICE OLIVERI    21 NOVEMBRE 2019

Negli ultimi tempi, tra Salvini che si iscrive a Tik Tok e Daniela Santanché che si riscopre foodblogger, i social hanno dato spazio a un lato della politica che probabilmente tutti noi avremmo preferito non vedere. Lontani ormai anni luce da quell’idea per cui una figura istituzionale abbia anche il dovere di far trasparire una certa gravitas nel modo in cui si concede ai media, Instagram, Twitter e Facebook hanno invece lasciato che noi estranei potessimo sbirciare nel privato di personaggi come Matteo Renzi o Ignazio La Russa. Mettendo da parte tutto ciò che è strategia politica, il fatto di poter usare un social come Twitter per dire anche cose personali, fare considerazioni sui propri gusti cinematografici, condividere scatti di vita in famiglia, fa sì che se già l’esposizione dei personaggi pubblici generi di per sé gaffe e strafalcioni, in questo modo se ne moltiplicano le probabilità. Cosa che è successa tempo fa, per esempio, a Carlo Calenda, un politico che da quando ha acquisito una certa notorietà all’interno del centro-sinistra non si è mai preoccupato di mettersi fin troppo a nudo rispetto ai suoi seguaci, letteralmente. Calenda, infatti, ha condiviso un video in apparenza innocente e anche abbastanza irrilevante, in cui dà un esempio concreto di ciò che significa un certo tipo di sessismo, che non è quello sbandierato a mo’ di provocazione da personaggi aberranti in stile Vittorio Feltri, ma quello tipico proprio di quel genere di persona che se per caso glielo fai notare ti risponde “Ma chi, io? Impossibile”. Quello più insidioso e difficile da debellare, in sostanza; quello di cui proprio gli esponenti di una sinistra che si definisce progressista – o sedicente tale – dovrebbero sbarazzarsi al più presto.

Il video di Carlo Calenda, che non a caso ha ricevuto diverse critiche subito dopo essere stato postato su Twitter, ritrae sua figlia – una bambina – che va in bicicletta senza rotelle, con una didascalia che recita “Maschi due mesi per imparare, Livia due giorni. Siamo un genere in declino”, con annesso l’emoji di quello che dovrebbe essere un virile fist bump. Calenda, che sebbene non ricopra chissà quale ruolo di esponente della sinistra e dei suoi valori che comprendono anche l’abbattimento di barriere sessiste e retrograde, ha comunque una posizione piuttosto in vista all’interno del centrosinistra italiano. La sua frase, che a una prima occhiata magari non sembra nemmeno così grave o offensiva, però, ha dato l’esempio perfetto del perché siamo ancora distanti da un modo di pensare realmente paritario tra i due sessi. Questo modo di fare paternalistico, accondiscendente e sminuente nei confronti di sua figlia, atteggiamento che immagino lui stesso non si è nemmeno reso conto di perpetuare, che si traduce in una sorta di stupore che perpetua uno stereotipo su quale sesso impara prima ad andare in bici, in questo caso rispetto all’abilità da ciclista della bambina  – qualità che in quanto donna non dovrebbe avere? O avere in misura ridotta rispetto ai figli maschi? – paragonata a quella molto più scarsa dei suoi fratelli è infatti un ottimo esempio concreto di ciò che all’alba del 2020 una giovane donna non dovrebbe più sentirsi dire. Sia chiaro, Carlo Calenda non mi sembra né un mostro né un insensibile, né tantomeno ciò che potremmo definire canonicamente un “maschilista”. Ma gli strascichi di una cultura patriarcale che ci portiamo dietro da anni assumono forme insidiose, come per esempio quella degli uomini che dicono cose come “Ah le donne, esseri superiori”, o peggio ancora che “Il genere maschile è in declino”.

Da donna, non c’è niente che mi dia più fastidio di sentirmi dire da un uomo cose come “Siete una spanna sopra”: sottolineare una presunta superiorità non fa altro che confermarne un’altra. Per millenni il ruolo del genere femminile all’interno della società Occidentale è stato formato all’insegna della subalternità rispetto a quello maschile, e questo è abbastanza chiaro a tutti. Senza stare troppo a rivangare il passato, è evidente anche che nell’ultimo Secolo questa tendenza ha trovato sempre meno spazio, attraverso cambiamenti drastici nel modo in cui sia noi donne ci percepiamo all’interno del tessuto sociale sia rispetto ai compiti e alla predominanza che abbiamo nel mondo del lavoro, della politica, dell’arte e così via. Nel momento in cui un uomo si ritrova a dire che le donne sono superiori, sta riportando a galla esattamente tutti quei millenni di storia in cui non è stato così: perché mai un genere dovrebbe essere migliore dell’altro? Forse proprio perché siamo abituati a dirci che in effetti, il “sesso forte”, quello che fa le cose serie, che si occupa delle questioni importanti, è proprio quello maschile. Così come quando un bambino si fa imboccare la sua pappa senza opporre resistenza e non facciamo altro che ricoprirlo di complimenti, stupiti della sua incredibile abilità nel trangugiare cucchiaiate di pastina col passato di verdure, allo stesso modo quell’uomo che ci dice che siamo davvero così migliori, così sensibili, così intuitive ci sta sbattendo in faccia il fatto che no, non è così.

Negli ultimi dieci anni, periodo in cui il femminismo contemporaneo si è occupato anche di inquadrare da un punto di vista linguistico alcuni fenomeni tossici, sono emersi concetti come “mansplaining” e “male gaze”. Personalmente, non sono troppo fiduciosa rispetto alle etichette rigide che si danno in modo sistematico a ciò che ci circonda, e credo in una certa flessibilità – per non dire arbitrarietà – sia di significato che di significante rispetto alla realtà e alle sue manifestazioni. Esistono anche tante donne che per orgoglio e arroganza hanno creduto di dovermi spiegare qualcosa con fare accondiscendente e paternalistico, cosa che tradisce la stessa pedanteria e presunzione come trasversale ai generi. Tuttavia, il fatto che ci possa essere un principio per cui l’essere umano di sesso maschile sia in fondo sempre il protagonista principale della narrazione, che sia quello in grado di spiegare come funzionano le cose, che sia in sostanza anche quello che prende le decisioni, è che giocoforza sia anche quello più sicuro di sé e spesso più presuntuoso o arrogante è un’intuizione che ognuna di noi avrà provato almeno una volta nella vita. Così come il cosiddetto male gaze, appunto, per quanto non credo sia in grado di inquadrare in modo critico tutto questo fenomeno, indica proprio il fatto che il punto di vista dominante – anche nel cinema per esempio, nel racconto di una trama qualsiasi – ricada sempre sul personaggio maschile, cosa che rende noi donne delle co-protagoniste. Le aiutanti speciali, appunto, le famose “creature di un altro mondo”, le comparse di un set, quello della vita e della realtà, in cui serve il famoso tocco di femminilità.

Quindi, i maschi fanno le cose vere, serie e importanti e poi semmai ce le spiegano, le donne – che dall’alto della loro superiorità custodiscono il prezioso dono del multitasking – rimangono fossilizzate in questa idea stilnovista che le inquadra in un universo angelicato per anime superiori. E non è nemmeno una questione prettamente estetica, come poteva essere un tempo, ancorata a un’idea iperuranica di femminile in stile casalinga americana con la piega e gli orecchini di perle, più una visione romanzata di ciò che nella realtà una donna può portare con il suo essere “diversa”; co-protagonista, subalterna, appunto. Il punto è che questo modo di atteggiarsi nei confronti del genere femminile è a dir poco fastidioso, e quando qualcuna lo fa notare non ci vuole niente a prendersi pure un simpatico “Eh, ma non vi va bene niente”. Non si tratta di pedanteria o di “acidità”, è proprio il fatto di sentirmi dire che sono superiore come se ci fosse bisogno di sottolineare che possiamo anche avere delle qualità non solo pari a quelle di un uomo ma addirittura superiori – qualità come l’avere la coordinazione sufficiente per pedalare, cosa che in effetti ho imparato a fare prima di mio fratello – che mi umilia in quanto donna. Ricondurre tutto sempre e solo a un gioco di ruoli fissato nei generi è limitante, sterile, obsoleto: mi dà molto più fastidio sentirmi trattata come un “essere speciale” che potermi misurare nel mondo con le stesse possibilità di chiunque altro e fallire. Le differenze poi, questo è ovvio, esistono e ci sono dei valori oggettivi per cui tra uomo e donna non si può usare lo stesso metro di giudizio, ma preferirei che si evitasse di mascherare un sessismo latente spacciandolo per femminismo e adorazione del mio genere, come se le femmine fossero una specie rara di qualche insetto da osservare nella sua magnifica peculiarità.

Questo ragionamento, peraltro, tocca anche un altro aspetto piuttosto complesso della femminilità oggi, ossia quella tendenza ad apprezzare qualsiasi donna solo in qualità del fatto che è appunto donna. Se dal lato maschile questo processo porta alla retorica fastidiosa della superiorità come contentino, dal lato femminile invece innesca la tendenza al legittimare qualsiasi cosa sia detta o fatta da una donna, anche se magari è una cretinata o si scontra con quello che pensiamo. Per dire, non è che in nome di una solidarietà femminile e di una presenza più forte del nostro genere in campi che prima ci erano preclusi devo sostenere per forza Giorgia Meloni o Maria Elena Boschi. Sono entrambe due donne potenti, ben inserite in politica, esempio di determinazione e così via, ma non posso certo ritrovarmi a fare il tifo per loro a prescindere dal fatto che prima di essere due persone di sesso femminile sono appunto, due persone. Così come non amo la retorica rispetto alle grandi manager o alle imprenditrici di successo che si sono “fatte da sole”: uomo o donna che sia, non mi piace il concetto di vincente, che pone per forza l’idea di un perdente. Questa per me è libertà e parità, distaccarsi sia dalle idee vecchie e superate per cui esistono cose “da femmina” e cose “da maschio”, ma anche non cadere in retoriche demenziali per cui esiste un genere a prescindere migliore dell’altro. Noi donne non siamo superiori a nessuno, non siamo migliori, non siamo più sensibili o più brave ad ascoltare, abbiamo limiti e talenti, come tutti e soprattutto come persone, non come categoria. Un uomo che dice il contrario non mi sta gratificando, sta sottolineando proprio l’opposto. Ciò che sappiamo o non sappiamo fare determina quanto siamo bravi o brave, “superiori” o qualsiasi valore vogliamo attribuirci, e il genere a cui apparteniamo non c’entra proprio nulla.

Offline Vicus

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Re:Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista
« Risposta #1 il: Gennaio 05, 2020, 12:12:27 pm »
Qualcuno può sempre dirle che è inferiore
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline KasparHauser

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Re:Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista
« Risposta #2 il: Gennaio 05, 2020, 12:50:25 pm »
Questa signora che scrive è l'esempio di come il cervello delle donne sia intorcinato su se stesso.
Infatti riesce in un fiume di parole inutili ad affermare un concetto negando il concetto stesso.
Non c'è un solo passaggio dell'inutile scritto in cui si indovina che per lei uomini e donne sono uguali, tutto il pezzo sottintende un ragionamento : non c'è bisogno che ci ridordiate che noi donne siamo superiori, sappiamo di esserlo e se lo confermate ogni volta è come se non fosse vero. Ma tutti sappiamo che è vero.
Per me scritti come questo sono una tessera in più sul mosaico della stupidità delle donne.

Online Massimo

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Re:Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista
« Risposta #3 il: Gennaio 05, 2020, 16:18:12 pm »
In realtà la signora non vuole per le donne responsabilità alcuna. La superiorità richiede dimostrazioni e pone delle responsabilità. Inoltre giustifica la fine dei trattamenti privilegiati e delle corsie preferenziali per le donne che non potrebbero più mantenerli, qualora si proclamasse in modo troppo scoperto e dichiarato la superiorità femminile. É questo che la nostra autrice intende evitare, non difendere un principio di giustizia che va sempre messa da parte quando si tratta di avere e mantenere vantaggi e privilegi, i soli che stanno veramente a cuore alle femmine di tutto il mondo.

Online Frank

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Re:Dire che le donne sono "esseri superiori" è... maschilista
« Risposta #4 il: Gennaio 05, 2020, 16:21:57 pm »
Questa signora che scrive è l'esempio di come il cervello delle donne sia intorcinato su se stesso.
Infatti riesce in un fiume di parole inutili ad affermare un concetto negando il concetto stesso.
Non c'è un solo passaggio dell'inutile scritto in cui si indovina che per lei uomini e donne sono uguali, tutto il pezzo sottintende un ragionamento : non c'è bisogno che ci ridordiate che noi donne siamo superiori, sappiamo di esserlo e se lo confermate ogni volta è come se non fosse vero. Ma tutti sappiamo che è vero.

Per me scritti come questo sono una tessera in più sul mosaico della stupidità delle donne.


E' quello che penso anch'io.
Inoltre, se sostenere che le donne sono "esseri superiori" (come son soliti fare anche tanti coglioni leccaculo di sesso maschile) è maschilista, allora affermare che sono degli "esseri inferiori" è femminista.
Sicché il defunto Paul Julius Möbius può essere annoverato tra i femministi ante litteram.   :cool2:

https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Julius_M%C3%B6bius

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Paul Julius Möbius (Lipsia, 24 gennaio 1853 – 8 gennaio 1907) è stato uno scienziato e neurologo tedesco, la cui notorietà è dovuta principalmente alla scoperta della Sindrome di Möbius ed al controverso libro "L'inferiorità mentale della donna" considerato un "classico" del razzismo femminile.

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Le polemiche sulla differenza mentale tra uomo e donna
Molte polemiche nacquero intorno alla sua pubblicazione più discussa Uber den phisiologische Schwachsinn des Weibes del 1900 in cui sono contenute numerose teorie sulle differenze fisiche e spirituali tra i sessi. Il suo libro è ancora oggi considerato una delle fonti principali del razzismo femminile.

La teoria del suo saggio L'inferiorità mentale della donna[1], è così riassunta da Franca Ongaro che ha introdotto la prima versione italiana: "Moebius si preoccupa di dimostrare (negando che in questa sua dimostrazione ci sia un implicito giudizio di valore) l'inferiorità fisiologica della donna rispetto all'uomo, per dedurre la necessità di continuare ad escluderla dal gioco sociale".


Citando studi scientifici sul peso del cervello umano[2] da cui si rilevavano differenze di peso tra i cervelli dell'uomo e della donna (1362 grammi per l'uomo e 1212 grammi per la donna) e anche misure diverse (57 centimetri di circonferenza per il cervello maschile e 55 per quello femminile), Moebius procede nel tracciare la sua teoria, citata nel titolo del libro.

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http://www.lucidamente.com/1802-quel-maledetto-crucco-di-moebius/

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Quel maledetto crucco di Moebius
“L’inferiorità mentale della donna”: un libro “scorretto”, pubblicato nel 1998 da Castelvecchi, ormai fuori catalogo e “raro”

Esiste una mentalità rozza e volgare, fondata su pregiudizi contro le donne: il termine che sintetizza tale atteggiamento precostituito è molto noto ed è misoginia. Assolutamente contraria a questa, ma ugualmente del tutto fondata su prevenzioni nella stessa misura acritiche, vi è altresì un’altra posizione ideologica – probabilmente influenzata dal sentimentalismo ottocentesco di marca romantica e oggigiorno molto di moda, anzi un must che accomuna tutte le posizioni politiche -, secondo la quale tutto ciò che è inerente al mondo femminile e alle sue rivendicazioni è bello, buono, vero e giusto. Il termine – meno noto del primo – e che definisce o potrebbe definire tale pregiudizio è filoginia.
Contro di essa – e sulle differenze fisiche e spirituali tra i due sessi – ha scritto molte controverse pagine Paulus Julius Moebius (Lipsia, 1853-1907), psichiatra tedesco, direttore del Policlinico neurologico della città natìa.

MOEBIUS donnaLa casa editrice Castelvecchi, encomiabile per aver stampato nel corso degli anni molteplici testi “scomodi” e “trasgressivi”, nel 1998 ha dato alle stampe uno “scandaloso” scritto di Moebius, L’inferiorità mentale della donna (Über den physiologische Schwachsinn des Weibes, 1900). Abbiamo notato che esso è da tempo scomparso non solo dal catalogo della casa editrice romana, ma che è introvabile anche nei remainder e nelle vendite on line. Seguendo lo spirito critico di LucidaMente, ci è venuto il sospetto che la scelta di far “sparire” il libro sia stata provocata da motivi legati al politically correct, cui abbiamo dedicato il presente numero della rivista. Come mai oggi circolano nelle librerie italiane porcherie di ogni tipo, che si ammucchiano costituendo scandalose, mortifere cataste, mentre un volumetto non privo di pregi, se non altro stilistici, si è dileguato?

Abbiamo perciò sentito l’attuale direttore editoriale della Castelvecchi, Cristiano Armati, che, nel corso di una cordiale conversazione telefonica, ci ha rassicurato: L’inferiorità mentale della donna è uscito dal catalogo della casa editrice per aver concluso il proprio “ciclo”, senza che vi siano state scelte, censure o motivazioni particolari, né in seguito a particolari pressioni di lettori o associazioni “filogine” o femministe. «Magari» ci ha detto Armati «oggigiorno un libro fosse capace di suscitare reazioni forti, anche sdegnate o scandalizzate!». Conoscendo bene pure noi l’atmosfera di “quietismo” che aleggia sull’editoria e sui libri pubblicati in Italia, l’assoluta mancanza di polemiche, stroncature, recensioni forti, pur di mantenere in quieto vivere, non inimicarsi alcuno, tirare a campare, condividiamo pienamente la considerazione di Armati.

MOEBIUS DONNA (2)Resta, d’altro canto, la “sparizione” del libro di Moebius. Del resto, l’edizione italiana della Castelvecchi era stata fatta precedere da una insolita introduzione di Filippo Scòzzari. Perché “insolita”? Perché l’artista bolognese – peraltro in genere molto iconoclasta e trasgressivo – prende duramente le distanze dal saggio di Moebius, denigrandolo (!) con affermazioni del tipo: «Mi appresto a sparare su un tedesco scemo che era anche un medico scemo e uno scrittore scemo. Ora fortunatamente è morto da moltissimi anni, quindi è scemissimo, e non lo ricorda un cane». Peccato che lo “scrittore scemo” sia stato un bravo saggista e ancora oggi sia ricordato per aver scoperto sindromi, malattie e sintomi che portano il suo nome. È certamente singolare che un prefatore parli male del libro che sta introducendo (se a uno non piace un libro, evita di fare il prefatore dello stesso), anzi insulti in modo volgare e preconcetto l’autore. E questo la dice già lunga sui vincoli del “politicamente corretto” su cui abbiamo discettato in questo numero della rivista.

Per recuperare qualcosa del libro di Moebius, abbiamo pertanto scelto di selezionarne alcuni brani tratti dall’edizione Castelvecchi, brani che riportiamo di seguito e che oggi appariranno “provocatori” o “maschilisti”. Il lettore (e/o la lettrice), ovviamente, li valuti come meglio desidera, considerando però che ormai siamo, come i cani di Pavlov, condizionati a reazioni obbligate dall’ideologia dominante del politically correct. E che non tutte le donne sono uguali… Forse le stesse donne farebbero bene a prendere coscienza di certi atteggiamenti di alcune e che qualche critica a volute, masochistiche màrtiri di uomini violenti, a conformiste, bigotte, vittimiste, rampanti senza scrupoli ed escort varie farebbe bene a tutte e tutti. Il compito del giornalista e del letterato consiste, comunque, nell’informare, documentare, far conoscere, senza censure aprioristiche. Ecco alcuni brani dal libro di Moebius:


«Gli innovatori politici e religiosi non si accorgono che l’umanità è tutt’una cosa con la Natura e che le leggi umane, dovunque ripetentisi, necessariamente derivano dalla natura stessa degli uomini. Essi credono sul serio che basti avere un giusto obbiettivo e buona volontà perché il mondo muti faccia; non vedono l’uomo reale, il quale nelle circostanze più importanti della vita segue i suoi istinti, ma si tengono d’innanzi agli occhi una figurina di cera, la cui forma possa esser cambiata a volontà e si illudono di trionfare sulla Natura con le loro leggi. Così i femministi pensano di trasformare la donna per mezzo delle leggi e dell’educazione. Ora, è semplicemente puerile il credere che l’essenza della donna, quale si ritrova in ogni tempo e presso tutti i popoli, sia un dato del capriccio».

«Concessione di diritti eguali in un senso ragionevole, non può significare altro che a nessuno venga fatta ingiustizia e che vi sia giusto compenso per ogni prestazione. Si propugni invece l’uguaglianza, sul principio che tutti gli uomini siano uguali, come volevano i rivoluzionari di vecchio stampo: sarà predicata una stoltezza, poiché gli uomini non sono uguali e tanto meno sono uguali i due sessi. Infatti cotesta sciocca idea dell’uguaglianza non ha nulla a vedere col “movimento del proletariato femminile”; si tratta soltanto della soppressione delle miserie, frutto delle nostre infelici condizioni sociali, si tratta di giustizia verso le donne e le fanciulle che sono costrette a guadagnarsi il pane».

«Ciò che generalmente è ritenuto vero e buono, per le donne è in realtà vero e buono. Esse sono rigide e conservatrici e odiano le novità, eccettuato, s’intende, il caso, in cui il nuovo arrechi loro un vantaggio personale. Si dà così l’apparente contraddizione che le donne, strenue a difendere le vecchie usanze, corrano dietro, tuttavia, ad ogni nuova moda; sono conservatrici, ma accolgono per buona ogni assurdità per poco che questa venga abilmente suggerita».

«La loro morale è soprattutto morale di sentimento; la morale che deriva dal ragionamento è loro inaccessibile e la riflessione non fa che renderle peggiori. A questa unilateralità s’aggiunge una ristrettezza di visuale. Giustizia, senza riguardo alla persona, è per esse un concetto vuoto di senso. Esse, nel fondo, non hanno il senso del giusto. Ne consegue la violenza degli affetti, la incapacità al dominio di se stessi. La gelosia e la vanità, insoddisfatta o ferita, suscitano tempeste che non concedono campo a nessuna riflessione d’ordine morale. Se la donna non fosse fisicamente debole, essa sarebbe un essere altamente pericoloso».

«La lingua è l’arma delle donne, poiché la loro debolezza mentale le obbliga a rinunziare alla prova dei fatti, per cui non resta loro che la piena delle parole. La litigiosità e la smania delle chiacchiere non a torto furono in ogni tempo ritenute specifiche del carattere femminino».

«Parimenti è loro caratteristica un’avarizia fuori di luogo. Molto affine a questa caratteristica è l’abitudine a far gran caso di minime questioni. Piccole bagattelle del momento fanno loro dimenticare passato e avvenire, le questioni più serie e le minuzie vengono trattate con lo stesso impegno e spesso ciò che veramente è importante viene trascurato per amor di un nonnulla. Né giovano le dure esperienze, e le dimostrazioni più persuasive provocano bensì teorici assentimenti, ma non mutano lo stato delle cose: “Alla fin fine io son fatta così”».

«Se la donna giudica il comportamento e la condotta di un’altra donna, spesso essa sarà molto perspicace e potrà spingere il suo sguardo molto più a fondo che non la maggior parte degli uomini. Ma la cosa è ben diversa quando si tratta di giudicar se stesse».

«Un certo grado di libertà è assolutamente condizione di vita per l’uomo, sia questi un cacciatore, che deve, libero, scorrazzare pei monti, sia invece un filosofo che deve liberamente muoversi nei regni del pensiero; ma la donna non ricerca affatto la libertà, anzi la sua felicità consiste appunto nel sentirsi legata».

«Quando imparano a conoscere l’amore, come ben presto si dilegua tanto clamore! Resta unico padrone del campo l’amore e le passate aspirazioni non risvegliano ormai altro che allegre risa. Quando, poi, per soprammercato, arrivano i bambini, vengono dimenticate del tutto le infantili aberrazioni dello spirito».

«Nella vita reale la cosa è chiara, ma quando scrivono, gli uomini perdono il buon senso».

L’immagine: l’immagine di copertina dell’edizione Castelvecchi de L’inferiorità mentale della donna di Paul Julius Moebius.

Franco Nardelli

(Lucidamente, anno VI, n. 61, gennaio 2011)